jeppesenvictims.jpgjeppesen.jpgFa un po’ impressione dirlo, ma è incontestabilmente vero: c’è già un erede di J.T. Leroy. Esce dalla farm di Dennis Cooper, è giovanissimo, iperpop e sgradevolmente consapevole di sé, ha vissuto praticamente in mezzo mondo (Charlotte, Seattle, New York, Parigi, Amsterdam, Berlino) ed è un talento in piena esplosione e metamorfosi: Travis Jeppesen rappresenta un apice della new lit alternativa occidentale. Se è ancora difficile leggersi fisicamente il suo ultimo libro (che però è anche il primo), Victims, fatevi un’esperienza ed entrate nel colabrodo labirintico di Amsterdamned, il suo reportage sulla città “dei cieli grigi e delle mosche morte”, capitale “di quella banalità geografica” che è l’Olanda (cliccate qui per leggervi il delirio nederlandese di Jeppesen). Oppure evitate il divertimento: entrate con noi nel Male.

Ci sono molte vittime in Victims, esordio di Travis Jappesen griffato dal genio di Dennis Cooper che, stanco della leggenda metropolitana che lo vuole bambolaio di J.T. Leroy, si è messo a produrre giovani talenti con un’etichetta semindipendente – la Little House on the Bowery, zona affidatagli da Akashic Books e che ha già messo in evidenza lo straordinario e ipercooperiano High Life di Matthew Stokoe (anche su questo nome bisogna puntare al massimo: è l’autore di Cows: un libro praticamente perfetto…).
Quali delitti predispongono un uomo a essere vittima? Diciamo che Jeppesen mostra un campionario fantasmatico che più vasto non si può, mentre elabora la fine delle sue vittime. La storia è quanto di peggio la Nuova America sta irradiando, via etere e storia, in questo momento e il coreggio intellettuale di Jeppesen risede nell’affermazione che questa Nuova America, tutta metafisicamente imperniata sul manicheismo presbiteriano, è il frutto coerente della Vecchia America. Chi ha letto Survivor di Palahniuk ne esalti la qualità faulkneriana, che è un sottotesto piuttosto importante di quel romanzo, e otterrà un risultato per nulla sorprendente: ciò non toglie che l’esito del lavoro letterario di Jeppesen faccia male. Di più: fa il Male. Tanto per intenderci, ecco qualche coordinata. Victims è la storia degli ultimi giorni di una setta millenarista statunitense, gli Overcomers, che si raccoglie intorno al suo profeta, Martin Jones – una sorta di leader carismatico alla Marshall Applewhite, il pazzo invasato che condusse al suicidio collettivo gli adepti del suo gruppo fantareligioso, Heaven’s Gate. E’ nel rapporto tra i fedeli di Jones e il nerissimo Maestro che si sviluppa una trama improntata a derive impazzite di carattere emotivo e parapsichiatrico, mentre sullo sfondo cicaleggia un’America sudista, metamormona, rurale. Scontro di valori consolidati e reazionari che premono dal background di una società sistematicamente manipolatrice, la vicenda degli Overcomers è quintessenzialmente una storia di manipolazione psichica, un fiorire di retorica cultuale che si avvicina pericolosamente alla retorica della fiction di informazione. A tutto questo territorio, filosoficamente condotto da Jeppesen con una maturità pressoché strabiliante (sia chiaro: non ci si annoia), si aggiunga una meditazione profonda sui destini dello spirituale nel presente avanzato che ci accingiamo a vivere: Science Fantasy e religione mostrano il luciferino nesso che, a seconda dei tempi, le lega o le distanzia – in pratica, è l’abisso della libertà umana e la sostanza dei sogni della nostra specie che vengono messi in scontro e dialettica.
Un romanzo impressionante: entra nel nostro tempo con la vanga dell’intelligenza incauta di un ventitreenne, per mettere a nudo mitologie, falsi truismi, non indagate possibilità di rapporti intraumani.
Se fossi un editore italiano lo comprerei al volo e lo farei tradurre in tutta fretta (tra l’altro: lo stile, in superficie leggerissimo sebbene non svagato, dimostra una sapienza personale da parte di Jeppesen che desta ammirazione e sorpresa di periodo in periodo). Una dimostrazione in più, per gli idioti scettici, che Dennis Cooper vede più lontano di chiunque.