Sì, va bene. Però nel mio piccolo una cosa voglio dirla. L’appello per Cesare Battisti — e quello precedente per Paolo Persichetti — non era legato solo alla sua vicenda, ma implicava la denuncia della giustizia emergenziale degli anni ’70 e ’80 come risposta politica a un’«esperienza di antagonismo radicale che vide coinvolti centinaia di migliaia di giovani italiani e che spesso sfociò nella lotta armata». Non si trattò di specchiato garantismo, come sostiene oggi un disinvolto e pressoché unanime coro patriottico in rapida espansione, ma di abominio inquisitorio, come mostrò subito, fra gli altri, Italo Mereu, autorevole giurista democratico. Fu una negazione in termini dello Stato di diritto, sfociata, per citare un episodio tra i tanti, nell’atroce nemesi che uccise Enzo Tortora. È questa la causa che Saviano dichiara non appartenergli? Perché è esattamente di questo che bisogna rispondere. Chiedo quindi a Carmilla, «per rispetto di tutte le vittime» (di tutte davvero però), di mantenere la mia firma sotto quell’appello, poiché appunto, al di là della cronaca, la sua sostanza non è affatto superata «dal trascorrere degli eventi», ma ha informato di sé passato, presente e futuro del paese. Che lo si voglia sapere oppure no.