Sguardo sull’Occidente a dieci anni dalla scomparsa di E. M. Cioran

di Jedel Andreetto

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Le mie preferenze: l’età delle Caverne e il secolo dei Lumi. Però non dimentico che le grotte sono andate a sfociare nella Storia, e i salotti nella Ghigliottina. (Il funesto demiurgo)

Sono passati dieci anni esatti dalla scomparsa di Emile Michel Cioran, Il pensatore privato amico di Beckett, Eliade, Ceronetti, Savater, Ionescu… Rumeno di nascita, parigino per languore e apolide per scelta, dalle finestre della sua mansarda di rue de l’Odéon non ha mai smesso di osservare il mondo con sguardo beffardo e tormentato. Personaggio scomodo, più volte accusato dalla sinistra di essere un mediocre reazionario, più volte preso dalla destra come improbabile modello intellettuale.

Ma di questo, Cioran non si curava e non possiamo fare a meno di immaginarlo sorridere in una delle sue tante notti insonni al pensiero che qualcuno potesse aver perso anche l’ultimo brandello di lucidità. Questo suo restarsene in disparte lo accompagnerà anche dopo la sua dipartita: in pochi si sono interessati al suo pensiero, e di questo ne sarebbe orgoglioso, ma andando a rileggere le pagine scritte tra gli anni ’30 e i ’90 non possiamo non sorprenderci se ritroviamo uno degli specchi più impietosi e affilati della contemporaneità.

1. Il regno dell’anomalia.

Provvidenza.

Mai l’ordine è […] più tangibile di quando l’azione superiore si sostituisce a quella dell’uomo e agisce da sola: “è quello che vediamo in questo momento.” (Saggio sul pensiero reazionario, in Esercizi di ammirazione.)
Nelle epoche in cui si prende atto e coscienza dell’inutilità e inconsistenza delle nostre iniziative accomuniamo il destino o alla Provvidenza, quale maschera rasserenante del fato, distorsione del fallimento, confessione di incapacità di organizzare il divenire ma intenzione di decriptarne il senso di scoprirne le linee sostanziali, oppure a un ingranaggio meccanico, automatico e generico che regola il nostro agire e le nostre credenze. Ma per quanto questo gioco di forze sia impersonale e meccanico lo rivestiamo, nonostante tutto, di illusioni che esso stesso escluderebbe convertendolo, trasformando dei concetti in agenti universali, in una potenza morale, in grado di dominare e dirigere gli eventi. Il positivismo per esempio mutava l’avvenire, quasi religiosamente, in una sorta di Provvidenza conferendogli la stessa portata ed efficacia di quest’ultima. Non appena il nostro pensiero si sforzi di concepire un’immagine coerente dell’universo, infatti nelle nostre spiegazioni si infiltra una, se pur piccola, dose di teologia. Dando alla storia un significato, anche se proveniente da una logica inerente al divenire, si aderirebbe a una forma più o meno chiara di Provvidenza. Diversi pensatori (tra cui Marx, Hegel e Bossuet), per il fatto stesso di conferire un senso agli avvenimenti, sono accomunati allora tra loro nonostante le differenze, dato che la cosa essenziale non è la definizione di tale senso, ma il fatto stesso di postularlo e di ricorrervi.
Il passaggio da una concezione metafisica o teologica al materialismo storico non è altro che un cambio di tipologia di provvidenzialismo. Guardando oltre il contenuto peculiare di ogni ideologia o dottrina, potremmo osservare che fare affidamento a una piuttosto che a un’altra non comporta affatto un qualche dispendio di sagacità. Chi aderisce a un partito non differisce da chi aderisce a un altro. Operando una scelta entrambi, in fondo, non fanno altro che convergere l’uno verso l’altro, le loro diversità sono solo apparenti. Ogni presa di posizione non è altro che un allontanamento dalla verità in quanto essa non consiste nella scelta. Nessuno sfugge però a questo stato. L’epoché è pressoché impensabile. Chiunque opta per una non – realtà, per un’illusione, un errore da convinto coatto. La nostra è una malattia di cui assenso e adesione sono prodromi e sintomi. Identificarsi con con una cosa qualsiasi rende esplicita questa nostra infermità. La salvezza può trovarsi solo nell’essere puro, nel vuoto.
Per poter conoscere i danni riportati da un’epoca colpita dalla Provvidenza bisognerebbe osservare da vicino la veemenza con cui i credenti, si siano adoperati a giustificare, i progetti, le intenzioni e la condotta della divinità. Si tratta di periodi storici in cui per far riconoscere agli uomini gli effetti della bontà divina, si ricorreva al concorso della fede, dell’illusione e del sofisma: una lotta senza tregua contro l’evidenza costringendo l’intelletto a piegarsi davanti ai miraggi: La giustificazione della Provvidenza è il donchisciottismo della teologia. (Esercizi di ammirazione)

Giano bifronte.

Ogni movimento rivoluzionario, nel momento in cui raggiunge il suo fine e lo realizza attraverso lo Stato, cade irrimediabilmente verso l’automatismo delle istituzioni che lo hanno preceduto indossando i panni della tradizione. Più esso assume un confine ben definito più perde slancio e le idee di conseguenza vedranno allora diminuire la loro efficacia nel venire messe in atto. Superata la virtualità il pensiero si elide reciprocamente con l’azione. Entrambi vengono sostituiti dal sistema e dal potere, manifestazioni di sterilità e decadimento: La libertà fiorisce meglio tra leggi cattive che tra leggi nuove. (Nicolás G. Dávila, In margine a un testo implicito)
Tutte le rivoluzioni, hanno un minimo comun denominatore che le accomuna: la disillusione che insinuano in tutti quelli che hanno confidato con fervore. Il cambiamento essenziale e profondo della realtà umana non è concepibile se non in se stesso e come irrealizzabile nei fatti. Bisognerebbe per portarlo a compimento respingere in toto l’atto, che quale prefigurazione di possibile avvenimento, di rottura significa rifare. Il rivoluzionario, in fin dei conti trasfigura in questo modo il presente in cui si insedia e che vorrebbe rendere eterno. Presto però il suo presente diventerà passato (Tempus esse, nisi quia tendit non esse, Agostino d’Ippona, Confessioni) ed egli ancorandosi a esso assomiglierà sempre più a un conservatore. Il dramma della dimensione politica risiede nel fatto in ogni movimento è presente una spinta nascosta alla negazione di se stesso, al tradimento delle proprie ispirazioni e a tendere alla corruzione che avanza di pari passo con il proprio avanzamento e la propria affermazione. Questo dipenderebbe dal fatto che secondo Cioran, ci si può realizzare solo sulla propria rovina.
Il motore delle rivoluzioni è quello di riuscire a dare un significato alla storia, un significato che secondo la reazione gli è già stato conferito e che occorre difendere e a cui bisogna sottomettersi. Una rivoluzione vincitrice affermerà esattamente lo stesso, cosicché l’intolleranza deriva da un’ipotesi degradata a certezza e imposta come tale da un regime, da un’illusione trasformata in verità.
L’unica rivoluzione, l’unico sconvolgimento che mi interessa, e che a dire il vero capisco, è l’Apocalisse; Una mutazione sociale non è sufficientemente importante (Quaderni)
Tutte le dottrine contengono un disastro in nuce e visto che lo spirito è costruttivo solo per distrazione, l’incontro dell’uomo con l’idea comporta quasi ogni volta risultati devastanti e funesti. I reazionari, convinti che le riforme siano futili e che il “meglio” sia solo vanità se non eresia, vorrebbero evitare all’umanità le fatiche e il dolore della speranza, le ansie di una ricerca insensata. Le suggeriscono di accontentarsi e di lasciarsi andare placidamente alla stagnazione per poi ingiungerle di preferire e scegliere tra l’istinto di conservazione e il gusto per il tragico (Esercizi di ammirazione)
Ma è proprio questo che respinge l’uomo aperto a tutte le possibilità di scelta ed è in questo suo rigetto, che consiste il consumarsi del suo dramma, egli infatti, è di volta in volta animale rivoluzionario e reazionario. Per quanto instabile sia il confine tra il primo e il secondo, ai fini della considerazione del fenomeno storico politico, bisogna serbarlo come riferimento problematico e imprescindibile anche se si presenta come una convenzione sospetta e immobilizzante. Si tratta di compiere delle approssimazioni di cui non si può fare a meno, non ricorrervi rappresenterebbe una rinuncia alla presa di posizione, una sospensione del giudizio in ambito politico, liberarsi per sempre dalla servitù della durata, pretendere un’elevazione dell’uomo all’assoluto trasformandolo unicamente in animale metafisico. Ma solo pochi sono in grado di portare a termine un tale vertiginoso salto che porti oltre la realtà da dormienti in cui siamo immersi. Siamo tutti in uno stato di intorpidimento che per paradosso porta all’azione. Procediamo allora, facendo finta di niente, perpetrando le distinzioni classiche, contenti di ignorare che i valori che nel tempo e nella storia sono emersi, sono assolutamente intercambiabili.
Tutte le motivazioni che spingono la politica a costruire concetti e categorie sono diverse da quelle adottate da una disciplina teorica. Nonostante esse possano sembrare in entrambi i casi affatto contingenti, quelle del primo celano realtà più spregevoli. Le dottrine d’azione, e di lotta, con i loro sistemi, schemi e apparati trovano la loro raison d’être nel tentativo di dare agli uomini una coscienza tranquilla che permetta loro di odiarsi senza rimorso o intralcio. Allo spirito libero, ribelle alla farsa delle ideologie ma sottomesso al tempo, non rimarrebbe, allora, altro che scegliere tra disperazione e opportunismo. Che si ispirino alla reazione o all’utopia, tutti gli assolutismi sono simili. A prescindere dal loro statuto dottrinale, che li rende eterogenei superficialmente, mostrano uno schema uguale e uno stesso procedimento logico, tipica manifestazione di ogni sistema che non soddisfatto di stabilire un principio incondizionato lo trasforma in regola.
Teorie diverse ma sostanzialmente analoghe hanno alla base della loro elaborazione un identico modo di pensare: Le dottrine dell’Unità, poi, sono così apparentate che studiarne una qualsiasi significa meditare contemporaneamente su tutti i regimi che, rifiutando la diversità in teoria e in pratica, negano all’uomo il diritto all’eresia, alla singolarità o al dubbio (Sommario di decomposizione) L’unità può presentarsi sotto un duplice aspetto: metafisico e storico. Unità al livello eterno e unità al livello temporale quindi. La prima ci supera e sfugge alle nostre possibilità di controllo; della seconda ci si può formare una figura e discuterne anche se ci sembra illusoria e induce al dubbio. Al giorno d’oggi non si riesce a trovare nessuna idea religiosa o metafisica che riesca a portare a compimento un’unificazione spirituale o politica del mondo. Il cristianesimo è ormai bolso per riuscire a sedurre e controllare gli animi, dovrà essere un’ideologia o un conquistatore a cimentarsi in tale impresa. Che un simile compito spetti al marxismo o a una tirannia di nuovo tipo o forse a entrambi?
Un simile sincretismo sembrerebbe improbabile se non sconcertante al lume della ragione ma non per la storia, regno dell’anomalia (Sommario di decomposizione)

(1-CONTINUA)