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INDICE
1. PREMESSA DI WU MING 1: LO “SFONDAMENTO”
2. SEGNALAZIONI
2a. Bart Van den Bossche, “Epic & Ethics. Il NIE e le responsabilità della letteratura”
2b. La rivista dei gesuiti prende di petto il NIE
2c. Audio. Marco Amici, “La morte del Vecchio nel New Italian Epic”
2d. Overcoming Postmodernism, prima monografia in inglese sul NIE
2e. Conferenze a Berkeley e Toronto
2f. Chimenti-Coviello-Zucconi, “Il discorso letterario alla prova del reale”
3. PER UNA NARRATIVA DELLA CRISI – di Valentina Fulginiti



2008-2010: LO “SFONDAMENTO”

di Wu Ming 1

sfondiamo.pngDuemilaeotto, duemilaenove e adesso duemilaedieci. Si entra nel terzo anno di discussione.
Nell’aprile 2008, proprio qui su Carmilla, misi on line la prima versione del “memorandum”, raccolta di appunti su un vasto e variegato insieme di libri scritti in Italia durante la Seconda Repubblica.
Per descrivere quel corpus di opere usai la metafora della “nebulosa”: una nube interstellare di particelle, idrogeno e plasma.
Si trattava di una lettura a posteriori: la luce emessa o riflessa dalla nebulosa (come ogni luce che ci arriva dal cosmo) giungeva a noi dal passato. Una lettura a posteriori, fatta a partire da alcune somiglianze, da una perturbante “aria di famiglia” che cercai di scomporre in sette caratteristiche e riassumere (quasi “zippare”) in un’espressione di comodo: “New Italian Epic”.
Dal punto di vista metodologico, tentavo un’operazione simile a quella compiuta nel 1955 da Raymond Borde ed Etienne Chaumeton nel loro libro rompi-ghiacchio Panorama du film noir américain (1941-1953). Nell’intenzione dei due critici, l’etichetta “film noir” serviva a circoscrivere un corpus di film girati a Hollywood, aventi in comune caratteri “onirici, insoliti, erotici, ambivalenti e crudeli”. Gli stessi Borde e Chaumeton avvertirono che stavano semplificando, che non tutti i film presentavano tutte le caratteristiche: alcuni erano onirici ma non erotici, altri molto crudeli ma poco ambivalenti etc. Tuttavia, i cinque aggettivi (ripresi dal dibattito sul surrealismo) definivano un’aria di famiglia, qualcosa di più vago di un “filone” o di un “genere”, ma non per questo meno riconoscibile, anzi.
In seguito, l’espressione ibrida “film noir” (sostantivo inglese + aggettivo e sintassi francesi) venne adottata anche negli USA e in generale in tutto il mondo.
[Analoga sorte sarebbe toccata dieci anni dopo a un’altra espressione ibrida, “Spaghetti western”: sostantivo italiano usato come aggettivo + aggettivo sostantivato inglese.]

tomwolfe.jpgUn’altra operazione che viene in mente è quella compiuta da Tom Wolfe nell’introduzione all’antologia The New Journalism (1973). Persino le polemiche che seguirono ricordano molto da vicino quelle esplose intorno al memorandum. I detrattori di Wolfe dissero che il “New Journalism” non era davvero nuovo, che gli esempi fatti avevano troppo poco in comune, che la sua raccolta escludeva questo e quello, che uno scrittore non poteva fare anche il critico, che la sua era solo auto-promozione. E anche in quel caso una lettura a posteriori, che guardava all’indietro (a quanto scritto nei dieci anni precedenti), venne strumentalmente presentata come una lettura a priori, cioè un manifesto, una dichiarazione programmatica.
Oggi dici “New Journalism”, ed è chiarissimo di cosa stai parlando.

Il sottotitolo del memorandum indicava un preciso arco temporale, un periodo di tre lustri, dal 1993 (anno del crollo della “Prima Repubblica”) al 2008 (anno del grande bagno di sangue della sinistra italiana, ma anche – lo capiremo andando avanti – ultimo anno di gloria del berlusconismo), con un “giro di boa”, un salto di livello situato all’altezza del 2001 (G8 di Genova, 11 Settembre).
Nel momento in cui il dibattito ha iniziato a sondare la “nebulosa” del NIE, è stato chiaro a tutti gli autori menzionati che una fase era terminata. L’osservazione modifica l’oggetto osservato. Se nel periodo preso in esame tanti autori italiani, semi-consapevolmente, avevano scritto opere che in diversi modi si richiamavano tra loro, entravano in risonanza, riverberavano l’una nell’altra, dopo il memorandum e due anni di dibattito, la consapevolezza e lo sguardo retrospettivo hanno cambiato la condizione in cui si scrive. Il NIE è già diventato qualcos’altro. La nebulosa ha cambiato densità e profilo. Siamo oltre.

Spetta all’autore spiazzare continuamente, e al critico cercare di seguirne il percorso. Quando autore e critico sono la stessa persona, è la prima funzione a dover prevalere sulla seconda. Io mi diverto di più a scrivere narrativa, è quello che amo fare. Se ho messo i piedi nel piatto della teoria letteraria è perché c’era un vuoto, un’assenza dei critici. Per dirla con il collega Nicola Lagioia:

lagioiaa.jpg“i lettori italiani si fidano sempre meno dei loro tradizionali mediatori culturali. Ho assistito a molti dibattiti in cui i soloni delle nostre lettere rimestavano fino alla morte Adorno, Horkheimer e Andy Warhol per giustificare storicamente concetti quali la «morte della critica militante». Mai uno però che provasse a fare meaculpa sollevando il velo sulla natura di tante recensioni professionali: pezzi scritti spesso in batteria, prevedibili, mancanti di passione o in trasparenza servili o astiosi o stiticamente entusiasti quando non inutilmente cervellotici, il cui vero destinatario non è mai il lettore ma altri addetti ai lavori («e allora perché non ricorrere alle mail collettive invece che a un quotidiano nazionale»? mi sono spesso domandato).”

Il memorandum è stato un invito a colmare quel vuoto. All’invito ha risposto una nuova generazione di studiosi, spesso cervelli fuggiti dall’Italia perché frustrati nella loro voglia di esplorare, tenuti ai margini dell’università e dell’accademia.

Col tempo pare essersi verificato uno “sfondamento”. Ci si guarda alle spalle e si è costretti ad ammettere che da molti anni non aveva luogo un dibattito così esteso, trasversale e appassionato sulla letteratura italiana, il suo presente e il suo futuro. E’ l’unico vero dibattito degli ultimi tempi. Alcuni tentativi di “contro-dibattito diversivo” sono rimasti in ambito settario/settoriale, limitati a pochi addetti ai lavori.
Qualche settimana fa, su Repubblica, Alberto Asor Rosa scriveva:

asorrosa.jpg“Di tutto si può disputare e dubitare meno che dei dati certi. E i dati certi sono che in Italia c’ è stata negli ultimi anni un’ impetuosa fioritura di giovani autori di narrativa. In quali direzioni, con quali tratti comuni (ammesso che ce ne siano)? Com’è noto, fino a qualche decennio fa ragionamenti critici di tendenza e ricerca creativa crescevano il più delle volte di conserva e si aiutavano a vicenda. È un dato certo oggi anche la scomparsa pressoché totale del primo elemento dell’ endiade (la critica): la conseguenza è che gli «autori», nel caso specifico i narratori, navigano a vista, al massimo con il sussidio, non sempre disinteressato, degli ufficiali di macchina ben piazzati sui ponti di comando delle case editrici. Volgendosi intorno, l’ unico tentativo recente di sistemazione teorico-letteraria di tale materia degno di questo nome è New italian epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro di (dei?) Wu Ming (Einaudi, Stile libero, 2009), altamente meritorio per il solo fatto, – raro, ripeto, – di entrare nel merito.”

Dalle pagine de L’Unità, Angelo Guglielmi gli rispondeva premettendo:

“…tu esalti il fenomeno, compiacendoti della novità e riconoscendo che il primo avvistatore della tendenza e suo efficace (e meritorio) analista è stato il gruppo Wu Ming, che ha indicato il punto d’incontro dei nuovi scrittori e, più specificamente, delle loro opere […] Capisco quel che tu dici e rispetto quel che Wu Ming scrive, ma ti chiedo…”

Dopo aver letto questo scambio, ci siamo chiesti: “Hanno messo LSD negli acquedotti?”. No, nessun complotto “yippie” per estendere l’area della coscienza. Semplicemente, dopo il polverone del primo anno e dopo che si è esaurito il “fuoco di sbarramento”, forse si può ragionare tranquillamente e senza steccati. Se persino gli ultra-ottantenni più novecenteschi e novecentisti decidono di dare per scontato che col NIE bisogna fare i conti (come farli è un’altra questione), vuol dire che un sentiero è stato tracciato.

Riguardo all’influenza del memorandum sugli scrittori e le scrittrici di oggi e domani: credo che le più grosse sorprese arriveranno da autori in apparenza distantissimi, le cui opere dialogheranno con il NIE in maniera sottile, per nulla pedissequa. Il più grosso errore, oggi, da parte di qualunque autore (giovane o meno), sarebbe partire dalle caratteristiche enunciate un anno e mezzo fa per scrivere romanzi forzati, coatti, che rispettino ogni punto. Si finirebbe per aderire alla lettera tradendo però lo spirito. Infatti abbiamo parlato di “sguardi obliqui”, e anche lo sguardo sull’eredità del NIE dev’essere obliquo.

Possiamo solo andare avanti. Ai problemi che si trova di fronte, lo scrittore può rispondere soltanto con la prassi, sperimentando diversi rapporti tra narrazione e comunità, tra letteratura e mondo. Le storie sono la materia dei legami sociali, non ci sarebbe uno stare insieme senza la narrazione. Ovviamente, esiste uno stare insieme “cattivo”, cementato da cattive storie, vedasi le riflessioni sul “mito tecnicizzato” di Kerenyi e Jesi, da noi riprese in diverse occasioni. La sfida è trovare storie che siano garanzia di uno stare insieme “buono”, fondativo, costruttivo, ma al tempo stesso non siano schematiche, semplicistiche, consolatorie. E’ il solito discorso, la solita sfida: il difficile connubio tra complessità (etica, narrativa, filosofica etc.) e dimensione popolare. Essere esigenti ma anche popolari. Essere popolari ma anche esigenti. “Esigenti” significa volere lettori attenti, partecipi, vigili e tesi al dialogo. Con il lettore succube e massificato tipo fila per gli autografi al festival di Mantova, con quel genere di lettore, può esserci solo uno stare insieme “cattivo”. Ma attenzione: nessun lettore è sempre e solo succube o sempre e solo partecipe. Ciascuno di noi ha momenti di maggiore o minore passività. Dipende dall’occasione, dal contesto, dal messaggio che si riceve, dalla stanchezza di fine giornata. Occorre una letteratura che sappia penetrare questi strati come un dardo, e anche nei momenti di “entertainment” non rinunci a cercare e pungolare lo spirito critico.


loyola.jpg LA RIVISTA DEI GESUITI PRENDE DI PETTO IL NIE. Nell’ottobre scorso La Civiltà cattolica, rivista ufficiale dei gesuiti, ha dedicato un lungo e approfondito articolo (tredici pagine!) al NIE, firmato dal sacerdote-scrittore-blogger Antonio Spadaro (fondatore del sito Bombacarta).
Concentrandosi sull’ultima parte del memorandum (quella su futuro della specie e sguardo non-antropocentrico), Spadaro riconosce al testo ampiezza e lunga gittata, e al contempo rimprovera l’autore perché nella sua visione non c’è Dio. Dietro quella proposta di “esercizio di visualizzazione” (immaginare il mondo senza di noi) e al suo valore “esorcistico” (= immedesimarsi nell’ecocatastrofe per sfuggire a essa), Spadaro sembra vedere una vera e propria dichiarazione d’intenti nichilistica e post-umana… se non addirittura un auspicio, un “ben venga l’estinzione”. In pratica, la posizione degli ecoterroristi di Guerra agli Umani. Critica interessante, anche solo per il mondo da cui proviene.


libellula.jpg EPIC & ETHICS. IL NIE E LE RESPONSABILITA’ DELLA LETTERATURA. Sul n.1 della nuova rivista di italianistica “La libellula”, Bart Van den Bossche firma un denso saggio critico su memorandum e NIE. Van den Bossche insegna letteratura italiana all’Università di Lovanio (K.U.Leuven). Si occupa di letteratura italiana moderna e contemporanea, in particolare dei rapporti fra mito e letteratura. Il suo testo è critico nei confronti del NIE ma in modo dialogico e non distruttivo. Definisce “caricaturale” il modo in cui il memorandum parla del postmodernismo, ma riconosce alla “nebulosa” una peculiarità e la riconosce nella natura dell’allegoria:

“Il fenomeno del NIE così come viene identificato nel Memorandum sembra avere come tessuto connettivo proprio questa matrice allegorica generale di una «urgenza etica» che accomuna testo e contesto: nel circoscrivere il NIE, non si producono soltanto allegorie di naufragi, ma anche un’allegoria della stessa possibilità (o necessità) di proporre al lettore queste allegorie di naufragi. E alcuni fra i fenomeni ed esempi che nel Memorandum occupano una posizione chiave, si contraddistinguono proprio per la tendenza a mettere in luce e a tematizzare le stesse potenzialità allegoriche (comprese le loro implicazioni etiche) degli espedienti narrativi utilizzati. L’ibridizzazione sia endoletteraria che esoletteraria insita negli «oggetti narrativi non identificati» punta in questa direzione, come anche la manipolazione del romanzo di genere, in particolare attraverso l’uso di forme, sottogeneri o versioni i cui ‘effetti di reale’ (che spesso sono saldamente collegati alla storia del genere) vengono non soltanto riattivati ma anche esibiti e sfruttati (non a caso fra le opere NIE si annoverano molti gialli storici, regionali o per così dire ‘antropologici’)…”


toni_bertorelli.jpg LA “MORTE DEL VECCHIO”. Il 9 e 10 novembre 2009 italianisti da tutto il mondo si sono incontrati a Varsavia, Polonia, al convegno “Fiction, faction, reality: incontri, scambi, intrecci nella letteratura italiana dal 1990 ad oggi” , organizzato dal Dipartimento di lingua e letteratura italiana dell’Università di Varsavia e dall’Istituto Italiano di Cultura ( ul. Marszałkowska 72). Molti i panel e gli interventi che hanno fatto i conti, secondo diversi approcci e modalità, con la “nebulosa” del NIE e il dibattito scatenatosi negli ultimi tempi. Dalle registrazioni di quel convegno prendiamo e riproponiamo
l’intervento di Marco Amici sul tema della “morte del Vecchio” nei romanzi NIE (mp3, 17 minuti).
Marco amici (Roma 1975) sta svolgendo un dottorato in Italian Studies all’University College Cork (Irlanda), con una ricerca sul giallo italiano. Si occupa principalmente di letteratura di genere e del rapporto fra narrazione, media e immaginario nell’attuale scenario socioculturale. Ha scritto su diverse riviste, tra cui il “Bollettino di Italianistica”, rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica diretta da Alberto Asor Rosa.
Qui il suo intervento “Il fronte davanti agli occhi. Alcune riflessioni sul New Italian Epic”.
Qui invece il suo saggio “La narrazione come mitopoiesi secondo Wu Ming” (PDF)
[Quello nella foto non è Marco Amici, bensì Toni Bertorelli, che ha interpretato “il Vecchio” nel film tratto da Romanzo criminale]


jnl_cover_jrs.jpg OVERCOMING POSTMODERNISM: THE DEBATE ON NEW ITALIAN EPIC.
“Overcoming Postmodernism” è la prima monografia critica sul New Italian Epic. La prima in inglese, ma anche la prima in assoluto. Si tratta di un numero speciale del Journal of Romance Studies, organo dell’Institute of Germanic and Romance Studies della University of London. Il numero è curato da Claudia Boscolo, uscirà nell’aprile 2009 e conterrà i seguenti testi:
– Marco Amici “Urgency and visions of the New Italian Epic”;
– Claudia Boscolo, “The idea of epic and New Italian Epic”;
Dimitri Chimenti, “Unidentified Narrative Objects: notes for a rhetorical typology”;
Emanuela Piga, “Metahistory, microhistories and mythopoeia in Wu Ming”;
Rosalba Biasini, “Reconsidering epic: Wu Ming’s 54 and Fenoglio”;
Emanuela Patti, “Petrolio, a model of UNO in Giuseppe Genna’s Italia De Profundis“;
Monica Jansen, “Laboratory NIE: mutations in progress”.
Ulteriori dettagli seguiranno.


CONVEGNI NORD-AMERICANI SUL NIE: BERKELEY E TORONTO
Dal 18 al 20 marzo 2010 si terrà alla University of California, Berkeley, l’ottavo incontro annuale della Cultural Studies Association. Nel pomeriggio del primo giorno, nell’ambito della quarta sessione, si terrà il panel “The New Italian Epic between Pulp and political intervention”. Interverranno Giuseppina Mecchia (Associate Professor alla University of Pittsburgh); Claudia Boscolo (Royal Holloway University of London), Dimitri Chimenti (Università di Siena) e Maurizio Vito (Wesleyan University).
Qui il pdf del programma.

Il 7 e 8 maggio 2010, presso il Department of Italian Studies della University of Toronto si terrà il convegno “Negli archivi e per le strade: il ‘ritorno al reale’ nella narrativa italiana di inizio millennio”. Il titolo è ispirato a un passaggio del memorandum sul NIE, in cui si dice che molti autori italiani sono animati da “un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono”. Alcuni dei temi che verranno affrontati nel convegno: Forme ibride tra narrativa e saggistica; Il New Italian Epic; Vantaggi e limiti della narrativa di genere; La narrativa dei nuovi italiani; I collettivi di scrittura; La scrittura nell’era di internet; Morte e vita postuma del post-moderno; La letteratura e i mass-media.
Qui il “call for papers” con descrizione del convegno (file in formato .doc)


chimenti_coviello_zucconi.jpg IL DISCORSO LETTERARIO ALLA PROVA DEL REALE. Prende le mosse dal memorandum, in particolare dall’espressione “oggetti narrativi non-identificati”, un testo apparso poco tempo fa su Nazione Indiana, a firma di Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello e Francesco Zucconi. Scrive il trio:

“…la proposta di Wu Ming e il successivo dibattito sembrano aver sollecitato un decisivo spostamento dell’approccio critico: dall’identificazione di cosa un’opera letteraria è (quale il suo genere o filone di appartenenza) verso la comprensione di come questa stessa funziona. Così, la proposta di trattare le opere letterarie — e perché no, i film- in quanto “oggetti narrativi non identificati” non costituisce soltanto una definizione di quei lavori caratterizzati da forte contaminazione intermediale che rientrano nel labile canone del New Italian Epic, ma è anche un invito a considerare la testualità della singola opera prima di tutto. Un “oggetto narrativo non identificato” è anche e soprattutto da intendersi come un oggetto narrativo non pre-identificato, ovvero non analizzabile attraverso setacci interpretativi precostituiti o teorie della letteratura permeate di ideologia. È per questo che il NIE andrebbe considerato come una nebulosa in espansione, la mappa in divenire di una geografia centrifuga composta da opere che di volta in volta e secondo modalità singolari prendono in carico il “reale” per metterlo in forma. Piuttosto che inquadrare un canone, il NIE suggerisce un mutamento di atteggiamento critico in relazione agli oggetti e suggerisce un ritorno alla testualità.”


PER UNA NARRATIVA DELLA CRISI

di Valentina Fulginiti *

mancassola.jpgPREMESSA DELL’AUTRICE
Apparso nel giugno 2009 sulle pagine di Tabard, rivista militante bolognese, questo articolo è stato scritto nel dicembre del 2008, sullo spunto delle opposte figurazioni della crisi proposte da due novità editoriali di quei giorni, La vita erotica dei superuomini di Marco Mancassola [nella foto] e Cinacittà di Tommaso Pincio. Da quelle letture partivano nuovi echi e stratificazioni narrative, che guardavano indietro ad altri titoli del panorama editoriale italiano recente. È possibile narrare la fine del mondo? E queste narrazioni, così segnate dai paradigmi distopici e da un immaginario apocalittico, ci offrono un possibile modo per raccontare la crisi del nostro tempo, o piuttosto la irrigidiscono nell’ossessiva ripetizione del trauma?
A oltre un anno di distanza, la questione appare ancora aperta. Nel frattempo, elementi di ulteriore riflessione, in ordine sparso, si sono accumulati, sotto forma di fatti piccoli e grandi.
Marzo 2009: esce nelle sale italiane l’adattamento cinematografico di The Watchmen, con cui il romanzo di Mancassola presenta analogie tematiche non indifferenti. L’operazione cinematografica spinge molti spettatori a rileggere il classico di Moore e Gibbons, oppure a leggerlo per la prima volta. Aprile 2009: il terremoto dell’Aquila segna una svolta nell’uso politico del trauma. Impastate nel cemento a presa rapida dell’emergenza nazionale, le ragioni della tragedia gettano un’ombra di ‘indegnità morale su qualsiasi voce in dissidio, su qualsiasi critica o richiamo alle responsabilità. Mentre lo stato d’eccezione rimbalza da un monitor all’altro, le tragedie di ieri si saldano alla commemorazione delle inevitabili (poiché non si fa nulla per impedirle) tragedie di domani: l’apocalisse continua. Maggio 2009: per i tipi di minimum fax, esce Anteprima nazionale, un’antologia di racconti distopici curata da Giorgio Vasta. I nove racconti, secondo le parole del curatore, tentano di «recuperare il coraggio dell’immaginazione politica e sociale, di un’immaginazione che senza scadere in una contemplativa constatazione dei fatti […] sia invece concretamente strumentale» (Vasta, 2009, p.14). Eppure, il futuro che quelle narrazioni presentano è molto simile all’oggi, alla lingua inacidita dei palinsesti tv, dei cataloghi di offerte dei grandi magazzini, dei dépliant turistici: sono frammenti del nostro presente, travestiti da futuro. Non sarà, allora, che la possibilità di liberare l’immaginazione politica e letteraria si nasconde nelle riscritture dirompenti e sismiche del passato, mentre la scrittura del futuro, in questa Italia, stenta a superare il ruolo di una “narrativa di posticipazione”? Tra le macerie del nostro tempo, la riflessione è più urgente che mai.

QUI IL TESTO IN FORMATO PDF

* Valentina Fulginiti si è laureata in Linguistica Italiana all’Università di Bologna, con una tesi sui problemi della traduzione intersemiotica. È stata conduttrice di laboratori di scrittura, scrive di teatro e per il teatro. Si occupa di linguistica e di drammaturgia. Attualmente è dottoranda nel programma di Italian Studies della University of Toronto.
Su Carmilla è già apparso un suo saggio sulla lingua dei romanzi NIE, “Aedi, rapsodi e contastorie. Intorno all’oralità del New Epic”.



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