di Emanuele Manco

Nativita_SMALL.jpgSi può rubare.
Si possono uccidere gli uomini.
E queste azioni possono avere conseguenze nell’immediato.
Le idee degli uomini invece non si possono uccidere facilmente.
Ma come si può uccidere un popolo, rubandogli il futuro?
Un modo, forse non l’unico ma molto efficace, è rubargli la sua memoria. Non sembri contraddittorio che il furto di una opera d’arte del passato, sottratta quindi alla fruizione di tutti, sia un vero e proprio furto di futuro, perchè priva della possibilità di accrescimento culturale. La povertà di spirito è terreno ancora più fertile sul quale poggiare le basi del potere, ancor più di quella del corpo.


Era il 1609 quando il pittore milanese Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, si rifugiò in Sicilia, dopo una fuga durata tre anni per aver ucciso a Roma un suo avversario nel gioco della pallacorda, tale Ranuccio Tommasoni.
Il Caravaggio era personaggio umorale e assai litigioso. Ma le sue doti artistiche eccezionali — come l’uso geniale del chiaroscuro — gli assicuravano la protezione di nobili mecenati. Non che sia molto dissimile dal concetto di essere “amico degli amici” di oggi.
Durante il suo periodo siciliano dipinse molte opere, tra le quali c’è la Natività con la Madonna, commissionata dalla Compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri di Palermo. La tela di grandi dimensioni — che presentava la Madonna, San Francesco, San Giuseppe e San Lorenzo attorno al Bambin Gesù — fu poi conservata all’interno dell’Oratorio di San Lorenzo, nel quartiere della Vucciria.

fotoWHATIFsmall.jpgFino al 1969 il dipinto si presentava in perfette condizioni a seguito di un restauro del 1951, quando venne sottratta dalla chiesa da mani che in quel momento rimasero ignote.
Le modalità con le quali avvenne il furto non sono chiare. E’ passato molto tempo prima che qualche pentito cominciasse a squarciare il velo del mistero.
Secondo quanto dichiarato al processo Andreotti da Francesco Marino Mannoia nel 1996, quella notte la tela fu strappata con un coltello affilato dalla cornice incastonata fra putti e stucchi del Serpotta, e si sbriciolò in mille pezzi mentre le mani sporche e goffe dei ladri provavano ad avvolgerla. In realtà egli si riferiva a un altro furto di opera d’arte, una tela del pittore Vincenzo da Pavia
Chi fossero questi curnuti però non è chiaro. La storia raccontata qualche anno dopo, nel 2003, dal collaboratore di giustizia Vincenzo La Piana, è più articolata.
Secondo La Piana fu colpa della televisione. O del maluchiffari che porta a vedere la televisione: un paio di sfaccendati vi videro un documentario sulla vita di Caravaggio e vennero a conoscenza di un dipinto che giaceva praticamente incustodito non molto lontana da casa loro.
“Quale migliore occasione per fare soldi facili?”, si devono esser detti i due curnuti. Nella piovosa notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969 i due cialtroni attuarono il loro piano. Parcheggiarono la motoape (una lapa, in palermitano), nella vicina Piazza San Francesco e s’intrufolarono indisturbati nella chiesa. Scollarono la tela con un temperino, l’avvolsero malamente e raggiunsero un loro amico, La Piana appunto, nella sua casa di via Archirafi, zona stazione, vicino ai dipartimenti della facoltà di Scienze di Palermo.
Che anche La Piana non fosse un’aquila è testimoniato dalle sue dichiarazioni. Racconta di aver letteralmente camminato sopra il dipinto, forse scambiandolo, date le ragguardevoli dimensioni di due metri per tre, per un tappeto.
Da un lato i tre curnuti sapevano di avere un tesoro, dall’altro lo maneggiavano senza criterio. Che poi il tesoro fosse solo teorico se ne resero conto ben presto: non puoi appenderlo in una galleria. È troppo noto e dal valore così alto da non valere praticamente nulla. Ed è troppo pericoloso cercare un canale di vendita.
In ogni caso le famiglie non lasciarono il tesoro in mano ai tre cialtroni, che cedettero il quadro prima a Pietro Vernengo, poi a Rosario Riccobono e infine a Gerlando Alberti, zio di La Piana.
Ma i boss palermitani avevano ben altro di cui occuparsi. Nel 1973 Alberti avrebbe tentato di vendere il quadro prima a Milano, a un collezionista svizzero, e poi a Torino. Niente da fare. Il quadro pare sia rimasto in mezzo a soldi, denaro, gioielli e droga in possesso di Alberti, seppelliti in una cassa di ferro nelle campagne vicine a Palermo. Ma nel luogo indicato da La Piana gli investigatori non trovarono questa fantomatica cassa.
Dalla seconda metà degli anni Settanta i boss palermitani furono in guerra con gli emergenti corleonesi, Riina e Provenzano. Vari magistrati interrogarono sul quadro diversi boss perdenti, oltre a quelli citati, tra i quali Pippo Calò. Non è mai stato chiaro se la mancanza di risposte fosse dovuta più a reticenza che a ignoranza sull’effettiva sorte del dipinto.
La mancanza di informazioni certe non ha impedito però a vari giornalisti di dedicare a questa storia dei libri. Per esempio il giornalista inglese Peter Watson che pubblicò nel 1985 The Caravaggio conspiracy, sostenendo che la tela era stata perduta nel terremoto dell’ Irpinia, dopo un trasferimento in Campania.
Watson dichiara che a Laviano, in provincia di Salerno, era stato contattato da un mercante d’opere d’arte che gli aveva proposto di acquistare il dipinto. L’incontro con i ricettatori, fissato nella notte del 23 novembre 1980, non avvenne mai a causa del terremoto che proprio quella sera sconvolse la Basilicata e la Campania.
Anche l’italiano Giuseppe Quatriglio ricostruisce la vicenda, ma in forma romanzata, nel suo Il muro di vetro. Nel 2005, alla presentazione di questo libro, il colonnello Fernando Musella, all’epoca comandante del nucleo dei carabinieri specializzato nella tutela del patrimonio artistico, dichiarò che “alcuni uomini d’onore mafiosi stavano offrendo indicazioni utili per il recupero del Caravaggio”.
Egli li avrebbe contattati con “discreti approcci”, spiegando loro che il furto era così lontano nel tempo che nessuno poteva essere più processato per esso e tutto quello che a lui interessava era il recupero di un’opera d’arte.
Anche il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, titolare dell’inchiesta, si disse sicuro che il quadro non fosse andato distrutto.
Giovanni Brusca, altro pentito, dichiarò che nel 1992, dopo le leggi speciali antimafia seguite alla morte di Falcone e Borsellino, cercò egli stesso di trattare con lo Stato italiano proponendo la restituzione della Natività in cambio della modifica del 41bis (articolo che impone ai mafiosi il carcere duro, senza alcuna comunicazione con l’esterno), ma lo Stato rifiutò l’offerta.
Un altro pentito ancora, Salvatore Cangemi, ne ha parlato qualche anno fa affermando che il quadro è ancora in possesso della mafia, che lo esporrebbe durante gli incontri al vertice, come trofeo che dimostra grandezza e impunità.
Nel dicembre del 2009 l’ennesimo pentito illustre, Gaspare Spatuzza, rivelò di aver saputo da Filippo Graviano – recluso con lui nel carcere di Tolmezzo nel 1999 – che il quadro era stato distrutto negli anni Ottanta.
La tela sarebbe stata affidata ai Pullarà (capimafia della cosca di Santa Maria di Gesù), i quali l’avevano nascosta in una stalla, dove fu rovinata, mangiata dai topi e dai maiali, e poi bruciata.

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Il valore di questo capolavoro è stimato in circa 30 milioni di euro.
Come ho scritto prima è un valore monetario non riscuotibile. Il suo vero valore è la memoria, la consapevolezza di una storia, di un passato di grandezza che viene calpestato e umiliato da curnuti che danno valore solo al presente.
Come costruire un futuro senza la consapevolezza del proprio passato?
La cultura è la base su cui costruire un forte presente, e quindi un migliore futuro. Ecco perché gesti così rubano il nostro futuro. E’ una tragedia non solo il fatto che il quadro sia forse perduto per sempre, ma anche che i suoi responsabili siano impuniti. Pur tuttavia probabile è che questi personaggi abbiano avuto ciò che meritano per mano dei propri simili, per altri motivi. E’ comunque una strada che “non spunta”.

Fonti:
Siti web:
http://xoomer.virgilio.it/onino/nativita.html
http://www.livesicilia.it/2009/10/27/scoperto-un-documentario-inedito-sulla-nativita-di-caravaggio/
http://palermo.blogsicilia.it/2009/12/gaspare-spatuzza-parla-anche-della-scomparsa-nativita-di-caravaggio/
http://www.guidasicilia.it/ita/main/news/index.jsp?IDNews=17013

Bibliografia:
Peter Watson The Caravaggio conspiracy, New York, 1985
Giuseppe Quatriglio, Il muro di Vetro, Flaccovio, Palermo, 2005