di Sandro Moiso
China Miéville, Railsea. Un oceano di rotaie, Fanucci Editore, Roma 2025, pp. 363, 18 euro
Non è la prima volta che Moby Dick, l’insuperato capolavoro della letteratura americana dell’Ottocento, viene ripreso in chiave fantastica e ricontestualizzato. L’aveva già fatto, per esempio, Philip José Farmer con The Wind Whales of Ishmael nel 1971, poi pubblicato in Italia nel 1978 con il titolo Pianeta d’aria dallo stesso editore che oggi pubblica Railsea di Miéville.
In quel romanzo l’imprevedibile e originalissimo autore americano ri-immaginava gli eventi narrati dall’Ismaele melvilliano, ambientandoli su un pianeta in cui le balene galleggiavano nel cielo, più leggere dell’aria, mentre i loro cacciatori si aggiravano alla loro ricerca a bordo di mongolfiere. Oggi, però, l’autore inglese China Miéville sposta l’asticella dell’invenzione e della rivisitazione della tradizione letteraria un po’ più in là.
Il suo romanzo, uscito in lingua originale nel 2012, narra infatti le avventure e disavventure di un novello Ismaele, in questo caso Sham o, meglio, Shamus Yyes as Soorap, narrandole in terza persona e ambientandole su un non meglio identificato pianeta su cui gli oceani d’acqua sono stati sostituiti da vasti e pericolosi deserti sui quali corrono, intrecciandosi e incrociandosi, migliaia o forse milioni di chilometri di rotaie ferroviarie.
Un mondo che forse potrebbe essere lo stesso nostro e attuale pianeta una volta che gli oceani si fossero prosciugati e la loro superficie fosse ricoperta dai manufatti, spesso arrugginiti e abbandonati, prodotti e poi perduti dall’età della produzione industriale, del ferro e dell’acciaio.
Un mondo sotto la cui superficie non possono certo celarsi specie marine, ma nascondersi specie sotterranee di ogni genere e dimensione, pericolosissime per gli uomini che non possono minimamente, se non a rischio della loro stessa vita, calpestare anche solo per pochi secondi il suolo del deserto celato e compreso tra le rotaie.
Tra queste specie la più ambita e pericolosa è quella delle talpe, che possono talvolta raggiungere dimensioni colossali e che sono cacciate dai “talpieri” di Rupania, sia per la loro pelliccia che per tutto quanto le loro carcasse, una volta uccise, possano contenere di utile. Anche se, come nel caso di Moby Dick e di Achab, i capitani al comando dei convogli ferroviari talpieri sono guidati più dall’ossessione della perdita di un arto a causa di uno di questi giganti del sottosuolo e dalla volontà di vendicarsi, che dalla necessità di realizzare un profitto di carattere economico.
E’ questo il medesimo obiettivo perseguito dalla capitana del treno su cui si è imbarcato, senza arte né parte, il giovane Sham. Cabacat Naipho, così si chiama la comandante della ciurma di talpieri di cui Sham è giunto a far parte, ha infatti perso un braccio, in seguito sostituito da una complessa protesi meccanica fatta di legno e di acciaio, a causa di una gigantesca talpa bianca o, come altri sostengono, del colore avorio dei denti, durante una passata spedizione di caccia, motivo per cui da allora l’animale ha iniziato a costituire la sua vera e unica ossessione.
Le vicende del romanzo e della formazione del giovane protagonista si sviluppano così tra pericoli, avvistamenti di talpe colossali che corrono appena sotto la superficie per poi, magari, sbucare a “prua” del treno in corsa per devastare i binari sui quali lo stesso corre, ricerca di terre sconosciute e memorie rimosse e dimenticate, ma anche tra banditi, avventurieri ed esploratori che gli faranno conoscere il gusto dell’avventura e del sangue. Da cui, durante il primo smembramento di talpa a cui partecipa nel laboratorio a bordo del convoglio su cui viaggia e lavora, sarà letteralmente ricoperto.
Occorre però a questo punto tralasciare la narrazione degli eventi che caratterizzano la storia sia per non rovinare il piacere del lettore e la sua attesa degli sviluppi conseguenti ad ogni scelta operata sia da Shamus che dalla “sua” capitane e da tutti gli altri personaggi che si incontrano nel corso del romanzo, sia per poter parlare dell’autore che sicuramente può essere definito come uno dei più importanti autori di letteratura dark fantasy e SF degli ultimi decenni.
Di China Miéville (Londra 1972), nonostante sia stato vincitore di numerosi e prestigiosi premi letterari in ambito fantascientifico e horror ( premio Bram Stoker nel 1999; premio Arthur C. Clarke e British Fantasy per il 2001; International Horror Guild e ancora Bram Stoker per il 2003; premi Arthur C. Clarke e Locus per il 2005; premio Locus per il 2008; poi ancora vincitore dei premi Locus, Arthur C. Clarke, British Science Fiction e World Fantasy in anni successivi e infine finalista per il premio Hugo 2012 nella categoria Miglior romanzo), occorre però dire che è anche convinto militante della sinistra radicale inglese.
Queste due passioni l’hanno portato a dare vita e forrma a una letteratura che, soprattutto nella trilogia della città di New Crobuzon (Perdido Street Station, La città delle navi e Il treno degli Dei),1 mescola socialismo utopico, aspetti steampunk, lotta di classe, rivoluzione sociale, orrori di sapore lovecraftiano e avventura. Generando una sorta di anticipazione distopica di un mondo che assomiglia fin troppo al passato dell’industrializzazione e delle rivolte dell’Occidente a cavallo tra Otto e Novecento. Oppure, come in questo caso, ad un suo possibile ed imprevisto futuro.
Ma è anche necessario anticipare che, nonostante le etichette fin qui utilizzate per definirlo, Miéville è prima di tutto un grande e originalissimo scrittore. Come affermava lo scomparso Valerio Evangelisti, infatti: «esistono soltanto due generi di letteratura: quella buona e quella cattiva» e lo scrittore britannico va inserito a pieno titolo in quella appartenente alla prima categoria.
Gran parte della qualità letteraria dell’autore e delle sue opere, prima ancora che nell’originalità delle storie, risiede nell’uso spregiudicato e inventivo della lingua. Una lingua che viene piegata e distorta ai fini della narrazione, finendo col diventare l’autentica protagonista della creazione letteraria. Una qualità che sembra porre il logos avanti alla materia che da quest’ultimo è destinata ad essere trasformata e ricreata.
Secondo logiche che vanno ben oltre le formulazioni di quel cognitivismo che ritiene il linguaggio e il suo uso la base fondamentale dello sviluppo dell’individuo sia nella sua fase infantile che in quella della formazione e dell’evoluzione della specie, poiché nel caso di Miéville e dei suoi romanzi la parola e l’invenzione linguistica creano davvero il mondo.
Finendo così col mettere in discussione l’assunto di Italo Calvino, espresso in una conferenza del 1967 e oggi usato fin troppo spesso per giustificare l’uso e la diffusione dell’intelligenza artificiale anche in ambito creativo, secondo cui:
L’uomo sta cominciando a capire come si smonta e si rimonta la più complicata e imprevedibile di tutte le sue macchine: il linguaggio. Avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore, di ideare e comporre poesie e romanzi? Penso a una macchina scrivente che mette in gioco tutti quegli elementi che siamo soliti considerare i più gelosi attributi dell’intimità psicologica, dell’esperienza vissuta, dell’imprevedibilità degli scatti d’umore, i sussulti e gli strazi e le illuminazioni interiori.Che cosa sono questi se non altrettanti campi linguistici, di cui possiamo benissimo arrivare a stabilire lessico grammatica sintassi e proprietà permutative?2.
In Calvino lo slancio progressista e la volontà di mescolare scienza, tecnica e letteratura in un paese ancora intriso all’epoca, e forse ancora oggi, di classicismo e studi classici, potevano avere qualche giustificazione, ma la successiva evoluzione dello studio della mente umana sulla base del tentativo di riprodurne i meccanismi nelle macchine cosiddette intelligenti ha condotto all’uso sfrenato dell’AI e di strumenti quali ChatGpt che assemblano parole in base a delle regole prestabilite e conosciute dall’algoritmo. Fingendo che lì stia l’intelligenza, ovvero la capacità di intelligere (comprendere e interpretare) la realtà nei suoi infiniti aspetti.
Rispetto a cui il compito dello scrittore di qualità è quello di aggiungere prospettive, problemi, immagini e sogni che non potranno mai essere ricondotti ad un unica grammatica generale di regole e algoritmi.
Chiamasi, questo processo, creatività, cui nessun gioco ricombinatorio, come quelli proposti da Italo Calvino e dal suo amico e sodale Raymond Queneau, potrà dare una forma definitiva e riproducibile dagli algoritmi delle tecniche cibernetiche, anche dai più complessi.
Il lavoro di Miéville continua perciò a stimolare e spingere il lettore in una diversa direzione, in modo da poter forse far esclamare un giorno, come fa la capitana Cabacat Naipho ad un certo punto del romanzo: «Ben scavato, Vecchia Talpa!». Rivelando così anche una delle sotterranee metafore di cambiamento e rivolta contenute in Railsea.