di En Route!

Shebab.jpg[Sul conflitto in Libia si leggono tante stronzate, soprattutto adesso che il disordinato intervento imperialista, volto alla conquista delle risorse del paese, cerca di inquinarlo. Si parla di lotte tribali, di integralismo islamico, di conflitti locali di potere, di sommosse manovrate dalla Cia. Nessuno pare interessato ad ascoltare ciò che gli insorti dicono di se stessi. Eppure cercano di parlare, quando possono. Il fatto è che i protagonisti assoluti della ribellione sono scomodi, poco inquadrabili politicamente. Si tratta degli shebab, i giovani proletari libici delle periferie urbane. Un blog, aggiornato quando possibile nel fuoco della lotta, cerca di dar loro voce. E’ En route! Ha una versione italiana, ma quella francese è molto più ricca, e copre l’intero Nord Africa.
Ne riportiamo un articolo, ma l’intero blog andrebbe letto da cima a fondo. Ciò permetterebbe di cogliere la sostanza di classe, quanto mai moderna, della insurrezione libica. Paese in cui l’85% della popolazione vive in aree urbane e patisce i contraccolpi del neoliberismo, abbracciato con entusiasmo da Gheddafi.
Che dicono gli shebab dell’ingerenza straniera? Ovviamente ne sono contenti: fa loro comodo (Lenin stesso accettò gli aiuti della Germania). Sono perfettamente consapevoli che c’è chi vuole impadronirsi delle loro materie prima. Ma aggiungono: “Gli Occidentali si prendano il nostro petrolio: la rivoluzione vera la faremo dopo”. Rivendicano insomma la loro autonomia, sale di tutte le rivoluzioni. Grazie a Serge Quadruppani per la preziosa segnalazione.] (V.E.)

PRECISIONI DALLA LIBIA

Capiamo come possa essere complicato, dall’Europa, immaginarsi com’è la situazione qui in Libia. E’ difficile immaginarsi questi giovani inesperti gettarsi, disarmati, all’assalto di una strada bombardata dall’artiglieria. O capire che avere una discussione “politica” possa significare discutere tranquillamente della realtà del “complotto giudeo-massonico” con uno studente istruito e curioso. La rivoluzione libica non è per forza ciò che si crede.
In una settimana di repressione il regime di Gheddafi si è reso insopportabile a un popolo poco abituato alle rivolte (la Libia non è la Grecia né la Cabilia). In questo articolo tenteremo di fare il punto, a un mese dall’inizio della rivolta, su cos’è la Libia “liberata”. Proveremo a condividere meglio ciò che ci vediamo e viviamo.

Rifornimento.

Per quanto riguarda il cibo, l’acqua, l’elettricità e la benzina, la situazione rimane molto stabile. Il cibo si acquisisce di solito come prima della rivolta, nei negozi riforniti dall’Egitto. I salari non sono più pagati però i risparmi personali rilasciati a contagocce dalle banche sono sufficienti. Prevenendo una pauperizzazione crescente e un arresto del sistema mercantile, i paesi del Golfo, Qatar e Emirati Arabi, insieme alla popolazione egiziana, hanno fatto passare dal confine cibo e prodotti per l’igiene, immagazzinati nelle città della Cirenaica. Dal 17 febbraio in poi, prima che la mancanza di cibo fosse divenuta percettibile, hanno avuto luogo tante iniziative per rifornire quelli che ne avevano bisogno; non le conosco tutte e a volte ignoro il loro funzionamento e la loro efficacia. Comunque nei giorni successivi al 17 febbraio, la solidarietà si è manifestata innanzitutto nelle donazioni spontanee di cibo da parte di singoli. Gli uomini che hanno preso le armi per organizzare i check-point hanno suscitato subito un grande slancio di solidarietà. Per esempio i proprietari di supermercati hanno dato le loro merci ai difensori della città.

Il 26 febbraio, la Petrol Engineering Community, associazione fondata spontaneamente dai lavoratori del settore del petrolio, ha iniziato a raccogliere le donazioni dai quadri dell’industria petrolifera (da 2000 a 3000 Dl al giorno) per comprare cibo e vestiti per i soldati. Quando le forze di Gheddafi hanno attaccato Brega il 2 marzo, le donazioni sono aumentate fortemente. Dal 2 marzo fino a poco tempo fa si trattava soprattutto di bottiglie d’acqua, di latte, di succhi, di biscotti e di pastasciutta. Una parte importante di questo afflusso (sovrastimato) è stato distribuito ai viaggiatori che attraversavano i check-point. I profughi provenienti dall’Africa Centrale, dall’Africa Occidentale o dall’Egitto hanno parzialmente approfittato di questo aiuto (che era comunque ancora insufficiente per loro).

Il 6 marzo, degli ex-scout diventati studenti hanno fondato “I giovani del cambiamento”. Questa organizzazione la cui gerarchia è un po’ formale (dopotutto sono scout) comprende una trentina di membri permanenti e più di 370 volontari mobilitabili per compiti vari tra cui il trasporto, la pulizia, l’aiuto negli ospedali o la pubblicazione di articoli. Sul piano del rifornimento, si occupano degli aiuti provenienti dal Golfo. Grazie ai loro agganci e alle loro relazioni sulla costa della Cirenaica, hanno stabilito alcuni depositi a Bengasi e convogliano le derrate alimentari verso la linea del fronte. Organizzano raccolte di armi e incitano coloro che ne hanno ancora a darle ai combattenti, anche se loro stessi non sempre lo fanno. Queste associazioni spontanee hanno legami con altre più vecchie di aiuto sociale e di solidarietà, e a volte con le nuove istituzioni di Bengasi.

Istituzioni.

Ci sono di fatto tre istituzioni ufficiali che per ora non hanno nessun edificio dedicato. Quella più conosciuta è il governo provvisorio o Consiglio Nazionale di Transizione. Solo una minoranza dei suoi membri sono conosciuti, poiché molti di loro sarebbero in incognito nelle zone occupate. Il suo ruolo è quello di stabilire relazioni diplomatiche e contatti con la stampa in vista di offrire alle potenze occidentali un’alternativa credibile al sistema di Gheddafi. La seconda istituzione, poco conosciuta, è il consiglio locale, la cui importanza sembra minore. L’ultima è il consiglio cittadino, a volte chiamato consiglio locale. Comprende 13 membri, tutti personaggi pubblici di Bengasi ognuno dei quali copre un settore dei servizi pubblici: economia, banche, educazione… Non ho approfondito molto questa istituzione, ma salvo ciò che concerne l’esercito di Bengasi, sembra poco attiva. I membri del consiglio cittadino sembrano contare su ciò che già esiste: le associazioni spontanee, le istituzioni che funzionano (compagnie petrolifere, ospedali, etc.). Per quanto riguarda l’energia il responsabile Ahmed Garoushi si interessa solo alla vendita del greggio disponibile a Tobruk (100’000 barili al giorno) e al recupero dei guadagni di questa vendita che dovrebbe avere luogo nelle prossime settimane. Questi soldi sarebbero messi a disposizione del consiglio cittadino e del governo provvisorio.

Per capire meglio come si mettono in moto i meccanismi della controrivoluzione, occorre mettere in luce uno dei fenomeni più significativi di questa guerra rivoluzionaria: la formazione di “avanguardie“ e “retroguardie“ e poi cercare di capire ciò che non sembrava importante per tanti (noi compresi): i discorsi del popolo libico.
La guerra, nei suoi primi giorni, non avrebbe potuto per niente essere compresa come un’opposizione tra “avanguardia“ e “retroguardia“. Innanzitutto, tutte le città liberate uscivano da scontri lunghi, difficili e sanguinosi, che avevano coinvolto tutti (manifestanti, amici, vicini, personale degli ospedali, volontari di ogni tipo). Brega è stata presa dai suoi propri abitanti, e quando quelli di Ras Lanuf hanno ricevuto l’appoggio della gente di Bengasi una città intera si è mobilitata. Ogni abitante andava a combattere con l’arma che aveva trovato o con quella di un amico.

La formazione di un’“avanguardia“…

La truppa di combattenti che poi diventerà “l’armata del popolo” durante le battaglie di Ben Jawad, Ras Lanuf, Brega e Agedabia è nata dopo la festa delle vittorie e la sconfitta di Ben Jawad. Questa truppa, male armata, non addestrata, si è caratterizzata per la sua incapacità di avanzare più di 300-600 metri alla volta, per il suo lungo e difficile apprendimento della necessaria velocità di movimento e discrezione, e per una tempistica d’azione che assomiglia più ad una gita tra amici che ad una guerra. Quando l’ho lasciata, questa truppa non aveva né cannoni senza rinculo, né lanciarazzi, né mortai, né katiuscia, né elmetti, né giubbotti antiproiettile, e pochissime armi leggere.

Un’altra componente del fronte, quasi invisibile, è ciò che rimane dell’esercito, riorganizzato attorno ad alcuni ufficiali. Le uniche truppe veramente fedeli agli ordini sembrano essere le forze speciali. L’uso dei katiuscia, elementi indispensabili di questa guerra, è un po’ particolare. I loro tiri sono regolati dalle forze speciali, così mi hanno detto, però ho anche visto munizioni trasportate dal popolo autorganizzato. L’uso di queste armi è stato decisivo durante le offensive massicce del popolo armato (come a Ben Jawad o a Sidra). E’ quindi probabile che l’esercito ufficiale abbia avuto un ruolo importante in certe vittorie, ma appogiandosi sistematicamente agli assalti popolari e in molti casi esponendosi molto meno di loro.

…e di una “retroguardia“

Questo esercito organizzato ha invece una presenza importante in ciò che si è ormai costituito come “retrovia » del fronte. Solo le forze speciali sembrano presenti permanentemente sul campo. L’esercito invece organizza la formazione di nuove forze in una caserma, gestisce probabilmente grandi quantità d’armi e ha un legame permanente con l’embrione di Stato che sta nascendo. Questo corpo di soldati è caratterizzato dal segreto e dalla diffidenza. Non sono quelli del fronte, ma sono questi ragazzi in divisa che detengono gli equipaggiamenti e che indossano i giubbotti antiproiettile. Le radio a lungo raggio, il materiale ottico potente, le armi di grosso calibro di ultima generazione si trovano nel loro campo di addestramento. Le voci dicono che ci sarebbe un battaglione di 200-300 uomini equipaggiati bene e che impara a marciare al passo. Molti di loro lasciano il campo per raggiungere l’armata del popolo sotto i bombardamenti.

E’ certo che gli ufficiali di domani, quelli che riceveranno le medaglie e le pensioni, non sono quelli che si organizzano al di là di ogni gerarchia. Per questi ultimi esiste una realtà particolare, diversa e confusa. Si preoccupano dell’avanzata delle truppe nemiche, del rifornimento di armi, della sorte dei traditori e dei nemici. E’ importante la contraddizione fra i civili che combattono e gli altri nelle città. Presenti nei momenti di festeggiamento questi ultimi hanno disertato subito una guerra che in realtà non capiscono. A Bengasi, evitano la questione affermando che Gheddafi è finito e ascoltando canti patriottici.

Il criterio di riappropriazione delle armi da parte del popolo è stato quello dell’appropriazione privata e non quello dell’uso collettivo. Ci sono quindi migliaia di Kalashnikov, di Rpg, e anche di 30 mm che giacciono sotto i materassi o nei garage di Bengasi. Nella città, oltre l’esercito ufficiale di cui abbiamo appena parlato, nessuno sa precisamente cosa succeda sul fronte. Tutti sembrano fregarsene, nessuno sembra interessarsi troppo alla questione. Non si sentono coinvolti in questa guerra che non hanno voluto. I discorsi qui sono le frasi ripetute centinaia di volte dalla gente in strada, centinaia di: « Gheddafi monkey », « Gheddafi crazy »; sono le centinaia di caricature di Gheddafi, dei suoi discorsi. Il problema è Gheddafi, Gheddafi e non i suoi figli, Gheddafi e non il suo esercito, Gheddafi e non la sua polizia. Concedono a malapena che degli stranieri, dei mercenari di colore possano essere considerati allo stesso livello di « Gheddafi l’africano ». Qui la concordia nazionale può essere rievocata ad ogni momento. Il popolo e la gioventù si sono riappropriati del lavaggio di cervello.

I morti intralceranno sicuramente ogni tentativo di riconciliazione nazionale, ma sono stati seppelliti secondo il rito religioso. Non sono dei guerrieri, dei vinti, ma dei martiri, non li si deve piangere. I Libici devono rispettare la pace e Dio, prima delle loro amicizie e dei loro desideri. Le cinque preghiere al giorno glielo rammentano sempre, anche sul fronte. La religione è una parte importante dei discorsi, nei cortei si canta che l’unico Dio è Allah e che Allah è grande.

Il motore principale di questa rivolta sembra essere la reazione all’orgoglio smisurato di Gheddafi che si è permesso di voler sterminare un popolo che chiedeva al massimo delle riforme o la presa del potere da parte di Saif al Islam. Tutte le forme di propaganda, di logistica, di combattimento, di organizzazione inventate fino ad ora dalla rivoluzione sono stati ripresi direttamente dal modello di Gheddafi. La rivoluzione si impara forse nei gruppi di combattenti o di giovani volontari, che vivono la lotta insieme e l’organizzazione collettiva, sempre precaria di fronte ai tentativi di formalizzazione qui onnipresenti.