amnestyint.jpg[dal Rapporto 2006 a cura di Amnesty International]

Stati Uniti d’America
Capo di Stato e di governo: George W. Bush
Pena di morte: mantenuta
Statuto di Roma della Corte penale internazionale: firmato, tuttavia senza intenzione di ratifica
Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmata
Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato

guantanamoai06.jpgMigliaia di detenuti hanno continuato a essere trattenuti sotto la custodia degli Stati Uniti senza accusa né processo in Iraq, Afghanistan e nella base navale di Guantánamo Bay a Cuba. Sono giunte notizie riguardanti centri di detenzione segreti gestiti dal governo statunitense situati in località sconosciute dove i reclusi sarebbero stati arrestati in circostanze simili a quelle che caratterizzano le “sparizioni”. Decine di detenuti di Guantánamo hanno intrapreso uno sciopero della fame per protestare contro il duro trattamento ricevuto e la mancanza di accesso a tribunali indipendenti; secondo quanto riportato, alcuni di loro versavano in gravi condizioni di salute. Sono giunte notizie di decessi durante la detenzione, torture e maltrattamenti perpetrati dalle forze statunitensi in Iraq, in Afghanistan e a Guantánamo. Nonostante l’esistenza di prove secondo cui il governo aveva avallato tecniche di interrogatorio assimilabili a tortura o maltrattamenti e “sparizioni”, nessun funzionario o militare ai più alti livelli è stato chiamato a risponderne, anche nel caso di possibili responsabili di crimini di guerra o crimini contro l’umanità.

Sono stati celebrati diversi processi a carico di soldati di basso rango accusati di abusi, ma nella maggior parte dei casi le pene comminate sono state miti. Sono stati registrati casi di brutalità e uso eccessivo della forza da parte delle forze di polizia negli Stati Uniti. Sessantuno persone hanno perso la vita dopo essere state colpite da scariche di taser in uso alle forze dell’ordine, segnando un notevole incremento rispetto agli anni passati. Sessanta persone sono state messe a morte portando il numero complessivo delle esecuzioni a oltre 1.000 da quando queste furono ripristinate nel 1977.

Guantánamo Bay

A fine anno, circa 500 prigionieri provenienti da 35 Paesi continuavano a essere detenuti senza accusa né processo nella base navale statunitense a Guantánamo Bay, Cuba. La maggioranza dei reclusi erano stati catturati durante l’intervento militare internazionale in Afghanistan nel 2001 e trattenuti in quanto sospettati di avere legami con al-Qaeda o il deposto governo talebano. Almeno due delle persone imprigionate avevano meno di 16 anni al momento della cattura.
La legislazione approvata a dicembre (legge sul trattamento dei detenuti del 2005) ha revocato il diritto dei detenuti di Guantánamo di presentare istanze di habeas corpus presso corti federali statunitensi contro la loro detenzione o trattamento, permettendo soltanto limitati appelli contro le decisioni dei Tribunali di revisione dello status di combattente (vedi oltre) e delle commissioni militari. La legislazione ha messo in discussione il futuro di circa 200 casi in corso in cui i detenuti avevano presentato ricorso contro la loro detenzione in seguito a una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti del 2004 che aveva decretato il loro diritto a presentare tali ricorsi.
A marzo, i Tribunali di revisione dello status di combattente (CSRT), commissioni amministrative istituite dal governo nel 2004, hanno reso noto che il 93% dei 554 detenuti esaminati erano da considerarsi a tutti gli effetti “combattenti nemici”. I detenuti non avevano un rappresentante legale e molti di loro hanno rinunciato a partecipare alle udienze dei CSRT, che potevano avvalersi di prove segrete e di testimonianze estorte sotto tortura.
Nel mese di agosto, un imprecisato numero di reclusi ha ripreso lo sciopero della fame già iniziato a giugno per protestare contro la perdurante mancanza di accesso a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione, che sarebbero state caratterizzate anche da violenze e pestaggi. Più di 200 detenuti avrebbero partecipato almeno a una fase della protesta, sebbene il Dipartimento della difesa abbia dichiarato che il loro numero era di gran lunga inferiore. Diversi detenuti hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni fisiche e verbali mentre venivano alimentati a forza. Alcuni hanno riportato lesioni causate dall’inserimento brutale di cannule e tubi nel naso. Il governo ha negato qualsiasi maltrattamento. A fine anno lo sciopero della fame era ancora in corso.
A novembre tre esperti in diritti umani delle Nazioni Unite hanno declinato l’offerta di visitare la base di Guantánamo presentata dal governo degli Stati Uniti, poiché quest’ultimo aveva posto restrizioni contrastanti con quanto normalmente stabilito dagli standard internazionali in materia di ispezioni di questo tipo.

Commissioni militari

A novembre la Corte Suprema degli Stati Uniti si è pronunciata riguardo al caso di Salim Ahmed Hamdan, accettando di prendere una decisione riguardo alla legalità delle commissioni militari, istituite con un ordine presidenziale allo scopo di processare i sospetti terroristi provenienti da altri Paesi. Tuttavia, altri cinque detenuti di Guantánamo sono stati destinati a essere processati dalle commissioni, che sono organi esecutivi e non corti imparziali e indipendenti, portando così a nove il numero dei detenuti designati a essere giudicati dalle commissioni militari. Il governo ha fissato udienze preliminari per due degli imputati. Uno di loro è Omar Khadr, il quale aveva solo 15 anni al momento dell’arresto e le cui condizioni psicologiche e fisiche, a causa dei presunti maltrattamenti, hanno continuato a essere motivo di preoccupazione.

Detenzioni in Iraq e Afghanistan

Nel corso dell’anno migliaia di “internati di sicurezza” sono stati trattenuti dalle forze statunitensi in Iraq senza accusa né processo. Sono state approvate normative che prevedono il rilascio dei reclusi o il loro trasferimento al sistema giudiziario iracheno entro 18 mesi dall’arresto, ma che consentono alle autorità militari statunitensi il diritto di continuare a trattenere a tempo indefinito i sospetti qualora vengano riscontrate “perduranti e imperanti esigenze di sicurezza”. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha visitato i detenuti nei campi di internamento e nelle carceri, ma non quelli custoditi subito dopo la cattura nelle strutture detentive gestite da divisioni o brigate militari statunitensi.
In Afghanistan, centinaia di detenuti sono rimasti trattenuti nella base aerea statunitense di Bagram senza accusa né processo e senza poter accedere a familiari o legali, alcuni da oltre un anno. Sebbene l’ICRC abbia potuto accedere ai detenuti di Bagram, non è stato invece possibile visitare i detenuti in un imprecisato numero di basi operative statunitensi. Sono stati riferiti maltrattamenti in tali strutture, con detenuti che venivano denudati durante gli interrogatori e altri privati del cibo e del sonno.

Detenzioni in località sconosciute

Sono pervenute continue notizie riguardanti l’esistenza di una rete di strutture segrete di detenzione gestite dalla Central Intelligence Agency (CIA) in vari Paesi. Secondo le denunce, tali strutture tratterrebbero persone in incommunicado, al di fuori della tutela di legge, in circostanze assimilabili alla pratica delle “sparizioni”. Tre detenuti yemeniti hanno raccontato ad AI di essere stati tenuti in isolamento tra 16 e 18 mesi in tre diverse strutture detentive apparentemente gestite dagli Stati Uniti in località sconosciute. I loro racconti hanno suggerito che tali detenzioni non fossero limitate a un ristretto numero di detenuti “di rilievo” come ritenuto in precedenza. Nel mese di novembre il Consiglio d’Europa ha aperto un’inchiesta sulla rete di prigioni segrete gestite dagli Stati Uniti, comprese quelle che si troverebbero nell’Europa Orientale. Le autorità degli Stati Uniti si sono rifiutate di negare o confermare le accuse.
Si sono moltiplicate le denunce riguardanti il coinvolgimento degli Stati Uniti nei trasferimenti illegali segreti di detenuti tra differenti Paesi, pratica che li espone al rischio di subire torture e maltrattamenti.

Tortura e maltrattamenti al di fuori degli Stati Uniti

Sono emerse nuove prove di torture e maltrattamenti ai danni dei detenuti a Guantánamo, in Afghanistan e in Iraq, abusi perpetrati sia prima sia dopo lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, venuto alla luce nell’aprile 2004. Sono state pubblicate nuove informazioni riguardanti le tecniche di interrogatorio ufficialmente approvate dal governo in diversi periodi della “guerra al terrore”, tra cui il ricorso ai cani per suscitare paura, l’assumere posizioni da sforzo, l’esposizione a temperature estremamente calde o fredde, la privazione del sonno e l’isolamento.
I vertici della catena di comando hanno continuato a non essere chiamati a rispondere degli abusi. Nel rapporto finale redatto dall’Ispettore generale della Marina, viceammiraglio Church, sulle procedure di interrogatorio adottate dal Dipartimento della difesa in tutto il mondo, il cui sunto è stato reso noto a marzo, non è stato riscontrato «alcun legame tra le tecniche di interrogatorio approvate e gli abusi ai danni dei detenuti». L’inchiesta Church è stata stilata senza che un solo detenuto o ex recluso fosse sentito e senza interpellare in materia il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Nessuna inchiesta è stata aperta sull’operato della CIA, le cui attività hanno continuato a essere avvolte nella segretezza.
Nel mese di marzo, l’esercito degli Stati Uniti ha reso noto che 27 decessi in custodia, avvenuti durante operazioni di sicurezza, catture o nel corso della detenzione, erano stati catalogati come omicidi, confermati o sospetti. Alcuni di questi casi erano ancora sotto inchiesta, mentre altri sono stati trasferiti ad altri organi governativi o predisposti per il rinvio a giudizio.
Secondo altre fonti, come i verbali delle indagini, le trascrizioni dei procedimenti giudiziari e i referti delle autopsie hanno fatto emergere con forza come alcuni dei detenuti fossero deceduti in seguito alle torture subite durante gli interrogatori. Sono state riscontrate prove di come ritardi e lacune nelle indagini abbiano ostacolato il perseguimento dei responsabili degli abusi.
A marzo, l’Unione americana per le libertà civili (ACLU) e l’associazione Human Rights First hanno presentato una causa in sede federale per conto di otto uomini che erano stati torturati e maltrattati all’interno di strutture di detenzioni statunitensi in Iraq e Afghanistan. La richiesta di procedimento, ancora in corso a fine anno, chiamava in causa direttamente il segretario Rumsfeld per violazione delle leggi statunitensi e internazionali e richiedeva anche il risarcimento dei danni subiti dalle vittime.
Nel corso dell’anno, sono stati celebrati diversi processi nei confronti di militari statunitensi accusati di abusi sui prigionieri, nella maggioranza dei casi gli imputati erano soldati di grado inferiore. Molti hanno ricevuto condanne che non rispecchiavano la gravità dei reati.
A marzo, il governo ha revocato un documento del Gruppo di lavoro del Pentagono sugli interrogatori dei detenuti del 2003, nel quale si affermava, tra le altre cose, che il presidente aveva l’autorità di ignorare i divieti internazionali contro la tortura nel corso di operazioni militari. A novembre il Pentagono ha approvato una nuova direttiva sugli interrogatori che avrebbe consentito alle forze armate di pubblicare una lungamente attesa revisione del manuale operativo. La direttiva stabilisce che «gli atti di tortura fisica o mentale sono proibiti», ma richiede solo genericamente che i detenuti siano trattati umanamente «in conformità con le leggi e le politiche applicabili». A dicembre l’Esercito ha annunciato che avrebbe stilato un nuovo elenco classificato delle tecniche di interrogatorio ammesse che sarebbe stato allegato al nuovo Manuale operativo dell’Esercito. Nonostante nel manuale siano espressamente vietati durante li interrogatori il ricorso a cani, la privazione del sonno, il denudamento, la costrizione a posizioni da stress per lunghi periodi, permane il timore che nell’elenco classificato siano ancora incluse tecniche equiparabili ad abusi.
A dicembre il Congresso ha approvato una legge che proibisce ogni forma di trattamento crudele, inumano o degradante nei confronti di persone in custodia o sotto il controllo del governo degli Stati Uniti in ogni parte del mondo. Tuttavia, il presidente Bush, nel controfirmare la legge, ha allegato una nota che di fatto conferisce all’esecutivo il diritto di ignorare quanto stabilito dalla legge stessa per motivi di sicurezza nazionale.
Ad agosto e settembre sono stati celebrati i processi davanti a una corte marziale a carico di soldati statunitensi accusati degli abusi nei confronti di due detenuti afghani, Dilawar e Habibullah, che morirono in seguito alle ferite multiple riportate mentre venivano interrogati in celle d’isolamento nella base aerea di Bagram nel dicembre 2002. Alla data di dicembre, sette militari di grado inferiore erano stati condannati a pene variabili dai cinque mesi di carcere alla degradazione, la perdita della paga e il rimprovero. Nessuno di loro è stato ritenuto responsabile di reati gravi come tortura o altri crimini di guerra.

Detenzione di “combattenti nemici” negli Stati Uniti

*Nel mese di novembre Jose Padilla, un cittadino statunitense detenuto in una prigione militare da oltre tre anni senza accusa, è stato formalmente incriminato da un tribunale federale assieme ad altre quattro persone di cospirazione finalizzata all’omicidio di cittadini statunitensi all’estero e di sostegno al terrorismo. I reati contestati non includevano il tentativo di far esplodere una “bomba nucleare sporca” in una città degli Stati Uniti, accusa per la quale era stato originariamente arrestato. Il Dipartimento di giustizia ha chiesto alla Corte d’appello federale l’autorizzazione di trasferire Padilla in una prigione federale, ma la Corte si è espressa in modo contrario e ha emesso un’ordinanza con cui richiedeva al governo e alla difesa di presentare i propri pareri sull’eventuale annullamento di una precedente sentenza della stessa corte che garantiva la facoltà al presidente degli Stati Uniti di detenere indefinitamente Padilla in quanto “combattente nemico”. A fine anno la questione non era ancora stata risolta.

*Ali Saleh Kahlah al-Marri, cittadino del Qatar ha continuato a rimanere in un carcere militare senza accusa né processo perché ritenuto un “combattente nemico”. Ad agosto era stata presentata un’istanza a suo favore in cui si lamentavano i suoi gravi problemi psicofisici causati dal trattamento subito che comprendeva la privazione del sonno e degli stimoli sensoriali, l’incatenamento punitivo, l’esposizione al freddo e l’assistere al vilipendio del Corano.

Prigionieri di coscienza

*A luglio, Kevin Benderman, un sergente dell’esercito degli Stati Uniti, è stato condannato a 15 mesi di reclusione per essersi rifiutato di ritornare in Iraq a causa della sua obiezione di coscienza maturata durante un primo periodo di servizio nel Paese. La sua richiesta di riconoscimento dello status di obiettore di coscienza era stata rifiutata in quanto la sua obiezione non riguardava la guerra in generale, ma una in particolare.

*Camilo Mejia Castillo, Abdullah Webster e Pablo Paredes, tre ex militari imprigionati per obiezione di coscienza al servizio in Iraq, sono stati rilasciati nel corso dell’anno.

Processo a carico di Ahmed Omar Abu Ali

Nel mese di novembre, Ahmed Omar Abu Ali, un cittadino statunitense, è stato riconosciuto colpevole di cospirazione finalizzata a compiere atti di terrorismo. La correttezza del processo è stata inficiata dal fatto che la giuria si era rifiutata di esaminare prove a sostegno delle denunce presentate da Ahmed Abu Ali secondo cui la sua confessione filmata, la principale prova a carico presentata dall’accusa, era stata estorta sotto tortura in Arabia Saudita. Secondo quanto affermato dallo stesso Ahmed Abu Ali, membri dei servizi segreti del ministero degli Interni saudita (al-Mabahith al-Amma) lo avevano frustato e minacciato di morte mentre era trattenuto in incommunicado in Arabia Saudita nel 2003. Nel corso del procedimento, l’accusa si è avvalsa di dichiarazioni riguardanti il trattamento dei detenuti rilasciate da funzionari sauditi allo scopo di confutare le denunce di Ahmed Abu Ali, mentre gli avvocati difensori non hanno potuto presentare alcuna documentazione sul rispetto dei diritti umani e sul ricorso alla tortura in Arabia Saudita.

Maltrattamenti e uso eccessivo della forza

Sono pervenute continue segnalazioni di maltrattamenti e decessi in custodia legati all’utilizzo di taser, dispositivi che impartiscono scosse elettriche in dotazione a oltre 7.000 tra dipartimenti di polizia e istituti di detenzione.
Sessantuno persone sono morte dopo essere state colpite con taser dalla polizia, portando a 142 il numero totale di decessi di questo tipo dal 2001. I medici legali hanno riscontrato che i taser avrebbero direttamente portato o avrebbero contribuito alla morte di almeno 10 persone nel corso dell’anno, facendo così accrescere i timori riguardo alla sicurezza di tali armi.
Secondo quanto riferito, la maggior parte delle vittime erano disarmate e non sembravano porre serie minacce nel momento in cui sono state colpite dalla scossa del taser. In molti casi le scosse impartite sono state multiple o prolungate, atti potenzialmente nocivi come sottolineato anche da uno studio preliminare diffuso nel mese di aprile dal Dipartimento della difesa.
Diversi dipartimenti di polizia hanno sospeso l’uso di taser e altri ne hanno limitato le possibilità di utilizzo. Tuttavia la maggioranza dei reparti delle forze dell’ordine continuano a ricorrere ai taser in un’ampia varietà di circostanze, come ad esempio quando una persona disarmata oppone resistenza all’arresto o si rifiuta di obbedire agli ordini degli agenti. Anche persone con problemi mentali o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, minorenni e anziani sono stati colpiti dalle scosse elettriche di taser.
AI ha rinnovato la richiesta alle autorità degli Stati Uniti di sospendere l’utilizzo e la vendita di taser e di altre armi a scossa elettrica in attesa che venga condotta un’inchiesta indipendente sul loro utilizzo e sui loro effetti.

*A febbraio, in Florida, la polizia ha colpito con un taser una ragazza tredicenne che era venuta alle mani con la propria madre. La ragazzina era ammanettata sui sedili posteriori dell’auto degli agenti quando è stata colpita dalla scarica elettrica.

*Sempre a febbraio, un ragazzo disabile mentale di 14 anni ha avuto un arresto cardiaco dopo essere stato colpito da un taser a Chicago, in Illinois. Il ragazzo era seduto su un divano in una casa di cura e, secondo i poliziotti, avrebbe tentato di alzarsi in piedi «con un atteggiamento aggressivo». I medici che lo hanno soccorso, hanno affermato che le scosse avevano causato una grave alterazione del ritmo cardiaco che avrebbe condotto il ragazzo alla morte se non fosse stato rianimato immediatamente sul posto.

*Il diciassettenne Kevin Omar è entrato in coma dopo essere stato colpito per tre volte con un taser dalla polizia di Waco, in Texas. Il giovane è deceduto due giorni dopo. Gli agenti erano intervenuti poiché il ragazzo, sotto l’effetto di droghe, si stava comportando in maniera bizzarra. Il medico legale ha affermato di ritenere che il taser avesse contribuito al decesso della vittima.

Abusi ai danni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender

Nel mese di settembre la sezione statunitense di AI ha pubblicato un rapporto intitolato Stonewalled: police abuse and misconduct against lesbian, gay, bisexual and transgender people in the United States. Il documento sottolinea come, nonostante vi sia un completo riconoscimento dei diritti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT), molti di loro sono vittime di trattamenti discriminatori e aggressioni fisiche e verbali da parte della polizia. All’interno della comunità LGBT, transgender, persone di colore, giovani, immigrati, senzatetto e lavoratori del mercato del sesso sono tra le persone maggiormente esposte al rischio di abusi. Il rapporto mette in luce anche il fatto che spesso gli agenti non intervengono adeguatamente nei casi di reati motivati dall’odio o di violenza domestica ai danni di lesbiche, gay, bisessuali e transgender.

Pena di morte

Nel corso dell’anno, sono state messe a morte 60 persone, portando il numero complessivo delle esecuzioni a 1.005 da quando queste furono ripristinate nel 1977, al termine di un periodo di moratoria. Due reclusi sono stati rilasciati dal braccio della morte dopo essere stati riconosciuti innocenti. Dal 1973, sono stati 122 gli innocenti liberati dal braccio della morte.
Il 1° marzo, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha vietato le esecuzioni dei condannati che avevano meno di 18 anni al momento del reato, portando gli Stati Uniti in linea con gli standard internazionali in materia. Dal 1977 erano stati messi a morte 22 minorenni al momento del reato.
Sono continuate le esecuzioni di persone affette da malattie e disturbi mentali, di prigionieri a cui era stata negata un’adeguata rappresentanza legale e di persone nei cui casi era stata contestata la regolarità delle prove a carico.

*Troy Kunkle è stato messo a morte il 25 gennaio in Texas, nonostante soffrisse di gravi disturbi mentali, compresa la schizofrenia, i cui relativi referti non erano stati presentati alla giuria che aveva emesso la sentenza di morte. Kunkle aveva da poco compiuto 18 anni all’epoca del reato e nell’infanzia aveva sofferto di abusi e privazioni.

*Frances Newton è stata messa a morte in Texas il 14 settembre nonostante persistessero diversi dubbi sulla fondatezza della sua condanna. La donna era stata riconosciuta colpevole sulla base di prove indiziarie e si era sempre proclamata innocente.

L’uragano Katrina

Nel mese di agosto, l’uragano Katrina ha devastato la Louisiana uccidendo più di 1.000 persone e lasciandone altre centinaia di migliaia senza casa, accampate in luoghi di fortuna senza cibo, acqua pulita e cure mediche. Il disastro umanitario ha suscitato ira nell’opinione pubblica per l’operato del governo federale, accusato di aver risposto all’emergenza in modo lento.
Secondo le denunce, decine di detenuti della prigione municipale di New Orleans sono stati abbandonati dalle guardie dopo l’uragano. Secondo quanto riportato, i prigionieri sono rimasti rinchiusi nelle celle per giorni senza cibo né acqua, mentre il livello dell’inondazione stava crescendo. Secondo alcune notizie, negate dalle autorità della Louisiana, alcuni reclusi sarebbero affogati. AI ha sollecitato l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto e sulle denunce riguardanti possibili maltrattamenti avvenuti nel corso dell’evacuazione dei detenuti, richiedendo alle autorità di rendere conto di ogni prigioniero.

Altre preoccupazioni

Nel mese di ottobre AI e Human Rights Watch hanno pubblicato uno studio congiunto intitolato The Rest of Their Lives: Life without Parole for Child Offenders in the United States nel quale viene messo in luce come negli Stati Uniti almeno 2.225 minorenni al momento del reato stiano scontando condanne all’ergastolo senza possibilità di essere scarcerati sulla parola. Condanne di questo tipo riguardanti minorenni sono vietate dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia, firmata, ma non ratificata dagli Stati Uniti. Nei casi esaminati nel rapporto, il 16% degli imputati aveva un’età compresa tra 13 e 15 anni al momento del reato e per il 59% si trattava della prima condanna. Molti sono stati condannati per aver preso parte a un crimine conclusosi con un omicidio, ma in assenza di prove dirette del loro coinvolgimento nello stesso. Il rapporto ha sollecitato le autorità statunitensi a impedire le sentenze a vita senza libertà sulla parola per i minorenni e a consentire ai minorenni che stanno scontando pene di questo genere l’accesso immediato alle procedure legali per ottenere il rilascio sulla parola.
Nel mese di luglio Daniel Strauss e Shanti Sellz, due volontari dell’associazione No More Deaths, sono stati fermati da una pattuglia della guardia di confine mentre stavano prestando aiuto nel deserto dell’Arizona a tre migranti messicani che necessitavano di cure mediche urgenti. Gli attivisti sono stati accusati di reati collegati all’immigrazione clandestina passibili fino a 15 ani di carcere. Ogni anno centinaia di migranti irregolari o privi di documenti perdono la vita nel deserto cercando di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti, soprattutto a causa delle elevate temperature che in Arizona arrivano ai massimi livelli proprio nel mese di luglio. AI ha chiesto che le accuse fossero archiviate in quanto i volontari non stavano aiutando gli immigrati a eludere i controlli, ma cercavano unicamente di salvare loro la vita.