di Chiara Vozza

PistolPenis.jpgLui ha estratto il caricatore.
Lei si irrigidisce — muscoli della mascella contratti, la lingua ritratta preme contro i molari superiori.
Ecco. Adesso arriva. Ecco… TRA-ATRACK!
Ha tirato indietro il carrello proiettile in canna espulso carrello rientrato.
Adesso può procedere.
Scovolini, lubrificante spray, panno ruvido, panno morbido, è tutto già ordinatamente disposto sul tavolo.
Anche il fazzoletto di carta ripiegato che accoglie il proiettile espulso. Non sia mai che debba rotolare sotto il tavolo o chissà dove. Un proiettile sfuggito è l’insegna del suo disprezzo. Non potrebbe sopportarlo. Accuratamente disposto sul fazzoletto deve stare, in attesa di inserirlo nel caricatore.
Dopo aver rimesso il colpo in canna (tra-atrack!).

Poi, estrarrà di nuovo e inserirà il proiettile in attesa nell’alloggiamento di nuovo vacante: così, potrà contare su un colpo in più rispetto alla capienza del bifilare.
Caricatore bifilare, proiettili calibro 9 lungo, impugnatura massiccia, bilanciamento perfetto della canna a patto di avere mano polso avambraccio da non sentire il peso, e spalla da assorbire il rinculo: gli piace, il suo cannone. Una roba da uomini veri.
Ma, prima di rimetterlo operativo, manutenzione. Manutenzione ordinaria stasera, per lo smontaggio dovrà passare una settimana (lei potrebbe verificare il calendario regolandosi sullo smontaggio — manutenzione periodica).
Seduto al tavolo il suo maschio, a torso nudo, lo guarda: i muscoli rilassati sottolineano la naturalezza della forma fisica, non ha bisogno di contrarli per evidenziarne la struttura potente su cui si modella la carne ancora tonica, tesa. Non se ne è mai particolarmente curato per la verità, ginnastica quotidiana quanto basta per tenere il fiato e assicurarsi la rispondenza del corpo alle intenzioni, il resto è dono di natura.
Eppure è cambiato.
Più massiccio, più in carne.
Mentre guarda il suo maschio intento al rito serale — tutte le sere, tutte le maledette sere che dio manda in terra — una fitta di tenerezza perduta le trafigge il ventre.
La prima volta che lo ha guardato, corpo perfetto disperato. Qualcosa di asciutto, di prosciugato, come una fame, una sete, qualcosa di mai interamente saziato. Così le era apparso, la prima volta che lo aveva visto nudo, un giovane lupo esasperato dalla fame, e pronto a tutto per soddisfarla.
Allora, subito, lo aveva voluto senza riserve. Gli aveva donato la sua carne più indifesa, il suo sguardo più segreto, la sua voce più roca. E anche, gli aveva donato quello che lui apprezzava soprattutto: la preferenza della femmina più desiderata, più corteggiata, più ambita. Quella che non si dava a chiunque, si era data a lui.
Adesso, si sta prendendo cura della canna, all’interno. Lo scovolino va su-e-giù, con circospezione all’inizio, poi comincia a ruotare mentre il su-e-giù accelera — guizzano appena i muscoli dell’avambraccio mentre il su-e-giù diventa più veloce, più sicuro.
In quel momento, lei sente il suo nuovo sorriso segreto salirle alle labbra, quello che è comparso d’un tratto nell’ultimo periodo e si affaccia sempre più di frequente sulla sua bocca. Quel sorriso che a lui ha tenuto nascosto, non era il momento, non ancora.
Adesso, sta lucidando la canna all’esterno, il pugno chiuso attorno al panno è solido ma senza stringere, il movimento concentrato, dalla base alla bocca e ritorno. Tra poco saggerà il carrello. Senza portarlo fino in fondo, lo farà scorrere dolcemente per verificarlo, così, un po’ avanti-indietro, ma piano.
Cristo. Fa che le sue dita non incontrino il minimo sospetto di resistenza, fa che possano scorrere morbide senza intoppi (sono così sensibili le sue dita, mani così forti ma dita così delicate, la sua carne più umida e segreta le conosce bene).
Cristo. No. Ha sentito qualcosa. Aventi-indietro, di nuovo, avanti-indietro. Aggrotta leggermente le sopracciglia.
Sdraiata sul letto con indosso l’ultima camicia da notte che lui le ha regalato, i suoi occhi si stringono di riflesso. Lui sente qualcosa del cambiamento negli occhi di lei, alza la testa, incrocia lo sguardo: “Cazzo, possibile che devi farti tirare il culo così ogni volta? Le armi vanno curate, lo sai, e ringrazia che ci sono io a farlo, fosse per te”, ma poi aggiunge sorridendo macho: “Dai che ho quasi finito, ancora un momento e sono da te piccola”. Perché lei intanto ha mosso leggermente le gambe nella camicia impalpabile, le cosce che si allargano senza ostentazione. A lui è sempre piaciuta la sua “raffinatezza”, così la chiama. Vengono dalla stessa periferia di degrado, ma “tu non sei mai stata come le altre pupa, tu non hai bisogno di sbatterla in faccia come una che si liquida con poco, a te basta un movimento delle palpebre per metterlo sull’attenti”.
Già.
Lei non è una che si può liquidare con poco. E neanche con molto.
Se le sono fatte insieme le prima banche, quando lui era ancora un giovane lupo affamato. Se la sono giocata insieme con quelli che comandavano la piazza, quando c’è stato bisogno di aprirsi la giacca per non farsi ricacciare in fondo, o peggio — certo, lei mezzo passo indietro, lasciava a lui la ribalta e lui se la cavava a meraviglia, un vero mattatore, ma era un gioco delle parti e quelli che contavano nel giro lo avevano capito presto, di chi era la regia.
Avvicina il cannone all’orecchio: un raschio? uno stridìo? un pigolìo? ma che minchia ha sentito? Adesso sta smanettando col lubrificante e la punta dello scovolo. E’ andata? Verificare, verificare sempre — TRA-ATRACK!
Lei sente le vertebre cervicali che le mordono il collo nello sforzo della gola per impedirsi l’urlo. L’ingiuria la furia.
Lo guarda lo guata lo sguarda. Il lupo affamato è diventato un leone sazio. Soddisfatto. Tronfio. Pesante.
A lei non sono mai piaciuti i leoni.
Meno ancora le piacciono i mafiosi coi quali se la va facendo adesso.
Ci ha provato una volta sola a incontrarli con lei, e gli è bastato. Poi, appuntamenti dissimulati, incontri che c’erano e non c’erano, niente-di-importante piccola.
Ma lei non ci era arrivata facendosi toccare le cosce nei night alle camicie da notte che costavano quanto, dalle parti dove erano cresciuti loro, bastava a una famiglia per campare un mese (la prima volta che lo aveva raggiunto a letto indossando quel simbolo del loro trionfo che lui le aveva appena regalato, gli aveva impedito di sfilargliela, “no, strappamela di dosso, voglio sentire che la riduci in stracci con le tue mani”, e davanti alla sua esitazione di ragazzo troppo a lungo povero “strappala, e giurami che non dimenticheremo mai come facciamo i soldi, giurami che non dimenticheremo mai che li prendiamo per il piacere di prenderli non di averli”).
Così, ci aveva messo poco a capire cosa stava accadendo, e una sera: “Ti sei messo a fare il magnaccia, tesoro?”, gli aveva detto accarezzandogli i capelli.
Lui aveva esibito la durezza minacciosa e sbrigativa che usava sempre quando si sentiva in difficoltà: “Non dire cazzata. Tu e la tua mentalità da randa di strada. Questo è il giro grosso ragazza, qua si parla di commercio internazionale, di investimenti da far inchinare le banche, di finanza”. “Hai ragione amore mio, io la finanza non la capisco. Ma il commercio sì. Bè, quello internazionale magari non lo conosco, ma se si chiama commercio sempre di comprare e vendere si tratta, no? E tu allora, cos’è che compri e vendi adesso?” “Tutto. Tutto quello che gira e tutto quello che i fessi imbottiti di soldi sono disposti a pagare, armi e ristoranti di lusso, complessi residenziali e cocaina, tutto”. “Donne, anche?”. Esasperazione di minaccia: “Sì, anche donne, e allora?” “Allora è come dicevo io, no? Ti sei messo a fare il magnaccia, tesoro”.
Nello sguardo che le aveva dedicato c’era tristezza autentica, una tristezza che era già rimpianto.
Perché lei non era una che si poteva liquidare con poco, e neanche con molto.
Gli sarebbe toccato liquidarla e basta.
La sua pupa speciale.
Ma la femmina che aveva fatto gonfiare il petto d’orgoglio al lupo affamato stava diventando una bomba a tempo per il leone tronfio. Sì, con tristezza autentica che era già un addio l’aveva guardata, e le aveva sfiorato i capelli.
Dimenticandosi che, tra loro due, era lei quella più intelligente.
Un tempo non lo avrebbe fatto questo errore.
La manutenzione è andata finalmente, ora c’è solo da inserire il caricatore, e scarrellare di nuovo per mettere il colpo in canna… Ecco: TRA-ATRACK!
Lui vede il sorriso sulle sue labbra prima della rivoltella nella sua mano, è il sorriso sconosciuto che gli gela la faccia, della rivoltella si accorge solo quando sente la detonazione e l’impatto, che lo fa rimbalzare sullo schienale della sedia (piccola, elegante, non fa tanta scena la sua rivoltella, ma l’impatto del calibro 38 si sente eccome).
Si accascia lentamente mentre il sangue gli invade il petto, lentamente scivola sul pavimento.
Lei si alza dal letto, si avvicina, lo sovrasta, il suo maschio che sta morendo, e, lentamente, si strappa di dosso la camicia da notte che costa l’umiliazione delle donne comprate e vendute, e lascia cadere i brandelli sul petto di lui che subito li risucchia nel sangue.
Il suo ultimo sguardo che si appanna è come all’inizio, ammirazione, orgoglio: quale altra pupa sarebbe stata capace di fotterli, lui e il suo cannone, prima che loro fottessero lei?
La donna sblocca il tamburo del revolver e lo apre con un movimento del polso, per estrarre il bossolo e inserire un nuovo proiettile: CLOC. Sobrio. Essenziale. Nessuna esibizione di pericolosità.
Lui aveva insistito tante volte perché si decidesse a scegliere un’automatica, vuoi mettere la potenza di fuoco, e se una calibro 9 era troppo pesante poteva prendersi una 7-e-65, ma lei aveva resistito, vuoi mettere il piacere del calcio di legno levigato, arrotondato, l’equilibrio di linee tra la canna corta e la sua mano?
E poi non lo aveva mai sopportato, lo scarrellamento.