di Luca Cangianti

Un luogo dove si combatte la violenza di genere e al tempo stesso uno spazio dedicato alla socialità, alla festa e al relax. Dev’essere questo il connubio che ha spinto un gruppo di donne a giocare con il nome di Lucio Sestio, il tribuno della plebe al quale è dedicata la via dove sorge la Casa delle Donne Lucha y Siesta. L’8 marzo di 11 anni fa queste attiviste con esperienze professionali d’intervento nel settore socio-assistenziale occupavano un edificio degli anni venti lungo la via Tuscolana, tra i quartieri romani Appio Claudio e Don Bosco. «Era una proprietà abbandonata», racconta Roberta, «l’abbiamo ristrutturata a nostre spese e oggi Lucha y Siesta è  sia un centro antiviolenza, sia casa rifugio e di semiautonomia.» Queste strutture servono ad accompagnare i percorsi delle donne che subiscono violenza, dall’ascolto al distacco dalle situazioni di disagio fino al progressivo reinserimento nella vita sociale.

«Lucha y Siesta è uno spazio femminista ed è parte integrante del movimento Non Una Di Meno» aggiunge Mara che è entrata più recentemente nel collettivo. «Tuttavia questo è un luogo aperto a tutto il quartiere. C’è chi utilizza lo sportello d’assistenza psicologica e chi si viene a fare l’orlo dei pantaloni nel laboratorio di sartoria. Durante il giorno il parco si riempie di bambini e di mamme; organizziamo concerti, cene sociali, proiezioni di film e presentazioni di libri.»
È una giornata invernale particolarmente rigida. Entrando nel giardino ho notato un gruppo di boy scout e vengo scosso da un brivido di freddo alla vista dei loro pantaloni corti. Ma gli ultimi residui di scetticismo rispetto all’integrazione di uno spazio radicalmente femminista nel contesto di un tipico quartiere popolare vengono disintegrati dall’ingresso di un signore con colbacco, occhiali scuri a goccia e baffo in stile sovietico: «Sono venuto a portare la mia solidarietà!» Non è il tipo di persona che m’immaginavo d’incontrare qui. Ci lascia un settimanale con due pagine dedicate al pericolo di sfratto che minaccia Lucha y Siesta.
E già, l’edificio è proprietà di Atac, l’azienda pubblica di trasporto del Comune di Roma, che riconosce il valore del servizio erogato dalla Casa, ma chiede che lo stabile venga lasciato libero per sanare i debiti relativi alla procedura fallimentare di concordato preventivo cui ha avuto accesso nel 2018. «È un anno che chiediamo al Comune cosa pensa di fare per fermare la chiusura di questa struttura», dice Roberta. «Con la nostra azione contrastiamo nei fatti la violenza maschile sulle donne, ma a oggi non abbiamo avuto alcun riscontro.» In undici anni d’intervento sono circa 1.200 le donne che hanno beneficiato dei percorsi di fuoriuscita dalla violenza offerti dalla Casa. Più di 140 donne e 60 minori vi hanno abitato. In tutta Roma il Comune dispone in maniera diretta di soli 20 posti per accogliere donne che escono da contesti di violenza, mentre altri 14 sono messi a disposizione da Lucha y Siesta. «La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne ne prevedrebbero 300 per una città come Roma», ricorda Mara. «Se chiudiamo si verificherà un danno irreparabile in una situazione di carenza strutturale che è già di per sé drammatica.»

La Casa ha sempre funzionato come centro antiviolenza e negli anni ha costruito una rete di professionalità tale da far sì che vi siano presenti tutte le figure necessarie al sostegno delle ospiti: operatrici, avvocate e psicologhe. A differenza di altre strutture simili, a Lucha y Siesta non si pongono limiti di tempo per il processo di reinserimento sociale. Anche sulla base di un’esperienza ormai più che decennale, vengono organizzati corsi per operatrici antiviolenza. Purtroppo percorsi formativi di questo tipo in Italia sono riconosciuti solo dalla Regione Piemonte. Monetizzando solo i servizi erogati gratuitamente come centro antiviolenza negli 11 anni di vita della Casa si raggiunge una cifra di quasi due milioni e mezzo di euro. Considerando anche i lavori di miglioria effettuati sullo stabile e nei giardini, le donne di via Lucio Sestio se lo sono praticamente già ripagato l’edificio che occupano. Ma da sempre i movimenti femministi sanno che le ragioni vanno sostenute con le lotte: l’8 marzo Lucha y Siesta parteciperà allo sciopero globale transfemminista e ha lanciato per il 21 dello stesso mese una giornata nazionale degli spazi femministi.