mccammoncover.jpgdi Danilo Arona
[estratto dalla prefazione a frecciabr.gif La via oscura di Robert McCammon, edizioni Gargoyle Books]

1) Com’è noto, il New England è quella regione degli Stati Uniti situata nella parte nordorientale del paese dove i Padri Pellegrini provenienti dall’Inghilterra approdarono nel 1620 fondando la prima grande comunità puritana del Nuovo Mondo. La regione, confinante con l’Atlantico, comprende gli stati del Maine, New Hampshire, Massachussets, Vermont, Connecticut e Rhode Island. E già, dopo queste poche righe, l’abituale consumatore di horror americano avrebbe di che “sentirsi a casa”: il Maine di King, il Nathaniel Hawthorne e l’Edgar Poe del Massachussets, il Lovecraft del Rhode Island… Ma, dopo avere scomodato i classici, ecco che Lincoln Child è nato nel Connecticut, Christopher Golden ancora nel Massachussets, lo sconosciuto (da noi) F. Brett Cox viene dal Vermont, e persino Dan Brown – che con l’horror non ci azzecca, ma trasuda gotico – ha visto i natali nel New Hampshire.

Non si tratta di banale anagrafe statistica, ma piuttosto il constatare che qui è nato, si è modificato e vive ancora (esiste una nutritissima Horror Writers Association in New England) quel “cuore” marcio del gotico americano dove bruciano perennemente le fiamme dell’inferno e Dio non si rivela mai giusto e misericordioso, ma sempre uno spietato vendicatore. E’ il puritanesimo di fondazione, caratterizzato dall’estrema ortodossia del primo New England, che ha dovuto fare i conti, non risolvendoli del tutto, con le paranoie stregonesche del XVII secolo, immortalate in letteratura da Nathaniel Hawthorne e Arhtur Miller con La lettera scarlatta e Il crogiolo. Per chi va al cinema, ci sono alcuni film tratti dal primo, uno firmato da Wim Wenders e l’ultimo uscito da Roland Joffé, mentre dal testo di Miller è stato tratto La seduzione del male – The Crucibile di Nicholas Hytner. E non suoni casuale questo richiamo cinematografico perché l’estetica, sempre coincidente con la sostanza, “alla New England” passa anche da qui: per quelle comunità chiuse con donne e uomini vestiti di nero nelle tipiche divise dei “pilgrims”, dove la colpa e il peccato, sempre citati come spauracchi, fanno sembrare i vittoriani dell’Ottocento inglese dei progressisti di sinistra e dove il Diavolo e il Male, non a caso maiuscoli, amano maggiormente esibirsi perché sempre chiamati un causa. C’è un’ideale linea “gotica” che passa, tra ieri e oggi, da film come The Dark Secret of Harvest Home di Leo Penn, Chi è l’altro? di Robert Mulligan, Benedizione mortale di Wes Craven, The Gift di Sam Raimi, senza dimenticare la ricaduta, quasi sempre sciagurata, dei Childrens of the Corn di King e il relativamente recente The Village di M. Night Shyamalan: si tratta sempre dell’anima, più vera e più tormentata, del gotico New England dove le diversità e la modernità vengono bollate per “stregonerie” e gli intrusi vanno incontro a una brutta fine. Lo spirito che anima La via oscura di Robert McCammon.

2) McCammon però si spinge oltre. Per far interagire i suoi personaggi in questo grande teatro di passioni e pulsioni che è La via oscura, lo scrittore necessita di una location genuinamente conservatrice dove il diffuso senso d’intolleranza sociale possa esprimersi al suo massimo con la sua più odiosa divisa razzista. Il New England su questo fronte non può essergli storicamente di alcun aiuto, né potrebbe funzionare in modo credibile, avendo giocato nel corso del XIX secolo un ruolo fondamentale nell’abolizione della schiavitù. Meglio sotto questo profilo, anche perché McCammon ci è nato e la conosce bene, l’Alabama conservatrice e isolazionista dei decenni (gli anni ’50, ’60 e i primi ’70) in cui è ambientata la corale vicenda raccontata ne La via oscura. Quell’Alabama in cui è stato fondato il Ku Klux Klan e i neri ancora oggi hanno i loro troppi problemi. Una regione dove persino a un prete bianco, moderatamente progressista, può capitare di essere cosparso di pece e piume perché di lui si dice in giro che “non disdegna la passera negra”.
Lo sfondo è definito. E, a questo punto, il prefattore non deve compiere il peccato mortale di raccontarvi il libro. Ma tentare, per quanto possibile, di tracciare le linee di un efficace coming soon cinematografico. Diciamo che, come quasi sempre con McCammon, alla terza riga siamo subito “in medias res”, piacevolmente impantanati in quell’humus puritano dove l’eredità del New England e il senso di colpa della tragedia di Salem vengono mediati da quei tanti “divieti”, il cui tòpos più efficace è il “posto oscuro e proibito in cui non ci si deve andare”, con tutte le metafore che si possono proporre al riguardo. Una regione – una America – dove il fanatismo religioso può uccidere per overdose e dove un arcaico conflitto “di fondazione” rovescia di 360° i parametri del bene e del male: è quell’America che teme, e che odia, tutto ciò che non capisce e che non è omologato a un’idea “superiore” di conformismo sociale. Le donne, i neri, i ragazzini “fuori dal coro”: tutti nemici in questa società arcaica e quasi tribale, in cui trovano spazio le idee tipiche del puritanesimo di origine gesuitica (ancora ben presenti in certa religiosità di base e di stampo “popolare”) per le quali la malattia entra nel corpo soltanto al seguito del “peccato commesso” e dove subentra il senso di colpa inglobato nell’anima come eterno e lacerante dubbio.

3) In questa palude, che più gotica non si potrebbe pensare, si colgono echi familiari e si pagano pegni culturali in quel grande e piacevole gioco di rimandi che è l’horror contemporaneo. Vedete voi se vi vengono in mente altri autori, film o correnti… Il Male che è una cosa Mutaforma che assume tutte gli aspetti che vuole (“… che non si arrende mai e si adatta alle modificazioni del tempo”), ovvero vampirizza le forme, ma la sostanza sua tipica è un colore, il nero. I poteri soprannaturali che sono distribuiti (da chi?) per predestinazione, senza possibilità di libero arbitrio. Il “dono” (the Gift) che ti sceglie e spesso, soprattutto per le sue ricadute negative in campo sociale, è tutt’altro che un dono. Da qui la solitudine estrema di chi ha ed esprime poteri extrasensoriali: Billy, uno dei ragazzini protagonisti, possiede – come il famoso bambino del film di Shyamalan – il Sesto Senso e vede i morti, soprattutto quelli senza pace. E può aiutarli a ritrovare la retta via, ma tutto ciò per lui si rivela essere una condanna a vivere borderline, sul confine tra la vita e la morte. E la “piccola città” che non può mancare e che si chiama, guarda caso, Hawthorne. E l’antico folclore pellerossa, in cui ritrovi un Dio universale che si rivolge a tutti, ai bianchi e ai neri. E la buona, antica “stregoneria”, che usa sapientemente le erbe per guarire i mali del corpo. E, ancora, la maledizione “on the road” in cui la collera di un fantasma della strada provoca incidenti stradali a catena.
Ma non è finita qui. Perché c’imbattiamo pure in un’ottima casa maledetta, la “casa dei Booker” che incombe su Hawthorne pari a quella di Michael Myers a Haddonfield. Abbiamo il tema ultraclassico, soprattutto al cinema, della prom night, il ballo studentesco che nel gotico americano è divenuto, da trent’anni a questa parte, il momento eletto per lo scatenamento delle forze del Male. Aggiungiamoci il malinconico Luna Park itinerante, la funhouse che ci riporta a Bradbury e a Tobe Hooper, con il suo carico di freaks, mister Dark, spettacoli “finti” con fantasmi “veri”, doctor Mirakle, Circhi degli Orrori e Giostre Infestate. Da Pennywise al serial Taken di Steven Spielberg, è un vastissimo e immaginifico territorio da cui tanti scrittori horror non intendono proprio affrancarsi. Qua e là una febbricitante atmosfera Grindhouse. La sessualità, un tocco di snuff, un “doppio” invisibile… Manca ancora qualcosa? Sì. Ma scopritelo, non lasciandovi sfuggire questo straordinario libro edito da Gargoyle.