di Daniela Bandini

babbonatale.jpgBabbo Natale – dove si racconta come la Coca-Vola ha plasmato il nostro immaginario — Nicola Lagioia, Fazi Editore, €13,00.

nicola_lagioia.jpgNicola Lagioia è uno scrittore di romanzi, ma stavolta si cimenta in questo interessantissimo saggio, che parla delle origine e degli sviluppi della Coca-Cola, di un fenomeno che da industriale è divenuto immaginario di massa, passando per tutte le peripezie che ciò ha comportato. E Babbo Natale? Per cortesia, non toccateci almeno Babbo Natale, di questi tempi cupi, cupissimi di ora in ora in un crescendo esponenziale, non toccateci il mistero della fede dell’aspettativa della notte di Natale, dell’infanzia nostra o dei nostri figli, una delle poche cose che sappiamo con certezza di aver tramandato, e della quale non ci pentiamo. E invece, putroppo c’entrano, e moltissimo, e corredato da splendide stampe d’epoca, Lagioia ne ripercorre le tappe. Ma in fondo cosa abbiamo da rimproverare alla Coca-Cola?

Ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, la spiaggia del primo turismo di massa e delle seconde case degli anni ’60, le madri preoccupate perché la Coca faceva innervosire i bambini, quelle bottigliette così fredde quasi ghiacciate, dava a noi preadolescenti la sensazione di appartenere finalmente al mondo dei grandi, quella bibita accomunava, dava appartenenza, non era il mefitico alcool dal quale stare alla larga, c’era l’America, intera, in quella bottiglietta. L’America anticonvenzionale del movimento hippy, quella delle marce per i diritti dei neri, quella di Malcolm X e Martin Luther King, quella del rock. Qualsiasi immagine era provvida, purchè facesse vendere, così, slegata dall’establishment, accontentava tutti perché la filosofia della Coca- Cola era ed è sempre stata questa: che ognuno ci trovasse dentro quello che voleva, purché la bevesse…
Ripercorriamo con l’autore tutte le reincarnazioni di Babbo Natale, dalle feriae pagane ai saturnali, da San Nicola a Wehnachtsmann a Sinterkaes, e non ci scandalizziamo, ma è bene sapere l’origine, del come e quando la Coca- Cola assunse come testimonial proprio Babbo Natale. E questo saggio lo spiega bene.
Pensate che nella Francia del 1951, la chiesa protestante di Digione fece radunare i fedeli al cancello principale della cattedrale, “impiccato” un pupazzo con le fattezze di Babbo Natale e fatto bruciare come eretico. Al termine dell’esecuzione venne letto questo comunicato: “In rappresentanza di tutte le famiglie cristiane della parrocchia desiderose di lottare contro la menzogna, duecentocinquanta bambini… hanno bruciato Babbo Natale… Non si è trattato di un atto simbolico. Babbo Natale è stato sacrificato in olocausto. La sua menzogna non risveglia nei bambini alcun sentimento religioso e non può considerarsi in nessun caso educativo. Per noi cristiani la festa del Natale è e deve rimanere la ricorrenza che celebra la nascita del Salvatore”. Altro parallelismo tra i due fenomeni: l’Europa ostentava diffidenza all’ ingresso così massiccio e capillare della Coca. Le Monde, ad esempio, “denunciava i pericoli che la Coca-Cola poteva rappresentare per la civiltà francese”, mentre una schiera di leggende metropolitane tentavano inutilmente di rallentarne la diffusione.
Tra le più curiose, la voce che negli stabilimenti di Lambach in Austria si nascondesse un arsenale nucleare degli Stati Uniti, che l’assunzione della bevanda facesse venire i capelli bianchi, che provocasse violente coliti, tanto che Alexander Makinsky, uomo chiave della compagnia, arrivò a dire che “per misurare i rapporti tra Stati Uniti e resto del mondo era sufficiente misurare il tasso di gradi gradimento della Coke in terra straniera”. A Cipro “sfregiarono”con falce e martello alcune insegne della bibita, in Germania apparvero pamphlet diffamatori, uno dei quali intitolato “Coca-Cola, Karl Marx e l’imbecillità delle masse. Nelle Filippine si diffuse la voce che “la Coca-Cola faceva cadere i denti, in Egitto alcuni integralisti islamici cercarono di far crollare le vendite della bibita dichiarando che tra i suoi ingredienti c’era sangue di maiale. In Giappone si riteneva che la Coca-Cola potesse rendere sterili le donne, mentre in Brasile venne accusata di provocare l’impotenza maschile e favorire i processi tumorali”.
Ma fu la seconda guerra mondiale la vera arma vincente della Coca-Cola, il suo definitivo, grande lancio, e ciò che la assocerà per sempre al simbolismo del capitalismo vincente. Si racconta che fu lo stesso Eisenhower che, nel giugno del ’43 inviò un cablogramma urgente in cui chiedeva “L’imbarco di 3 milioni di Coca-Cola imbottigliate (piene) e attrezzatura completa per l’imbottigliamento, lavaggio, tappatura; stessa quantità due volte al mese”. Ma furono gli olandesi coloro che, inconsapevolmente, riuscirono a conciliare, anzi a rendere l’uno diretto pubblicitario dell’altro, il matrimonio d’interessi tra lei, la Coca-Cola, e lui, Babbo Natale. Entrambi provvisti di notevole dote personale, questo sodalizio economico-mediatico si rivelò imbattibile. Sta di fatto che gli olandesi portarono negli States ciò che restava loro del culto di Mira e cominciarono a venire importati i cosiddetti “biscotti di San Nicola”, pregevoli biscotti raffiguranti la sagoma del santo, il cui consumo era legato al periodo tra natale e capodanno.
Così cominciò lo scambio di doni, largamente diffuso nella comunità di Manhattan, originariamente di natura alimentare. E da lì il business, i legami tra società che fiutarono l’affare del secolo, i legami ideologico-pubblicitari, Il Prodotto per antonomasia, non Chanel n°5, né il visone, ma una bottiglietta, una lattina alla portata di tutti, ecco La vera rivoluzione. Con pochi cent aderire e rappresentare senza sforzi tutta la campagna ideologica del modernismo e dell’efficienza, degli ideali di libertà e di autonomia, il gesto dell’adolescente come quello del soldato, del manovale che lavora sulle impalcature come dell’operaio in fabbrica. Il Prodotto transculturale e multirazziale, proletario, portato a cavallo di una slitta da un simpatico ed irresistibile Babbo Natale già cittadino USA, che elargisce doni e per una notte, una notte che si sogna tutto l’anno, elargisce doni ed immortalità per il solo fatto di aver condiviso quel sogno.