di Sandro Moiso

F. Bertolucci, R.Carocci, V. Gentili, G.Sacchetti, Errico Malatesta. Un anarchico nella Roma liberale e fascista, (a cura di R. Carocci) BFS Edizioni, Pisa 2018, pp. 176, € 18,00

Quelli appena pubblicati dalla BFS Edizioni sono gli atti del convegno Malatesta un rivoluzionario a Roma, organizzato dall’Associazione di Idee “I Refrattari” a Roma il 28 maggio 2016.
Atti la cui la pubblicazione risulta particolarmente importante poiché non soltanto riguardano uno dei principali esponenti dell’anarchismo italiano ed internazionale a cavallo tra il XIX e il XX secolo, ma anche perché coincide con un periodo particolarmente travagliato e complesso della vita politica e sociale italiana del XXI secolo.

Nato nel 1853 e morto nel 1932 Errico Malatesta ebbe modo di seguire da protagonista, quasi indiscusso, i travagli del movimento operaio e rivoluzionario negli anni compresi tra lo sviluppo e il fallimento della Prima internazionale, la crisi e le lotte di classe di fine secolo, lo sviluppo del terrorismo di stampo anarchico, la rinascita e il tragico fallimento della Seconda internazionale, il primo conflitto mondiale, la rivoluzione russa e il successivo avvento del fascismo e dei totalitarismi.

“Il primo arresto a 17 anni, a 23 conosce Bakunin, nel 1877 organizza con Cafiero un moto rivoluzionario nel Matese; a 29 anni va in Egitto, poi fugge in Argentina dove per un periodo prova a fare il cercatore d’oro in Patagonia con alcuni compagni; viene accusato di falsificare monete e fa ritorno in Europa; gira l’Europa tra Spagna e Inghilterra vivendo poi da esule a Londra dove svolge il lavoro di elettricista fino a quando, nel 1919, fa ritorno definitivamente in Italia”.1

Poche righe per descrivere una vita politicamente e umanamente avventurosa, che proprio negli anni dell’avvento del fascismo ritroverà la strada di casa. In un momento di crisi e spaesamento del movimento operaio internazionale, diviso tra la vittoria del bolscevismo in Russia e l’affermazione di un movimento reazionario di tipo nuovo quale quello di Benito Mussolini in Italia.
Crisi e spaesamento che avrebbero spinto l’anarchico non più giovane, a cercare nuove risposte e nuove spiegazioni per un fenomeno destinato, poi, a reiterarsi più volte nel tempo fino ai giorni nostri con significativa ridondanza proprio tra quegli oppressi che avrebbero dovuto cambiare la Storia e rinnovare la società dalle fondamenta.

I testi di Bertolucci, Carocci, Gentili e Sacchetti affrontano i temi rispettivamente dell’azione e rivolta morale contro il fascismo tra il 1922 e il 1932; dei rapporti tra Errico Malatesta e il movimento operaio e le sue attività a Roma tra il 1874 e l’anno della sua morte; del suo rapporto con gli Arditi del Popolo e, infine, del rapporto tra anarchia e violenza nella biografia politica dello stesso Malatesta.
A questi si aggiunge una storia, curata da Franco Bertolucci e accompagnata dagli indici analitici, della rivista “Pensiero e volontà” uscita sotto la guida di Malatesta tra il 1° gennaio 1924 e l’agosto del 1926 (quando le leggi fascistissime avrebbero posto fine ad ogni libertà di stampa e di opinione).

Per sottolinearne l’attualità si è scelto di pubblicare qui, quasi integralmente, l’appello di Malatesta alla ristretta cerchia di amici e compagni che avrebbero poi collaborato alla rivista stessa: Luigi Fabbri, Camillo Berneri, Carlo Molaschi, Luigi Bertoni, Francesco Saverio Merlino, Giuseppe Turci, Max Nettlau ed Emma Goldman. Appello che sembra riproporre, anticipandoli, temi che torneranno obbligatoriamente alla ribalta nei mesi a venire.

A quelli che studiano e che lavorano
La rivista che annunziamo, e che vedrà la luce coi primi del prossimo anno, intende rispondere ad un bisogno largamente sentito, quello cioè di studiare i numerosi problemi politico-economici che si affacciano con carattere di urgenza in questo periodo di intensa ed universale commozione sociale e dalla cui soluzione, in un senso o nell’altro, dipenderanno per lungo decorrere di tempo le sorti dell’umanità.
Non ci dilungheremo ora sulle condizioni in cui si trova oggi l’Europa e per essa il mondo intero.
È uno stato di convulsione generale. Tutti gl’interessi, tutti i bisogni, tutte le aspirazioni che hanno in ogni tempo divisi gli uomini tra loro, acuiti fino al parossismo dello squilibrio materiale e morale prodotto dalla grande guerra, si trovano in violento contrasto. E dove non vi è guerra aperta, vi è una compressione eccessiva che mentre impedisce lo scoppio, lo prepara e lo provoca più formidabile che mai.
Da una parte disordine, misera crescente, conati rivoluzionari; dall’altra reazione, militarismo, oppressione. Ed intanto la produzione e gli scambi si disorganizzano e si arrestano e lo spettro della fame si affaccia minaccioso all’orizzonte: già larghe plaghe d’Europa e numerosi strati della popolazione stanno in preda alla fame effettiva e, naturalmente, a tutti i ciechi eccessi che la fame provoca e giustifica.
Tutti sentono, tutti sanno che così non può durare, perché così si dissolve la vita sociale e diventa impossibile la stessa vita materiale. Le classi oppresse, animate da una crescente coscienza, sospinte da bisogni urgenti e sempre meno soddisfatti, non si rassegnano, o non si rassegneranno a lungo, ad uno stato di sofferenze e di umiliazioni che sembrava ormai sorpassato; e le classi sinora dominanti, minacciate esse stesse, oltre che dalla rivolta popolare, dal prepotere di una ristretta oligarchia capitalistica e militarista, cercano e non trovano un ordinamento che dia loro la possibilità e la sicurezza di un tranquillo sfruttamento del lavoro altrui. Che cosa avverrà?
Certo non mancano né la possibilità di produrre abbastanza per soddisfare largamente i bisogni di tutti, né il desiderio nelle masse di lavoro e di pace.
Ma in tutti i paesi la borghesia, o piuttosto quella parte di essa che ancora detiene il comando effettivo, divisa dalle rivalità che producono l’ingordigia ed il cieco egoismo, si mostra incapace di ristabilire un qualsiasi ordine di cose che possa vivere e durare. Ed è bene che sia così perché l’ordine quale potrebbe ristabilirlo una meno malvagia e più intelligente borghesia non sarebbe poi che il ritorno alle condizioni anteriori alla guerra, il ritorno cioè ad uno stato di oppressione temperata, duraturo perché sopportabile, e non farebbe insomma che ristabilire delle condizioni che poi, attraverso nuove guerre e nuove convulsioni, riprodurrebbe la catastrofe attuale.
È la massa degli oppressi e degli sfruttati che deve salvare sé stessa e che salvando sé stessa, assicurerà l’avvenire di tutta quanta l’umanità.
Si va verso un cataclisma generale. Saranno forse nuove guerre internazionali; sarà certamente nell’interno di ciascun paese un alternarsi di rivoluzioni e di repressioni; ma si dovrà poi finire con un assetto qualunque, determinato, se non da altro, dal bisogno generale di riposo.
E questo assetto potrebbe essere l’inizio di una civiltà superiore, ma potrebbe anche essere il naufragio di quella qualsiasi civiltà che, attraverso lavoro, lotte e sacrifizi secolari, l’umanità aveva raggiunto.
La natura del nuovo assetto sociale, che seguirà le convulsioni attuali, e il nuovo corso in cui s’incamminerà la storia umana, dipendono dall’opera degli uomini che prendono parte cosciente ed attiva alle lotte sociali.
Anarchici, noi vogliamo la fratellanza fra tutti gli esseri umani, vogliamo per tutti la libertà, la giustizia ed il massimo sviluppo possibile, morale, intellettuale e materiale. E perciò ci sforzeremo d’indirizzare il pensiero e la volontà dei nostri lettori verso gli scopi nostri. E siccome sappiamo che le idee astratte e le aspirazioni teoriche restano purtroppo dei pii desideri se non si attuano nei fatti nel nodo che le circostanze lo permettono, noi cercheremo le soluzioni pratiche e contingenti dei problemi che prevedibilmente si presenteranno nelle varie fasi delle rivoluzioni che stanno per venire […]

Roma, novembre 1923.

Per la Redazione: Errico Malatesta.


  1. Premessa, pag. 9