di Luca Cangianti
L’antagonista, il villain, il mostro, il nemico si presentano come doppio dell’eroe. Di questo abbiamo parlato in un articolo precedente. Nell’Attacco dei giganti – manga di Hajime Isayama dal quale è stato in seguito realizzato un anime – si fa un passo avanti verso una relazione dialettica dalle tinte hegeliane.
Uno spoiler titanico
Per argomentare questa tesi partiamo da un’esposizione priva di qualsiasi cautela in materia di spoiler. Da cento anni l’umanità residua vive nella città di Paradis protetta da un muro alto cinquanta metri. Fuori c’è il “nemico naturale”, i giganti. Si tratta di umanoidi che ricordano degli zombie in formato ciclopico. Nei documenti storici non c’è traccia della causa che ha portato alla loro apparizione; divorano solo gli esseri umani, ma non disponendo di un apparato digerente li rigurgitano; non respirano, non soffrono la fame né la sete, non hanno organi sessuali e se privati di un arto lo rigenerano. Hanno bisogno solo di luce e il loro punto debole si trova dietro il collo.
L’incidente scatenante avviene quando due giganti, il Colossale e il Corazzato, aprono una breccia nelle mura: i mostri dilagano causando morte e distruzione. Eren Jaeger, l’eroe, assiste impotente alla morte della madre. Giura vendetta e, insieme ai suoi amici Armin e Mikasa, si unisce al Corpo di Ricerca, il cui scopo è scoprire l’origine e la natura dei giganti. I suoi militi, tenaci e indomiti, sono gli unici a uscire dalle mura. Sono rivoluzionari e sognatori: in una società chiusa e dominata dalla paura, rappresentano la speranza di un mondo migliore, il coraggio di andare oltre i limiti, praticamente e metaforicamente. Il loro motto è: «Offriamo i nostri cuori!»
Nel corso degli eventi Eren scopre di avere la capacità di trasformarsi egli stesso in gigante, pur conservando la sua coscienza umana. Inizia così una lunga guerra, non solo per sconfiggere i giganti, ma anche per svelare molti misteri. Si scopre che i giganti sono esseri umani trasformati e che il vero nemico è il mondo esterno alle mura – in particolare la nazione di Marley, che da secoli opprime gli eldiani, gli unici esseri umani capaci di trasformarsi in giganti. L’isola di Paradis altro non è che l’ultimo rifugio di questo popolo dopo la caduta dell’impero di Eldia. Gli abitanti della città fortificata pensavano di combattere contro i mostri e adesso scoprono che i mostri sono loro, o almeno che il mondo li considera tali.
Ereditando i ricordi del padre, Eren scopre l’origine dei nove giganti primordiali, la storia del popolo di Ymir, cioè Eldia, e i conflitti tra questa e Marley. Eren decide allora di distruggere il mondo per garantire la sopravvivenza del suo popolo. Alleatosi temporaneamente con il fratellastro Zeke Jaeger, s’impossessa del potere della Fondatrice Ymir che permette il controllo assoluto su tutti i giganti. Infine scatena il Boato della Terra che consiste nella liberazione di milioni di giganti colossali imprigionati nelle mura di Paradis. Questi si mettono in marcia per sterminare l’umanità fuori dall’isola.
Quando Mikasa e Armin scoprono gli intenti di Eren, si ribellano al suo piano e formano un’alleanza con alcuni ex avversari, uniti da un obiettivo comune: fermare Eren e salvare l’umanità. Quest’ultimo nel frattempo si è trasformato in un mega-mostro osseo. Durante lo scontro finale, Armin colpisce la bestia con il potere del Colossale, mentre Mikasa penetra all’interno della struttura titanica per cercare il corpo umano di Eren. Lo trova in stato semicosciente, con un’espressione di pace sul volto. Mikasa, da sempre legata a Eren da un amore tragico e sconfinato, si trova di fronte alla scelta più difficile: salvare il mondo oppure l’uomo che ama. Gli taglia la testa e lo bacia (esattamente in quest’ordine). In una realtà alternativa mostrata nei capitoli finali, Eren rivela a Mikasa di aver voluto essere fermato da lei. Sapeva di essere oltre ogni redenzione, ma desiderava che fosse Mikasa a chiudere il cerchio. Il potere dei giganti scompare e l’umanità, pur se ridotta a un misero venti per cento, sopravvive. Ciò nonostante la tensione tra Paradis e le altre nazioni rimane.
La negazione determinata
L’attacco dei giganti è una narrazione di scontro, di guerra, di svolte, di rivelazioni e di paradossi, ma i termini che si oppongono e cozzano non sono estrinseci. Essi si strutturano secondo uno schema prossimo alla negazione determinata di Hegel. Come il filosofo spiega nella Scienza della logica «L’unico punto, per ottenere il progresso scientifico […] è la conoscenza […] che il negativo è insieme anche il positivo, ossia che quello che si contraddice non si risolve nello zero, nel nulla astratto, ma si risolve essenzialmente solo nella negazione del suo contenuto particolare, vale a dire che una tale negazione non è una negazione qualunque, ma la negazione di quella cosa determinata che si risolve, ed è perciò negazione determinata. […] Codesta negazione è un nuovo concetto, ma un conetto che è superiore e più ricco che non il precedente […] ed è l’unità di quel concetto e del suo opposto.»1 Facciamo un esempio: nel confliggere frontale di due figure sociali (negazione astratta), una potrebbe esser pronta a sottomettersi all’altra per salvare la propria vita (negazione di sé). Si genera così la relazione tra servo e signore descritta nella Fenomenologia dello spirito.2 Hegel dice che il lato dominato di questo rapporto è costretto a lavorare per quello dominante, ma in questo modo apprende a plasmare gli oggetti e il mondo, dunque acquisisce potere e coscienza di sé (negazione determinata), mentre il signore si limita a fruire immediatamente dei prodotti creati dal servo. Quest’ultimo grazie al lavoro nega sé stesso come pura passività e trasforma tale negazione in un momento positivo: si forma nel lavoro e si riconosce come soggetto più libero e cosciente del signore. La negazione determinata non comporta distruzione, ma trasformazione e conservazione di un contenuto in un nuovo contesto più avanzato.
Le contraddizioni dei giganti
Riassumiamo ora i conflitti principali dell’Attacco dei giganti. 1) I giganti sono nemici degli umani rinchiusi in Paradis, ma poi si rivela che anche quest’ultimi possono trasformarsi in giganti. L’alterità nemica è quindi interiorizzata e il conflitto si sposta fuori le mura. 2) Le mura proteggono l’umanità dai giganti, ma la loro capacità di resistenza è dovuta al potere d’indurimento dei giganti che sono intrappolati all’interno delle fortificazioni stesse. 3) Eren e Armin sognano il mare e la libertà oltre le mura e i giganti, ma scopriranno che al di là dell’oceano c’è Marley che vuole sterminare gli abitanti di Paradis considerandoli mostri. È da Marley infatti che provengono i giganti che assediano Paradis. Essi altro non sono che parte della popolazione eldiana trasformata forzosamente. 4) Eren è l’eroe che sogna un mondo migliore, ma si trasforma nel distruttore della Terra. 5) Sempre lui dichiara: «Io sono uno schiavo della libertà!». Vuole andare oltre le mura, conoscere il mondo, essere libero di scegliere, ma quando accede ai ricordi del futuro del Gigante Fondatore si rende conto che le sue azioni erano già state previste. È lui che ha mostrato al padre gli eventi a venire per costringerlo a compiere determinate azioni. 6) Mikasa ama Eren, ma lo uccide: la ragazza compie l’impresa dell’eroe Eren sconfiggendo l’antagonista Eren e la sua dialettica priva di sintesi – il Boato della Terra.
L’amore di Mikasa
«Il primo momento nell’amore», sostiene Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto, «è che io non voglio essere una persona autonoma per me e che, se lo fossi, mi sentirei manchevole e incompleto. Il secondo momento è che io acquisto me in un’altra persona, che io valgo in lei ciò che a sua volta essa consegue in me. L’amore è pertanto la contraddizione più prodigiosa, che l’intelletto non può sciogliere, giacché non vi è nulla di più arduo di questo carattere puntiforme dell’autocoscienza, che viene negato e che io pur tuttavia devo avere come affermativo.»3 Il primo momento è simbolizzato da Mikasa che non si separa mai dalla sciarpa regalatale da Eren; il secondo dalle caratteristiche di Eren che attraggono Mikasa: lo spirito combattivo, il desiderio di giustizia e di libertà. Il motto ricorrente dell’eroe è infatti: «Combatti, devi combattere!» Nel momento in cui questi stessi elementi rischiano di provocare la distruzione, Mikasa compie il più grande atto di amore. Uccide il suo amato per conservarne le aspirazioni. Gli taglia la testa e, dopo un bacio che toglie il fiato, la trattiene in grembo. In questo modo, prossemicamente, Mikasa nega, ma conserva Eren e ciò che egli simbolizza. Dando la morte, Mikasa è la vita che trionfa sulla morte, la dialettica allo stato puro, lancinante, eroica, struggente. Per questo non si può che amare Mikasa.
L’antagonista come motore della storia
Jean Hyppolite afferma che nella Fenomenologia dello spirito «la dialettica producentesi nell’esteriorità si traspone all’interno dell’autocoscienza stessa». In questo modo «la dualità delle autocoscienze viventi diviene la duplicazione dell’autocoscienza all’interno di sé. L’indipendenza del signore e la severa educazione del servo divengono la padronanza-di-sé dello stoico – sempre libero quali che siano le circostanze o i casi della sorte – o l’esperienza della libertà assoluta dello scettico, il quale dissolve ogni posizione diversa da quella dell’io stesso.»4 E così come Alexandre Kojève ricorda che la negazione dell’Altro in Hegel non è assoluta, ma sempre determinata,5 noi possiamo affermare che il gigante rappresenta la negazione determinata di Eren e che, più in generale in narratologia, l’antagonista nega determinatamente l’eroe. Questo infatti riesce a compiere il proprio viaggio6 grazie alla lotta con l’antagonista così come il servo progredisce spiritualmente in virtù del conflitto con il signore, che funge da catalizzatore. Il nemico, l’antagonista, non è mera opposizione esterna, ma momento interno del processo dialettico che permette all’eroe di confliggere, negarsi e autogenerarsi in una nuova superiore identità. Non si sconfigge il nemico annientandolo, ma passandoci attraverso, interiorizzandolo come negativo.
Marx affermava che «È il lato cattivo a produrre il movimento che fa la storia». Noi possiamo aggiungere che senza «questo inconveniente della società»7 non ci sarebbe stato né incidente scatenante né conflitto. Saremmo rimasti a casa, non avremmo intrapreso viaggio alcuno e di conseguenza non ci saremmo evoluti. Nessuna storia sarebbe stata scritta o raccontata; non ci saremmo innamorati di Mikasa, non saremmo morti e non continueremmo a vivere in lei.
G.W.F. Hegel, Scienza della logica, vol. I, Laterza, 1988, p. 36. ↩
Cfr. id., Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, 1988, pp. 159-164. ↩
Id. Lineamenti di filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello stato in compendio con le aggiunte di Eduard Gans, a cura di G. Marini, Laterza, 1999, pp. 332-333. ↩
Jean Hyppolite, Genesi e struttura della «Fenomenologia dello spirito» di Hegel, La Nuova Italia, 1989, p. 191. ↩
Cfr. A. Kojève, Introduzione alla lettura di Hegel, Adelphi, 1996, p. 65. ↩
Cfr. A. Penequo (a cura di), Il viaggio rivoluzionario dell’eroe. Narrare, conoscere, ribellarsi, Mimesis 2020. ↩
K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, 1993, pp. 78-79. ↩