di Giuseppe Genna

Non so se ve ne siete accorti, ma so che se non ve ne siete accorti siete come il Dustin Hoffman di Rain Man: autistici sganciati dalla realtà. E’ in atto da settimane un’esplosione di nucleo psicotico collettivo, che condiziona le semivite degli italiani, compulsivamente dediti ad accogliere in se stessi il messaggio di un ministro che vieta il fumo e si propone di “misurare la pancia agli italiani”. Sono vicende grottesche che fanno il paio con le adunate di puberi paraciellini neoconservatori in Usa, milioni di giovani che ritengono significativo sacrificare l’imene e il prepuzio in un momento opportuno e prestabilito dell’esistenza.
Un’ideologia neopuritana si segnala in atto, nell’occidente che si autoproclama liberale, un movimento ben noto agli annali delle tragedie storiche: sostituzione della forza morale (cioè della potenza dei possibili umani) con un sistema morale, nello specifico di carattere igienico. Quando ciò succede, si stanno preparando olocausti. Tranquilli, però: non è il caso di oggi – l’olocausto non si sta annunciando, lo stanno già perpetrando un po’ ovunque, tranne che sotto casa vostra.
Ciò che denuncio è che dietro il divieto al fumo in locali pubblici si agita un moloch ingovernabile e antiumano: la devastazione di voi stessi, fumatori o non fumatori che siate.

Non è questione di educazione e non desidero limitare il discorso a dipanare un dubbio amleticamente cretino come quello che piazza, al posto del teschio, una sigaretta da accendersi in presenza di convitati, di pietra o meno. E’ sempre valso in queste occasioni urbane e conviviali un buonsenso umano, popolare, una considerazione dell’etichetta, questo reperto di una civiltà sepolta, di cui si vorrebbe dimenticare la tomba. Non c’erano normative da conclamare: il buonsenso e l’educazione sono forze psichiche ben più potenti dei codici giurisprudenziali.
Il ragionamento pretende quindi di essere più ampio. E’ un ragionamento sull’inoculazione di dosi massicce di proibizionismo nel contesto sociale occidentale.
Ho una posizione che reclamo come personalissima intorno alla faccenda del proibizionismo. Non essendo mai stato un frequentatore assiduo dei centri sociali, da giovane mi domandavo il perché di un’insistenza tanto ossessiva a proposito del consumo di gangia. Perché alienare ogni possibilità di incontro mediante la compulsione a celebrare una supposta libertà di fumarsi quel che si desidera? I miei coetanei mi parevano i servi utili del potere: c’era da discutere di tutto, delle imposizioni ben più raffinate che un potere sempre più disumano andava elaborando, e questi miei simili trascorrevano il tempo a bere cocktail celebrando l’inseminazione di vasetti di terra e ululando alla libertà. Libertà da cosa? Libertà per cosa? La libertà di fumarmi uno spinello potevo benissimo prendermela. Non ho difficoltà a considerarmi eventualmente un teppista. Non mi pareva opportuna una battaglia politica così condotta. Mi sembrava che, a forza di trascinarsi avanti con questo antiproibizionismo sbandierato male, le menti si sarebbero infragilite per assenza di discussione su tematiche ben più decisive. La militanza contro il proibizionismo non si può agire conferendo legittimità di interlocuzione al proibizionismo. Questa ingenuità politica mi sembrava, e del resto mi sembra tuttora, un segno dei tempi: tempi poveri. Poveri di cosa? Di creatività. Di deriva.
Anche il discorso sulle moltitudini supposte mi pareva ingenuo: il potere andava frammentando, dividendo, colpiva la sostanza stessa delle moltitudini, che è il conscio/inconscio collettivo, lo psichismo generalizzato, sognando e imponendo una società termitaio che nulla aveva a che spartire col vecchio borghesariato. Si delineava (sto parlando degli Ottanta/Novanta) una società non neoborghese, bensì neolumpen. Si profilava un orizzonte di sottocultura generalizzata. Però, come detto, queste erano e sono impressioni personali.
L’esplosione imbecille che si misura in questi giorni in ogni bar e ristorante e casa privata è un fumus: persecutorio. Persecutorio di chi? Dell’idea stessa di uomo. Come dicevo, non è qui questione delle eventuali cellule metastatiche in sede polmonare: chi qui scrive è un accanito fumatore, quasi un chain smoker. Il problema ben più profondo che si sta delineando ai nostri occhi è un altro: l’idea di una vita igienizzata è totalmente irrealistica, nel momento in cui si vive sotto quello che Antonio Moresco emblematizza come “il cielo di merda”, mentre emissioni gassose di ben altro spessore vanno a infestare non un bar ma l’intero pianeta, mentre schizza a livelli mai visti il consumo di psicofarmaci di terza generazione e tra poco di quarta, mentre le percentuali di sostanze tossiche che si sorbiscono bevendo un sorso d’acqua da un rubinetto di città sono tacitamente al di là di ogni norma salutare, mentre i crittogamici intridono le bucce delle mele di serra rivendute insipide nei supermarket, mentre il radon vagola per l’aere nettato dai nicotinici nelle casette da neoproletari di tutti noi, mentre i potentati nicchiano davanti ai protocolli ambientali, mentre le medesime società che enunciano principi fintamente salutistici vanno a sterminare popoli e a spargere sangue e indegnità.
Quando si afferma che si vive, qui e ora, in una società ipocrita, varrà la pena di dire a quale ipocrisia ci si riferisce e a cosa essa risulti congeniale.
Quest’ondata di psichismo impazzito, che fa impennare le vendite di nicorette e cerottini, si prepara ad accogliere, per fare un unico esempio sintomatico, la proposta urlata in prima pagina da Vittorino Andreoli su il Giorno di giovedì 20 gennaio: riaprire i manicomi, abolire la 180. Lo scandalo che il reazionariato attuale pompa riguardo ai cosiddetti omicidi all’interno delle mura di casa è puramente retorico e omogeneo a una logica proibizionista e nazisticamente igienista, esattamente come nel caso del fumo. L’argomento è diverso, la sostanza è la medesima e lo schema retorico pure. Il sillogismo dello psichiatra Andreoli, a cui intimerei davvero nazisticamente il taglio di quei capelli antiestetici, è folle: i manicomi sono stati chiusi e quindi aumentano i casi di mass murder domestici. Ergo: la 180 va abolita, è frutto di un periodo ideologico. Come se questo non fosse un periodo ideologico. Lo è e lo è ben più pesantemente di altri tempi trascorsi, solo che non dichiara la sua aggressiva identità ideologica: si limita a imporla con campagne retoriche a cui la psiche collettiva non è in grado di reagire. Gli omicidi di Alleghe c’erano anche quando i manicomi erano aperti e chiusi alla pubblica opinione: ma importa più la visibilità odierna, scandalistica, immorale. Tutto è malattia: il lotto, il fumo, l’alcol, la droga, i farmaci, i giocattoli prodotti in Cina, il latte della mucca. Affermare che tutto è malattia serve ad alzare le quote di ansia collettiva. Non l’arma dell’ideologia, bensì la stessa ideologia del presente occidentale è questo: paura.
Paura di cosa? Della paura.
L’atteggiamento terroristico che viene ormai estesamente utilizzato quale strumento di controllo sociale non è paura diretta, esperienziale. E’ la paura come anticipazione della paura. Un’esplosione in metropolitana nell’ora di punta causa panico e sgomento: questa è paura esperienziale. Inoculare il terrore che arrivi il momento in cui avremo terrore è diverso: è una paura atmosferica, ubiquitaria, fumosa, anticipatoria. Ed è il metodo con cui un governo imbelle viene a dichiararci che ci verrà il cancro per colpa delle sigarette. Centrare l’attenzione sulla sopravvivenza, e non sulla vita, è una vecchia tattica del potere. Poco importa se torme di adolescenti faticano a esprimere un sorriso che non sia di protocollo o se gli anziani sono costretti in rifugi antiatomici estivi. Resistere nell’esistenza è impossibile: si muore, cicci belli, e non deve certo essere lo Stato, o fra’ Girolamo, a dircelo. Il problema non è non morire e nemmeno come morire, ma come vivere.
A fronte di questo negazionismo che si erge a forma religiosa (si leggano bene i punti che riporto a fine articolo), l’unica terapia è: creatività. Quale creatività? Qui le risposte possono risultare le più disparate. Quella che io dò è: non la creatività che tenta la rappresentazione della realtà in scala 1:1. Il realismo è una strumentazione del potere: la realtà è un’allucinazione collettiva e, se esiste realismo, esso è allucinatorio a priori. E’ dunque nella gestione eversiva dell’immaginario che si annida non il sistema morale, ma la potenza morale che irrora la comunità di difese rispetto agli attacchi di questo funebre neopuritanesimo. Deviare, dilatare, enfiare, sottrarre, rendere obliquo ben più e meglio di quanto faccia questa retorica antiumana, che si contenta di enunciarsi in cartellini con la barretta sulla sigaretta nei locali pubblici. Il sogno che i locali non siano più pubblici è quanto muove questo proibizionismo da incubo: un incubo che non è il sonno dell’umanità, bensì la veglia della macchina.
In questo momento di faglia, la letteratura, cioè il racconto di storie, molto può fare. Anzi: è decisiva.
Per questo motivo, eccovi un esempio di bassa letteratura: bassa, ma istruttiva e divertente. A scopo puramente propedeutico, per tentare di fare comprendere cosa io intenda quando avviso della possibilità che questo negazionismo igienista si trasformi in religione e manifesti la sua radice veracemente metafisica, riporto qui i punti qualificanti del movimento Alcolisti Anonimi. E’ un canto al Potere Superiore, al Pensiero Unico Ineffabile E Per Ciò Ineffato. E’ anche una barzelletta, e si può ridere, ricordandosi però che nel cuore del comico si annida l’assalto del tragico. Ecco a voi, dai manuali degli Alcolisti Anonimi,

I Dodici Passi

1) Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’alcol e che le nostre vite erano divenute incontrollabili.

2) Siamo giunti a credere che un Potere più grande di noi potrebbe ricondurci alla ragione.

3) Abbiamo preso la decisione di affidare le nostre volontà e le nostre vite alla cura di Dio, come noi potemmo concepirLo.

4) Abbiamo fatto un inventario morale profondo e senza paura di noi stessi.

5) Abbiamo ammesso di fronte a Dio, a noi stessi e a un altro essere umano, l’esatta natura dei nostri torti.

6) Eravamo completamente pronti ad accettare che Dio eliminasse tutti questi difetti di carattere.

7 Gli abbiamo chiesto con umiltà di eliminare i nostri difetti.

8) Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone cui abbiamo fatto del male e siamo diventati pronti a rimediare ai danni recati loro.

9) Abbiamo fatto direttamente ammenda verso tali persone, laddove possibile, tranne quando, così facendo, avremmo potuto recare danno a loro oppure ad altri.

10) Abbiamo continuato a fare il nostro inventario personale e, quando ci siamo trovati in torto, lo abbiamo subito ammesso.

11) Abbiamo cercato attraverso la preghiera e la meditazione di migliorare il nostro contatto cosciente con Dio, come noi potemmo concepirLo, pregandoLo solo di farci conoscere la Sua volontà nei nostri riguardi e di darci la forza di eseguirla.

12) Avendo ottenuto un risveglio spirituale come risultato di questi Passi, abbiamo cercato di portare questo messaggio agli alcolisti e di mettere in pratica questi principi in tutte le nostre attività.