time_bomb.jpgdi Fabio Poroli*

[In calce a questo post, appuntamenti e novità dal dibattito NIE]

0. Un’analisi più attenta

Questa mia riflessione nasce da un amaro in bocca che mi ha lasciato la lettura – da una prospettiva linguistica – del memorandum di Wu Ming 1 (prima nella sua versione online e poi nella versione a stampa). Perché questa insoddisfazione? Bisogna premettere che per me le pecche nel testo sono principalmente di natura espositiva ed organizzativa, mentre il “semi-silenzio” (ovviamente per quel che riguarda la lingua) che ha seguito il memorandum e la pubblicazione è dovuto ad alcuni pregiudizi frequenti quando ci si approccia ad un qualche oggetto letterario che sia linguisticamente aperto ad un pubblico ampio. Il primo frettoloso giudizio a priori è il “non è interessante” e per abbatterlo potrei fare mia (distorcendola un po’, visto che era riferita ad ogni tipo di produzione linguistica) una famosa frase di Roman Jakobson ricalcata su una più famosa sentenza di Terenzio: “linguista sum, linguistici nihil a me alienum puto“.
Da un punto di vista scientifico non c’è nulla che non sia interessante quando si parla di lingua, ogni aspetto andrebbe analizzato, anche solo a fini documentari. Naturalmente se avessi voluto fare una raccolta documentaria d’interesse scientifico (e non letterario) con relativa analisi, l’avrei fatto e basta, senza scrivere questo articolo, anzi sarebbe stato certamente più noioso raggruppare un semplice corpus di “lingua media”, ed ecco il secondo pregiudizio, contro il quale lo stesso Wu Ming 1 ha cercato subito di evidenziare come, ad una lettura più lenta dei testi NIE, emerga una certa “sovversione nascosta”, un uso ragionato della lingua con procedimenti sintattici e figure retoriche che formalmente non risaltano in modo eccessivo (paratassi, anafore, catafore, ripetizioni, ellissi, metrica).

Qualcuno si chiederà (o già si è chiesto) a cosa serva sovvertire se poi si nasconde, oppure noterà che non basta qualche figura retorica per rendere linguisticamente letterario un testo. Ma un’analisi linguistica più attenta può verificare come alcune figure retoriche non siano abbellimenti occasionali, e la stessa sovversione non per forza debba sconquassare la forma a costo di ridurre la leggibilità ed allontanare il lettore dalla storia. Questo è sicuramente ciò che Wu Ming 1 vuole sottolineare maggiormente:

“In un mondo in cui i media tendono «connotare al ribasso» ogni parola, a omologare e appiattire il linguaggio, la lingua del New Italian Epic — non interessandosi direttamente alla distruzione, ma «schivando il paradigma» (decisamente banale e puerile) dell’avanguardia che «spacca tutto» – ha indicato una possibilità di controcanto.” (New Italian Epic, p.90);
“Senza che il lettore se ne avveda (e senza che il critico nemmeno lo sospetti), sotto gli occhi – quasi sub limine – si avviano sequenze di piccole esplosioni, che producono effetti utili a portare avanti la storia. E la storia rimane sovrana. La storia è la cosa più importante. Sarebbe davvero troppo facile sperimentare con la lingua scollandola dalla storia, fottendosene della storia: così son capaci tutti! Va bene, va bene, hai trovato la frase scoppiettante, hai scritto la ‘bella pagina’, sei un domatore di parole selvagge, ma non sai raccontare una storia dall’inizio alla fine e quindi a me, lettore Wu Ming 1, di te non frega un cazzo.” (recensione di Nelle mani giuste di G. De Cataldo in Nandropausa, n. 12 su www.wumingfoundation.com).

Più che di “nascondere” la sovversione, potremmo parlare di un’attenzione ad evitare che il lettore presti eccessiva attenzione alla forma, senza per questo rinunciare a quello scarto e a quell’uso ragionato della lingua, necessari in letteratura, che differenziano la lingua letteraria dalla lingua di tutti i giorni. [1]

Questo articolo si muoverà principalmente in margine al saggio nella sua versione cartacea, che tratta di lingua direttamente nel capitolo Sovversione «nascosta» di linguaggio e stile e in Sulla lingua del New Italian Epic, collegando parallelamente altri capitoli dove non si parla esplicitamente di lingua ma che sono strettamente connessi: Epica e realismo, Il popolare, Sguardo «obliquo». Azzardo del punto di vista.

1. Sintassi, epica, realismo

cavalry.jpgLa prima considerazione riguarda i due tratti più evidenti e il cui incrocio credo indirizzi significativamente la lingua verso quel terzo polo eccentrico (cfr. nota 1): l’uso della paratassi e l’uso di connotazione e denotazione. I due aspetti si trovano separati in diverse zone del testo, essendo tuttavia profondamente legati. La paratassi viene inizialmente collegata da Wu Ming 1 ad un tentativo di resa mimetica e di simulazione [2], successivamente alla memorabilità (in parallelo con l’uso di anafore e la conseguenza di avere periodi di forte impatto che tendono a rimanere impressi, p. 86). Il lavoro sulla connotazione e denotazione viene associato soprattutto alla questione epica/realismo (anche se l’analisi è principalmente lessicale, pp. 68-69), spiegando come una parola possa corredarsi di più significati ed avere una funzione epica (connotazione) e allo stesso tempo mantenere il ruolo di rappresentanza della realtà (denotazione).

Perché l’aspetto sintattico e l’aspetto lessicale sono profondamente legati?
La paratassi non esplicita i legami tra due parti del discorso, quindi riduce la denotazione ampliando lo spettro di associazioni implicite. “[…] disporre le frasi per sequenze dai legami impliciti, in modo da produrre piccole ellissi, microscosse nel passaggio da una frase all’altra” (nota 30, p. 38) vuol dire connotare una scena, un’azione, il lettore può anche ricostruire, se vuole, una descrizione e portarla su un piano più denotativo, ma potrebbe anche non farlo, il periodo si digerisce ugualmente, si capisce forse meno ma si intuisce di più. Usare la paratassi in una battaglia è più di un semplice “velocizzare” o “simulare”, è soprattutto un connotare. La poesia spesso connota, ma la poesia si legge più lentamente e richiede molto più lavoro di lettura (generalizzo a grandi linee naturalmente). L’oscillazione negli stessi periodi tra denotazione (sostenuta da un lessico più accessibile, credo, e andrebbe approfondito) e connotazione (sostenuta da paratassi e legami impliciti) consente al testo di essere più agile senza perdere il potenziale spettro di associazioni.

Un perfetto esempio di questo procedimento parallelo è per me “polvere di sangue e sudore chiude la gola”. [3] Lessico di base, comprensibilissimo, nessi impliciti al limite delle possibilità semantiche. Wu Ming 1 si chiede perché non sia stato notato. Polv, sang, sudor, chiud, gola. La lettura veloce con cui normalmente leggiamo è come il completamento automatico delle parole sui programmi di videoscrittura: è ragionevolmente probabile che la frase sia “Polvere, sangue e sudore chiudono la gola”. Un lettore più attento noterà che quel “chiude” non può essere retto da tre soggetti e forse tornerà sulla frase, o forse, preso dall’azione, andrà avanti, perché la connotazione preserva un significato sfocato.

Questo lavoro semantico-sintattico, il sostenersi a vicenda tra paratassi e denotazione/connotazione, contribuisce corposamente alla compresenza di epica e realismo, ed è allo stesso tempo un modo per preservare la leggibilità e la storia, affinché venga linguisticamente rispettata quell’attitudine popolare propugnata con tenacia. Sempre partendo da queste categorie linguistiche traggo spunto per un altro tratto che si potrebbe analizzare ed approfondire. La paratassi è tipica della lingua parlata, la connotazione è tipica della lingua parlata, la metrica, almeno in origine, era tipica di una cultura orale…tecniche di recupero dell’oralità?[4]

2. Le figure retoriche

blowup.jpgLa seconda considerazione riguarda l’uso delle figure retoriche, descritto in entrambi i capitoletti riguardanti la lingua, la cui trattazione può suscitare una sensazione di gratuità. Generalmente s’incappa nella gratuità quando una figura retorica è fine a sé stessa, un vezzo e non un tecnica per raggiungere qualcos’altro. Ancora a secco di qualche analisi linguistica più rigorosa mi limiterò a notare come quella sensazione di gratuità sembri nascere soprattutto dall’esposizione che non sempre puntualizza su obiettivi e non sempre esemplifica a dovere (rispetto ad altre parti ben esemplificate, come per esempio quando si parla di metrica nascosta [5]).

Faccio un esempio: all’inizio di “Sovversione «nascosta» di linguaggio e stile” (p. 37) Wu Ming 1 parla di alcune estirpazioni grammaticali (assenza in alcune zone di testo di aggettivi indefiniti, avverbi in -mente, particelle pronominali) senza che vengano presentati gli obiettivi e le conseguenze di tale tecnica, con la conseguenza che possano facilmente apparire come vezzi, piccoli virtuosismi. Subito dopo parla di estirpazioni verbali e quella sensazione di gratuità sparisce, infatti viene specificato a cosa servano (“[…] nel tentativo abbastanza riuscito di rendere la confusione e la velocità dell’azione” [6]) e di come tale stile nominale s’inquadri nel fenomeno generale della paratassi . Un altro esempio può essere la trattazione dell’anacoluto (“Anche il frequente uso dell’anacoluto non ha soltanto il fine di «riprodurre la lingua di tutti i giorni», ma è un altro esempio di lavoro sui nessi logico-sintattici”, p. 90), che, non essendo corredata da esempi e da una spiegazione dei risultati che ottiene l’uso del fenomeno, risulta abbastanza infelice.

Invece credo che analizzare in modo soddisfacente l’uso delle figure retoriche non sia fine a sé stesso, anzi consentirebbe di puntellare e spiegare meglio gli altri tratti del NIE (come già si è visto per l’uso della paratassi e per la connotazione/denotazione). Lo dimostra lo stesso Wu Ming 1 notando ad esempio posticipazioni verbali, che fanno oscillare un dialogo tra discorso diretto libero e discorso diretto legato e portano ad un’incertezza del punto di vista [7], oppure anafore associate ad una forte scansione paratattica che favoriscono la memorabilità di un periodo (p. 86).

Le stesse figure retoriche non sono sempre associate agli stessi obiettivi, è infatti frequente che raggiungano risultati diversi. Le anafore, accostate nel saggio principalmente alla memorabilità, possono servire per estendere o fissare un determinato punto di vista. Al riguardo propongo due esempi: nella recensione di Nelle mani giuste Wu Ming 1 individua proprio nell’estensione del punto di vista una funzione portante delle anafore usate nel romanzo (“l’anafora dota il nostro occhio di una funzione “multiscatto”, così possiamo girare intorno a un oggetto, un luogo, un personaggio, fotografandolo da ogni angolatura, “scansionandone” la personalità”). Ecco uno degli esempi che Wu Ming 1 riporta:

“Ilio Donatoni era un uomo alto, forte, elegante, bello e virile come un attore del cinema americano. Ilio Donatoni era venuto su dal niente, e sul niente aveva costruito un impero. Ilio Donatoni si era infiltrato in una robusta dinastia avvizzita dalle rughe del successo e l’aveva innervata con il suo sangue corsaro. Ilio Donatoni aveva sempre la battuta pronta e non perdeva mai la calma.” (recensione di Nelle mani giuste di G. De Cataldo, cit.)

Nello stesso saggio New Italian Epic c’è un esempio di cui si serve Wu Ming 1 nell’ambito dello “sguardo obliquo”, dove è presente la ripetizione della parola sguardo per cinque volte:

“Lo sguardo è a diecimiladuecento metri sopra Milano, dentro il cielo. E’ azzurro gelido e rarefatto qui. Lo sguardo è verso l’alto, vede la semisfera di ozono e cobalto, in uscita dal pianeta. La barriera luminosa dell’atmosfera impedisce alle stelle di trapassare. C’è l’assoluto astro del sole sulla destra, bianchissimo. Lo sguardo ruota libero, circolare, nel puro vuoto azzurro. Pace. Lo sguardo punta ora verso il basso. Verso il pianeta. Esiste la barriera delle nuvole: livide. Lo sguardo accelera.” (Incipit di Grande Madre Rossa di G. Genna, citato in New Italian Epic, pp. 30-31)

Qui l’anafora da una parte focalizza sul finto soggetto, lo “sguardo disincarnato”, e dell’altra fissa e cerca di spiegare quel punto di vista inusuale. Questo non vuol dire che tutte le figure retoriche usate siano finalizzate al raggiungimento di un determinato risultato, alcune possono anche essere semplici abbellimenti, certamente un lavoro critico su queste può servire a levare da alcuni libri l’etichetta di “letteratura di genere colorita”.

3. La lingua dei Mohock in Manituana

mohock2.jpgÈ proprio contrariamente alle aspettative della letteratura di genere ed in particolare del romanzo storico che in Manituana avviene qualcosa d’inaspettato: una variazione di registro stilistico e linguistico associata all’irruzione del comico. Qualche passo era stato fatto in 54 (gli accesi battibecchi al Bar Aurora) ma qui lo stacco è molto più forte. A livello extralinguistico cambia completamente il luogo (non più in America, ma a Londra), mentre a livello linguistico si presentano delle variazioni di registro che raggiungono il massimo spicco nelle imprese dei Mohock londinesi. Il registro “epico” usato fin a questo punto del romanzo viene messo in crisi lentamente: di fronte alla prima scorribanda dei Mohock di Londra il vetturino che conduce la carrozza del nobile cerca di comportarsi valorosamente soprattutto con la lingua che usa: “— Chi si avvicina è morto, — ringhiò dalla cassetta.”, e poco dopo “— Non temete, signore, venderemo cara la pelle”. Il registro usato s’inceppa di fronte a quei banditi un po’ squilibrati, che si limitano a colpire il sedere del “milordone” e a derubarlo. La lingua lentamente muta nel seguire quei criminali, fino a diventare quasi un’altra lingua nell’episodio della taverna di Occhiosolo Fred. Ripropongo come campione di questo registro l’incipit dell’episodio:

“Occhiosolo Fred locchiava le mignotte da dietro il banco della taverna. Era in un cortile di Tottenham Court Road, in mezzo a quello che chiamavano, con rispetto parlando, «l’isolato dei tagliagole» di Soho. Da vent’anni, pure se priva di insegne, portava il suo nome, Taverna Occhiosolo, cioè da quando Fred era sbarcato per sempre da gusci e legnacci sopra la terraferma, e con i quattro denghi che aveva gagnato tra paghe, ruberie e contrabbandi, s’era comprato quella stamberga per diventare un poldo bigio e ciucco in santa pace, e si fottesse l’acqua salata. L’affare era ganzo, il gagno sicuro, il truciolo in saccoccia allora non faltava, e la ciangotta ce l’aveva giusta per ispirare il rispetto. Il resto l’avevano fatto l’occhio guercio, ché uno buono era abbastanza per locchiare quello che si doveva locchiare, qualche sfregio a mescolare i tratti e l’espressione, la ghigna storta e i quattro zughi rimasti nel truglio, marci e affilati come quelli di un pescecane morto. S’era ritrovato oste.”

Questo registro porta con sé sia la funzione mimetica di ambientazione dei bassifondi londinesi (ricorda i gerghi della criminalità, anche se il paragone più vicino si può fare con Arancia Meccanica, con la cui traduzione italiana condivide molte trovate lessicali [8]) sia una differenziazione, ulteriore elemento che crea lo stacco tra i confini ed il centro dell’Impero Britannico, tra epica e comico.

La variatio stilistica e linguistica, oltre ad essere evidente per quel che riguarda le avventure dei Mohock londinesi, si trova in altri luoghi del viaggio a Londra, basti pensare alla descrizioni dei nobili nel ricevimento o alla lingua ibrida usata dagli artificieri italiani: (“Sans de machine, de fires sont nud, compris? Nud. Let de Germans being de Germans, we do different, con l’argent of de Lord”).

4. Non è che l’inizio

Epica e realismo, popolare, (oralità), punto di vista, memorabilità. Anche se fossero solo questi i tratti che sfruttano tecniche linguistiche, basterebbe per ritenere molto importante un’analisi della lingua. Dopo sarebbe anche possibile contestualizzare storicamente la lingua letteraria del NIE, verificare se pure linguisticamente ci sia uno stacco dopo il fatidico 1993 (anche se non è facile, i saggi ed articoli sulla lingua della letteratura contemporanea pre e post 1993 sono davvero pochi rispetto alla mole di roba linguistica che si pubblica ogni anno). Per ora credo sia utile:
1. analizzare ed esemplificare meglio l’uso della paratassi;
2. fare qualche indagine sul lessico;
3. stringere il nodo sullo stretto legame tra paratassi e denotazione/connotazione;
4. collegare questo uso sintattico-lessicale all’epica/realismo ed al popolare;
5. esaminare i risultati dell’uso di figure retoriche (memorabilità, lavoro sul punto di vista ma anche anacoluti e figure meno appariscenti);
6. varie ed eventuali (oralità, metrica nascosta, cambiamenti di registro…).
Linguisti, fatevi avanti.

NOTE

1. Non può considerarsi “semplice” un lavoro linguistico che tenti di riportare l’attenzione sulla vera storia, dopo anni di ubriacatura formale (non intendo barocchismo, ma eccessiva attenzione al “bel motto” di buona parte della letteratura), evitando una lingua media che non permetterebbe di sorreggere gli altri tratti ritenuti peculiari del NIE (come qui cercherò di dimostrare). Lo stesso Wu Ming 1 corregge il tiro specificando come la “sovversione nascosta” non sia fine a sé stessa ma tenda ad un “terzo elemento eccentrico, […] una lingua (letteralmente) inaudita” che superi i due poli della lingua di servizio e della lingua estrema (cfr. New Italian Epic, p. 88).

2. Anche se in questo caso si tratta di un caso particolare di paratassi (come non manca di precisare Wu Ming 1) che è lo “stile nominale” presente in alcune parti di Q. In nota l’obiettivo viene allargato sul fenomeno sintattico più generale (New Italian Epic, p. 38), anche se i risultati dell’uso paratattico in generale rimangono inespressi.

3. Esempio in New Italian Epic (p. 30) che Wu Ming 1 prende dall’incipit di Q. Il procedimento che porta da “polvere, sangue e sudore chiudono la gola” alla frase com’è presente nel romanzo è un enallage, come suggerisce Tiziano Scarpa (in L’epica-popular, gli anni Novanta, la parresìa, nota 9, su ilprimoamore.com). Al successivo quesito di Wu Ming 1 (“che genere di enallage?”, si domanda in Wu Ming / Tiziano Scarpa: Face Off), PDF qui), si può rispondere che è un enallage non grammaticale bensì microsintattico, in cui, dei tre soggetti, due cambiano categoria e diventano determinanti del primo, con risultato sinestetico.

4. Parlo di oralità pensando alle origini dell’epica e volutamente forse esagero, tuttavia, escludendo qui la memorabilità così strettamente connessa a queste che potremmo chiamare “tecniche di recupero dell’oralità”, si potrebbe andare a vedere quanto siano ascoltabili queste opere, oltre che leggibili. Cfr. la risposta di Wu Ming 1 alla seconda domanda di Derrick De Kerckhove nell’audio della conferenza sugli oggetti narrativi non-identificati intitolata “Bisogna farlo, il molteplice”, Milano, 4 marzo 2009, ascoltabile qui.

5. Altro aspetto molto interessante, che si lega come già detto alla memorabilità e all’oralità (“È lo spettro del poema epico che appare a noi, […] nascosto nel romanzo”) per quanto le parti in metrica andrebbero comunque contestualizzate e comparate rispetto a tutto il testo (cfr. New Italian Epic, p. 84-85).

6. Come recita la recensione (ottobre 2004) del sito www.threemonkeysonline.com citata nel saggio (p. 38).

7. L’esempio (p. 40) che Wu Ming 1 fa è tratto dal romanzo La vita in comune di Letizia Muratori:
“- Ah, ecco, sei tornato, bene.
Mi disse Isayas, in piedi davanti alla reception.
– Preparati che ce ne andiamo, hanno telefonato. E’ tutto risolto.
Concluse. E chiese al filippino di preparargli il conto.
– E’ già stato saldato, tutto.
Rispose.
– Chi l’ha saldato? Non è possibile.
Lo aggredì Isayas.”

8. Personalmente non so quanto il lessico della traduzione di Arancia Meccanica abbia attinto dai gerghi della criminalità e quante parole siano invece state coniate. Sulla scorta di una brevissima quanto incompleta ricerca mi sembra venga usato anche lo slang bolognese, mentre altre parole ipotizzo siano neoformazioni.

* Fabio Poroli si è laureato in Studi linguistici e filologici e sta conseguendo una laurea specialistica in Linguistica.

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LINK CORRELATI

Compagnia Fantasma, Mohock Club Suite. Radiodramma sguanato ma tamagno, tratto da Manituana. Registrato live allo Stalker:Reloaded, Padova, il 24 novembre 2007. Attori: Daniele Bergonzi, Andrea Giovannucci. Musiche: Stefano D’Arcangelo, Alessandro Giovannucci.

Wikipedia, Indice delle figure retoriche. Dalla A di “Accumulazione” alla Z di “Zeugma”.

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NOVITÀ SUL NEW ITALIAN EPIC
Interventi e iniziative varie

depascale.jpg MERCOLEDI’ 22 APRILE, MODO INFOSHOP, BOLOGNA.
Di New Italian Epic si parlerà [stasera] mercoledì 22 aprile h.21, alla libreria Modo Infoshop di via Mascarella 24/b, Bologna.
Gaia De Pascale presenta infatti il suo libro
Wu Ming. Non soltanto una band di scrittori (Il Melangolo, 2009), introdotta e coadiuvata da Girolamo De Michele e Jadel Andreetto dei Kai Zen.
L’ultima parte del saggio tratta della pubblicazione on line del memorandum e del dibattito che ne è seguito.
Una lettura del libro di Gaia De Pascale alla luce del dibattito sul NIE è quella proposta da Claudia Boscolo, leggibile qui.
[Al momento di scegliere una foto da accostare a queste righe, abbiamo optato per quella dell’autrice. Gli ammiratori di De Michele e Andreetto possono comunque rivolgersi a Google Images.]

WU MING 2: INTERVISTA A MOMPRACEM SUL NEW ITALIAN EPIC
MP3, 128 k, 19 MB. Durata: 21 minuti. Mompracem è un “settimanale avventuroso di letteratura” che va in onda tutti i sabati alle 17:30 su Radio Città del Capo, Bologna.
Quest’intervista ci sembra molto, molto chiara e può essere un ottimo punto d’ingresso al dibattito sul NIE.

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