di Valerio Evangelisti

Angryredplanet.jpg

«Ci hanno ingannati sistematicamente, per quasi un cinquantennio. Sono riusciti a sfuggire alle nostre ricerche, hanno eluso le ispezioni, hanno fornito immagini artefatte.» Il segretario alla Difesa Burke era tutto sudato mentre, al termine di un discorso di un’ora e mezzo corredato da riprese satellitari, fotografie e mappe, menava di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite l’affondo decisivo. «Perché tanto accanimento nella menzogna? Perché una cortina fumogena così impressionante? Non c’è che una risposta logica. Non volevano farci sapere quale potenza avevano accumulato nelle loro grinfie. E a quale scopo?»
Il rappresentante della Russia guardò l’orologio. «Ce lo dica lei, signor Burke. Noi abbiamo pazientato abbastanza. Venga alle conclusioni.»
Burke trasse dal taschino un fazzoletto e se lo passò sul faccione nero. Oltre a essere affaticato, era incollerito dal palese scetticismo degli astanti. «Le conclusioni? Sono presto dette. Dobbiamo intervenire, e subito. Altrimenti Marte distruggerà la terra.»


Ci fu un lungo silenzio, mentre i consiglieri si guardavano increduli. Poi il rappresentante della Francia si alzò in piedi, afferrò il rapporto che aveva in mano e lo sbatté sul banco. «È pazzesco. Semplicemente pazzesco. Quell’uomo ci prende per idioti. Ma io ne ho abbastanza di questa farsa. Me ne vado.»
Burke fece una risatina sardonica, che però risentiva della fatica per la battaglia sostenuta. «Noto che il mio collega Rousselet non si convince nemmeno di fronte all’evidenza. Ha visto le foto e i filmati. Non riesco a capire perché metta in dubbio con tanta arroganza la buona fede degli Stati Uniti e la mia personale. Mi dia un buon motivo.»
Rousselet era già lontano dal proprio banco. Si chinò su quello del collega cinese e si servì del suo microfono. «Il motivo è uno solo. Su Marte non c’è vita. Proprio le sonde americane ce lo hanno dimostrato, e così le osservazioni al telescopio, più ogni altro dato scientifico disponibile. Dove sarebbero i marziani che dovremmo temere tanto?»
Vi fu un brusio che crebbe di intensità. Burke, ormai fradicio di sudore, afferrò il proprio microfono con due mani. «Si nascondono nei canali!» vi urlò dentro. «Marte è tutto solcato da canali!»
Scoppiò un putiferio. Rousselet alzò le spalle e lasciò la sala. Il rappresentante cinese si rivolse alla presidenza. «Prego il segretario Mubele di indagare se il signor Burke ci ha offerto questa recita assurda di iniziativa propria, o se parla per davvero a nome del presidente degli Stati Uniti. In quest’aula nessuno crede a una sola parola di quello che ci ha detto.»
«Io ci credo.» Era stato il posato sir Jeremy Rollins, incaricato degli affari esteri della Gran Bretagna, a pronunciare quella fase. Cadde un silenzio esterrefatto. «Il governo britannico ha prove del tutto analoghe a quelle illustrate dal signor Burke. I marziani esistono, e sono cattivi. O si agisce in fretta, o sono in grado di distruggere la terra in appena 45 minuti.»

Ne avevo abbastanza delle cautele e delle frasi elusive del professor Steven O’Bannion. Sono un uomo d’azione, e il solo vedere uno scienziato che se ne sta in poltrona tutto il santo giorno, a leggere rapporti o a guardare dentro un telescopio, mi fa prudere le mani. O’Bannion, poi, aveva occhialetti, pizzo, naso lungo e orecchie a sventola, per non dire delle spalle rachitiche e della posa da gobbo. Il più brutto e sgradevole dei nostri consulenti a Greenwich.
Poiché seguitava a tentennare, feci ricorso alla lealtà di partito. «Ascolti, professore. Lei sa che il Labour Party è in crisi profonda. La base si ribella, un terzo dei parlamentari non obbedisce più. Lei è laburista da sempre. Ha letto gli ultimi sondaggi? Guardi qua…»
Frugai in tasca alla ricerca di un articolo di giornale che sapevo di non avere. Stavo comunque dicendo la verità. La base laburista aveva mal digerito, ai tempi del governo Blair, la proposta di privatizzare le prigioni e gli orfanotrofi. Adesso che il nuovo premier Gideon suggeriva di unificare le due amministrazioni, mettendo gli orfani in prigione, era rivolta aperta in tutto il Regno Unito. I sondaggi gli attribuivano un grado di popolarità inferiore al 2%.
«Ora non trovo l’articolo» continuai, dopo avere frugato un poco «ma sono cose che sa anche lei. Vogliamo ritrovarci sotto un governo conservatore? E’ un destino che non vorrei per i miei figli, se ne avessi. Lei ne ha. Pensi a loro.»
O’Bannion torse le mani scheletriche, che gli avrei spezzato volentieri. Piagnucolò: «Mi chiedete una cosa impossibile! Quando ho sentito sir Rollins parlare al Consiglio di Sicurezza, ho pensato che si fondasse su prove che possedeva già. Poco verosimili, però con una qualche base documentaria. Mai avrei immaginato che vi sareste rivolti a me per fabbricarle!»
«”Fabbricarle” non è il termine giusto» lo corressi, severo. «Guardi che mi sono documentato. Di prove ne esistono a bizzeffe. Magari dimenticate, magari finite in un trafiletto secondario di una rivista di divulgazione scientifica. Del resto, le pare che il segretario alla Difesa della più grande potenza mondiale possa parlare a vanvera? Che si presenti davanti al Consiglio di Sicurezza e spari la prima balla che gli viene in mente? Via, non scherziamo. Quando parla un uomo così, lo fa davanti al mondo.»
«Infatti il mondo sta ancora ridendo.»
«Lei si sbaglia, professore. Già molti paesi, oltre al Regno Unito, reclamano una guerra preventiva contro Marte.» Elencai quelli che mi venivano in mente. «L’Estonia, la Liberia, l’Italia, il Sultanato del Brunei, la Repubblica di Aruba.»
O’Bannion strabuzzò quei suoi occhi vacui. «La Repubblica di Aruba? Che cosa sarebbe?»
«Fino all’anno scorso era un governatorato olandese. Adesso è uno Stato indipendente. Paese piccolo, ma importante per il turismo.»
Notai che lo scienziato rimaneva scettico. Era il momento di passare alle maniere forti. Lo feci con gusto. «Mi ascolti bene, professore. Lei lavora per l’MI6 già da quindici anni. Deve a noi la carriera e la posizione che ricopre ora. E’ tempo di ricambiare tutto ciò che abbiamo fatto per lei. Che cosa le chiediamo, in fondo? Solo di dimostrare che su Marte ci sono i marziani, a tramare nei loro canali la conquista della terra. Sarebbe un peccato se, dopo averla allevata nella bambagia, ci vedessimo costretti a toglierle tutto ciò che ha.»
Lo vidi impallidire. Buon segno. «Ma su Marte non ci sono né canali né forme di vita! Dove vado a trovare le prove che vi servono?»
«Glielo devo dire io?» Feci l’occhiolino. «Lei avrà pure dei colleghi americani che lavorano per il governo, no? Ecco, se fossi in lei non starei tanto a faticare. Le prove le chiederei a loro.»

Ralph Rupert, dell’osservatorio di Monte Palomar, stava sorseggiando una birra Colt 45, più alcolica di un bourbon, e intanto guardava la tv. Il presidente Bruce Maynard spiegava da quasi un’ora come distruggere i marziani fosse nell’interesse dei marziani stessi: per ciò che si sapeva della loro società, vivevano sotto un’orrenda dittatura colpevole di quotidiane violazioni dei diritti umani. Disse proprio così: “diritti umani”. Rupert ammirò la sottigliezza dello staff che scriveva i discorsi del presidente. Se avesse parlato di “diritti marziani”, l’impatto emotivo sui telespettatori sarebbe stato molto minore.
Il telefono prese a squillare, e Rupert si precipitò a sollevare la cornetta. Sperava che fosse la bella Astrid, la ricercatrice a cui faceva la corte da una settimana circa. Invece era quell’insopportabile lagnoso di O’Bannion, che lo chiamava da Greenwich. Pazienza: una volta detto il proprio nome, era impossibile riattaccare.
Per un poco, Rupert ascoltò il collega. Quindi disse: «Steven, so che tutta la questione sembra puro delirio. Però il presidente Maynard ha appena confermato le parole del segretario Burke, punto per punto. Ha anche aggiunto del suo. Il vostro premier può anche mentire in pubblico, ma il nostro presidente no. Sai cosa è capitato ai suoi predecessori che lo hanno fatto. Maynard è certo mezzo scemo, ma non è un disonesto e parla col cuore. Tutta l’America è con lui. Ciò significa una cosa sola: noi astronomi ci eravamo sbagliati. E così i nostri colleghi che si sono occupati di Marte.»
Rupert rimase in attesa per udire la replica dell’interlocutore, che fu lunga. Alla fine sbuffò. «Parliamoci chiaro, Steven. In fondo cosa sappiamo di Marte? Quanti metri quadrati hanno percorso le nostre sonde? Nota: parlo di metri quadrati! D’accordo, ci sono le foto dall’alto e non mostrano nessun canale. Be’, potrebbe trattarsi di canaletti. Credi che un qualche satellite sarebbe capace di fotografare il rigagnolo che irriga il tuo giardino di casa? Magari sì, ma non se ne prenderebbe la briga. La verità è che noi i canali non li abbiamo mai cercati sul serio, e nemmeno i marziani. Chi pensava che se ne stessero nascosti nei loro fiumiciattoli, con gli occhi avidi da insetto puntati sulla terra? Eppure, chissà da quanto tempo ci spiavano.»
Altra pausa, e nuova risposta di Rupert. «Mi ha contattato solo la National Security Agency, ai massimi livelli. Voleva sapere qual era l’aspetto presumibile dei marziani. Non ho la mia relazione sotto mano, ma ho detto che si poteva scartare tutta la fauna di John Carter di Marte, di Edgar Rice Burroughs. Giganti e bestie alti tre o quattro metri li avremmo visti. Meglio le creature piccole e ripugnanti de La guerra dei mondi, di H.G. Welles. Però hanno macchine enormi, e avremmo visto anche quelle. Più credibili le creature di Cronache marziane, di Ray Bradbury. Fantasmi di una razza perduta, che manipolano i ricordi degli uomini. Il problema è che robe così non sembrano una gran minaccia…»
Fu tanta la veemenza dell’obiezione che Rupert dovette staccare la cornetta dall’orecchio. Gli cadde persino la lattina di birra. Quando riuscì a parlare di nuovo, era ormai esasperato. «Lo so anch’io che quella è narrativa! Ma se mi chiedono una tipologia del marziano medio, dove la trovo? Solo nella fantascienza, libri e cinema. Meglio il cinema: da un certo momento in poi si è fatto strada il preconcetto che su Marte non ci fosse vita, e gli scrittori ne hanno parlato sempre meno. A chi potevano interessare quattro sassi sotto un cielo rosa? Per fortuna il cinema è andato avanti col tema qualche anno in più. Sai quanti film scadenti mi sono visto, nelle ultime settimane? Tutta l’idea che ancora ci facciamo di Marte come pianeta rosso e vivo viene da lì.»
Rupert ascoltò il commento di O’Bannion, e finalmente sorrise. «Vedo che capisci. Bene, per la tua relazione guardati tutti i film che puoi, eccetto Mars attacks, che è demistificante e induce al disfattismo. Dimentica invece ufo, rapimenti da parte di alieni e cerchi nel grano. Fanno riferimento a pianeti molto più lontani… Lo vuoi un consiglio da amico? Per la parte astronomica del rapporto, punta sulla cosiddetta Sfinge di Marte. E’ un viso femminile. Senz’altro un omaggio a una qualche regina tirannica. Sì, abbiamo detto che si trattava di un gioco di ombre e di luci su montagne di pietre e sabbia. Allora però non sapevamo che i marziani esistevano per davvero.»
Ultimo silenzio, mentre ci si avviava al congedo. «Sì, Steven. Anch’io ho pensato a una scena simile. La Sfinge che crolla, colpita dai nostri missili, mentre i marzianini fanno festa e celebrano la libertà ritrovata. Prima che altri missili arrivino. Una bella immagine per chiudere il tuo rapporto… Oh, non ringraziarmi. Tra colleghi ci si aiuta. A presto.»

Già provavo stima per il nostro primo ministro Gideon. Diventò ammirazione sconfinata quando, in tv, lo vidi additare alla Camera dei Comuni un immaginario corpo astrale rosso fuoco e scandire, solenne: «Lassù c’è Marte, il dio della guerra. Per me, uomo di lotta, ha sempre avuto un’attrazione irresistibile. Abbattere Marte, ci pensate? Quale compito più degno può unire il popolo britannico e il popolo americano? Ditemi voi: quale?»
Pochi riconobbero un passo del rapporto segreto di O’Bannion, a sua volta ricalcato sulle prime righe di John Carter di Marte. Gideon raccolse il primo applauso scrosciante dopo mesi di fischi ininterrotti. La sua proposta di privatizzare le amministrazioni municipali e di vendere la carica di sindaco al maggior offerente aveva scontentato molti, dentro e fuori il partito. Ma adesso, con la guerra ai marziani imminente, la popolarità del premier nei sondaggi stava risalendo. Aveva già superato il 6%, e continuava a crescere.
Come uomo dei servizi segreti non avevo più molto da fare, a parte scovare eventuali agenti filomarziani nei ranghi dell’esercito o nei ministeri (ne trovai pochissimi). L’unico incarico di rilievo fu spingere O’Bannion a impiccarsi, dopo la consegna del suo rapporto. Si temeva che potesse rivelare a qualche ficcanaso della BBC che aveva ricevuto l’imbeccata da noi e che si era basato su romanzi e film, sulla traccia di una bibliografia fornita da Monte Palomar. Poiché O’Bannion non collaborava lo impiccai io stesso, nel giardino di casa sua. Odio gli scienziati.
Forse fu inutile, perché la BBC si comportò assai bene, specie dopo che il governo Gideon l’ebbe venduta al gruppo Fox. Di continuo ritrasmetteva pellicole come La guerra dei mondi, Il vampiro del pianeta rosso e, soprattutto, Marte distruggerà la terra. Le immagini finali di quest’ultimo, in cui una specie di asparago con tre occhi bisbigliava truce “Attenti, terrestri, attenti. Siete spiritualmente ed emotivamente infantili. State lontani da noi, altrimenti…” era in coda a tutti i telegiornali. Anche Independence Day funzionava: poiché non si sapeva da dove venissero gli alieni, poteva benissimo trattarsi di Marte.
Intanto la battaglia del segretario Burke al Consiglio di Sicurezza volgeva al peggio. Mi telefonò il capo del MI6 in persona. «Ci sarebbe da fare pressione sulla Repubblica di Aruba. Pare che si sia pentita della propria adesione alla coalizione contro Marte. Gideon e il presidente Maynard stanno per andare là in visita ufficiale. Ti senti di accompagnare la nostra delegazione?»
«Certamente.»
Amazing12.bmp
In realtà, scoprii ad Aruba, si trattava di una semplice questione di quattrini, facile da risolvere. «E’ vero» sentii dire il presidente Maynard, stravaccato in una sedia a sdraio sulla spiaggia, sotto un ombrellone a stelle e strisce. «Il veicolo che abbiamo studiato per fare scoppiare Marte richiede una quantità spaventosa di combustibile. Ci siamo voluti ispirare ad H.G. Wells: per questo avrà la forma di un grande cilindro. Per sparare in aria una cosa così serve un bel po’ di carburante, e ancora di più ne occorre per mandarla sul bersaglio.»
Io ero in piedi dietro Gideon che, in costume da bagno, esponeva le costole al sole e sorseggiava una granita. Attorno c’erano una ventina di agenti della CIA, tutti in completo nero e camicia bianca. Invece nessuna guardia sorvegliava il presidente di Aruba: un ometto in canottiera, con un berretto da marinaio sulla testa calva.
Pareva molto preoccupato. «Io capisco il primo cilindro, ma non gli altri nove carichi di aiuti umanitari da lanciargli dietro. Per chi sono gli aiuti, visto che si prevede lo sterminio totale dei marziani? Se gli Stati della coalizione devono partecipare alle spese, Aruba rischia la rovina.»
Maynard e Gideon si guardarono e scoppiarono a ridere. Fu l’americano che rispose, appena riuscì a tornare serio: «Il ruolo di Aruba è un altro. Più cilindri spariamo, più soldi vi entreranno in tasca. Qual è la società petrolifera che ha qui il suo più grande deposito al mondo?»
L’arubiano spalancò la bocca, colto da folgorazione: «Volete dire la…»
«Esatto. Quella.» Maynard rise ancora, imitato da Gideon.
L’ometto si batté la mano sulla fronte. «Che stupido! Non ci avevo pensato!… E il consiglio di amministrazione della società è presieduto dal segretario alla Difesa Burke!»
Maynard e Gideon avevano le lacrime agli occhi dal gran ridere. «Bravo! Ci siete arrivato!» dissero quasi assieme.
Adesso anche il presidente di Aruba sghignazzava. «Comincio a pensare che tutta la storia dei marziani e dei canali sia una patacca.»
Maynard e Gideon non riuscirono nemmeno a rispondere, piegati in due com’erano.

Quando tornai nella mia camera d’albergo accesi subito il televisore, sintonizzato sulla BBC, per ascoltare un notiziario. Invece stavano trasmettendo ancora una volta Marte distruggerà la terra. Si era alle battute finali, e l’asparago gigante stava per pronunciare la sua arringa. Lasciai acceso e andai in bagno.
Solo là mi venne in mente che l’asparago che ricordavo io aveva tre occhi, di cui uno in mezzo alla fronte. Quello appena visto ne aveva due, ed era senza antenne. Inoltre nel film originale le scene su Marte erano colorate di rosso, non di verde scuro.
Tornai di corsa davanti al televisore, in tempo per ascoltare la minaccia: « Attenti, terrestri, attenti. Siete spiritualmente ed emotivamente infantili. State lontani da noi, altrimenti Marte distruggerà la terra!» Le parole successive non le avevo mai udite: «Sapete cosa potete fare con i vostri cilindri?»
Udii un coro di grida venire dall’esterno. Corsi sulla terrazza. La spiaggia era piena di gente che, angosciata, guardava il cielo.

Pubblicato da Il manifesto del 17 agosto 2003 col titolo Guerre stellari preventive.