Redazionale

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Da oggi ricominciamo a inserire in Carmilla On Line alcuni dei nostri articoli consueti, dopo un mese ha visto la testata dedicare interamente il proprio spazio alla causa sacrosanta di Cesare Battisti.
Il nostro non è affatto un distacco da quel tema cruciale, tutt’altro: a ritmo quotidiano pubblicheremo interventi e aggiornamenti sul “caso Battisti”, piazzandoli bene in vista. Si tratta piuttosto, per noi, di coerenza nella nostra impostazione. Ci battiamo da anni per valorizzare le potenzialità critiche e antagonistiche che la cosiddetta “narrativa di genere” contiene, preziose in un momento storico in cui, almeno in Italia, la letteratura definita “alta” sembra avervi abdicato. Il “caso Battisti” è stata la dimostrazione più palese che avevamo visto giusto.


La mobilitazione assolutamente straordinaria degli intellettuali francesi a favore di Cesare Battisti — a sua volta scrittore capace di coniugare come pochi altri genere e impegno — ha preso impulso da centinaia di autori di noir, di fantastico, di fantascienza capaci di dare uno scossone all’intero tessuto culturale della Francia (e non solo della Francia) e di ridestarlo a una sensibilità politica e civile che si sarebbe detta smarrita. Giustamente, Gilles Perrault ha osservato che erano trent’anni che non si vedevano in Francia degli scrittori andare a manifestare attorno alla Santé.
Come pareva ridicolo, a fronte di tutto ciò, il dibattito asfittico (al di là della validità o meno dei singoli interventi) che in Italia si sviluppava sulle pagine de L’Espresso, circa l’insufficienza della narrativa italiana nel rispecchiare la società circostante! Mentre personalità spesso narcisistiche sprecavano parole pro e contro, appena al di là della frontiera centinaia di scrittori, di cineasti, di filosofi, di artisti mettevano l’assedio al carcere in cui era stato rinchiuso un loro fratello, perché non fosse riconsegnato a un’Italia tanto facile alla lacrima e al moralismo pseudo-cattolico, quanto restia alla profondità di pensiero e alla riflessione storica.
Gli interventi che si dipanavano su L’Espresso erano decenni luce più arretrati di quelli in corso — da almeno un ventennio in Francia, da quasi un decennio in Italia – nell’ambito della narrativa di genere più matura (o da ancora più tempo, se si pensa al “sovversivo” Loriano Macchiavelli e al suo Gruppo dei 13). E se quest’ultima è magari “sottoletteratura”, è quantomeno arduo estendere la definizione alla rivista Lo Straniero di Goffredo Fofi, o ai nostri amici di Nazione Indiana, pur talora duri nei confronti del genere quando male adoperato.
Dunque non abbandoniamo affatto il caso Cesare Battisti, ma, mischiandolo ad articoli d’altra natura, ne facciamo il perno di un quadro più vasto, in cui recensioni, segnalazioni, interventi e reportages vadano a costituire l’acqua in cui nuota il pesce. Nel nostro caso non solo Cesare Battisti restituito alla libertà di nuotare, ma anche una narrativa capace di agitare i fluidi in cui si muove.

Un’ultima annotazione sul “caso Battisti”. Quello che in Italia è il sostituto dell’intellettualità mancante — conduttori di trasmissioni radiotelevisive, giornalisti ignoranti come capre che posano a pensatori, pensatori che scambiano un calembour per una massima filosofica, specialisti del pianto catodico, emuli dei giudici di Collodi, ammiratori dell’Ispettore Manetta — dopo la libertà provvisoria concessa a Cesare ce ne ha fatto vedere di tutte. Prime pagine di giornali in cui mancava poco che Battisti diventasse il nuovo Mostro di Firenze; trasmissioni radio in cui si troncava la parola a chi osava dissentire; sfilate di parenti delle “vittime di Battisti” estratte da una ventennale naftalina, e talvolta colpite da lutti familiari in cui Battisti non era mai stato coinvolto da nessuno; foto scelte tra mille per dare al “serial killer” presunto un aspetto ripugnante; irrisioni sguaiate, imprecazioni ammantate di austerità, minacce di ritorsione diplomatica, dichiarazioni solenni di politici del partito bipartisan della forca.
L’eterno copione volgare con cui si tenta, da parte di chi rappresenta solo la propria iracondia, di eleggersi a sintesi di un’opinione pubblica che invece sta tentando di forgiare, come nel caso di guerre coloniali recenti e di altre patacche.
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Riteniamo più utile cedere la parola a Rossana Rossanda, che, rivolta a Mario Pirani (autore di un articolo contro Battisti di cui abbiamo già evidenziato la carica umoristica involontaria), su Il manifesto di domenica 7 maggio così scriveva: “Perché lo turba tanto che un denominato Cesare Battisti, del quale non ricordo abbia seguito né le imprese né la latitanza né i processi in contumacia, non venga consegnato alle galere italiche? Si trova a Parigi. La Chambre d’accusation, corte niente affatto facile, aveva esaminato a suo tempo i documenti d’accusa inviati dall’Italia, e non ha concesso l’estradizione perché si tratta di un imputato di delitto politico, basato soprattutto su prove indiziarie, e che ha condotto in Francia una vita esemplare. Tanto più che non lo consegnerebbe alla giustizia italiana, visto che un latitante condannato in contumacia in Italia non ha diritto a un nuovo processo: sarebbe consegnato immediatamente agli ergastoli emessi in sua assenza. E’ il sistema mitterrandiano sbagliato, folle, criminogeno? Non credo che Pirani lo pensi. Conosce prove non indiziarie per la condanna di Battisti? Non credo. E’ vero che si è sottratto al processo e se la cava meglio di chi è rimasto in quella rete, ma persino Hobbes, che di assolutismo se ne intende, riconosce ad un imputato il diritto di fuga. Al posto di Pirani mi offuscherebbe di più che la legislazione mitterrandiana venga capovolta nel corso di un colloquio personale fra il ministro Castelli e il ministro Perben, e sulla base di quella legislazione antiterrorismo prodotta dagli Usa che sta dilagando nella distrazione generale in Europa. Perfino se fosse una pratica accettabile, gli anni di piombo in Italia non sono paragonabili ad Al Qaeda, né per natura né per la pericolosità. Pirani mi ha cortesemente ingiunto di dire la mia. Eccola: diamoci una calmata”.