di Dziga Cacace

Sestapartesm05.jpg140-Anna di Nikita Michalkov, Russia/Francia 1995
Bella l’idea e, particolarmente, la prima parte, con un intelligente uso di immagini di repertorio. Comunque non convince appieno: Anna diventa sempre più grassa, Nikita sempre più calvo e la Russia più confusa. Resta sfumata la figura di Michalkov (ideologicamente sfuggente): condanna e giustifica un po’ tutti. Si rammarica di non imporsi alla figlia così come lo fa il Partito e in 12 anni, come ha rilevato subito anche Hilda, non si rende conto che è lui la cosa che più le manca. (Cineclub Lumière; 2/5/96)

141-Il terzo uomo di Carol Reed, Gran Bretagna/USA 1949
Mah! Vienna in rovina e un luciferino Welles valgono il film; per il resto… Da incubo il tema musicale. (Cineclub Nickelodeon, 1/5/96)

142-Trauma di Dario Argento, Italia 1992
Bella partenza con la consueta grande idea… poi va tutto in vacca. Peccato. (Vhs)

143-Il braccio violento della legge di William Friedkin, USA 1971
Alla quarta visione lo ritrovo più fiacco di quanto ricordassi. Comunque l’inseguimento sotto la metropolitana sopraelevata rimane un momento di cinema immenso. Bella la costruzione dei due diversi personaggi principali, i bravissimi Hackman e Rey. (Vhs)

144-Peggy Sue si è sposata di Francis Ford Coppola, USA 1986
Coppola ricostruisce nostalgicamente i “suoi” anni Cinquanta, osservandoli, grazie a un espediente narrativo, con gli occhi di oggi. Visto in stato comatoso: carino, anche se la Turner è poco credibile come ventenne. (Diretta TV; 5/12/96)

145-La bête humaine di Jean Renoir, Francia 1938
Tra i Renoir della mia collezione è uno di quelli che mi è piaciuto di meno, anche per la difficoltosa visione in versione originale, però… insomma, ne intuisco il valore, se non altro per le splendide scene iniziali, con l’arrivo del treno alla Gare de Le Havre. In italiano è conosciuto come L’angelo del male. (Vhs)

146-Giù la testa di Sergio Leone, Italia 1971
Incongruamente politico e immotivatamente lento, ne ho sinceramente apprezzato la prima mezz’ora, poi mi ha triturato molto lentamente i testicoli… Delusione. (Vhs)

147-Manhattan di Woody Allen, USA 1979
Anche alla sesta visione, sempre magnifico. Perfetto: i dialoghi, gli attori, la fotografia, le location e poi quell’inizio: “New York era la sua città”… Stupendo, veramente. (Vhs)

148-Quell’oscuro oggetto del desiderio di Luis Buñuel, Francia 1977
Ultimo film per il quasi ottantenne regista spagnolo: sempre cattivo, dissacrante, ostico. Se non lo avessi saputo prima, avrei avuto serie difficoltà a capire che la Molina e la Bouchet erano la stessa donna. L’uccisione del topo al ristorante è genio puro. Godibilmente spiazzante. (Vhs)

149-Faust di Friedrich Wilhelm Murnau, Germania 1926
Anche se castrato dal piccolo schermo, assolutamente notevole. Tralasciando banalità varie su luci e composizione, un’autentica folgorazione il volo notturno sulla città: trenta secondi di emozione. (Vhs)

150-L’etoile de mer di Man Ray, Francia 1928
Geniale l’utilizzo di un vetro smerigliato davanti all’obbiettivo, tecnica che permette di ottenere immagini vagamente impressioniste, come dei gouache. Inquietante e bello, anche se non ci ho capito assolutamente niente. (Ma guai a cercare spiegazioni, ché se no Hilda si incazza). (Vhs)

151-Vormittagsspuk di Hans Richter, Germania 1927
Ennesima visione dei “cilindri” che, a parer mio, vengono platealmente citati da De Sica in Miracolo a Milano. Più probabilmente l’idea era di Zà; non mi vedo Vittorio a guardarsi gli esperimenti surrealisti… (Vhs)
P.S.: e invece, conoscendo altre opere di De Sica, viene il dubbio che il cinéphile fosse lui.

152-Entr’acte di René Clair, Francia 1924
Non so quale visione sia, ma, come ogni volta, ne godo. (Vhs)

153-Il dottor Zivago di David Lean, USA 1965
Un bel polpettone, comunque, dài!, piacevole. Del resto lo rivedo anch’io (come Nanni, mica pizza e fichi) nella speranza che Lara senta Zivago che la chiama disperatamente. Nonostante ciò non accada non me la prendo più di tanto: vuol dire che il film è decente. (Diretta TV; 1 e 2/11/96)

154-La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, Italia 1960
Ferrara notturna e nebbiosa, un po’ vera e un po’ di cartone, in un bel film drammatico con i bravi Ferzetti, Cervi e Salerno. (Vhs)

155-Le mura di Malapaga di René Clement, Italia/Francia 1949
Inquadrature della Ripa, di Sarzano, delle Vigne e, clamorose, della Facoltà di Architettura (scalone d’ingresso, campanile ex-presidenza etc.). Il film non è granché, ma il personaggio rassegnato di Gabin e la straordinaria ambientazione genovese sono forti motivi d’interesse. (Sala Germi, 16/5/96)

156-Bad Taste di Peter Jackson, Nuova Zelanda 1988
Divertente e zeppo d’invenzioni, anche se nel secondo tempo ci si annoia un po’. (Ma proprio a essere pignoli e per menarla a Pier). (Vhs)

157-Genova vista di Enrico Ghezzi e Marco Giusti, Italia 1980
Prodotto televisivo francamente deludente: Ghezzi e Giusti vedono Genova in modo non cartolinesco ma neanche troppo originale. Comparsate, con già pochi capelli anche se ancora neri, dei prof. Bona e Poleggi. (Sala Germi, 20/5/96)

158-Sentieri selvaggi di John Ford, USA 1956
Osannato capolavoro che mi ha proprio stancato. La fotografia del paesaggio è sicuramente validissima, ma non basta: il prolasso genitale è inevitabile. (Cineclub Lumière; 21/5/96)

159-La sesta parte del mondo di Dziga Vertov, URSS 1926
Mondiale; assolutamente fondamentale. Muto ed emozionante: una delle esperienze più straordinarie mai capitatemi. (Tipo avventuroso, direte, eh?). (Vhs)

160-Il giardino dei Finzi Contini di Vittorio De Sica, Italia 1970
Morbosamente compiaciuto e fotografato con un effetto flou veramente datato, offre poche, ma non banalissime, visioni di Ferrara ed è interessante nel confronto con la città ricostruita per La lunga notte del ’43. Valli è immenso. (Vhs)

161/162-Luci d’inverno e Sussurri e grida di Ingmar Bergman, Svezia 1963 e 1973
Dopo un pesante sabato passato a disegnare ho deciso di regalarmi un meritato double-feature: la scelta è cascata su una videocassetta che mi guardava minacciosa da quasi un mese. Grazie a Dio (tema peraltro indagato nel primo film) non li ho visti con Hilda se no la fusione cerebrale sarebbe stata completa. Luci d’inverno mi ha lasciato interdetto, apprezzandone i temi ma non la trattazione formale (solito tema: cos’è il cinema?). Mereghetti, che sostanzialmente lo premia, lo definisce “croce e delizia dei cineforum anni Sessanta”. Peraltro, più vedo Bergman più capisco molte cose di Allen: il piccolo Woody di Io e Annie che è angosciato dall’espansione dell’universo non sarà un omaggio al Von Sydow che si suicida atterrito dai cinesi che stanno costruendo l’atomica? Dopo Luci d’inverno sono passato a Sussurri e grida e soltanto l’uso del colore lo faceva sembrare, a confronto con la precedente pellicola, il Carnevale di Rio; stupendi i costumi, eccezionali gli attori e veramente notevole la fotografia che stempera il rosso dominante con il bianco e il nero in una straordinaria composizione pittorica. I temi affrontati non sono propriamente leggeri, ma devo dire che ho sinceramente apprezzato (anche se dire che ho afferrato tutto è un’affermazione un po’ forte). Particolarmente colpito poi dall’idea di mostrare l’incomunicabilità tra due sorelle con un fitto dialogo per poi farci vedere la ritrovata comunicazione attraverso una scena muta. Certo: è tutto pane per i denti di Hilda che troverebbe numerosi spunti per “qualche riflessione di mezz’ora” (e ripenso a Enrico che, disperato, mi dice: “Io, per Hilda, mi sono visto Morte di un maestro del tè”); io, dopo tre ore scarse di Bergman, mi sentivo come se avessi fatto una sei giorni di ciclismo. Il Maestro dell’isola di Fårö: Dio, che cranio! (Vhs; 25/5/96)

163-Tutti i Vermeer a New York di Jon Jost, USA 1990
Visione insolita di New York: Jost rinuncia ai “luoghi comuni” e preferisce indagare gli interni delle abitazioni dei protagonisti e del Metropolitan Museum; la New York aerea e verticale è sullo sfondo o appare di sfuggita dalle finestre (il personaggio principale, osservando lo skyline di Manhattan, se ne proclama assolutamente disinteressato). L’arredamento degli appartamenti è postmoderno e minimalista ed è moltiplicato dall’uso degli specchi; a Jost, poi, sembra anche interessare la restituzione della percezione dell’esterno: il manager vive in un sottotetto e ci racconta quanto abbia cercato una casa dalla quale non perdesse la sensazione della strada, “come in una casa europea”. Nel Metropolitan due stupendi carrelli si soffermano sul disegno del pavimento in marmo e sulla straordinaria scansione spaziale del colonnato dell’atrio d’ingresso. Al di là delle mie banali considerazioni in architettese, un film semplice e intenso. Bello. (Vhs)

164-Brazil di Terry Gilliam, Gran Bretagna/USA 1985
“Tuttavia, signor Hellfmann, c’è chi ritiene che il Ministero dell’informazione si sia ampliato troppo e in settori che non sono di sua competenza…” – “Vede, in una società libera l’informazione deve penetrare dovunque”. Si apre così la straordinaria incursione nel futuro da incubo che Gilliam beffardamente ambienta nelle architetture di Bofill. Oltre alle architetture originali, Gilliam usa sistematicamente un grandangolo spinto per deformare gli spazi e per accentuare le profondità verticali, costruendo uno spazio gigantesco, deformato e allucinante, che schiaccia i personaggi con l’oppressivo peso dei vuoti. Interpretando perfettamente le parole di Frampton, tutte le strutture del potere sono ambientate nel Palazzo di Abraxas, un potere che difende l’ordine e la pulizia ma che non esita a intervenire nelle case dei poveri cittadini con distruttive irruzioni intra moenia; l’anarchico terrorista De Niro si occupa, paradossalmente, delle riparazioni (da “indipendente”), rifiutando l’aberrante logica della “ricevuta della ricevuta”, ma è destinato a soccombere, anche se solo nel sogno finale di Lowry, soffocato dalle stesse carte che fugge. Il ritmo è buono ma non incalzante: la vera impennata narrativa avviene nel finale, con la lunga sequenza onirica. Se alcune parti (p.es. l’innamoramento dei due protagonisti) sono trattate un po’ superficialmente (ma in fondo lo spessore psicologico poco importa in un vicenda così allucinata) prevalgono comunque lo straordinario impatto visivo e il ricchissimo apparato scenografico (modelli di Roger Conway). Notevoli gli incubi in cui si materializzano il doppio di Lowry, in veste di samurai, e il burocrate Kurtzmann, trasfigurato in un grigissimo muro di mattoni. Bellissimo e Pier, talvolta, non capisce proprio nulla. O non aveva digerito. (Vhs)

165-L’esercito delle dodici scimmie di Terry Gilliam, USA 1995
Deludente; avendo appena rivisto Brazil (capolavoro, indubbiamente) purtroppo viene spontaneo un ingiusto paragone. A mente fredda, però, non si possono non notare le cadute di ritmo e il pasticcio da cui sembra che neanche il regista sappia venir fuori. Il film ha scenografie notevoli (prime sequenze di Willis in superficie), demitizza in modo dissacrante due odierni idoli di Hollywood (sempre Willis e un bravo Pitt) e offre alcune belle sequenze… ma non si esce soddisfatti: il puzzle temporale si ricompone a fatica e nonostante le due ore di visione sembra che manchi qualcosa. Peccato. Comunque Hilda mi ha già detto ALMENO tre volte che il tema della circolarità temporale era affrontato molto, molto meglio in Prima della pioggia. E chi dice niente? Anche mio nonno era più alto di mia nonna, embeh? (Cinema Orfeo, Milano)
P.S.: Oggi, chiaramente, Hilda nega e puntualizza che aveva detto una cosa leggermente differente etc., etc. Meglio avere torto con Hilda perché, se per caso hai un barlume di ragione, sei finito, sfinito e ucciso da una tonnellata di precisazioni, messe a fuoco, spostamenti di campo, misunderstanding, qui pro quo, affinamenti di fuoco, questioni semantiche, diverse attribuzioni di significato e così via. Meglio avere torto, o tacere.

166-I soliti sospetti di Bryan Singer, USA 1995
Eeeh! Per tutto l’inverno sono stato perseguitato dalla domanda: “chi cazzo è mai Keyser Sose?” ed ho aspettato maggio per risolvere l’arcano e vedere uno dei film più apprezzati della stagione. Il problema non è capire chi cacchio sia Keyser Sose, quanto, una volta intuitolo per un semplice calcolo a eliminazione, non farsi prendere dal dubbio: il film è disseminato intelligentemente di indizi che, anche se non in contraddizione con l’ipotesi più logica, instillano pesantemente il dubbio. A parte Mac Manus e Fenster, fumano e sparano tutti allo stesso modo e questi sono alcuni degli indizi per riconoscere Sose. Il finale, poi, rimette tutto in discussione: cos’era vero e cos’era falso nella ricostruzione di Verbal? Poco convinto di averlo capito in pieno, noto qualche divertita citazione (“Elvis has just left the building!”), una bella inquadratura del Flatiron (tre secondi) e apprezzo il buon montaggio, in sincronia con la colonna sonora (sempre del montatore). Notevoli l’intreccio, la struttura a flashback e i bravissimi attori, specie il piccoletto che sembra Berlusconi con i capelli e le orecchie piccole (piccole, via…). Bello. Tema sviscerato (e non risolto) con Hilda: può un film di genere come questo, molto buono nella sua categoria, assurgere al rango di gran film tout court? Lo scopriremo solo vivendo. (Per vedere cosa ho scoperto cfr. la recensione n°244). (Nickelodeon, 30/5/96)

167-Blade Runner di Ridley Scott, USA 1982
Ennesima visione, ma ogni volta (anche se il grande schermo è negato per decadimento dei diritti di proiezione) è un piacere. Citazioni a profusione (Metropolis, le piramidi di Sauvage dallo stesso nome, il Bradbury Building, la voce narrante hard boiled etc.) per un film giustamente considerato di culto. (Vhs)

168-Paris, Texas di Wim Wenders, USA 1984
A 16 anni mi aveva letteralmente sconvolto; visto oggi, dopo la dewendersizzazione che mi ha personalmente portato a rivedere il mito, beh, è sempre stupendo: la fotografia è clamorosa e la storia, anche se con tempi dilatati in maniera tale da mettere a dura prova la pazienza dello spettatore, è bella e ben costruita. Io non so se l’America sia veramente così ma Wenders la vede esattamente come tutti vorremmo che fosse (giusto, sbagliato …boh? Intendo sia il concetto sia l’uso temporale dei verbi). Bellissimo. E veramente straordinarie le musiche di Cooder. (Vhs)

169-Per favore… non mordermi sul collo di Roman Polanski, Gran Bretagna 1967
Non è il tipo di umorismo che mi fa impazzire però… suvvia! Soprattutto ho apprezzato le scenografie (il castello e il villaggio rigorosamente finti) e qualche scena corale (il ballo) magistralmente costruita. (Vhs)

170-Dead Man Walking di Tim Robbins, USA 1996
Sono andato al cinema con la ferma intenzione di non farmi incastrare: anche se gli amici mi avevano detto che il film meritava, nutrivo qualche dubbio. Il soggetto era politically correct, gli attori bravi… insomma, sembrava il classico film di Hollywood che ti fa spargere qualche lacrima sulla bestialità umana per poi uscire dal cinema con la coscienza mondata, pronto ad accoltellare qualcuno per un parcheggio. Vabbeh che avendo il cuore di margarina non sono un test probante, ma ho trovato il film commovente e non retorico, coinvolgente ma non ricattatorio… Voglio dire che non sono stato fregato; piango ogni volta che in Marrakech Express trovano l’acqua nel deserto o quando, in Miracolo a Milano, Totò recita le tabelline sbagliate alla nonnina morente. E il groppo in gola che mi viene ogni volta che il vecchio Leo muore nei campi di Novecento? Insomma, sono un piagnone, ma stavolta mi rendevo conto che era giusto, naturale, non forzato o artificiale. Nonostante il rischio (i film ricattatori m’intortano che è una meraviglia) stavolta sono uscito dal cinema sereno. La difficoltosa tematica della pena di morte è affrontata in maniera essenziale attraverso due personaggi ben costruiti (recitati magistralmente da Penn e dalla Sarandon) e lo scomodo assunto rivendica il diritto a una giustizia umana, anche per un personaggio esecrabile come il condannato in questione (“Hands Off Cain”). A parte qualche facile simbolismo (il letto di morte come una croce) m’è veramente piaciuto, nonostante le molte prevenzioni. Asciutto, toccante (direi straziante, forse) e legalmente strappalacrime. Se si pensa che l’ha fatto un americano, poi… Bello. (Cineclub Lumière; 6/5/96)

171-Essi vivono di John Carpenter, USA 1988
Se De Palma ha la lira ma non si impegna, Carpenter invece sputa l’anima per il suo lavoro ma si deve arrangiare con pochissimo argent. Essi vivono è frutto di un rovesciamento geniale e tutti i problemi derivanti da un budget – che si intuisce veramente esiguo – vengono risolti in maniera perlomeno dignitosa e intelligente. Un b-movie che, affrontato con lo spirito giusto, appaga. Bravo Carpenter. (Diretta TV; 23/10/96)

172-Parenti, amici e tanti guai di Ron Howard, USA 1989
Ho visto questo film qualche anno fa: era un lunedì sera e RaiUno, per il ciclo Cinema in famiglia (che solitamente prevede smielati papponi Disney, densi di buonismo zuccheroso), trasmetteva questo strano prodottino. L’ambientazione, gli attori e la situazione familiare sembravano assolutamente rassicuranti, per bambini… poi ogni tanto, a ciel sereno, i personaggi tiravano fuori ricordi di seghe giovanili e di pompini in autostrada, si ascoltavano confidenze tra mogli insoddisfatte, madri e figlie discettavano allegramente di vibratori… eccezionale! Sovversivo! Vai a vedere il regista e, GUARDA UN PO’, Ron Howard! Il buon vecchio Cunningham di Happy Days! Dopo la melassa tipo Cocoon, chessò, un rigurgito dissacrante… E allora me lo rivedo perché, anche se predominano i buoni sentimenti, il lieto fine etc., etc., questo film è talmente spiazzante che mi piglia ‘na cifra. Come film numero 176 della stagione dovrebbe esserci Un ragazzo e una ragazza ma l’urgenza di alcuni disegni per la tesi me ne impedisce l’ennesima sublime visione: Alberto e Pier Paolo si vergogneranno per me. (Diretta TV; 8/6/96)

173-Riccardo III di Richard Loncraine, Gran Bretagna 1996
Mah! Molto interessante per l’ambientazione e per le scenografie, ma generalmente piatto registicamente (e a Berlino la regia ha pure vinto qualcosa, bah!); si fa apprezzare qualche grandangolo da posizione insolita, ma ormai lo fanno cani e porci, convinti di essere originali. Citazioni del Royal Pavillion di Nash a Brighton e della Battersea Power Station di Londra (anche questa un po’ abusata). Insomma, Riccardo III mi ha deluso. (Cineclub Lumière)

174-Roma città aperta di Roberto Rossellini, Italia 1945
Ha ragione Bertolucci: non si può vivere senza Rossellini. Il film è sempre semplicemente stupendo, nonostante i fuorifuoco che il bravo operatore corregge con dei buoni quarti d’ora di ritardo. Nella prima parte la crescente tensione è punteggiata da brevi interventi comici affidati a Fabrizi (“All’anima, Don Piè! Che padellata che gli ha dato!”), e trova il suo apice drammatico nella sequenza della morte di Nannarella: la scena è montata in modo magistrale (la Magnani che si accascia, Fabrizi che la nasconde agli occhi del figlio etc.) e, come ogni volta, ho avuto un tuffo al cuore e un principio di crisi ‘e ‘ppianto. E poi la Zundapp che arriva frenando in derapata, con buona pace di Moretti… Il secondo tempo perde gli spunti leggeri e, in un antiretorico e asciutto crescendo, giunge al tragico epilogo: “Morire bene non è difficile; difficile è vivere bene”. Fantastico, nella Top Ten di diritto. (Cineclub Lumière; 17/6/96)

175-Piccolo Buddha di Bernardo Bertolucci, Gran Bretagna/Francia 1993
Serve un lungo discorso. Lo faremo a voce. (Vhs)

176-8 e ½ di Federico Fellini, Italia 1963
Capolavoro, dicono e dico. Le angosce e i sogni del regista in un autobiografico e non indulgente ritratto. Visto con molto sonno arretrato, è scivolato bene, segno di una inequivocabile potenza. (Cineclub Lumière; 19/6/96)

177-Fargo di Joel Coen, USA 1996
Commento in forma di appello: caro Pier… e tu, così, trovi deludente uno dei migliori film della stagione… Cosa devo fare con questo benedetto ragazzo? Io, che gli ho insegnato Dio a bastonate, sono imbelle di fronte a questo ennesimo rifiuto: cosa c’è che non va, Pier? Il film è scritto bene; è ironico, grottesco, con trovate narrative e visive decisamente intelligenti, originali… oltre a tutto è anche una storia vera! Non puoi neanche appellarti alla tua idiosincrasia per quelle incongruità connaturate al cinema non realistico, che, con pregevole sense of humour, ti mandano solitamente in bestia. O eri incazzato per qualche altro motivo o hai in particolare antipatia quei due primini della classe che sono i due fratelli Coen… se no, boh, è da rivedere tutto il sistema valutativo su cui si basano tante nostre dotte dissertazioni in fatto di cinema (ma anche donne, musica etc.). Mi inizio a preoccupare per questa tua sterzata antirazionale, per il sistematico ricorso alla critica immotivata quando prevale l’antipatia su qualunque altro criterio interpretativo, per il tuo ritorno al ferino stato di natura, tu superomista e protoneonazista, tanto supergiovane da fare invidia alla Riefenstahl e da aspirare a farle da modello, impolverato e col boa in libertà… bah! (Cinema Ariston)

178-La notte dei morti viventi di George Romero, USA 1968
Capolavoro del genere, dicono; io devo pensarci un po’. Comunque torna su. (Vhs)

179-I tre giorni del condor di Sidney Pollack, USA 1975
Lo ricordavo poco e l’ho rivisto con piacere: ben scritto, recitato e girato; si vede una New York un po’ per luoghi comuni (del resto perché dovrebbesi fotografarla in modo originale, per un film di questo genere?) ma si apprezzano una breve incursione nel Guggenheim (con commento off di una guida che cita F.L. Wright) e due o tre scorci suggestivi delle Twin Towers. Prodotto medio, ben curato: soddisfacente. (Vhs)

180-Diario di un curato di campagna di Robert Bresson, Francia 1951
“Il sonno della provincia genera mostri”: questa mia, modestamente, geniale illuminazione (ma magari l’ho copiata… comunque Pier risponderebbe “E chiamalo sonno!”) ben descrive la titanica lotta del povero curato di campagna che tenta di conciliare la sua fede con la meschinità e la mediocrità degli abitanti di un piccolo paese francese. L’ho visto in una edizione sgranata fino all’inverosimile: al di là della convincente e sobria messa in scena colpisce il notevole utilizzo del carrello in avanti (che anticipa in modo molto più creativo e “cinetico” lo zoom) a inquadrare il viso tormentato del “bravo piccolo prete”. I temi affrontati sono piuttosto ponderosi ma il film scorre abbastanza tranquillo. Emozionante l’apertura lirica della gita in moto e originale la dedica finale all’operatore del Lumière (“Tutto è Grazia”, ah, ah!). (Vhs)

(5 – CONTINUA)