di Sandro Moiso

montineve2.jpg Certo, come titolo, anche “Monti nella merda” non sarebbe stato male, ma, vista l’insistenza sui fattori metereologici che, fin dalle prime ore del 24 febbraio, ha accompagnato le cronache dello svolgimento delle elezioni, la “neve” è entrata obbligatoriamente nella sintesi di cui un titolo è espressione. Beh, anche “Preso a palle di neve” avrebbe potuto funzionare, forse per un pubblico più giovane, cresciuto con “South Park”, ma questi sono i limiti dettati dall’età di chi scrive.

Cambiando i fattori, però, il risultato non cambia. Infatti il risultato più eclatante di queste elezioni è dato dal netto rifiuto espresso da una buona parte degli italiani nei confronti di Monti e delle politiche europeiste del rigore. Tanto che già oggi, sull’onda dei report preoccupati e negativi espressi dalle maggiori agenzie di rating e dalla banche di investimento internazionali, si parla apertamente della necessità di dare all’Italia un governo di salvezza nazionale a tre, meglio definito come “governo di scopo”.


Ve li ricordate i Co.Co. Pro? Bene anche i governi diventano precari o meglio “a progetto”!
Datori di lavoro: la Bce, la UE e più in genere la finanza internazionale.
Responsabile del progetto (iniziale): Napolitano.
Oggetto del progetto: la riduzione in miseria dei governati.
Peccato che qualcosa sia cominciato ad andare storto e che non sia certo più così facile intimorire 50 milioni di elettori italiani con la paura della catastrofe annunciata dal rialzo dello spread e dal ribasso delle borse.

Gli strumenti sono quel che sono (principalmente l’astensionismo e il trionfo delle liste 5 stelle), ma con quelli più o meno il 50% degli elettori ha vistosamente dichiarato di non voler avere più nulla che fare con una struttura parlamentare e politica che nel corso degli ultimi anni, e in particolare dell’ultimo, ha dimostrato, soltanto e tutta, la sua dipendenza dai diktat tedeschi e dalle necessità della finanza internazionale e delle banche italiane.
Jateve a cuccà, non siete buoni a caricare la sveglia!*

Come al solito sono i numeri a darci le dimensioni del reale.
Nel corso degli ultimi nove mesi del 2012 sono andati persi 640.000 posti di lavoro.
La media è stata , dunque, di 2370 al giorno. Oggi si vorrebbero terrorizzare gli elettori con la prospettiva greca ovvero con i mille posti di lavoro persi al giorno. Signori, accomodatevi l’Italia è già andata oltre, anzi, a questo punto, le cifre greche sarebbero più basse.

La differenza, se mai, l’ha fatta il diverso peso economico dell’Italia, che rimane la terza economia del continente, e la diversa struttura socio-famigliare della stessa, caratterizzata da una forte quota di risparmio famigliare. Risparmio che, non a caso, ha attirato l’attenzione degli avvoltoi della finanza decisi a spolpare completamente i redditi di un gran numero di famiglie italiane. A partire dall’enorme patrimonio immobiliare privato costruito con la fatica, le speranza e i mutui di intere generazioni.

Ma oggi questa specie di “grasso che cola” per i cittadini italiani si va esaurendo, se non è già del tutto esaurito. Da qui deriva il successo di Grillo e del suo movimento, espressione dello scontento delle classi medie che si ritrovano proletarizzate.
Certo, il movimento di Grillo (è già stato detto in precedenza su Carmilla) ha tutte le caratteristiche del fascismo delle origini in quanto espressione della rabbia e della frustrazione delle mezze classi abbandonate e spennate dal capitale. E sulla sua strada il comico genovese ha trovato un po’ di tutto e ha provato a rivolgersi un po’ a tutti, ma alla fine lo spazio principale che è andato ad occupare è stato proprio quello abbandonato da anni o sicuramente da troppo tempo dalla sedicente sinistra parlamentare. Finendo col ricoprire un ruolo forse inaspettato per il suo stesso fondatore.

Opposizione al TAV, richiesta del salario di cittadinanza, attenzione alle necessità delle piccole e medie aziende, opposizione alle missioni militari all’estero, opposizione alla spesa militare, ritorno ad un sistema pensionistico più equilibrato, denuncia del conflitto di interesse, richiesta di serie leggi anti-corruzione, richiesta della riduzione del numero e degli stipendi dei parlamentari e della riduzione vertiginosa degli stipendi dei manager e delle pensioni d’oro. Sono solo alcuni dei punti che hanno finito con l’entrare in un programma sicuramente più nebuloso, ma che ha finito con l’attrarre il voto di una massa enorme di italiani.

Perché, anche se ad un palato più raffinato e ad uno sguardo più attento il tutto può sembrare ancora relegato al campo della demagogia e della promessa verbale, i cittadini hanno voluto cogliere nelle parole urlate da Beppe Grillo almeno un’attinenza con la realtà. Parole rubate certamente, ma alle lotte e alle concrete proteste portate nelle strade e nelle valli, e non nei palazzi del potere politico-economico, da centinaia di migliaia di giovani e meno giovani. E che hanno finito, volenti o meno, con lo spostare l’asse del progetto 5 stelle più a sinistra del previsto. Parole, però, che si rivolgono ad un elettorato che potrebbe rivelarsi più volatile di quello leghista se a quelle non seguissero i fatti oppure se dovessero essere fatte scelte dannose per chi ha votato le 5 stelle. Come alcune affermazioni contenute nell’odierno blog del comico genovese potrebbero già da oggi rivelare.

Un fenomeno strano in cui uno strumento “d’emergenza”, usato da una lotta di classe senza coscienza e preso in prestito dalla classe media diventa, nel vuoto assoluto di proposta politica e di organizzazione classista, è diventato, anche solo momentaneamente, dirompente per lo schieramento delle forze più apertamente conservatrici o pseudo-riformiste. Soprattutto per un riformismo, quello sbandierato da Monti, Bersani e Berlusconi, capace solo di negare ogni garanzia al mondo del lavoro e ai cittadini e qualsiasi sostegno alle necessità sociali, come il premio 2012 dell’Ocse dato alla Grecia, per le riforme operate nel corso dell’ultimo anno, ha ben dimostrato.

Da qui a dare indicazione di voto per Grillo e il suo movimento, come hanno fatto i CARC o certi epigoni dell’autonomia operaia di un tempo, ancora ce ne corre. Come ben hanno dimostrato i No Tav valsusini con la dichiarazione che, comunque, nessuno può dire di rappresentare il loro movimento e come pure hanno fatto i giovani appartenenti ai centri sociali che hanno manifestato in tutta Italia circa dieci giorni prima delle elezioni. I dubbi restano, sono tanti e solo le azioni e le scelte portate avanti in Parlamento e fuori nei giorni a venire potranno contribuire a dissolverli.

Intanto, però, D’Alema è costretto a dichiarare che i vertici del partito non si erano accorti di quanto fosse salita la rabbia degli italiani (anche se, allora, viene naturale domandarsi se questi vertici non si fossero, nel frattempo, trasferiti sulla luna o su un pianeta in prossimità di Orione) e Bersani è stato spinto a rincorrere l’appoggio del nuovo schieramento, nel tentativo di evitare un abbraccio mortale con Berlusconi e il fantasma di Monti che porterebbe il PD a perdere ulteriori voti alle prossime elezioni.

Ma, va detto subito, è quasi un amore impossibile perché, da un lato, i parlamentari grillini non potranno accontentarsi, anche solo a livello elettorale e di immagine, di appiattirsi sulle proposte di moralizzazione della vita politica ed economica improvvisamente riscoperte dal leader della coalizione di centro-sinistra; mentre dall’altro il convitato di pietra rappresentato dalla UE e dalla finanza nazionale e internazionale, molto probabilmente, negherebbe qualsiasi appoggio a chi osasse intraprendere una minima deviazione dal programma di austerità concordato.
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Monti, abbandonato dagli elettori, dalla Chiesa (ben più preoccupata dai risvolti dell’abbandono del Papa “emerito” che dagli affari dei governi italiani) e persino dal capo della polizia Manganelli, è diventato irrilevante come peso politico**, ma rappresenta pur sempre (magari sostituito dagli avatar Passera o Amato) la “garanzia” per il mantenimento del programma di spending review e di riforme legate alla necessità di ridurre, se non azzerare il costo del lavoro in Italia e nell’Europa tutta.

D’altra parte lo stesso programma del PD è da tempo conforme alle indicazioni finanziarie europee e anglo-americane. Alcuni degli uomini di Goldman Sachs più importanti in Italia sono stati Monti, Draghi e Prodi che, non dimentichiamolo mai, fu il primo e principale artefice della privatizzazione dell’Iri, madre di tutte le privatizzazioni, dopo averlo teorizzato nel suo saggio “Il capitalismo ben temperato”, pubblicato da Il Mulino nei primi anni novanta ed autentica “pietra miliare” degli interventi successivi (da destra e da sinistra). Insomma, la spending review e i tagli sono da anni nel DNA del PD e, probabilmente, tutto si chiarirà definitivamente quando Matteo Renzi prenderà il posto di Pierluigi Bersani.

Perché allora stupirsi del “successo” di Berlusconi, in un contesto in cui il leader del centro-sinistra o ha taciuto o ha difeso, utilizzando lo strumento del buon senso contadino, l’agenda Monti?
Non ha vinto Berlusconi, che ha perso quasi il 40% dei voti su scala nazionale, insieme alla Lega, che ha perso il 50%. E’ il PD che non ha saputo esprimere alcun obiettivo credibile tra coloro che lo avevano già abbandonato, soprattutto a sinistra. Pagandone, ancora una volta, le conseguenze.

Che poi, in Italia, circa il 20% degli elettori esprima posizioni di destra è quasi naturale. In un paese dove la bestia ecclesiastica è ancora trionfante e in cui la memoria del fascismo non è mai stata definitivamente spenta, la destra potrebbe essere definitivamente sconfitta, oppure sparire, soltanto all’interno di un acuto scontro sociale e non in grazia di una competizione elettorale.
La Lega ha invece pagato un tributo di sangue per la fedeltà a Berlusconi e la susseguente delusione che ha toccato fasce ampie di simpatizzanti e militanti provenienti dal mondo operaio e dalle piccole e medie imprese.

Per spiegare meglio il ragionamento occorre capire che mentre la destra berlusconiana, oltre al far ricorso alla pratica sfacciata del voto di scambio e della corruzione individuale, può fare affidamento sull’appoggio datole, in alcune regioni, dalle strutture logistiche delle economie illegali (al Sud) oppure dalla destra cattolica e dalla Compagnia delle Opere (in Lombardia), la Lega era e rimane espressione di un elettorato molto più volatile, attento ai risultati reali conseguiti sul territorio di appartenenza e pronto ad abbandonarla (come ha fatto) qualora non vi sia un effettivo ritorno in termini economici e produttivi. La vittoria di Maroni in Lombardia è più da attribuire al primo fenomeno che non al secondo, grazie al patto di sangue con Berlusconi. Che però ha mandato in tilt la Lega in Piemonte e in Veneto.

Un ultimo aspetto che non va taciuto, a proposito della “tenuta” del Cavaliere, è legato al fatto che, pur mentendo, ha saputo infondere nel suo discorso politico una sfumatura anti-europeista che può aver giovato al grande imbonitore televisivo nel risultato finale. Discorso, quello europeista e filo-montiano, che invece ha gravemente nuociuto al risultato elettorale del PD e che dimostra come il rifiuto degli elettori nei confronti del progetto Monti abbia fatto sì che molti abbiano tenuto conto delle parole dette e delle scelte fatte nel corso dell’ultimo anno, soprattutto, dai singoli partiti.

Non va poi dimenticato il ruolo dei due portatori d’acqua principali di queste elezioni: Casini e Vendola che, pur con i loro striminziti 1,8% e 3,2%, hanno contribuito, nel primo caso, a salvare Monti che rischiava di non entrare neppure in Parlamento e, nel secondo, a permettere al PD di guadagnare una maggioranza di 340 deputati alla Camera pur non essendo neppure il primo partito. Bravi! Degni del piatto di lenticchie di cui si sono accontentati come schiavi.

Infine non si può evitare il discorso della vera e propria tabula rasa che queste elezioni hanno fatto del tentativo di portare in Parlamento l’esperienza accumulata negli ultimi anni dai movimenti in difesa dei beni comuni sotto la sigla di Rivoluzione civile. Questa esperienza più che negativa nel risultato, però, può servire ad insegnare come non si deve comportare o organizzare un movimento che si voglia antagonista. E’ inutile infatti riempirsi la bocca di una terminologia pseudo-rivoluzionaria, in cui si mescolano Che Guevara con Enrico Berlinguer e la difesa di un’ambigua legalità, ed affidarsi alla guida di pubblici ministeri a caccia di un posto al sole, di poliziotti travestiti da popolani e delle peggiori mummie di una sinistra antiquata già cancellata dalle elezioni del 2008. Una lista che ha rischiato di ricordare più i movimenti nazional-bolscevichi della Russia di oggi che un moderno agglomerato di movimenti quale avrebbe dovuto essere nelle intenzioni dei suoi iniziali promotori. Ma…amen e così sia.

Su quello che accadrà a breve è difficile esprimere un giudizio. Certo la proposta di Bersani ai grillini sembra più rivolta ad ottenere un rifiuto per poi giustificare l’abbandono del leader del PD e la successiva “necessaria” collaborazione con Monti e Berlusconi in compagnia di Matteo Renzi.
Governissimo? Elezioni a breve o a sei mesi? Tutto sommato non conta, perché, nonostante tutto, un primo punto dalla resistenza contro l’austerity è stato segnato. Adesso agli antagonisti servirà valutare tattiche e parole d’ordine da portare avanti nel periodo a venire e le eventuali alleanze da costruire su obiettivi immediati.

scimmieneve.jpg Spesso negli interventi su Carmilla, da parte di chi scrive, si è parlato della necessità di un partito di classe. Forse questo può aver disorientato quei lettori che confondono il partito con la sua funzione elettoralistica e parlamentare oppure con la rigidità settaria dei partiti di stampo bolscevico.
Niente di tutto questo.
Nell’idea di chi scrive, il partito di classe è un utensile politico in divenire, definito prima di tutto da un programma, frutto dell’esperienza delle vittorie e delle sconfitte dei movimenti rivoluzionari del passato, delle lotte presenti e delle esigenze sociali e politiche che si pongono ad ogni nuovo ciclo di lotte e volto ad essere contemporaneamente organo di rappresentanza delle istanze di classe e strumento di organizzazione per lo scontro con gli avversari.
Un partito che rivestirebbe, sostanzialmente, la funzione di detonatore della rabbia e della protesta sociale al contrario della funzione anti-detonante rivendicata da Grillo per il suo movimento ed unico metodo efficace per disvelarne il bluff senza cadere, per forza, nelle maglie del perbenismo politico e della conservazione dello status quo.

*Andate a dormire, non siete nemmeno capaci di caricare la sveglia!
(La vulgata vuole che questa frase fosse stata rivolta, nel 1926, da Amadeo Bordiga a Stalin e ai dirigenti del IV esecutivo allargato dell’Internazionale Comunista, ma può funzionare benissimo ancora oggi. Soprattutto con i discendenti imborghesiti degli stalinisti di allora.)

** La lista Monti per l’Italia è rimasta esclusa dal senato in 5 regioni, mentre la Scelta civica per Monti insieme a FLI e UDC è rimasta fuori dalla camera in 7 regioni.