di Daniela Bandini

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[Attenzione. Siamo di fronte a un libro importante e a un esordio strepitoso. Non perdetevi questo romanzo.] (V.E.)

Simone Sarasso, Confine di Stato, Editrice Effequ, 2006, pp. 368, € 16,50.

Raramente ho provato un senso di fastidiosa inadeguatezza come quella che sto provando : saranno ore che sto pensando alle parole più adatte e alle suggestioni più opportune per sollecitare, ma in tono più perentorio, gridare, l’urgenza letteraria di questo romanzo. E’ sicuramente il libro più rivoluzionario, completo, pignolo e fondamentale che io abbia letto negli ultimi tempi. E questo non perché la mia opinione valga chissà cosa, mi considero solo una buona lettrice, senza alcuna pretesa. L’autore dice che questo libro gli è costato un anno di ricerche: c’è da credergli. I nomi, i fatti, le circostanze, tutto è stato rispolverato, ripulito dagli inutili orpelli e dalle retoriche di facciata e messo sotto gli occhi del lettore come un dossier. Noi, semplici cittadini, che questo Stato alla fine finanziamo, ci troviamo in mano il resoconto di ciò che è stato davvero Piazza Fontana, il delitto Mattei, la fine di Feltrinelli.

Dalle guerre fredde rivolte verso il pericolo della sovversione rossa in Italia a quelle interne alle correnti DC. Dai campi di addestramento Nato ai bordelli di lusso, dal sadismo patologico a quello di regime. Il tutto in un contesto di romanzo, senza pretese didattiche, senza neppure nominare i nomi delle stragi e dei reggenti. Ciò è solo intuitivo, come mettersi nei panni di chi piazza la bomba a Piazza Fontana: non dirà sto preparando la strage di Piazza Fontana. Penserà ai mandanti, a una qualche strategia di fondo che neppure condividerà appieno, probabilmente: esecutori. Ai giornalisti la retorica del titolo d’apertura, agli esecutori un compito delicato da portare a termine. Bene e senza errori. E non c’è dubbio che ci siano riusciti.
Attenzione: non è un libro alla portata di tutti. Le descrizioni di violenza fisica, psicologica e sessuale sono raccapriccianti. E lo sono perché hanno il marchio dell’impunità. Gente che il potere lo esercita sul serio: dalla sodomia all’omicidio per il massimo godimento fisico, e per estensione agli uomini scelti nelle operazioni di piazza contro i manifestanti, ai campi di addestramento diretti da personale unicamente americano in Sardegna, Umbria, Lazio, Friuli. “Uno Stato nello Stato”, alla grande.
Ester Conti è stata ritrovata sulla spiaggia, morta. Morta per annegamento, morta per abuso sessuale. Ci sarà sempre qualcuno, in genere un giornalista o un investigatore, che vorrà approfondire certi delitti, e ci sarà sempre chi lo fermerà appena un attimo prima che vada troppo lontano, o meglio, troppo in alto. Anche perché in fondo nessuno ci guadagna niente. E poi la vicinanza del potere, qualunque potere, è la più forte scossa di adrenalina che esista, meglio della pur famosa cocaina, della quale spesso e non casualmente, è compagna inseparabile. Lo sa bene l’Omino, curvo, con grandi occhiali dalla spessa montatura di plastica, voce pacata, che raccoglie plichi confidenziali ed elargisce indicazioni di massima senza compromettersi mai. Eppure le sue raccomandazioni e i suoi suggerimenti, pronunciati quasi con noncuranza e mai affrontando l’argomento con nomi e cognomi, valgono più di mille riunioni ai vertici del partito che rappresenta. Le sue sono indicazioni di un servo fedele dello Stato e della sua corrente di partito, non dimostrano mai arroganza o perentorietà, è uno stile che farà epoca, il suo.
A Piazza Fontana parlano i sopravvissuti, sconvolti, incapaci di reagire a una violenza che li vede vittime di disegni ben più grandi delle loro ipotesi. ULTOR “era l’addestramento, la guerra preventiva… E’ il genere di cose che non si fanno a mani nude: 32 mortai da 81 — 23 da 45 — 204 mitragliatrici — 351 fucili mitragliatori — 820 moschetti automatici — 3146 fucili italiani — 371 fucili americani — 6000 soldati pronti a combattere. Seimila mastini addestrati a stritolare i garretti dei rossi, a mangiare le loro falci e a infilargli i loro martelli su per il culo. L’addestramento sviluppava una vocazione: disinteressarti di te, delle eruzioni di imbarazzo, degli assalti e degli insulti… Scendi in paese, pedina quell’operaio. Seguilo, prendi informazioni sulla moglie, la figlia, la suocera. I suoi orari, le sue idee. Diventa un suo amico e fai rapporto ogni 24 ore. Ruba un motofurgone, passa il confine jugoslavo con un chilo di roba. Smerciala tutta in 6 ore.”
L’addestramento. Il padrone dell’Italia, antifona per citare Enrico Mattei, sa bene che la caccia è aperta, e che la preda più ambita da abbattere è lui stesso. In una celebre intervista televisiva avrebbe modo di dire, prendendola alla larga, allegoricamente: “Una ventina di anni fa ero un buon cacciatore. Avevo due cani — un bracco tedesco e un setter — e cominciando all’alba e finendo a sera, su e giù per i canaloni, i cani erano stanchissimi. Ritornando a casa dei contadini, la prima cosa che veniva fatta era dare da mangiare ai cani e gli veniva dato un catino di zuppa, che forse bastava per cinque. Vidi arrivare un gattino grande così, magro, affamato, debole. Aveva una gran paura, e si avvicinò piano piano. Guardò ancora i cani, fece un miagolio e appoggiò uno zampino al bordo del catino. Il bracco tedesco gli dette un colpo lanciando il gattino a tre o quattro metri, con la spina dorsale rotta. Questo episodio mi fece una grande impressione… Ora però ci siamo fatti più scaltri. Nel catino della zuppa degli Americani adesso ci infiliamo tutto il muso. Dovranno dividerla con noi, volenti o nolenti…”
Sappiamo a chi si riferisse Mattei nel paragonare quel gattino all’Italia, e di certo la zampata del potente pastore tedesco già gravava sulla sua schiena. Ci furono testimoni, contadini poi dissuasi che parlarono di un botto “prima” dell’esplosione del velivolo dove viaggiava Enrico Mattei, segno evidente di una bomba piazzata all’interno dell’abitacolo, ma che fine abbiamo fatto quelle dichiarazioni non lo sapremo mai.
Emblematica, nel romanzo, la figura chiave dello stragista. Liberato da un manicomio dove era ricoverato dalla prima infanzia, paradossalmente presso uno psichiatra che si rifà chiaramente ai principi di Basaglia, Andrea Sterling, nella sua nuova identità, ha bisogno di una cosa sola: sapere chiaramente qual è il suo obiettivo e chi servire. E’ l’emblema del servilismo e della spietatezza. Chi non ha ricevuto affetto ma solo violenza detesterà i deboli e imporrà rigore, disciplina, leggi speciali, e questo sotto tutte le latitudini del mondo.
Concludo con una strana analogia, della quale libero l’autore. Queste parole di Sterling non vi ricordano in modo impressionante la conclusione di una recente campagna elettorale, credo a Napoli, di un candidato a Presidente del Consiglio? “Volete che quegli straccioni si prendano le vostre case? Vi ho fatto una domanda: Volete che si prendano le vostre case? Il cortile della caserma esplose: ‘No signore!’
Mafia, narcotraffico, armi, prostituzione, poteri forti, personaggi chiave, alcuni riconoscibili, altri meno. Il merito di Sarasso, grandissimo, è di avere realizzato un romanzo di una complessità e di una ricchezza psicologica assolutamente uniche. Un grazie di cuore per esserci riuscito così bene.