“LIBERO” E IL PAESE DELLE ORECCHIETTE

di Vittorio Catani

Vendola.jpg
Lascia ch’io pianga muto / senza quel tuo limone
limone asfalto e sputo / astio del venerdì

la morte all’imbrunire / lontano dal cancello
chiuso dentro l’imbuto / di un altro carosello

di carri armati e irati / di un celerino a uccello
ti spezzano i carati / del sogno tuo degli anni

l’ora del manganello / rintocca nei tuoi panni
l’ostia di nuovi giorni / si frange a questo luglio

arca del mai partire / arco del tuo finire
freccia dentro uno scoglio / fumogeni a morire.

Il giorno 19 gennaio 2005, un’altra “misura” me la suggerisce il quotidiano “Libero”, che in prima pagina urla: “L’ALA GAY DELLA SINISTRA”, proponendo due grandi foto, una di Nichi Vendola – Deputato di Rifondazione Comunista, reduce della recente vittoria alle

“primarie” pugliesi — l’altra di Pecoraro Scanio (bisex dichiarato); mentre dall’articolone in pag. 1 dell’ineffabile Feltri estrapolo le seguenti frasi: “…E primarie furono. L’esordio delle quali è avvenuto in Puglia, simpatica regione di orecchiette (ho scritto orecchiette, diminutivo, quasi vezzeggiativo, di orecchie), di burrate e trulli. Felici come pasque gli ulivetani e i comunisti sono corsi alle urne. Qualcuno però è corso di più. Altri sono andati al mare o a scopare il mare…” E più avanti, a pag. 3: “Il Cavaliere per via dell’anticomunismo viscerale è stato preso in giro per anni, suscitando risate progressiste; adesso però gli sfottò nei suoi confronti saranno meno efficaci, dato che la realtà è esattamente come lui l’aveva sempre descritta. Il pericolo rosso è nei fatti, nei numeri. Nichi Vendola sarà una brava persona, e le sue preferenze sessuali magari non influiranno, ce lo auguriamo, sul giudizio dei votanti, ma non è un moderato, e questo è importante.”
Stavolta tuttavia non scrivo per infierire sul modo becero in cui si ironizza sui “comunisti” e sulla regione in cui sono nato e vivo da 65 anni, nonché sui suoi abitanti (chissà se Feltri è mai venuto in Puglia o se, giuntovi, è mai riuscito a entrare nello spirito della sua gente e delle bellezze naturali pugliesi): potrei essere accusato di partigianeria. Né mi soffermo più di tanto sullo stile di quella sottolineatura (c’è un sinonimo di “becero” altrettanto efficace? Forse no) circa l’“ala gay” della sinistra: inutile parlare al vento. No, stavolta lascio il resto al suo misero destino e voglio dirvi di una persona davvero poco comune.

Breve premessa: da anni frequento circoli culturali baresi. Ce ne sono. Sono privati, e solitamente celati in scantinati o soffitte o — periodicamente — in salette retrostanti di qualche bar. A Bari, città tradizionalmente levantina, di mercanti e di bottegai, nonostante tutto c’è stata e c’è una fervente cultura espressa da una costellazione di piccole associazioni invisibili. Le famose “istituzioni” spendono miliardi a fine anno per i “botti”, o per chiamare in piazza Al Bano a sgolarsi, o per costruire spiagge pubbliche ai confini della città sapendo (in malafede) che sabbia o pietrisco nascondono tonnellate di amianto (poi sono costrette a chiuderle; intanto i milioni di euro sono stati spesi), etc.: perché della Cultura queste istituzioni hanno avuto, almeno finora, un concetto molto particolare. Tanto vero che praticamente “mai”, in decenni, io ho visto un assessore, un consigliere, un politico locale, venire almeno a curiosare, o ad ascoltare — in uno di questi circoli o associazioni — la presentazione di un libro, una lettura di poesie; né tanto meno a uno dei summenzionati rappresentanti istituzionali è mai passato per la testa di affossarsi nello scantinato d’una libreria per presentare un proprio volume alla “gente”: a quella che davvero ama la cultura, che è ammalata di “libridine”. Anche per rendersi conto della “qualità” di certi testi che vengono prodotti (meglio, autoprodotti) nell’indifferenza più assoluta, o dell’esistenza di un humus, di un fervore, che meriterebbero d’essere valorizzati in quanto anch’essi potenziale ricchezza di queste terre: perché tra inevitabili montagne di banalità spesso spuntano fiori, che però appassiranno subito, dal momento che nessuno di coloro che potrebbero valorizzarli se ne cura. Mancano fondi, manca un qualunque luogo adeguato per riunirsi, manca chi pubblicizzi e offra una minima chance a chi merita. Assenza totale, vuoto intergalattico.
Tranne una volta.

Quella volta (un paio d’anni fa) ci andai anch’io, incuriosito: un “politico” accettava di inabissarsi nel sottoscala della libreria Roma, a Bari, e si mescolava a poetastri e scrittorucoli dell’associazione “La Vallisa” (operante in Bari da quasi due decenni, con gemellaggi nell’ex Iugoslavia) e addirittura accettava di presentare senza pompa magna, senza stucchi, bandiere, fiori, trombe e sindaci che facessero da corifei, un proprio libretto di “poesie”?!? Inaudito.
Avrete intuito: il personaggio che voleva scendere agli inferi era Nichi Vendola. Il suo libriccino, tipo quelli di Stampa Alternativa, era edito dalla Fratelli Frilli, di Genova, e recava una prefazione di Bertinotti. Titolo: Lamento in morte di Carlo Giuliani. L’epigrafe in versi che apre il presente articolo è l’incipit del libretto.

Fu quella sera che seppi davvero chi è Vendola. Fino ad allora lo conoscevo solo di nome, vagamente. C’era pienone, nello scantinato. E mi resi conto, ci rendemmo tutti conto (“La Vallisa”, volutamente, non esprime pubblicamente alcun orientamento politico) di trovarci di fronte a un ospite quanto meno insolito, sicuramente fuori dai canoni correnti, lontanissimo dall’idea standard del “politico” di professione. Personaggio dal carisma accentuato, capace di suscitare immediatamente una forte empatia col pubblico, Vendola si mostrò non solo sensibile poeta, ma anche esperto — grazie ai suoi numerosi viaggi nei Paesi poveri, in Sudamerica, in tutto il mondo — in tema di questioni economiche, sociali, politiche, ambientali; ma soprattutto si “aprì” al pubblico evidenziando un’umanità e una sensibilità non comuni, tipiche di chi a sua volta non abbia avuto vita facile, abbia maturato una visione non manichea del reale, e sia capace — dote sempre più rara, anzi ormai boicottata — di immedesimarsi nell’“altro”. La serata si concluse con applausi interminabili, fu un autentico trionfo.
Non mi stupisco molto oggi, quindi, della sua vittoria alle “primarie” pugliesi: tanti auguri di buon lavoro, Nichi.
Ma tutto questo — per citare una frase famosa — Feltri non lo sa.