di Franco Pezzini

Luca Della Bianca, L’Eden alla Contrescarpe. Scrittori a Parigi nel 1925 e dintorni, prefaz. di Corrado Donati, pp. 119, € 15, Metauro, Pesaro 2025.

Luca Della Bianca (1962) è un raffinato studioso di letteratura che condivide la sua sapienza con gli studenti del liceo di Garbagnate Milanese. Al suo attivo ha una ricca serie di romanzi, saggi (dalla letteratura italiana a quella latina e greca, ma anche su soggetti meno inquadrabili, come «Io d’amore mi vestirò». Sentimento ed eros nelle canzoni italiane degli anni Settanta, Metauro, 2023 e seconda edizione 2024).
Nel 2021 ha pubblicato con BookTime l’affascinante monografia Faulkner e Hemingway a Saint-Sulpice, pp. 81, € 12, Milano 2021, delicato e malinconico pellegrinaggio nella Parigi degli scrittori, in particolar modo tra gli anni venti e i quaranta del Novecento. Una sorta di Baedeker molto dettagliato di caffè e librerie, luoghi di sbronze e ristoranti, chiese silenziose dove autori talora inimmaginabilmente cattolici affidavano in Alto i loro rovelli (in effetti si partiva e idealmente si tornava al dipinto di Delacroix a Saint-Sulplice sul misteriosissimo corpo a corpo tra Giacobbe e l’angelo, un episodio biblico vertiginosamente arcaico poi spesso letto come immagine della preghiera). La partecipazione interiore dell’autore era evidente, il passo profondamente personale.
In chiave più asciuttamente letteraria ma non meno profondamente sentita esce ora questa bellissima, elegante monografia, che del volume precedente riprende il tema con un taglio un po’ diverso. I personaggi sono alla grossa quelli incontrati, ma il focus è il tema d’un paradiso perduto nella Parigi di metà anni Venti di scrittori agli esordi e aspiranti tali, tale da permettere l’incubazione di una loro vocazione.
Così per Faulkner (I giardini del Luxembourg), che arriva a Parigi il 13 agosto 1925, prende inizialmente alloggio a Montparnasse ma di lì si sposta, favorito dal cambio tra dollaro e franco, nella zona del Luxembourg e più precisamente in quella rue Servandoni che al tempo di d’Artagnan – che secondo Dumas vi affittò una mansarda – si chiamava rue des Fossoyeurs. Tanto timido da non osar presentarsi a una serie di grandi nomi della letteratura d’epoca (prima Pound, poi a Parigi Hemingway e Joyce), senza affacciarsi al salotto di Gertrude Stein e senza farsi notare nella leggendaria libreria “Shakespeare and Company” di Sylvia Beach, Faulkner si crea comunque una leggenda da eroe di Dumas, inventandosi – per la frustrazione di non aver potuto combattere in Europa – fantomatiche ferite e fratture da eroico ex aviatore.
Si passa poi a Sherwood Anderson (Rue de l’Odéon), che a Parigi era giunto a fine maggio 1921 per un mesetto, attratto dai Misteri di Sue, e che lì attorno a “Shakespeare and Company” – dove nota eccitato in vetrina il suo Winesburg, Ohio – identificherà Odéonia, dal nome di rue de l’Odéon dove c’è anche La Maison des Amis des Livres di Adrienne Monnier. Proprio a Odéonia Hemingway incontra Joyce, e viene ritratto in foto da Sylvia Beach, come Pound e Fitzgerald. Dialoghi, condivisioni intellettuali, suggerimenti tecnici e insegnamenti: niente in comune con certo circo librario dei giorni nostri.
Il terzo capitolo (Place de la Contrescarpe) è incentrato su Hemingway, giunto a Parigi nel dicembre 1921 con la giovane moglie Hadley Richardson (sposata a settembre) formalmente come corrispondente del “Toronto Star” ma soprattutto per diventare scrittore. Dal gennaio 1922 all’agosto dell’anno dopo andranno ad abitare in un alloggio economico in Rue du Cardinal Lemoine, subito prima di place de la Contrescarpe. Zona non di artisti ma di lavoratori e bevitori – un certo numero clochard. Della Bianca conduce dettagliatamente nella vita sociale dell’area, richiamata in più opere dello scrittore americano, fino a Festa mobile (postumo, 1964), in un’attenta costruzione da parte di Hemingway del proprio mito.
Ma via via il groviglio tra autori e loro avventure letterarie si fa inestricabile, come a proposito di “Le Closerie de Lilas” (titolo del cap. 4), il più bel caffè di Montparnasse, dove Hemingway a un certo punto prende a fermarsi a scrivere e nel maggio 1925 incontra brevemente Fitzgerald, per maturare in un successivo invito a pranzo una franca avversione – ricambiata – per la fatale Zelda. Ma compare anche Ezra Pound, che da Hemingway prende lezioni di pugilato ricambiando con l’insegnamento letterario della concisione efficace – tanto Pound non può mettere più piede nel salotto di Gertrude Stein dove ha sfasciato, sedendovisi sopra, una preziosissima sedia antica, e da allora qualifica l’inviperita padrona di casa del titolo di “vecchia palla di lardo”. Da Pound, Hemingway conosce il raffinato pittore Henry Strater detto Mike, compagno di studi e amico di Fitzgerald: in compenso quest’ultimo verrà presentato da Hemingway a Gertrude Stein e conoscerà presso Odéonia anche l’ammiratissimo Joyce.
Groviglio inestricabile anche perché Della Bianca non scandisce la narrazione sulla base dei profili degli autori, ma dei luoghi, rendendo il testo un prezioso sussidio nel caso di viaggi a Parigi e tanto più per soggiorni solitari in città, magari con pochi soldi in tasca, come avvenuto a parecchi dei personaggi descritti. Così Quai d’Anjou evoca l’ufficio di William Bird e Ford Madox Ford e le fortune editoriali del giovane Hemingway, la sua conoscenza di Robert McAlmon e il rapporto complesso tra amicizia e rottura con Harold Loeb e Sherwood Anderson (più che ingratitudine, nel caso di Hemingway, c’era la difficoltà caratteriale di dovere qualcosa a qualcuno sul piano professionale), nonché le sbronze di Joyce trasportato – si dice – in carriola. In Île Saint-Louis compare Dos Passos, che a Parigi fu parecchie volte, frequentandovi Hemingway, Edward Estlin Commings e la studiosa di letteratura Crystal Ross (vincitrice – fatto eccezionale per una donna al tempo – di una borsa di dottorato a Strsburgo) che avrebbe voluto sposare. In Place des Vosges si ricorda Simenon, giunto a Parigi un anno dopo di Hemingway, ma anche Joséphine Baker, Eliot, Kiki di Montparnasse compagna di Man Ray, ancora Fitzgerald e la scomoda Zelda.
I capitoli successivi sono Rue de Tilsitt (gli amori falliti di Faulkner e Fitzgerald, Il grande Gatsby…), Rue del Grande-Chaumière (il ristorante preferito da Faulkner, la miseria di Parigi raccontata da George Orwell, Hart Crane, nato lo stesso giorno di Hemingway, come lui erede da uno dei genitori di tendenza alla depressione maniacale e come lui suicida, l’editore edonista Harry Crosby, Nathanael West e la sua morte quasi contemporanea a quella di Fitzgerald…). E infine il decimo, Saint-Sulpice, dove a tanta distanza dai tempi di rue Servandoni, di un Faulkner coronato dal Nobel (siamo ormai nel 1950) si cita il mistero del romanzo A fable dedicato alla figlia, ma “ambizioso e inadeguato”: una storia pseudocristiana dove pure “manca la tensione religiosa che ai vertici dell’arte di Faulkner, in Light in August e Absalom, Absalom!, accompagna una straordinaria carica morale” – e in quelli semmai va cercato l’effetto della visione del dipinto di Delacroix sulla lotta di Giacobbe con l’angelo.
Ma del resto a quel tempo il piccolo mondo di Odéonia è sostanzialmente finito. La clamorosa liberazione della strada dai nazisti a opera di una colonna di jeep guidata da Hemingway (1944) non farà riaprire “Shakespeare and Company” e una decina d’anni dopo Adrienne Monnier interrompe volontariamente le sofferenze della propria malattia (1955) spegnendo assieme La Maison des Amis des Livres. Nel 1961, travolto dalla depressione e poi da crisi maniaco-depressive, la fa finita anche Hemingway: con una diversa situazione di salute, il suo postumo Festa mobile “sarebbe stata […] una delle opere più belle del Novecento, una piccola nuova Recherche du temps perdu”. Dell’epoca incantata di Parigi, del paradiso di “libertà inebrianti e dedizione assoluta alla scrittura”, di gioventù in cui tutto è ancora possibile, resta solo nostalgia. Rileva il prefatore Donati:

E allora diventa chiaro il senso di quella “nostalgia” di cui parla, in chiusura, Luca Della Bianca: nostalgia di quegli uomini attraverso i cui libri abbiamo scoperto il senso della vita e nostalgia, anche, di quelle voci che richiamano le genti addormentate al valore universale della letteratura e della poesia.