[Un infarto fulminante ci ha strappato ieri a la Spezia, all’età di 43 anni, Gianluca Lerici, uno dei massimi artisti grafici d’italia, notissimo ovunque con lo pseudonimo di Professor Bad Trip. Proveniente da e permanente nell’underground, in questi decenni Bad Trip ha imposto il suo segno con una memorabilità e una selezione iconica da grande artista. Il 2006 si rivela un annus horribilis per la creatività underground e avant-presente: dopo Piermario Ciani e Valerio Marchi, un altra inaspettata dipartita, fulminea – una di quelle scosse che fece dire a Majakovskij, alla notizia della morte di Mandel’stam, che “l’uomo è un parafulmine, fa terra: solo così non crolla”: è un’ulteriore desertificazione dell’anima. Lo scritto che segue, a firma Giuseppe Genna, intende solo parzialmente celebrare l’opera fondamentale di un artista del presente. Invitiamo amici e/o esperti dell’opera di Bad Tirp a inviarci altri interventi, più qualificati e meno impressionistici, che verranno pubblicati su queste pagine. A nome di Carmilla, le condoglianze alla famiglia e agli intimi amici del grande Professor Bad Trip]
Con il Professor Bad Trip, senza fare facile retorica (sempre più rischiosa nei momenti di lutto), non evapora per niente la forza di un segno che ha inciso la memoria di almeno 25 anni. Se ne va un artista che, nelle sue contaminazioni e nella sorprendente resa del suo immaginario disparato eppure coerente, è stato il nostro Keith Haring, soltanto un po’ più profondo di quest’ultimo. La perdita, in termini umani e artistici è enorme. Ma appunto adesso si misura, con la storia e con il tempo, la decisività del geniale lavoro di Bad Trip: e lo scrivente è pronto a mettere la mano sul fuoco del tempo e a sostenere che, da esso, come un’araba fenice l’opera del “Professore” uscirà indenne – siamo, cioè, a livelli d’arte, non di pubblicistica.
Chi scrive non ha mai avuto rapporti personali con questo geniale pittore, grafico, fumettaro, mail-artista. Ha avuto l’onore di esordire con un libro la cui copertina era un suo lavoro in bianco e nero – un’opera sorprendente e soltanto apparentemente votata alla rappresentazione del postumano di marca cyberpunk, nel cui recinto è stato recluso un lavorio dinamico sull’immaginario, che ha dato uno stile all’epoca italiana (e non solo) che abbiamo vissuto e stiamo vivendo.
Ciononostante, vero è che le radici del “Professore” affondano nella sua formazione post-punk, nell’esperienza delle fanzine e nella pratica del montaggio, a favore della costruzione di un’arte pop nel senso etimologico del termine arte popolare, arte comprensibile, seppure di avanzatissima avanguardia. Un’arte di strada che raggiunge esiti altissimi, come simbolizza il titolo-ossimoro del suo libro Almanacco Apocalittico (Mondadori), organicissima raccolta di fumetti in cui si assiste a una fusione – che lascia allibiti – tra motivi realistici, hard-core, mutageni, attraverso tecniche di cut-up condotte a vertici immaginifici inusitati. In questo terreno di fertile formazione storica, Bad Trip giunge a esiti che, pur permanendo nella tradizione in cui è cresciuto, stimolano riflessioni ulteriori – e l’invito personale è riflettere sulla sua opera a prescindere dalle categorie in cui poterla comodamente incasellare.
Se l’assessore alla cultura di Milano, Vittorio Sgarbi, parla dei graffiti e dei murali del Leoncavallo come “Cappella Sistina contemporanea”, non sarà col medesimo tono provocatorio ed estetizzante che dirò che il Professor Bad Trip è stato e – grazie alle sue tavole – continuerà a essere uno dei migliori illustratori e artisti visuali dei miei anni di formazione e deformazione. Certo, la sua provenienza è l’underground, e non c’è categoria espressiva dell’underground che la potente personalità immaginativa del “Professore” non abbia toccato fin nel suo intimo, sempre portandola ai suoi esiti migliori, e cioè estremi. La sua costante collaborazione con Decoder ha regalato la continuità di uno stile che ha segnato l’underground, piuttosto che l’opposto. La ragione risiede nel fatto che l’immaginario di Bad Trip era profondamente realistico, prima che essere – come da etichetta, mille volte ripetuta – “lisergico”. Le visioni di Bad Trip corrispondono in toto a quelle di Hans Ruedi Giger, ed è nella differenza dalle opere à la Bosch dell’artista svizzero che possiamo cogliere il livello impressionante di “artisticità” del lavoro di Bad Trip. La differenza sta nella stilizzazione, nell’impossibilità di ritrovare un benché minimo attracco di mimesi del reale nelle illustrazioni del “Professore”. Ciò significa distanza essenziale dal “lisergico”: poiché chiunque abbia assunto LSD sa benissimo che colpisce la visione alterata non soltanto l’improbabilità spesso infernale delle situazioni, ma anche la precisione e la lucidità del dettaglio con cui appaiono – e i dettagli, in Bad trip, non sono realistici in questo senso. E’ come se il nickname avesse funzionato da barriera difensiva, per questo quarantreenne che lascia un vuoto difficilmente colmabile. La sua capacità di integrare ciò che è semplicemente segnico in pittura, innestandolo in una forma al tempo stesso coerente e incoerente, lo avvicina a Lynch più che a Cronenberg. Impressiona il “tutto pieno” che si realizza nei suoi lavori, addirittura in quelli in bianco e nero – il segnale di una autoscopia che coglie la realtà nella sua destinazione più immediata, cioè la percezione. Che questa percezione esprima soggetti innestati a macchine, bambini che rasentano il satanico, giochi da alieni – tutto ciò non ha nulla a che vedere col profondo messaggio di quel labirinto ultracurvo da hyper-Escher che Bad Trip era andato imponendo al suo tempo, che è il nostro. Critica ferocissima all’idea di stile come difesa psichica, come allume di originalità e, infine, come valore assoluto, il suo stile non era tale in ragione della ripetizione inesausta dello stesso, quasi a sfiorare, contraddicendola, la potenza che i marchi (stilizzazioni ubiquitarie tese a paralizzare l’immaginario umano) sortiscono in questi anni di deflazione emotiva, di povertà antropologica, soprattutto alle latitudini italiane. Il lavoro pittorico del Professor Bad Trip applica la stilizzazione al dato di realtà, per fare precipitare chi ne osserva l’opera dal processo di percezione a quello di traduzione immaginaria del dato percetto, una volta giunto a destinazione: cioè un attimo prima di venire elaborato dalle zone cerebrali. Qui si apre una zona di fantasmi che con l’inconscio non hanno nulla a che vedere, mentre hanno molto a che vedere con archetipi che fanno la mitopoiesi: e sono infatti le ossessioni del nostro immaginario le realtà più reali attraverso cui ci muoviamo. Noi respiriamo l’immateriale che ha forma in Bad Trip, e in quelle forme ci muoviamo.
Per giungere a esiti che mi paiono tanto alti, questo artista doveva disporre di una capacità fuori del comune che gli permettesse ci centrare alla perfezione tutti i nuclei dell’immaginario irradiato dalla collettività in cui viveva. Il resto è forma, e anche qui possiamo compiere un’osservazione superficiale, che può essere smentita da esperti maggiori dello scrivente in fatto d’arte figurativa: in Bad Trip la tecnica del montaggio americano si compensa con una solidità (ma curvata, piegata, resa rigidamente fluida) del tratto tipico dell’arte realista socialista, del manifesto novecentesco e di quello sovietico/cinese in particolare. La lezione di Warhol accanto a quella di Zinov, ma filtrate attraverso la comprensione di cosa davvero volesse significare il cut-up propalato da Burroughs (va ricordato che Bad Trip ha illustrato Pasto Nudo e che il cut-up è uno degli strumentari della sua formazione post-punk, esplicitata in decine di fanzine): non una semplice operazione di cut&paste letterario, ma l’acuirsi di un senso immaginativo che conduce a unità frammenti di potenze imaginali, unità garantita dalla presenza di uno sguardo non umano, che equivale a uno sguardo umano.
Tutto ciò è sensibile se solo si scorre un breve catalogo di illustrazioni di Bad Trip: la sua facile imitabilità è segno di un disinteresse per la ripetizione e, quindi, per l’originalità in quanto valore assoluto; la replicazione stessa dei soggetti, infinitamente variati, ha il medesimo senso; lo sguardo che si affaccia dai soggetti disegnati a chi li osserva è indecidibilmente umano e non umano, vivo e morto, inorganico e organico. Si può dire che la pittura del professor Bad Trip è una potente lezione di quanto democratica sia l’azione compiuta sull’immaginario, livello in cui l'”io” dell’artista non c’entra più nulla, se non in quanto intercettore e canalizzatore di un patrimonio comune che costituisce il soggetto stesso.
E’ per questo motivo che le opere del Professor Bad Trip non ce lo faranno mancare: il messaggio è stato inviato, in una bottiglia di piombo, verso gli spazi interstellari, con la certezza algebrica che, chi aprirà il contenitore, capirà. Che invece umanamente ci mancherà, e tanto, questo geniale artista, è altra cosa; e anche che gli sviluppi del suo lavoro mancheranno alla storia dell’arte contemporanea.
Ti sia lieve la terra, let it be a wonderful trip, Dr. Bad Trip.
Gianluca Lerici (Professor Bad Trip; 1964-2006) ha dato vita a una incredibile mescolanza di soluzioni tecniche e di culture visive: ascendenze “hard core”, deliri psichedelici, cut up, ritmi tecno, allucinazioni centro americane, tutto si è fuso nelle diverse mostre e pubblicazioni: Blood Runner, Starship, Robota, Psyconautica, Il Pasto Nudo, Alter Vox, Double Dose, Bad Mutants, La Bestia. Suoi disegni sono apparsi in Primo Carnera, Stampa Alternativa, Shake, Comicland, Bizarre e collabora con Mondadori, Monguzzi e Simon & Schuster e altri.