di Gioacchino Toni

Maria Pontillo, Stefano Vicari, La paura di essere disconnessi. Adolescenti e dipendenza dalla rete, il Mulino, Bologna 2025, pp. 128, ed. cartacea € 13,00, ed. digitale € 9,49

Pur essendo da qualche tempo annoverata tra le nuove forme di dipendenza comportamentale, la dipendenza dall’universo online non è di così facile definizione e concettualizzazione anche a causa delle difficoltà che si incontrano nel tracciare un confine certo tra le forme di utilizzo considerabili nella norma e quelle eccedenti. In un contesto in cui una parte sempre più rilevante della produzione, del commercio e dei servizi richiede la permanenza del lavoratore o del fruitore (altro confine sempre più labile nell’epoca della datificazione) è obbligatoriamente spesa online, risulta problematico stabilire un limite oltre il quale si possa parlare di dipendenza.

Se da un lato gli adulti si allarmano, giustamente, per il tempo che gli adolescenti trascorrono in Internet sui social, a guardare e condividere immagini e video o a cimentarsi nel gaming online scollegandosi sempre più dalla realtà quotidiana e dalla socializzazione in presenza, dall’altro gli adulti hanno contribuito a sviluppare un mondo sempre più espanso nel web e vetrinizzato. Risulta quantomeno contraddittorio riprendere gli adolescenti per il loro rintanarsi in Internet ed allo stesso tempo magari passarvi, da adulti, le intere giornate lavorative, farvi acquisti o pagamenti, prenotarvi visite mediche o biglietti, consultarvi notiziari, ricorrervi per attività di intrattenimento ecc.

Convenzionalmente, quando si parla di dipendenza da Internet (Internet Addiction Disorder), scrivono Maria Pontillo e Stefano Vicari nel volume La paura di essere disconnessi (il Mulino, 2025), ci si riferisce ad «una condizione caratterizzata da un uso compulsivo e problematico della rete, accompagnato da pensieri ossessivi sulla possibilità di connettersi, che compromettono significativamente la vita quotidiana di chi ne è affetto» (p. 12).

Gli autori si concentrano sugli adolescenti che, soffrendo di tale disturbo, passano «gran parte della loro giornata online a discapito di attività importanti per lo sviluppo cognitivo ed emotivo come lo studio e le relazioni personali» (p. 12) proprie della vita offline. Preferendo le interazioni virtuali a quelle reali, molti adolescenti riducono significativamente il tempo passato con amici e familiari offline tanto da manifestare una dipendenza da Internet che li induce a non potere fare a meno di ricorrere allo smartphone ovunque e in ogni momento al fine di controllare notifiche e aggiornamenti riguardanti la loro vita online manifestando ansia ed irritabilità quando, per qualche motivo, non possono farlo. Essere e sentirsi costantemente connessi diviene una condizione irrinunciabile che, con il tempo, tende ad accrescere l’isolamento sociale, a compromettere la capacità di attenzione, il rendimento scolastico e a dar luogo a “comportamenti di nascondimento”, cioè di mentire agli altri e a sé stessi sui tempi realmente trascorsi online per evitare il giudizio altrui.

Tra le conseguenze fisiche più diffuse derivate dalla dipendenza da Internet si riscontrano cefalee, disturbi del sonno, problemi posturali, visivi, uditivi e sintomi neurologici come vertigini, difficoltà nella coordinazione e persino modificazioni strutturali nel cervello. Tale tipo di dipendenza comporta, inoltre, dal punto di vista dei rapporti interpersonali, litigiosità in famiglia dovuta ai rimproveri che gli adolescenti ricevono dai genitori per il loro trascurare la vita al di fuori da Internet. Tale conflittualità in famiglia tende a generare tra gli adolescenti ansia e sensi di colpa per il fallimento delle aspettative che gli adulti ripongono su di loro.

Tra i principali tipi di dipendenza da internet si possono indicare: la dipendenza dalle relazioni amicali, amorose e pesino sessuali virtuali che si sostituiscono a quelle della vita fuori dagli schermi; il sovraccarico cognitivo che induce ad un’incapacità decisionale; la dipendenza compulsiva al gioco d’azzardo, allo shopping ed ai videogiochi. Dipendenze che tendono derivare da una fase di coinvolgimento dettato dalla curiosità che presto si trasforma in immersione nell’esperienza online e relativa fuga dal mondo reale.

Evidenza scientifiche hanno mostrato analogie tra la dipendenza da sostanze a quella da Internet, tanto che alcuni studi hanno recentemente scoperto che il cervello si attiva in maniera analoga in tutti questi tipi di dipendenza. Ad accomunare le diverse esperienze di dipendenza sono, ad esempio: la centralità che assume il comportamento da cui si è dipendenti sul resto della vita; le alterazioni umorali che si provano ad ogni inizio dell’esperienza; la necessità di incrementare la frequenza e la quantità dell’esperienza per ottenere i medesimi effetti; i sintomi d’astinenza in caso di interruzione prolungata; la conflittualità con gli altri e con sé stessi determinata dal comportamento disfunzionale; la tendenza alla ricorrenza del comportamento nel tempo.

Pontillo e Vicari si soffermano sul rapporto tra il ritiro sociale e la dipendenza da Internet. Il primo è un fenomeno complesso che può essere influenzato dalle nuove tecnologie e dai social che fungono in taluni casi da sostituti della vita reale presentandosi come unica occasione di comunicazione e relazione anche grazie alla possibilità di interagire evitando l’ansia che possono generare il contatto visivo prolungato e diretto e l’espressione verbale sincronica ai contenuti. La comunicazione online, inoltre, permette la costruzione di un’identità in cui è più facile esprimersi e manifestarsi rispetto all’offline. Se da un lato il mondo social risponde ad un bisogno di socialità, dall’altro può però condurre ad un progressivo allontanamento dalla realtà offline.

Gli autori sottolineano come i social non siano «intrinsecamente la causa del ritiro sociale, ma le loro caratteristiche possono interagire con tratti temperamentali come timidezza, bassa autostima e vulnerabilità all’isolamento, facilitando il percorso verso il ritiro in quegli adolescenti che già affrontano disagio e scarse competenze sociali» (pp. 28-29). Dunque, sostengono Pontillo e Vicari, occorrerebbe agire su questi ragazzi accrescendo le loro competenze sociali e promuovendo interazioni significative nell’universo offline.

Nel volume vengono riportati alcuni esempi specifici di adolescenti alle prese con la dipendenza da Internet mostrando come questa non sia un fenomeno legato esclusivamente all’uso esagerato della tecnologia ma nasconda un malessere psicologico decisamente più profondo che può riguardare l’ansia, la depressione e disturbi dell’umore. L’universo dietro lo schermo risulta spesso un rifugio da un mondo reale «percepito come ostile, faticoso o incomprensibile. Internet, quindi diventa una risposta a bisogni emotivi e psicologici che spesso restano nascosti e non riconosciuti» (p. 50).

Se da un lato il mondo online permette di «esprimere pubblicamente il proprio malessere, portando alla luce sofferenze, soprusi e violenze che, in altri contesti, non vengono espressi o non trovano ascolto» (p. 53), dall’altro può rinforzare comportamenti problematici come i disturbi alimentari, pratiche autolesionistiche, la depressione ecc. Molti adolescenti si rivolgono a comunità online focalizzate su specifiche problematiche (ansia, anoressia, bulimia, autolesionismo…) per cercare quel sostegno emotivo e quelle informazioni che non riescono a ricevere dagli adulti con cui sono a contatto nella vita quotidiana.

L’universo dei social rappresenta per molti adolescenti uno spazio di “intimità condivisa” in cui l’aspetto identitario tende ad essere superficiale, narcisistico e votato all’esibizionismo alla ricerca di approvazione. In tali contesti il concetto di intimità pare ormai del tutto annullato nello scemare della distinzione tra pubblico e privato: tutto viene esposto e sottoposto all’approvazione o alla disapprovazione immediata a suon di pollici alzati o abbassati senza che ciò sia debitamente motivato. La condivisione di selfie intimi rappresenta un esempio dell’inversione di priorità tra la tutela della propria persona e l’ossessione per la visibilità alla ricerca dell’altrui approvazione.

Ciò che appare maggiormente compromesso dai social, scrivono Pontillo e Vicari, «è il legame vero e proprio, la relazione autentica che connette le persone», si tratta di uno scenario in cui

i sentimenti passano in secondo piano rispetto a emozioni immediate e stimoli psicofisiologici legati al corpo, agli input esterni e interni. Il sentimento, che implica la componente riflessiva e la rielaborazione delle emozioni, oggi sembra essere messo da parte: tutto scorre troppo velocemente, le relazioni e le interazioni sono ridotte a un clic, a un’immagine, a ciò che appare superficialmente, senza un vero approfondimento o con una contestualizzazione adeguata (p. 56).

Per quanto la dipendenza da Internet possa derivare da motivi diversi, si possono individuare fattori di rischio neurobiologici, psicologici, individuali, ambientali e sociali che aumentano il rischio che un adolescente soffra di questo tipo di dipendenza. A livello neurobiologico diversi studi recenti ritengono che ad essere maggiormente a rischio di manifestare dipendenza da Internet sono gli adolescenti che manifestano

un numero ridotto di recettori dopaminergici, una produzione limitata di serotonina o alterazioni nelle connessioni tra le aree celebrali responsabili del controllo degli impulsi e della regolazione delle emozioni. Questa vulnerabilità neurobiologica può spingerli a cercare esperienze che stimolino il rilascio di dopamina nel nucleus accumbens, rinforzando così comportamenti compulsivi e instaurando un ciclo di dipendenza sempre più difficile da interrompere (p. 72).

I modelli familiari rappresentano un importante fattore di indirizzo per gli adolescenti che magari sono messi di fronte a modelli di adulti dotati di scarsa capacità di staccarsi da Internet. Gli adolescenti che vivono in ambienti familiari caratterizzati da conflittualità, scarsa comunicazione e stress elevato tendono più facilmente a rifugiarsi nel mondo virtuale in cerca di un’alternativa alle tensioni quotidiane e di gratificazioni che non trovano in famiglia.

Gli adolescenti che si sentono trascurati o insoddisfatti delle relazioni faccia a faccia, manifestano una propensione maggiore a proiettarsi e, in alcuni casi, ritirarsi nel mondo online alla ricerca di un senso di appartenenza e supporto. Se Internet appare a tali giovani come una comfort zone di sollievo rispetto al mondo reale, il proiettarsi nel mondo online in maniera sempre più frequente tende a rendere sempre più arduo affrontare le difficoltà nella vita reale. Più in generale, la tendenziale virtualizzazione delle relazioni sociali impone tempi di connessione sempre più prolungati con un incremento dello stress e della dipendenza. Ad incidere sulla propensione a proiettarsi eccessivamente in Internet sono anche fattori individuali come l’impulsività, la reattività emotiva, la ricerca di sensazioni e del rischio, la bassa tolleranza alle frustrazioni vissute nel quotidiano.

Nella seconda parte del volume, Maria Pontillo (psicoterapeuta cognitivo-comportamentale) e Stefano Vicari (docente di Neuropsichiatria infantile) propongono il ricorso alla terapia cognitivo-comportamentale (TCC) per affrontare la dipendenza da Internet. Dopo aver riportato un esempio di ricorso alla TCC in un caso specifico, gli autori delineano le varie fasi di cui si compone il trattamento, le tecniche utilizzate, il protocollo, la prevenzione delle ricadute, il ricorso al Mindfulness, il lavoro con i genitori ed i benefici della peer education (educazione tra pari) per poi concludere delineando una piccola guida di intervento rivolta alla componente genitoriale ed educativa, oltre che agli adolescenti stessi.

A differenza di altre tipologie di dipendenza da sostanze o da comportamenti, nel caso della dipendenza da Internet, sottolineano gli autori, non è possibile, né sarebbe sensato, mirare alla cancellazione totale del rapporto con l’oggetto di dipendenza. Essendo che con l’universo online si è tenuti ad avere a che fare nella quotidianità, scopo della terapia cognitivo-comportamentale non può che essere quello di aiutare l’adolescente a ridurre e gestire consapevolmente il tempo che vive in Internet senza farsi risucchiare da esso abbandonando il mondo fuori dallo schermo.

Più volte, nel corso del libro, gli autori sottolineano come la rete funga da rifugio per gli adolescenti in fuga da un mondo offline che trovano ostile e incomprensibile, un mondo da cui non ricevono la dovuta attenzione e in cui faticano davvero a vivere. Risulta pertanto difficile pensare di poter sottrarre da tale tipo di dipendenza gli adolescenti senza mettere mano drasticamente agli imperativi, ai valori ed ai rapporti che regolano questo mondo al di qua dello schermo. Senza riformulare drasticamente quest’ultimo ci si trova e ci si troverà inevitabilmente a rincorrere il disagio senza prevenirlo eliminandone buona parte delle cause. Facile a dirlo, più difficile trovare il modo di farlo.