SenPa.jpgdi Roberto Sturm

Carlo Cannella ha fondato, circa un anno fa, Senzapatria Editore. In questo breve lasso di tempo la piccola casa editrice si è imposta per la qualità dei testi e degli autori pubblicati attirando l’attenzione di parecchi lettori e degli addetti ai lavori. Personalmente ho letto ottime opere di Luigi Bernardi, Federica Sgaggio, Barbara Garlaschelli ed Enzo Fileno Carabba. Il progetto di Carlo, però, come potrete verificare dall’intervista che segue, è in costante evoluzione. Le premesse ci sono perché le sue idee e i suoi obiettivi sono chiari: una piccola casa editrice può richiamare interesse in mezzo alla giungla editoriale italiana solo distinguendosi per la qualità e l’originalità delle proprie proposte, senza rincorrere i gusti del lettore occasionale o cliché ormai superati.

Ci racconti quando, come e per quali ragioni hai deciso di fondare una casa editrice?
L’idea risale più o meno a quando avevo 16 anni. In quel tempo ero un pessimo studente iscritto al secondo anno dell’Istituto magistrale. Invece di studiare latino e didattica passavo interi pomeriggi a imitare quella che Fernanda Pivano definiva “prosa spontanea sul modello del jazz” e a cercare la potenza letteraria della mia anima. Pensavo che scrivere e predicare la bontà universale fosse le mia missione sulla terra. Nonostante gli sforzi, però, non riuscii mai a combinare granché. Alla fine, con estrema fatica, buttai giù un romanzo breve che scrissi su un rotolo di carta per telefax, alla moda beat.


Raccontava le vicende di un extraterrestre un po’ strambo che se ne andava in giro sulla Terra travestito da turco con il fiero proposito di sterminare la specie umana. Facciamola breve, era una cosa orribile. Ci misi poco a convincermi che non sarei mai riuscito a scrivere qualcosa di decente, così decisi di metter su una casa editrice. Non feci in tempo. Di lì a poco fui investito dall’ondata hardcore punk. Passai più di vent’anni su un furgone scalcinato camminando con la mia band per centinaia di chilometri al giorno, suonando ogni volta per il solo rimborso delle spese e anche meno, dormendo sui pavimenti delle case occupate e incidendo dischi sempre più rabbiosi. Quando mi sembrò di avere qualcosa da raccontare su quegli anni ritornai con la mente ai vecchi tempi dell’utopia anarchica e scrissi “La città è quieta… ombre parlano”, un romanzo di
stampo autobiografico. Dopo di ciò passai cinque anni a Leiden, in Olanda, dove la mia compagna lavorava come ricercatrice. L’anno scorso, appena tornato in Italia, mi dissi che forse metter su una casa editrice non sarebbe stato poi così male. Erano passati 35 anni da quando mi era balenata in testa l’idea per la prima volta.

Hai deciso di “investire” in una lunghezza dei testi un po’ scomoda. Racconti lunghi o romanzi brevi. È stata una scelta dovuta alla mancanza nel mercato odierno di testi di questo tipo o è stata frutto di qualche altro motivo?
Quello di dedicare attenzione ai racconti lunghi è stato il risultato di una considerazione che feci qualche tempo fa viaggiando in treno. Quel giorno i miei compagni di viaggio, seduti l’uno di fronte all’altro nel mio scompartimento, stavano tutti ammazzando il tempo leggendo. Non era una novità, il viaggio è un momento perfetto per leggere, del resto a volte facciamo centinaia di chilometri per spostarci solo di qualche metro, proprio come accade muovendosi tra le pagine di un libro. Ma erano volumi in gran parte troppo grossi per esser letti in qualche ora. Pensai che riempire il tempo del viaggio leggendo tutto il libro sarebbe stato molto più gratificante. Ecco allora i libretti SenzaPatria, diciassette centimetri per dieci e mezzo, facili da tenere in mano o infilare in tasca, da leggere in un’ora o poco più, a insaporire il viaggio di un percorso ulteriore, più raccolto ma non per questo meno intenso.

La qualità dei testi è sicuramente al di sopra della media, almeno nei titoli che ho letto. Come hai agganciato questi autori?
Quando un libro mi piace l’istinto irrefrenabile è quello di entrare in contatto con l’autore. Se lo scrittore è morto m’informo sul cimitero in cui è sepolto. Anche se non può rispondermi mi piace sedermi sulla sua tomba o stargli davanti con le braccia lungo i fianchi, raccontargli un po’ di cose, quello che penso del suo libro, metterlo a confronto con altri della sua produzione, in genere quello che ha scritto immediatamente prima o immediatamente dopo. A maggior ragione cerco di farlo con gli scrittori ancora vivi. Se non ho i numeri di cellulare li cerco in rete. Scrivo delle email. Ho fatto così con tutti gli autori della collana. A ciascuno ho illustrato il
progetto. Generalmente è piaciuto. Molti hanno scritto appositamente per l’occasione, qualcuno ha recuperato vecchi racconti non più in distribuzione.

fileno.jpgMolti degli scrittori che hai pubblicato sono politicamente schierati. Almeno un paio, parlo di Bernardi e Fileno Carabba, sono stati inseriti nella lista nera dei firmatari dell’appello contro l’estradizione di Cesare Battisti. Questo perché cerchi, nei testi da pubblicare, anche l’impegno politico e sociale o perché in qualche modo è una conseguenza della tua cultura politica?
In genere sono attratto da due tipi di scritture, quelle in cui trovo conferme, vicine alla mia cultura politica, e quelle che divergono completamente dal mio modo di essere. Da editore mi piace sostenere persone che non esitano ad esporsi politicamente anche se ciò va contro i loro interessi e rischia di diminuire il numero dei loro lettori. Il desiderio di confrontarmi con persone, visioni e mondi diversi, però, non muore mai. È uno stimolo troppo grande per arricchire il mio bagaglio di conoscenze, per mettermi in dubbio, ma anche per non abbassare mai la guardia.

Vuoi parlarci di alcuni titoli che hai pubblicato e di come sono stati accolti dai lettori?
La collana On the road è composta da 24 titoli. Sarebbe per me antipatico citarne solo alcuni, anche perché avendoli pubblicati ho il diritto di amarli tutti. Per avere un’idea della qualità delle scritture dovrebbe comunque essere sufficiente leggersi i nomi degli autori. E difatti l’accoglienza di critica e pubblico è stata generalmente buona. Non è mai facile per un editore neonato e con problemi di distribuzione arrivare ai lettori, ma devo dire che in questo caso sono stati proprio loro ad armarsi di pazienza e a cercare questi libri. Ora permettimi però di rovesciare la tua domanda e di parlarti delle mie prossime pubblicazioni, libri in qualche modo”classici”, dalla lunghezza regolare: Farina di sole di Nunzio Festa, un romanzo in cui uno dei personaggi principali è proprio Cesare Battisti, Qualcuno era un po’ grasso, romanzo d’esordio, a mio parere davvero notevole, di Mattia Filippini, e Memorie immaginarie, il testamento letterario del poeta Luigi Di Ruscio, morto a Oslo lo scorso 23 febbraio.

Uno dei problemi che dovresti risolvere a breve è la distribuzione dei libri che per ora mi pare si basi quasi esclusivamente sulla vendita diretta e con modalità non troppo pratiche.
In realtà l’intenzione era quella di utilizzare i distributori automatici, cioè di sovvertire in qualche modo la filiera distributiva classica. Il progetto non è ancora morto (ci sono alcuni distributori del gruppo “Automatic Free Shop” in cui è possibile acquistare i miei libri, altri dovrebbero aprire a breve). Tuttavia sto cercando di relazionarmi anche con le piccole librerie indipendenti, aprire cioè un circuito di librerie fiduciarie con cui instaurare rapporti commerciali basati sulla competenza dei librai e sulla passione dei cosiddetti lettori forti, che generalmente tendono a privilegiare i canali indipendenti alle grandi catene di distribuzione.

Qual è il tuo punto di vista sulla situazione editoriale oggi in Italia? La tua esperienza con Senzapatria ha cambiato o meno la tua opinione?
La mia opinione è deducibile dallo statement della casa editrice. Pochi marchi editoriali controllano ormai una fetta consistente del mercato. E quel che è peggio hanno capito che è molto più redditizio controllare il sistema di distribuzione che coltivare gli scrittori. Controllano la promozione e il marketing, sono gli unici in grado di riempire gli scaffali delle librerie e di far arrivare i loro libri in tutte le grandi catene di negozi. Ma non importa. La tecnologia ci aiuterà. Ben presto le organizzazioni e i sistemi si faranno più aperti e trasparenti. L’equilibrio di potere fra produttori e consumatori si farà più bilanciato. Più genuino. I nuovi legami saranno basati sull’autenticità. I mostri soccomberanno. Nel frattempo essere piccoli fornisce un grande vantaggio, la libertà di pubblicare cose autentiche e di non preoccuparsi del gusto del pubblico. La mia esperienza con Senzapatria, a un anno dall’inizio, ha rafforzato la mia visione ottimista. Ho un orizzonte da raggiungere, un fine da perseguire. Nell’immediato vorrei provare a fare qualcosa di diverso, guadagnare un po’, offrire alla gente i libri che amo, e divertirmi mentre lo faccio. Guardando un po’ più in là mi piacerebbe avere un mucchio di gente intorno, che lavorando in Senzapatria guadagnino in media 8 euro all’ora, godano di ferie retribuite, mense aziendali, asili nido per i figli, abbonamenti ai mezzi pubblici, biciclette e parcheggio gratuiti. Non intendo dire che sono più etico di altri, ma che ho un sogno da realizzare.

Si dice spesso che in Italia ci siano più scrittori che lettori? Tu ricevi molti manoscritti? E di che qualità?
Ricevo un centinaio di manoscritti al mese, e naturalmente ho evidenti difficoltà a leggerli tutti in tempi accettabili. La qualità è decisamente bassa, almeno la metà di essi comincia con una considerazione meteorologica, “era una bella giornata di sole”, cose così. Il problema più evidente però è a mio avviso la mancanza di personalità, lo scimmiottamento di autori già affermati, il più delle volte morti. Thomas Bernhard mi sembra quello più di moda in questo momento. Insomma, mancano voci autentiche.

Parliamo delle tue preferenze letterarie. Qualche titolo e qualche autore, magari.
Ho amori vecchi e giovani. A pensarci troppo rischierei di fare troppi nomi. Semplifichiamo. Dico: Bolaño, Céline, Bernhard, Vonnegut (2666, Morte a credito, Perturbamento e Mattatoio numero 5).

Recentemente, per Perdisa, è uscito il tuo romanzo Tutto deve crollare. Un romanzo che farà molto discutere, secondo me. Una storia cruda sul potere e gli abusi, sui danni del liberismo e la forza delle parole e non solo. Un lavoro veramente egregio e studiato che coniuga stile, ricerca e contenuti. Complimenti.
È la storia di un uomo sadico, feroce, consapevole, che rifiuta tutto ciò che è uguaglianza e appiattimento, che profana l’idea di progresso affermando la propria superiorità intellettuale, e che dispiega il proprio potere nella società: di genere, di razza e di classe. Un potere che fa, agisce, ma che soprattutto parla, offre cioè al lettore le sue “buone ragioni”. È proprio intorno ai discorsi che si sviluppa il tema centrale del libro, la necessità di conquistare, esercitare e giustificare il potere. Ed è la cultura nella sua accezione più vasta, più ancora che la forza, a offrire al protagonista la possibilità di rendere accettabile e comprensibile qualunque abiezione.