La falsa quiete di Dukana e la maledizione del petrolio

di Daniele Barbieri

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Ken Saro-Wiwa, Foresta di fiori, Ed. Socrates, 2004, pp. 176, € 10,00.

Il balbuziente Idigima. Nedam, un comodo capro espiatorio. Il capo Birabee. L’ufficiale giudiziario Nna. Un ricco pescatore (Dabo) che d’improvviso si mette a cantare. L’autista senza nome del camion “Progres”. Il vecchio Terr Kole. Deebari che parla con il potente spirito Oyeoku. Lo storpio Duzia che ama ascoltare le storie. Sono alcuni fra i maschi di Dukana: “tre o quattromila anime”, è un villaggio nigeriano sospeso fra tradizioni e modernità dove sono ambientati gli 8 racconti della prima parte di “Foresta di fiori” dello scrittore nigeriano Ken Saro-Wiwa.

Per incontrare Dukana dobbiamo inoltrarci su una “lunga strada sporca, che si estende davanti a noi come la lingua impastata di un uomo malato”. Guida il camion un “figlio della terra, sarebbe a dire che il suo cordone ombelicale è sotterrato a Dukana”. Il primo episodio (“Casa, dolce casa” è il titolo di questa sezione) nel villaggio ha per protagonista – e per io narrante — una ragazza che, conclusi gli studi, torna “per insegnare nell’unica scuola”. L’idea è “restituire qualcosa alla mia terra”. Non sappiamo come andrà a finire. Di sicuro le donne qui hanno vita dura, quasi sempre risultano “colpevoli” dei più improbabili delitti: come Sira scacciata per aver generato due gemelli o Lebia ripudiata perché non resta incinta.

A dominare sono dunque i maschi. Eppure la loro situazione non è così invidiabile. Gode di potere Daniel Dekor che dà la caccia agli scarafaggi con “la sua compagna di sempre, la Bibbia” e non sa se fondare una nuova religione? E basta diventare attendente di un caporale per trasformare il perdigiorno Bom (al quale “il buon Dio ha donato piedi veloci” e poche capacità matematiche) in un cittadino autorevole?

Se questa Dukana — “antica quanto il tempo che si poteva ricordare” — ci affascina è perché a condurci è Ken Saro-Wiwa: con mano sicura, con stile piacevole, con vicende e personaggi solo apparentemente semplici, eccoci in luoghi abbastanza alieni per lettori occidentali: “nell’abisso tra ciò che è e ciò che potrebbe essere”; in mezzo a nove chiese che contano però meno dei “preti juju” (i quali comunicano con gli spiriti); laddove “i beni, non trovandosi a proprio agio, svaniscono” e ci si fida poco di medici e di ispettori del governo. Anche qui “una bella storia vale quanto una bella moglie, una bella casa e una bella bicicletta” però i cantastorie campano solo se c’è molto pubblico e a Dukana non abbonda.

Allora, se là non apprezzano abbastanza le storie, anche noi lasceremo Dukana… Ken Saro-Wiwa sembra suggerirci, con la sua dolce ironia, che porta altrove la sua capacità di narrare; o forse semplicemente, dopo averci svelato una faccia della vecchia Nigeria, adesso ci mostra la “nuova”, quella che non vive più nei villaggi.

Con l’ironico titolo “La bella vita”, la seconda parte di questa antologia propone 11 racconti ambientati ad Aba, Lagos, in città senza nome o durante viaggi.

L’agente Okeke, protagonista di “Caso n. 100”, cerca di consolarsi ripetendo fra sé: “Non sono l’unico corrotto di questo Paese, guarda i ministri del governo e i sacerdoti, i capi e tutti quanti”. Lo stile acido, rabbioso che prevale in questo racconto annuncia che il mondo fuori Dukana – la “modernità” – offrirà molti fiori tossici. Come in “Motel Acapulco”: ritratto penoso di un affarista mancato che è a un tempo menager incapace e disposto persino a sfruttare i ghanesi (lui li chiama “ghananiani”; buoni lavoratori al contrario dei “nigeriani tutti ladri”…) eppur schiavo degli amuleti.

L’acidità lascia il posto a un’avvolgente tristezza in “E giù le stelle”: il tormento di Ezi, funzionario in un ministero, è nei “furti, incompetenze, bugie, condotta disonesta” che lo circondano e ancor più nei suoi sogni frustrati, nel desiderio di migliorare il suo Paese che può solo scivolare in un sogno a occhi aperti. La giungla qui è di automobili “grandi e lussuose” quanto di “vecchi autobus… mendicanti, venditori ambulanti”.

Piccoli dolori privati sono al centro del breve “Robert e il cane” mentre le grandi tragedie collettive fanno da sfondo al successivo dove incontriamo il Ken Saro-Wiwa più politico, quello che ha pagato con la vita il suo impegno. Forse “troppo idealista in una nazione in cui non c’era alcuno spazio per l’idealismo” come il protagonista di “Viaggio notturno”. Che è, di nuovo, un uomo senza nome: di fronte alla guerra, all’ingiustizia, al colera, ai guai che porta il petrolio (“maledisse gli dèi che non prosciugavano i pozzi”), vorrebbe far qualcosa; anzi la donna che gli è accanto nell’auto ironizza: “non avrai intenzione di portare il mondo sulle spalle, non sei Atlante”. Il protagonista diffida di legislatori e avvocati come degli aiuti internazionali (“Temo i Greci e i loro doni”) ma non vorrebbe soffocare i pensieri positivi che pure fanno capolino. La realtà però è testarda e spietata: alla fine sembra affacciarsi un po’ d’amore e invece… non esiste forse un essere umano che possa insegnare a un altro “a vivere con la morte”.

Sommessamente politico è anche “Garga”: storia di un muro “eretto nel cuore degli uomini” e di amicizie, di violenze insensate che esplodono all’improvviso sotto il pretesto religioso.

In due racconti torna poi un io narrante femminile. Un sorrisetto perfido trionfa nel finale di “Canto d’amore di una casalinga” mentre la tristezza (tutto si compra, anche il dolore) domina in “Un uomo premuroso”: donne che, anche fuori da Dukana, ci comunicano che non hanno poteri o dignità.

Anche nei racconti più lievi — come “Una leggenda nella nostra strada” — dobbiamo ricordarci che stiamo transitando su un altro pianeta, un Paese dove di chi ha superato i 45 si dice “sta facendo gli straordinari”. Così riflettere sull’ottantenne Papa serve a Ken Saro-Wiwa per riepilogarci la storia nigeriana: colonialismo, indipendenza… “e ora Papa era tutto impegnato a vedere come buttavamo all’aria l’indipendenza e tornavamo verso il colonialismo”.

Il 10 novembre di 9 anni fa, un tribunale speciale nigeriano – nonostante la mobilitazione internazionale — fece impiccare Ken Saro-Wiwa. Le accuse false nascondevano i due veri, indicibili “crimini”: aver difeso l’etnia Ogoni (che vive sul delta del Niger) dalla repressione dei militari e soprattutto aver continuato a condannare — lui, uno scrittore famoso e dunque ascoltato anche in Occidente – le catastrofi ambientali e sociali provocate dai pozzi della Shell ma anche, in misura minore, di altre compagnie fra cui l’italiana Agip. E’ bene ricordare che esistono nel nostro Paese alcune associazioni multi-etniche o ecologiste intitolate a Ken Saro-Wiwa (una di esse, a Bari, l’anno scorso ha anche vinto un premio della Fivol, la Federazione italiana del volontariato “per l’innovatività progettuale della sua azione”). Dunque l’impegno politico non è stato dimenticato. Finalmente possiamo conoscere anche lo scrittore, sinora inedito da noi: per questo “Foresta di fiori” di Ken Saro-Wiwa dobbiamo ringraziare la Socrates (06 5895895, www.edizionisocrates.com ) cioè una piccola casa editrice. Restano altri 25 libri, commedie e radio-drammi: sarebbero letture importanti per gli italiani che vogliono conoscere il mondo al di là degli stereotipi e delle censure (oltre che, è ovvio, per i nigeriani emigrati) e dunque speriamo che quest’antologia della Socrates spiani la strada ad altre traduzioni.