di Giorgio Bona

Petra Klabouchová, Le sorgenti della Moldava, trad. di Raffaella Belletti, pp. 384, € 21, Le Assassine, Milano 2025.

Il libro vuole ricordare tutti gli eroi grandi e piccoli della Śumava, compresi quelli caduti nell’oblio, che esalarono l’ultimo respiro tra queste montagne e dei quali non è rimasto nulla. Né un nome, né una tomba e neppure una piccola croce su cui deporre un fiore.

Un preludio per farci entrare in questo romanzo della scrittrice e giornalista ceca Petra Klabouchová, dove la vera protagonista del libro è la Śumava, la selva boema, area di montagne e di foreste al confine tra la Repubblica Ceca e la Germania, una porzione di terra che nasconde odi atavici e rancori mai dissipati tra tedeschi e cechi espulsi dopo la seconda guerra mondiale.
È un luogo dove è difficile vivere, dove gli uomini si ubriacano fino a scoppiare o vivono nella speranza di una via di fuga, fino a crollare delusi. Una terra però di straordinaria bellezza, aggredita e mortificata da eserciti tedeschi, americani, russi e che si trascina le devastazioni di ogni guerra.
La sua popolazione ha subito qualunque forma di oppressione e di violenza e ne ha pagato le conseguenze negli anni a venire. Terrore, indifferenza, diffidenza, sentimenti che serpeggiano nelle case e nelle strade, dove il tessuto umano si è disgregato e dove sembra sempre più difficile poterlo ricomporre.
L’amore per la propria terra fa spazio a questa catastrofe di sentimenti, ogni cosa distrutta nel tempo come se non volesse lasciare testimoni.

Dapprima, nel ’38, dopo l’occupazione della zona di confine da parte dei nazisti, fuggirono i cechi, poi, dopo la guerra, i sopravvissuti cacciarono i tedeschi. Li cacciarono o li uccisero. Arrivò gente nuova. Dalla Romania, dall’Ungheria, dall’Ucraina. Stranieri. Per ripopolare il luogo. Avevano promesso loro una nuova casa. Ma questo territorio così difficile bisogna amarlo, e molto, per non scappare subito. Purtroppo, nelle vene dei nuovi venuti l’amore dei padri per questo nuovo pezzo di terra semplicemente non c’era.
La maggior parte di loro sparì alla ricerca di qualcosa di meglio. E quelli che rimasero non si sentirono mai davvero a casa. Una regione senza autoctoni. Senza la mano accudente dell’uomo, le fattorie e i campi languirono, e infine morirono una volta per tutte, quando nel distretto qualcuno decise di far nascere la loro posto la JZD, la Cooperativa Agricola Unificata, nonché una serie di casermoni per i costruttori del radioso futuro.
Poi il vento della storia cambiò direzione, la cortina di ferro cadde e nella valle della Moldava iniziò una nuova epoca. La libertà, dicevano. La libertà alla fine del mondo. Tornarono i tedeschi. Come turisti in cerca di prostitute a buon mercato sul ciglio della strada, di sigarette senza accisa e di nani di porcellana nudi sulle bancarelle lungo il confine.
Lipno, il mare della Cechia del sud, lo hanno venduto agli olandesi, che accanto al lago hanno costruito il loro Legoland arancione e azzurro. A Železnà Ruda, nella fascia di confine proibita, dove ancora ieri si sparava ad altezza d’uomo con proiettili veri, si fa tutt’ora a gara per ricostruire. A Kvilda, Zadov, Kašperské, una casa su due è stata trasformata in una pensione per i villeggianti, bramosi di toccare un vero albero. Ci sono più turisti che topi campagnoli, che peraltro è ormai vietato avvelenare. Il denaro scorre a fiumi. Altrove hanno saputo sfruttare la libertà. Non qui.

Così Petra Klabouchová tocca la realtà accendendo di parole anche quei fatti storici, riportandoli dentro un presente incerto, con una scrittura sicura e coraggiosa, facendo incrociare la realtà con le azioni dei personaggi animati da sentimenti di vendetta e di rabbia, mettendo in scena una ricostruzione autentica.
Nel piccolo villaggio di Františkov viene trovato il cadavere di una tredicenne del luogo. Il nome della vittima è Terenzie Velkova. Františkov, quattro case messe in croce e uno squallido bar, è un posto dove regna la miseria e la povertà, dove non accade mai nulla. Chi ha potuto commettere un delitto così orrendo accanendosi su una figura così gracile e indifesa? Perché?
Ancor più inquietante è il fatto che la ragazza indossasse un pigiama a righe con sopra cucita una stella di Davide e il macabro ritrovamento avvenne proprio nella giornata internazionale delle vittime dell’olocausto.
Sarà un caso?
A indagare un commissario con un passato doloroso, che cerca in tutti i modi di nascondere. Non solo, vi è anche un medico legale ammalato, affetto da gravi turbe e manie. E in ultimo vi è una giornalista ambiziosa, alla ricerca di uno scoop che può mutare il corso della sua vita.
Una notizia così eclatante alletta la fame di giornali scandalistici e, ancor di più, diventa un’opportunità per il commissario incaricato delle indagini, che si impegna subito per risolvere il caso e riabilitarsi da una vita di errori. Ed ecco emergere, con lo sviluppo delle indagini, uno sconcertante passato: il campo di concentramento mai trovato alle sorgenti della Moldava, dove venivano internati i prigionieri russi, il mistero della fabbrica segreta di Hitler costruita nei sotterranei della montagna Stolovà Hora, dove si pensava fosse nascosto un tesoro nazista che conteneva parti della camera d’ambra sottratta dal palazzo di Caterina di Russia.
Appena i fatti sembrano portare a una risoluzione del caso con la presenza di un colpevole, con l’arresto di un abitante del luogo, un uomo afflitto da un devastante disturbo psichico e dall’ossessione di ciò che si nasconde alle sorgenti della Moldava, ecco che la situazione viene completamente ribaltata, perché un secondo omicidio scompiglia le cose e rimette tutto in discussione.
Un romanzo che possiamo definire di genere, chiamiamolo pure giallo, ma va oltre perché trova radici nella memoria. Petra Klabouchová ci immerge in un mondo dove i segreti legati all’occupazione nazista emergono senza mai essere chiariti, andando a ritroso nel tempo, portandoci dal presente al passato con una realtà che si ribalta e ci rivela un finale inaspettato.

Cristo! Era l’unica cosa che gli era venuta in mente in quell’istante. Non perché aveva la prova dell’esistenza del campo di concentramento segreto, ma perché gli era chiaro che se tutto aveva qualche legame con il dottore e la Velkova, e sicuramente l’aveva, era davvero, ma davvero fottuto. Se per settant’anni avevano taciuto su una cosa del genere, non sarebbe certo stato un omicidio di provincia a indurli a far finire quella storia sulle prime pagine.

Il quadro mostra un ambiente dove la vita va a rilento, un’umanità apatica con una girandola di personaggi che si alternano cercando di scagionarsi per paura e disperazione o accusare qualcuno per rabbia o per interesse.
La scrittura procede veloce, con flashback improvvisi, richiede un’attenzione particolare perché nel romanzo c’è un continuo rimescolamento della cronologia che obbliga a ritornare sulle date in ordine sparso. I salti temporali così frequenti nella narrazione in ogni caso convergono sempre su una data di riferimento che è quella del ritrovamento del cadavere.
Il romanzo si ispira ad avvenimenti reali e si basa su un lavoro di ricerca capillare dell’autrice che prestando la voce ai suoi personaggi ci presenta una realtà amara e dolente ma appassionata di quella terra.
Le sorgenti della Moldava è un giallo storico con una narrazione molto potente, dove nel ricordo del passato riemerge la più profonda paura del sovvertimento e l’angoscia che serpeggia nell’anima e nella storia con un connubio di due generi, il noir e la saggistica storica, la cui combinazione potrebbe suscitare qualche perplessità ma che entrano in perfetta sintonia tra loro.
Petra Klabouchová è nata a Prachatice, nella Cechia del sud, nel 1980. Dopo avere studiato giornalismo, psicologia e relazioni internazionali all’Università di Masaryk, a Brno, ha lavorato parecchi anni per la stampa locale e la televisione. Oltre a Le sorgenti della Moldava (2021) ha pubblicato il romanzo La parete est (2023) e l’horror Ignis fatuus (2024). All’attività di giornalista affianca quella di manager di gruppi rock.