di Andrea Cattaneo

CarmilladiFraviaDePalma.jpg[Da un paio di mesi è in corso in rete un esperimento interessante. Si tratta della stesura, promossa da Andrea Cattaneo e dalla rivista Medeaonline, di un romanzo steampunk collettivo, Il corpo di Carmilla, seguito del famoso racconto di Joseph Sheridan LeFanu da cui noi stessi prendiamo nome. Finora l’esperimento, aperto a tutti sulla base di un regolamento dettagliato, sembra riuscire piuttosto bene. Riportiamo il primo capitolo, opera dello stesso Cattaneo. Un articolo su Le Fanu, diligente riassunto di varie fonti critiche e biografiche, a firma Claudio Asciuti, è sul numero di maggio giugno della rivista Pulp.] (V.E.)

1 — IL PATTO DEI GIUSTI

Un odore acre di sudore e sangue impregnava ogni cosa: dai costosissimi buchara del Transcaspio, agli arazzi di Beauvais, dai capelli di Laura, alle unghie del vecchio Silas. Era il fetore di una moribonda: il medico l’aveva confermato senza giri di parole. Silas a quella cattiva notizia aveva risposto con la solita, stucchevole cortesia. Una volta congedato l’ospite, s’era ritirato nel suo studio e là si era abbandonato a bestemmie e maledizioni. «Come puoi farmi questo?» Aveva domandato schiumante al ritratto di sua figlia Laura, poi — temendo di essere sentito — si era ricomposto con una risatina strozzata.
Mademoiselle de Lafontaine era entrata nella stanza senza fare rumore. Nella penombra si era seduta sullo scrittoio e, impacciata, aveva allargato le braccia con l’intenzione di abbracciarlo. Silas l’aveva fulminata con lo sguardo, poi si era ammorbidito: «Non mi pare il caso».
Nella sua stanza Laura moriva soffocata senza alcuna ragione apparente. Perlomeno così sosteneva il medico, ma Silas conosceva bene la causa di quella disgrazia: era Lei, il mostro che avevano accolto in casa e trattato come una figlia. Ucciderla e mutilarla non era bastato a interrompere la maledizione. Il barone Vordenburg l’aveva messo in guardia sul destino di Laura: l’esecuzione del mostro non avrebbe cambiato le cose, il marchio del vampiro era indelebile. «Solo il fuoco — aveva concluso il barone valutando la scollatura di Laura — avrebbe potuto interrompere la catena di sangue che lega i vampiri alle loro vittime».
La notte successiva all’esecuzione nel cimitero dei Karnstein, Silas non aveva dormito per niente: temeva che quello spettro diabolico lo raggiungesse nei suoi sogni per vendicarsi. La sua coscienza non era per nulla serena; quello che avevano fatto al cadavere della ragazza era nel loro pieno diritto, ma si trattava pur sempre di una pratica rivoltante, da tenere segreta. Laura, in qualche modo, aveva saputo tutto e non faceva che singhiozzare e chiedere di Carmilla, lo guardava con disgusto e rifiutava le sue attenzioni.
Il viaggio che avevano fatto in Italia non era servito a nulla, ormai Silas per sua figlia era semplicemente un orrendo mostro. Non sapeva che fare e soprattutto come salvare le apparenze perché la servitù già vociferava cose ripugnanti sul comportamento sdegnato di Laura, sulla misteriosa spedizione guidata da Vordenburg e su di lui che, quel giorno, era rientrato sconvolto e imbrattato di sangue. La sua reputazione era in pericolo e Silas non poteva tollerarlo.
Era stato un errore dare retta al generale Spielsdorf e unirsi al gruppo di Vordenburg. Forse la faccenda si poteva chiudere più decorosamente, magari offrendo a Lei del denaro e chiedendole semplicemente di andarsene. «Follia — aveva ribattuto Spielsdorf alle obiezioni del suo amico Silas —, il vampiro ci avrebbe perseguitato fino alla nostra distruzione. Era necessario vendicare le sue vittime e fare giustizia. Certe faccende si risolvono solo con la spada e la forza: la diplomazia è inutile».
Ma era facile parlare così per Spielsdorf. Il generale era un vecchio misantropo capace di comandare al macello migliaia di uomini senza battere ciglio, per lui contava solo il proprio onore. «Qualsiasi ostacolo che non si possa piegare — sosteneva tronfio — va spezzato, non ci sono alternative». Ora Spielsdorf era a Vienna a condurre il massacro di austriaci e francesi che si inscenava al fronte, ben lontano dalle mille noie del povero Silas.
Le grida improvvise di madame Perrodon avevano tranciato di netto il filo dei suoi pensieri e annunciato l’inizio del lutto. «È morta», disse semplicemente mademoiselle de Lafontaine.
L’odore del sangue di Laura si fece così intenso che Silas dovette trattenersi per non dare di stomaco e — nello sforzo di mantenere il proprio decoro — un largo sorriso da fesso gli comparve in mezzo alla faccia. «Ho molte pratiche da sbrigare, non farò mai in tempo. Fai preparare la carrozza».
Mademoiselle de Lafontaine lo fissò incredula: «Va bruciata, Silas. Cosa intendi fare?»
«Laura è mia figlia e non subirà lo stesso trattamento di Lei. Fai preparare la carrozza e falla mettere a bordo».
«No». Il rumore dello schiaffo risuonò secco nella stanza; mademoiselle de Lafontaine si ritrovò riversa sul tappeto. Incredula si portò una mano nel punto in cui lui l’aveva toccata, la guancia pulsava e bruciava. Lui mortificato e tremante l’aiutò a sollevarsi e la baciò. «Perdonami. Puoi perdonarmi? Ma fai in fretta, prepara la carrozza, te ne prego».
Silas, rimasto nuovamente solo, si mise a sedere e stese una lettera per il prete del villaggio. Nel testo si premurava di domandargli dei suoi problemi di salute e dell’orto a cui teneva tanto, gli avrebbe inviato quel vino che gli era piaciuto e gli proponeva una cena assieme per discutere, come sempre, dell’Inferno di Dante. Si premurò di imbustare la lettera e la dispose assieme alle altre da spedire. Aveva scritto al suo mezzadro per rimproverargli le abitudini chiacchierate della sua giovane figlia, poi al fabbro per chiedergli quanto costasse una spada di Toledo da donare a Spielsdorf (meglio tenerlo buono per via di certi favori chiesti), e poi a decine di altri conoscenti. Il lavoro si era accumulato e, morte o non morte, andava smaltito. Rimase allo scrittoio finché non lo chiamarono all’ingresso.
La carrozza era pronta e il cadavere attendeva in vettura. Si mise lui stesso alla guida, non volle nessun altro. Madame Perrodon singhiozzava tremando vistosamente: aveva perso la cosa più simile a una figlia che avesse mai avuto. Silas chiese soltanto una lanterna e si profuse in cordiali ringraziamento a quanti gli porgevano le condoglianze. Mademoiselle de Lafontaine vedendolo in quelle condizioni si strinse il petto come se l’avessero pugnalata a morte, ma non disse nulla: lo amava troppo e nel modo sbagliato.
Silas attraversò la campagna della Stiria fischiettando un allegro motivetto che aveva imparato da bambino, a Londra: raccontava di un ponte che si stava inesorabilmente sgretolando. A tratti scoppiava a piangere, poi si ricomponeva e un istante dopo piangeva di nuovo. Il viaggio era lungo, sarebbe arrivato a destinazione solo a notte fonda. Spronò i cavalli infilandosi nel vasto bosco di betulle che circondava la loro proprietà. La luna — particolarmente splendente — illuminava a macchie il sottobosco filtrata dalle chiome degli alberi. Il panorama sarebbe rimasto immutato per almeno tre miglia.
Silas, improvvisamente inquieto, smise di fischiettare: non si sentiva alcun rumore fatta eccezione per quello delle ruote della carrozza. Tutto era cominciato con la corsa della carrozza che portava Lei verso casa sua: ora era lui a condurne una a folle velocità verso l’ultima dimora di quel mostro.
Quante cose erano accadute in quella terra dimenticata da Dio! Lì aveva scelto di isolarsi dal mondo, lui, Laura e qualche servitore. La bambina era cresciuta in fretta e si era fatta donna, bella come la madre e come lei irresistibilmente pura. Silas non sapeva opporsi al loro candore, lo temeva e lo desiderava al tempo stesso. Era un bene che non avrebbe mai potuto possedere pienamente come avrebbe voluto perché, altrimenti l’avrebbe consumato fino a distruggerlo. Era già successo con la madre di Laura — che era morta a causa delle attenzioni sfrenate di Silas — e così probabilmente sarebbe stato anche per la figlia se Lei non si fosse messa di mezzo.
«Laura» Disse tra sé e sé il vecchio inglese respingendo con un ghigno fantasie confuse e oscene sul seno di sua figlia, sull’incavo dietro le sue ginocchia, sulle sue braccia magre, sulle labbra. Chiuse a forza quella digressione rievocando le sue innumerevoli virtù di buon padre, elogiate migliaia di volte da tutti i suoi conoscenti (perlomeno quelli con cui non era in intimità). L’unica a sapere di queste sue debolezze era mademoiselle de Lafontaine: le aveva assecondate nel disperato tentativo di conquistarlo, ma da tempo ormai si era rassegnata a fare la sostituta, a interpretare per Silas la parte di Laura.
Una radura si aprì davanti a lui, i cavalli lanciati al galoppo erano ansiosi di superarla per sottrarsi nuovamente alla luce della luna così intensa e vagamente innaturale. Stava trafugando il cadavere di sua figlia. Silas evitava di pensarci, ma un malessere diffuso si era comunque impossessato di lui: da qualche parte la coscienza mordeva. Fortunatamente l’oscurità del bosco appena raggiunto, l’umidità che sprigionava quel muro di alberi, servì a distrarlo.
Karnstein era vicina, già si vedevano in lontananza le rovine della chiesa. La sua destinazione era disabitata da tempo perché sulla famiglia Karnstein — gli antichi signori del posto — circolavano leggende terribili (e non del tutto false). Si diceva che quel antico villaggio oggi in rovina, fondato proprio dai Karnstein, fosse infestato dai vampiri. La brava gente della Stiria se ne teneva il più possibile lontana e lui ben sapeva quanto facessero bene.
In definitiva era il luogo ideale in cui seppellire Laura: lì nessuno l’avrebbe disturbata. Se anche Vordenburg avesse avuto ragione e fosse capitato anche a Laura quel che era successo a Lei, lì non avrebbe potuto far del male a nessuno. Laura non aveva a disposizione l’aiuto di quella misteriosa donna che si spacciava per la madre di quel mostro, non avrebbe potuto muoversi dalle rovine di Karnstein. «Meglio nascondere tutto — si era ripromesso Silas —, meglio che nessuno sappia niente. E poi Laura desiderava tanto ricongiungersi a Lei, io sto solo esaudendo simbolicamente le sue ultime volontà».
Arrivato alla grande chiesa senza copertura — un tempo luogo di sepoltura dei membri della famiglia Karnstein — arrestò la carrozza, tirò il fiato e scese a terra tenendo la lanterna in mano. Laura, durante il viaggio, era caduta e giaceva sul pavimento della vettura. Silas la trascinò fuori, poi se la issò sulle spalle: si trattava di un carico morbido e leggero, un carico che avrebbe preferito non dover abbandonare. Cercò nuovamente di trattenersi, ma il petto gli esplodeva in continui singulti senza che potesse farci nulla.
Avanzando tra i capitelli mezzi sepolti e le colonne spezzate della chiesa cercò di ricordare il punto esatto. L’edera era ricresciuta e copriva parzialmente la lastra di marmo, ma l’iscrizione era ancora ben visibile: Mircalla Karnstein. Silas si fermò di colpo: c’era qualcosa di strano.
Quel giorno — in compagnia di due medici inquirenti provenienti da Graz — lui Vordenburg e Spielsdorf avevano scostato la lastra e riesumato il corpo di Mircalla. I medici avevano constatato e messo a verbale la natura di vampiro della ragazza e avevano ordinato che venisse trafitta al cuore e decapitata. Poi si erano incaricati di portare il corpo a Graz per cremarlo e disperderne le ceneri in un fiume come prescritto dalla legge. Tutti avevano firmato i verbali, ma Vordenburg aveva tentato inutilmente di convincere i medici a incenerire il cadavere sul posto. Al loro secco rifiuto lui li aveva addirittura minacciati. Era seguita una accesa discussione tra i tre che si erano fatti in disparte come se Silas e il generale Spielsdorf non dovesse sentire. Poi, uno dei medici, si era rivolto al generale: «Uccidete quest’uomo, generale. Ve lo ordino».
«Come dite?»
«Vi ordino di uccidere il barone Vordenburg».
«Voi rappresentate il governo e io devo ubbidirvi, ma non ne capisco la ragione». Aveva protestato il generale.
«Signori, lasciamo perdere — s’era affrettato a dire Vordenburg pallido come un cencio — procedete pure come previsto, portate via il cadavere smembrato. Non ho nulla in contrario».
I medici se ne erano andati scuri in volto col corpo di Mircalla; Silas e Spielsdorf avrebbero fatto altrettanto se Vordenburg non li avesse costretti a trattenersi con lui a Karnstein. Visibilmente soddisfatto aveva mostrato ai due l’involto sottratto di nascosto ai giudici. «Questo impedirà al vampiro di tornare — aveva aggiunto —, mi ringrazierete per avervi salvato dai disegni diabolici di certa gente».
«Si tratta di un reato gravissimo — aveva protestato il generale —, trafugare un cadavere consegnato a due incaricati dell’impero è punibile con la carcerazione, barone».
Vordenburg aveva ribattuto con una risata orrenda: «Lo faccio per difendere anche il vostro onore, generale. Quegli uomini vi stavano truffando, non avrebbero compiuto il loro dovere per motivi che io conosco e che è meglio ignoriate. Io sono disposto a tutto per far trionfare la giustizia e so che anche voi la pensate allo stesso modo. Non ve ne preoccupate oltre, signori: vincoliamoci qui, ora al silenzio con un patto tra giusti e riprendiamo le nostre vite. Temo dovremo collaborare ancora in futuro, perché la battaglia contro questo genere di mostri non ha mai fine e noi — cari signori — ormai ci siamo schierati». Né Silas, né Spielsdorf avevano avuto la forza di opporsi: il primo sconvolto e nauseato voleva solo tornare a casa, il secondo era eccitato all’idea di far parte di una cruenta crociata contro i vampiri. Il barone aveva anche insistito affinché sigillassero nuovamente il sepolcro di Mircalla. Quindi la lastra con l’iscrizione era stata messa nuovamente al suo posto: di questo Silas era assolutamente certo.
Qualcuno l’aveva spostata.
«Non ci sono dubbi — concluse Silas —, qualcuno è stato qui». Si guardò attorno circospetto: quel posto, molto probabilmente, era veramente infestato di vampiri come sosteneva la gente dei villaggi vicini. Forse uno di quei mostri era venuto a curiosare, forse era ancora lì e lo stava osservando. Che azzardo, si disse, abbandonare il cadavere di Laura proprio lì, ma ormai era tardi per tornare indietro.
Sollevò la lanterna che aveva con se e l’accese. Nella cripta la polvere e le ragnatele erano ovunque, sul pavimento però la luce della lanterna illuminava chiaramente delle orme fresche. Il sepolcro di marmo era scoperchiato e Silas esaminandolo, notò che le pareti erano lucide e umide. Appoggiò la lanterna e raccolse un po’ di quell’umore sulle dita, le leccò: non c’erano dubbi si trattava di sangue. Impossibile che fosse quello in cui fluttuava Mircalla, sarebbe stato secco da tempo, si trattava indubbiamente di sangue fresco.
«Qualche mostro della stessa razza ha preso il posto della ragazza vampiro?» Si domandò Silas: «È saggio lasciare il corpo di Laura in questo luogo?» Ma alternative non ce ne erano: non poteva riportarla indietro e non voleva che subisse il trattamento riservato ai sospetti vampiri. La depositò nel sepolcro e indugiò troppo guardandola: si domandò se l’espressione di chi è morto soffocato se ne sarebbe mai andata dal suo bel volto, si chiese se quegli occhi sgranati per il terrore avrebbero mai trovato pace. Singhiozzando raccolse la lanterna e uscì all’aperto.
Riuscì con uno sforzo sovrumano a spostare nuovamente la lastra che chiudeva il sepolcro ricollocandola nella giusta posizione. S’era alzato un vento piacevolmente tepido, Silas si accorse di aver perso sangue dal naso, di avere la faccia impiastricciata e ricoperta di ragnatele. Montò al posto del conducente e spronò i cavalli: la sua carrozza partì rumorosamente.
Matska era uscita allo scoperto: aveva osservato la scena nascosta tra le rovine. Si ricordava molto bene di quell’uomo e di quando gli aveva mentito dicendogli di essere la madre di Carmilla.
Respirò profondamente lasciandosi accarezzare i candidi capelli dal vento: «Così anche tua figlia…» Poi lanciò un’occhiata al cadavere mutilato che aveva nascosto dietro una colonna: fece un cenno a Kampa e questi lo raccolse come se non avesse avuto alcun peso e lo portò via.
Prima di andarsene Matska alzò sorridente lo sguardo al cielo: «Che magnifica luna c’è questa notte».

(Gli altri capitoli sul sito Il corpo di Carmilla)