di Giovanni Iozzoli

E così se n’è andato anche Maradona. Portandosi dietro il mistero che un paio di generazioni di sociologi, antropologi, tuttologi, hanno cercato di svelare: qual è il dispositivo segreto che lega l’icona Maradona alle “masse popolari” di ogni ordine e grado? Sarebbe un buon modo di cominciare, con un certo distacco, la postura e lo sguardo critico dell’osservatore; ma starei solo fingendo, in un esercizio depistante di razionalizzazione.

Al problema, scandaloso, della sua morte ci sto girando intorno perché tra le “larghe masse popolari” commosse figura anche lo scrivente – e la maggior parte delle persone che conosce. E il carico emotivo di questo lutto è inspiegabilmente alto, rispetto all’oggettiva distanza dall’evento. Cosa e quanto avevamo investito nel mito Maradona – prima come genio calcistico, poi come iperbole umano-letteraria, infine come sublime simbolo populista – per indurci la pena e la tempesta emotiva che proveremmo verso un fratello lontano e mai dimenticato? Cosa avevamo buttato, negli anni, dentro il pozzo senza fondo di quel mito, per ritrovarci qui a piangerlo, in un delirio globale che non ha molti precedenti dai tempi di John Lennon?

Era Diego, che dietro il suo aspetto caricaturale, eccessivo, celava un qualche magnetismo segreto e inafferrabile, come i grandi clown o i grandi dittatori? O eravamo noi (masse popolari: almeno per stasera in culo agli snob!) che avevamo traslato su di lui, inconsapevole mentecatto, una carico di aspettative e narrativa devastante? E non è stata forse tutta questa “letteratura” (popolare) ad uccidere l’uomo? Gesù non sfuggì al suo destino, a Gerusalemme ci andò con le sue gambe; e pure Ernesto Che Guevara in Bolivia ed altri ce ne sarebbero, da aggiungere alla lista: tutti costoro si avviarono sul Golgota spontaneamente, perché su di loro si era addensato il peso insostenibile di un Eggregore gigantesco, mostruoso, il condensato di milioni di anime perse, stanche, miserabili e indomite che ti esigono morto e glorificato, per scaldare un po’ le loro vite esangui? Si è sacrificato, Diego (supplizio autoinflitto a coca, cibo e alcol – e poteva andargli peggio), perché non poteva sottrarsi al suo ruolo? Lo abbiamo spinto noi, sul crinale infuocato della leggenda?

Maradona è stato così amato perché ha caricato su di sé tutti i peccati del mondo, in un’espiazione godereccia e torbida, esplodendo dall’interno come una stella marcia e luminosissima. Anzi, si è caricato sulle spalle il vero peccato, il Peccato Originale: la mediocrità dei mediocri, delle vite irredimibili, prive di salvezza, incapaci di tirare avanti senza i deliri di un qualche eroe, o sedicente messia. Destino epico e buffo – com’era nel suo stile arruffato, disordinato, folle, con così poco tango nelle vene.

Molte cose saranno dette, scritte, raccontate, nelle prossime ore. A noi piace ricordarlo abbracciato a un’altra stella americana, Hugo Chavez, un altro figlio prediletto del popolo, morto pure lui per una specie di segreta combustione interiore, consumato da un amore folle e canceroso per la vita e la povera gente. Intanto, da sportivi, registriamo l’ultimo miracolo di Diego, che ha battuto il Covid e ci ha tolto ministri, governatori e virologi dai coglioni, almeno per qualche ora.