di Chiara Carlino

X-men.jpgCerto non si sentiva la mancanza di una trilogia, né di una rivisitazione di storici personaggi dei fumetti, né di una rappresentazione di un non troppo lontano futuro: tutto questo è completa routine negli ultimi anni, perciò nessuno si aspetta di trovare in X-Men un’opera particolarmente complessa. Infatti non lo è. Ma nella sua ovvietà, nella completa assenza di ogni tentativo destabilizzante nei confronti delle nostre più radicate convinzioni, ci mostra, come in uno specchio semplificante, il sostrato incontestato della nostra cultura, che orienta il modo in cui — più o meno consciamente — ci rapportiamo all’altro, al diverso, al mutante.

La mutazione, nel mondo degli X-Men, è naturale, non causata dall’uomo, il che è una discreta fortuna, visto che ci libera dall’ennesima terrorizzata rappresentazione di una sindrome di Frankenstein. La mutazione più che a un castigo somiglia a una malattia: un evento imprevisto che si abbatte sull’individuo e l’umanità costringendoli a ripensare se stessi. Una malattia? O una evoluzione? In realtà il problema non è tanto se la mutazione sia in meglio o in peggio, ma quale sia il suo impatto sull’umanità tradizionale — fintanto che questa rimane maggioritaria: i mutanti sono pericolosi? Devono essere curati? Che possano addirittura essere d’aiuto, essere i supereroi che salvano il mondo, è un pensiero che sfiora solo la mente dei più buoni fra i buoni degli x-men e non viene mai portato come argomento di contrattazione politica: si cerca al massimo di sostenere che possono non essere dannosi.
La presenza dei mutanti costringe a ridiscutere i modi di convivenza finora sviluppati: i muri sono utili perchè nessuno può passare o guardare attraverso di essi, altrimenti dovremo pensare qualcos’altro per chiudere gli ambienti, o magari potremmo rinunciare a chiuderli del tutto. L’analogia con i problemi della società multiculturale è evidente: di fronte al diverso la prima reazione è la paura, seguita a ruota dall’odio, e tocca ai diversi di turno dimostrare di non essere un pericolo — basta però che uno solo fra loro abbia un’attitudine un pelo più aggressiva per vanificare ogni tentativo di conciliazione.
L’avvento di alterazioni genetiche e nuove capacità nella specie umana viene rapidissimamente spogliato di qualsiasi velleità superomistica — decisamente fuori moda — e tutti gli sforzi degli x-men buoni tendono a mostrare al mondo come si tratti in fondo di ragazzi normali, saggi e innocui, la cui esistenza può essere riassorbita dall’umanità tradizionale senza necessità di grandi rivoluzioni. A riprova del loro essere innocui, gli x-men al seguito di Xavier sono molto poco appariscenti — per lo meno finchè non indossano le famose tutine – , mentre i giovani mutanti conquistati da Magneto hanno un aspetto neanche troppo vagamente punk: quella tipica aria di ragazzi disagiati, ai margini della società, vestiti di nero, con tatuaggi e piercing, strane pettinature… Il sottotesto di questa rappresentazione è che non importa quanto tu possa essere diverso per natura: se ti impegni a sufficienza ad omologarti può anche darsi che la società ti accetti, ma se fai della tua diversità un punto d’onore ti collochi automaticamente fra i cattivi.
La mutazione poi — dato che è spontanea e incontrollata — va ovviamente dominata, con un po’ di esperienza, di tecnologia e di sani principi morali, per evitare che diventi pericolosa: Ciclope ha bisogno degli occhiali, Rogue dei guanti e tutti della scuola per giovani dotati, in modo da riportare i geni impazziti sui rassicuranti binari della razionalità e della moderazione. Jean/Fenice fallisce in questo tentativo: è sopraffatta dal potere conferitole dalla mutazione, non sa più dominarlo, non sa far vincere la ragione. Il suo lato oscuro — potente, viscerale, privo di limiti — si impone sul lato socialmente accettabile, così che non le resta altro che farsi ammazzare, se non vuole rischiare di finire dalla parte sbagliata – con i cattivi. Il ruolo di mutante incapace di controllarsi viene guarda caso assegnato a una donna, da sempre portavoce della corporeità e dell’irrazionale, di una natura potente e diabolica contrapposta al raziocinio maschile che ha il compito di dominarla. Tanto per rendere chiaro il messaggio, è ancora una donna — Rogue — l’unica fra i protagonisti a rinunciare ai propri poteri, e lo fa a vantaggio di un bisogno tutto sentimentale: quello del contatto fisico e dell’affetto, e persino Mystica finisce per essere niente più che una donna innamorata. I mutanti, per essere mutanti, si rivelano piuttosto tradizionalisti.