di Chiara Cretella

Birraperon.jpg
Ditemi come si fa a vivere tutta la vita in questa città.
Perché rimango a Bologna?
Questa è la città dove non posso più bere una birra in piazza dopo le nove di sera.
Perché rimango in questa città?
Questa è la città dove una stanza singola arriva a costare 500 euro e dove l’aria è ormai catrame. Perché rimango a Bologna?
Questa è la città dove senza una busta paga e una fideiussione bancaria non ti affittano una casa. Dove possono permettersi di chiederti di dichiarare che non farai figli, per lasciare libero presto l’appartamento. Dove ti dicono che non affittano a stranieri, no a studenti, e se siete una coppia dovete essere sposati. Dove per chiederti affitti da 1000 euro si permettono di guardarti in camera da letto.
Io non ho intenzione di sposarmi.
Mi fanno orrore il sempre e il mai.


Perché rimango a Bologna?
Perché questa è la città dove ho imparato a chiamare la persona che amo il mio “compagno”.
Perché rimango a Bologna?
Perché sento che qualcosa sta cambiando.
Non so dirlo, a volte le cose si avvertono nell’aria. Probabilmente è il malcontento diffuso e generalizzato dovuto all’impoverimento progressivo di larghe fasce sociali. Oppure è quest’aria ormai irrespirabile che sembra dirci di riprenderci con le mani e con le gambe i portici e le piazze.
Quello che mi ha colpito a Genova è stata la velocità della protesta. Durante il nostro corteo, alcuni ragazzi hanno tracciato scritte sui muri di una grande catena di Hotel.
Dopo aver fronteggiato, sul limitare della zona rossa, le corazze lucenti dei poliziotti-scarafaggi, siamo tornati indietro facendo il cammino a ritroso. Scendeva un tramonto rosa su un grande viale asfaltato, senza un albero all’orizzonte. Due portieri extra-comunitari stavano coprendo di vernice le scritte tracciate poco prima.
“Siamo durati meno di quindici minuti” ho pensato guardando quelle mani obbligate a coprire una riflessione sullo sfruttamento che sicuramente condividevano.
Così a Bologna, ogni giorno, compaiono scritte in vari angoli di Via Zamboni: LIBERI TUTTI — SIAMO TUTTI SOVVERSIVI oppure appuntamenti collettivi: DOMANI ORE 13 AUTORIDUZIONE IN MENSA.
Queste frasi parlano a tutti, la loro comunicabilità investe ogni persona che passa, senza distinzione. Hanno qualcosa di arcaico e straordinario, e la pula sembra averlo capito, perché le fa pazientemente coprire di vernice ogni sera. Persino gli annunci di case durano di più. Ma questi non parlano al cuore degli altri, né alla loro felicità.
Una volta ogni sei mesi, credo, gli attacchini scrostano le colonne di Via Zamboni. È una scena surreale e ridicola insieme. Con i loro raschietti gli operai cercano di grattare via sedimentazioni secolari di carta, colla e nastro adesivo. E per quanto? Il tempo di una notte. Questa editoria ambulante ed abusiva, variegata come una ragnatela, spunta il giorno dopo sugli alberi di mattoni, come foglie a primavera.
Ecco perché gli operai sono surreali. Combattono contro i mulini a vento.
È la stessa cosa per le urla riscritte ogni notte sui muri di Via Zamboni 25, 33, 35, 38… parole cresciute rigogliose nella luce lunare proprio sotto il vigile occhio meccanico di una telecamera.
Sentire urlare nel silenzio è sorprendente quasi quanto è angosciante questa città da quando è sorvegliata da un Grande Fratello di centinaia di telecamere. Cambi la percezione del movimento, parli a bassa voce delle cose che più ti stanno a cuore e rifletti sempre di più prima di imboccare un senso che potrebbe essere unico.
Eppure c’è qualcosa che resiste, aggrappata con le mani e con le unghie alla tua gonna che spolvera la strada.
Questi funghi miracolosi sono solo l’inizio di un processo collettivo di presa di coscienza che può partire da queste aule, dal precariato intellettuale che, grazie alla Moratti, si avvia alla più grossa inculata degli ultimi decenni.
Sulle scritte dei muri non si può mettere il copyright, anche se alcuni sono riusciti a sfruttare anche queste. Sui graffiti spettacolari che coprono l’Ex mercato 24 e varie parti della città non si può mettere il copyright. E c’è qualcuno, in Comune, che si permette di cancellare queste opere d’arte che nascono dal nulla di una notte fumosa, e non chiedono altro che essere ammirate. Esprimono il conflitto e il disagio nelle loro anatomie crude e nei loro colori densi di smog.
Ma questi manichini silenziosi parlano e, soprattutto, non chiedono denaro. Tutto questo una giunta sedicente di sinistra non lo riesce a sopportare. Che ci sia qualcosa di comune, di libero e di condiviso li imbarazza. Sono parole da campagna elettorale. Il resto è destra.
Perché un’amministrazione dovrebbe sapere cosa deturpa e cosa rende bella una città? Perché si permette di coprire interi palazzi di modelle nude e cancella la pittura rupestre di una mano capace di disegnare i sogni, gli incubi e i desideri del ventre cittadino?
Pensavo alla Scritta invincibile di Brecht. E ora levate il muro! Disse il soldato.
Qualche giorno fa, di fronte a quel manipolo di studenti che ha recintato con delle grate Piazza Verdi asserragliandovisi dentro, mi sono commossa. QUESTA PIAZZA È NOSTRA gridavano in un megafono mal funzionante, cercando di coinvolgere orde di matricole distratte. A onor del vero non è stata una gran mossa strategica chiudersi dentro la piazza col bunker della polizia e le bancarelle del mercatino vintage, incazzatissime per le vendite mancate.
Non ci sono più le colonne istoriate di Pomodoro, no, e non c’è più il bunker di Autonomia. Il giorno che quelle saracinesche hanno aperto mostrando la lucente sede della Polizia Municipale, ho sentito dentro lacerarsi una ferita. Ci chiamano provocatori ma cos’è questa se non un’offesa ad un intero movimento che ha visto in quelle quattro mura un rifugio ed una speranza?
E sabato, di fronte a Palazzo D’Accursio, insieme a centinaia di persone, urlavo la mia rabbia contro chi sfrutta e calpesta questa città.
Ero incazzata con tutti, perché sperare nella politica dell’accomodamento? Perché stupirsi ora, ora che il corteo grida all’unisono in Via Indipendenza: BERLUSCONI-COFFERATI MERDA!
L’equazione dell’arresa al meno peggio è sempre fallimentare.
Questo pensavo avviandomi tra i corridoi del Sant’Orsola per passare una notte in ospedale. Prestazione assistenziale a pagamento.
Sempre meglio che una notte in galera.
Passerò una giornata in fila in posta. Sempre meglio che in galera.
Passerò per le strade rumorose e non troverò parcheggio.
Tutto questo è meglio di quello che stanno subendo questi ragazzi arrestati.
Occupare è reato.
Non è reato invece, per i proprietari di case, esigere affitti in nero, anche quando ufficialmente sfruttano i nuovi canoni concordati per pagare meno tasse ed intascare il doppio brevi manu.
Masterizzare un Cd è reato.
Però non è reato che la moglie del Prof. ti firmi il libretto perché lui non viene da mesi, e lei lo sostituisce.
Fare fotocopie di un libro è reato.
Non è reato che i Prof. firmino i libri per costringere gli studenti a comprarne una copia ciascuno. Occupare un’aula universitaria è reato.
Non è reato sedersi per terra incastrati tra mille piedi, senza uscite di sicurezza, in aule sporche con le sedie rotte, dove non c’è posto per tutti e senti i topi correre sopra il controsoffitto.
In una città dove per lavorare bisogna iscriversi ad un partito, fare campagna elettorale, prostituirsi intellettualmente, io, non posso che essere disoccupata.
Intenta ad occupare le strade di sogni.

APPENDICE. DA BOLOGNA: APPELLO PER UNA DEMOCRAZIA REALE

Da alcuni anni il mondo è attraversato da movimenti sociali
e politici tra loro differenti per linguaggi, biografie politiche,
tipologie di intervento. Essi sono un´occasione straordinaria
di rinascita culturale e politica per permettere un cambiamento
reale in direzione della democrazia e della giustizia sociale.
Anche a Bologna così come a Genova, a Davos, a Roma, a
Londra e Parigi, i movimenti hanno camminato e denunciato
con forza le politiche neoliberiste e vessatorie decise nei vertici
dei grandi della terra e, nonostante tutto, continuano a credere
che le cose vadano cambiate. In questa città, in questo territorio,
troppo spesso sopito all´interno delle forme storiche della sinistra,
abbiamo creduto che nuove forme della politica, della condivisione
e della partecipazione fossero possibili e perseguibili.
Le pratiche sociali di lotta alla precarietà, di richiesta di reddito,
le campagne in difesa dell´ambiente e della qualità della vita,
le inziative in favore della libertà dei saperi, di messa in
discussione del copyright, gli spazi sociali autogestiti e il
sindacalismo diffuso ci sembrano una ricchezza ed una
opportunità per progettare dal basso, in forma radicale ed
innovativa, l´abitare ed il vivere nelle nostre città.
Vogliamo ribadire che cittadinanza non significa sudditanza,
che partecipazione non è plebiscitarismo, che la disobbedienza
civile è il sale della democrazia e che la legalità costituita se
non è giustizia reale diventa solo una morsa per stritolare
le libertà personali e il dissenso.
Non vorremmo che le azzardate costruzioni repressive delle
Magistrature inquirenti, volte a carcerizzare gli attivisti dei
movimenti, così come è avvenuto a Bologna nei confronti
dei tre ragazzi arrestati per aver promosso iniziative pubbliche
preparatorie
alla giornata europea del precariato, fossero la
risposta all´incapacità del mondo politico di assolvere alle
speranze che questi movimenti hanno invece saputo coagulare.
Vorremmo che il protagonismo sociale non fosse colpito da
iniziative giudiziarie il cui esito, costruito con forzate ipotesi
eversive, sfocia nella messa alla sbarra degli attivisti dei
movimenti.
Vorremmo, infine, che le nostre città aprissero tutti gli
infiniti spazi di progettazione, sperimentazione, liberazione
di cui sentiamo sempre più bisogno e che ci sembrano sempre
più distanti.
Un bel segnale sarebbe la liberazione immediata senza se
e senza ma di Vittorio, Carmine e Fabiano.

Per aderire rispondere direttamente alla mail con la firma oppure
telefonare a
Carlo 338.9447794.
carlobtt@katamail.com