di Giulia Maria Urcia Larios

45Colt.jpgDopo quasi tre settimane Cuervo era tornato al suo posto, al Black Hole Bar, tra gli amici che si complimentavano per la sua bravura.
– Ottimo lavoro — lo lodò Lizard, — niente famiglie che ci danno la caccia e niente polizia che ci fiata sul collo. E’ davvero un ottimo inizio. Allora, l’ultima volta abbiamo sorteggiato turni e compiti. Chi è il secondo? –
– Io — rispose Seraph, – e ho B. D. –
– Hai pensato a come farlo fuori? –
Seraph sorrise, e tirò fuori un block notes scritto fitto con la sua calligrafia nervosa. Cominciò a spiegare: lo sapevano, a volte gli capitava di collaborare con i ladri di auto e di pezzi di ricambio, e grazie al loro aiuto aveva registrato le ore e gli intervalli tra le ronde della polizia nei quartieri più pericolosi. Inoltre aveva seguito Blue Dragon e segnato i suoi percorsi più frequenti, e uno di questi era una stradina stretta e poco trafficata, una scorciatoia per arrivare in centro più in fretta, passando però per la Palude (“…un quartiere pessimo davvero! Giusto fratelli?”).

Dopo le undici la polizia di là non passava, e la cosa migliore era che un suo amico e la sua banda, ladri professionisti, gli avevano offerto il loro aiuto in cambio dei pezzi migliori della macchina del suo avversario. La cosa peggiore era invece che quel bastardo teneva nel vano portaoggetti una pistola. Ma non credeva che avrebbe avuto particolari problemi: sapevano che era abile col coltello, no? E lo avrebbe aspettato al varco.

16 Novembre 20..
OMICIDIO ALLA “PALUDE”
Un nuovo omicidio ha avuto luogo questa notte nel malfamato quartiere detto “Palude”. Un uomo, identificato come Felicio Martinez, secondo la sommaria ricostruzione della polizia, è stato aggredito da una banda di ladri d’auto ma non è riuscito a difendersi. E’ stata trovata quella che probabilmente è l’arma da difesa della vittima, una calibro 45 ancora intonsa, ma non c’è traccia del coltello che lo ha ferito a morte. L’insufficienza di prove (non sono state trovate impronte digitali) non lascia altra soluzione che l’archiviazione del caso.

Quando il mattino dopo l’esecuzione Lizard lesse trafiletto sul giornale, per niente insolito in una città violenta come quella dove i delitti erano all’ordine del giorno, mentalmente si congratulò con Seraph, angelico portatore di morte.

– Ah, un gioco da ragazzi, quel tipo proprio non se l’aspettava un corpo finto in mezzo alla strada, e si è fermato subito. Io l’ho sistemato e Rak e la sua banda hanno fatto il resto, da veri professionisti – disse sereno Seraph, quella sera stessa al Black Hole.
– Ottimo lavoro fratellino, niente tracce e niente sospetti. I “condannati” non hanno idea di cosa stia succedendo, e il loro numero va assottigliandosi — disse Angelito compiaciuto.
– Chi è il prossimo? — domandò impaziente San.
– Io – rispose Jack di Cuori, – ma ho bisogno di tempo per quello che ho pensato. –

Novembre passò e giunse cupo dicembre senza che altro sangue fosse sparso in memoria di Kostas e per saziare la sete di Lizard. Ma egli non dubitava dei suoi amici: aveva fede, e Jack era uno di parola.
Qualche giorno dopo l’esecuzione di Blue Dragon lui e Angelito smisero per un giorno i loro abiti da strada (giacche di pelle, la loro passione, anfibi e vestiti neri) per indossare i panni di due (all’apparenza) studenti universitari dall’aria simpatica e innocua, dei perfetti futuri uomini di successo. Angelito scovò persino un paio di occhiali da vista che il suo fratellino minore metteva per sembrare più intelligente (“Sembra solo più scemo!”), che gli davano un’aria molto intellettuale. Arrivarono al Rosa d’oro ed entrarono passando del tutto inosservati, consci di chi vi avrebbero trovato. Infatti sedettero dietro un gruppo in cui spiccava una testa rossa. El Rojo e i suoi amici sedevano seri e pensierosi: due di loro erano morti a intervallo di un mese… Terribile. E inoltre per pura casualità! La sfortuna li perseguitava.
– Andiamo a cercare qualche gonnella, ragazzi, così almeno ci distraiamo — propose Ink stropicciandosi le mani sporche d’inchiostro.
– Sta’ zitto, coglione e abbi un po’ di rispetto per i nostri morti! – sbottò Siete, il più serio dei cinque.
– Fottiti! –
– Piantatela — disse senza energia Chains, giocherellando con la catena che portava alla vita come cintura.
– Non pensate che possa essere una specie… Una specie di punizione? — chiese sottovoce Siete.
– Stronzate, che cazzo di punizione per cosa? E tutti i pezzi di merda che vagano per questa città, allora perché non vengono puniti tutti insieme? E poi aspetta, chi dovrebbe punirci? — disse Ink.
– Dio, la Giustizia Divina, non so…-
– Dio non esiste, la Giustizia Divina non funziona… E tu sei un superstizioso di merda! Tra un po’ verrai a dirmi anche che hai paura di passare sotto le scale o di rompere uno specchio! –
– Sotto le scale non ci passo perché potrebbe essere pericoloso, e non ho mai rotto uno specchio: forse non succederebbe niente… Ma perché rischiare? –
– Cazzate… Tutte cazzate. Eagle e B. D. hanno avuto sfortuna, tutto qui. –
– Voglio bere. – Venerdì si alzò di scatto e andò al bar. Tornò poco dopo con due whisky doppi, uno per mano. Si sedette di nuovo e buttò giù il primo.
– Non sopporto questa situazione. Detesto la morte. –
E buttò giù il secondo.
El Rojo era rimasto in silenzio.
Lizard e Angelito ascoltavano ancora.

All’inizio del nuovo anno gli amici si ritrovarono al Black Hole Bar per parlare del piano o, come l’aveva ribattezzato Cuervo, la “Grande V”, e si può immaginare per cosa stesse la “V”.
– Signori – cominciò Jack, dopo che tutti ebbero da bere, – perdonatemi per avervi fatto attendere tanto, ma le trattative sono state ostacolate dalle feste. –
– Trattative? — chiese Angelito.
– Trattative. Ho chiamato un paio di persone che mi dovevano un favore. Gli Italiani sanno mantenere i propri impegni. –
– Hai coinvolto QUELLI?! Cazzo, ma in che guai ti sei messo? — esclamò Seraph impressionato.
– Tranquillo fratello, è tutto a posto. Una volta gli ho fatto un grosso favore. E poi spesso li aiuto per la merce di contrabbando: si può dire che mi considerano quasi uno di loro. E inoltre credo che quella gran donna di mia madre se la intenda con qualcuno dell’ambiente… Questo facilita le cose .-
– Che cosa gli hai promesso in cambio? –
– Nulla! E’ questo il bello! Non sono io ad essere in debito! –
– E allora che cosa faranno? — interruppe Cruz.
– Faranno in modo che sembri tutta colpa di Chains. Voi preoccupatevi di tenere d’occhio il giornale dei prossimi giorni. –

Negli attimi prima che scoccasse la mezzanotte tra il 3 e il 4 gennaio, Jack di Cuori strinse le mani di un paio di persone, le ringraziò e sussurrò:
– A buon rendere. — Quelli annuirono e a loro volta lo ringraziarono e gli portarono i saluti di Don Antonio, che non dimentica gli amici.

– Allora, che ve ne pare? La cosa divertente è che è stato proprio El Rojo a trovare delle tracce del misfatto stanotte, quando è andato a chiamarlo per uscire. Cazzo, che faccia che ha fatto, proprio non se l’aspettava! — Jack ridacchiò.
– E cos’ha fatto dopo? — chiese Cuervo curioso.
– Beh, la vicina impicciona ha chiamato la polizia, è stata interrogata e lui anche, poi non so. –
– Spero almeno che abbiate lasciato delle tracce fuorvianti…- disse Cruz.
– Ovvio! Chi l’avrebbe mai detto che il nostro amico Chains aveva rapporti con gli Italiani? Che brutta cosa non pagare i propri debiti! –

Chains, alias Joseph Costa, fu ritrovato in un cantiere, dagli operai più mattinieri, che si chiesero che accidenti ci facesse una colata di cemento proprio davanti all’ingresso. Pperlomeno se lo chiesero fino a quando non videro una scarpa uscire dal blocco solido.

5 Gennaio 20..
ESECUZIONE FUORI DALL’”ORDINARIO” IN UN CANTIERE
Stamattina è stato ritrovato il cadavere di un uomo nel cantiere del nuovo Municipio in costruzione, imprigionato in un blocco di cemento.
Non si era ancora verificata un’esecuzione in questo stile nella nostra Città, così la polizia è propensa ad attribuire l’omicidio di Joseph Costa (tale è il nome dello sfortunato venticinquenne) a un qualche gruppo esterno che aveva dei “conti in sospeso” con la vittima. A denunciare la scomparsa sono stati i suoi amici che, entrati in casa la mattina del 4, hanno trovato segni di lotta e buste di cocaina.
Tutto fa supporre che la vittima fosse in rapporti “d’affari” con qualche gruppo italiano che, come ben sappiamo, imperversano nelle altre città, e per qualche questione di debiti, egli sia stato “giustiziato” (come si dice in gergo).
Il sindaco ha rilasciato una dichiarazione nella quale ripone le sue speranze nel corpo di polizia, affinché la piaga del crimine organizzato non si diffonda anche nella nostra Città, già in lotta contro la piccola criminalità.

– Splendido Jack, davvero un ottimo lavoro — esclamò Lizard soddisfatto. Ripiegò il giornale e lo lanciò sul tavolo a fianco al loro, al Black Hole.
– Chi è il prossimo? — chiese Sombras.

Un paio di settimane dopo, su richiesta di Cruz (il nuovo esecutore), si riunirono a casa sua. Era tempo che egli esponesse il suo piano.
– Allora signori, ecco cos’ho pensato. Un suicidio. –
– Un suicidio? —chiese divertito San.
– Un suicidio – rispose trionfante Cruz.
– Che genere di suicidio? — intervenne Lizard.
– Il povero Siete, frustrato da questo mondo, presto la farà finita e dipartirà da questa valle di lacrime tra il dolore dei suoi congiunti. –
– Oh… Sembra divertente! — disse Seraph sorridendo.
– E lo è, anche perché lui non lo sa ancora. –
– E pensare che eri tu quello che faceva tante storie sulla vendetta e sul commettere delitti eccetera eccetera… Che cosa ti ha fatto cambiare idea? — Lizard lo osservava attentamente con un lieve sorriso sulle labbra.
– Ci ho riflettuto a lungo, e sono arrivato alla conclusione che in fondo tu abbia ragione sul fatto di onorare la memoria e il resto. E poi ho pensato… Insomma, se morisse uno della mia famiglia… Io farei lo stesso, perciò ti capisco e ti rispetto. E poi Kostas era anche mio amico. –
– Sono felice che tu abbia capito. Per quando saresti pronto? –
– Tra poco Liz, tra poco. –

Una fredda sera di fine febbraio Cruz, riparandosi nell’ombra, osservò con l’attenzione di un predatore una figura vestita con un assurdo paio di scarpe rosse e una giacca bianca e arancione. Se c’era una cosa che non sopportava era chi si vestiva male.
Camminò silenzioso e sicuro alle spalle della sua vittima, e con un colpo alla nuca la tramortì.
Dopo essersi assicurato che non ci fosse nessuno nei paraggi, lo trascinò alla sua macchina, e lo chiuse nel bagagliaio. Poi si mise alla guida fischiettando, e si diresse verso la casa del condannato. Per sua fortuna il tipo abitava da solo in un vecchio villino (eredità di famiglia ormai in rovina) lontano dal centro, con tanto di giardino e vialetto d’accesso di ghiaia al riparo da sguardi indiscreti.
Fu una faticaccia trascinarlo in casa, e Cruz bestemmiò in modo terribile (a onta della croce che portava tatuata sulla schiena). Chiese poi perdono per ogni empietà che gli era uscita di bocca.
Tutto durò non più di un’oretta circa e, terminato il suo lavoro, Cruz se ne andò canticchiando.

– Insomma, quanto ci mettono a trovarlo? — chiese impaziente Lizard, dopo due giorni d’attesa.
– So che aveva un appuntamento con i suoi amici stasera…- disse Cruz pensieroso.
– Allora aspettiamo – concluse San.

26 Febbraio 20..
VENTENNE SI SUICIDA
Ieri è stato scoperto il suicidio di un venticinquenne, Moreno Ferrato. Degli amici, passati a casa sua, hanno trovato la porta d’ingresso aperta ed il giovane impiccato in soggiorno.
Ferrato non ha lasciato nulla che potesse giustificare il suo gesto, tuttavia gli amici dicono che, poiché alcuni membri del loro gruppo sono morti di recente, Ferrato era rimasto molto turbato da ciò e, come afferma un suo amico: “Era molto superstizioso, e si era quasi convinto che questa fosse una punizione divina per i nostri peccati”. Il funerale avrà luogo il 28, alle 15.00, nella Chiesa della Divina Misericordia.

– Ora, dopo questa lieta fila di belle parole spese per una povera anima turbata dalla crudeltà di questo mondo, parliamo di coloro che sono ancora vivi. Sulla nostra lista nera il prossimo è Venerdì. A chi tocca? –
– A me Lizard — rispose Sombras,- ma a questo punto, mentre studio la mia vittima, direi di lasciar passare un po’ di tempo: anche il giornale ha nominato le morti di quei bastardi, lasciamo che un po’ d’acqua passi sotto i ponti per lavare le tracce di sangue. – .
– E quanta acqua dovrebbe passare, esattamente? — chiese San.
– Almeno un mese, se non di più — dichiarò Sombras.

Passò il freddo febbraio con i suoi venti e la sua pioggia, e agli inizi di marzo il sole venne fuori dalle nubi più spesso, anche se era ancora pallido e debole.
Lizard intanto teneva viva la memoria dei suoi morti: ogni sabato, come prescriveva il suo personale “culto degli antenati”, al mattino andava al cimitero e lì, seguendo un percorso preciso, faceva visita a tutti i suoi cari. Per primi andava a salutare i suoi genitori, defunti da dieci anni, e portava loro due rose.
Poi veniva la zia che lo aveva cresciuto, trapassata da circa un anno. Per lei portava fiori d’orchidea: da viva aveva avuto una grande passione per le piante tropicali, e lui ancora le conservava con tutto l’amore possibile. A sua zia seguivano Sein e Cruel, i suoi amici morti tre anni prima in una rissa finita in sparatoria. A loro portava garofani, bianchi per Cruel e rossi per Sein.
Infine passava a salutare Kostas il greco, il suo migliore amico e fratello di sangue. In vita egli aveva amato il profumo greve e sensuale del gelsomino: diceva che lo faceva pensare ai sogni nelle notti d’estate, alla Grecia (che non aveva mai visto) perché sua madre aveva quel profumo. Gli piaceva raccontare a Lizard degli occhi neri e dei capelli color corvo, che conservava tra le memorie della sua infanzia.
A Lizard non piaceva molto l’odore del gelsomino, tuttavia aveva conservato la pianta di Kostas come ricordo, e in fioreria sapevano che ogni sabato doveva arrivare un ramo di fiori di gelsomino per “il ragazzo delle 11”. Si fermava sulla tomba dell’amico e parlava del più e del meno, forse più a lungo di quanto facesse con gli altri suoi morti. Gli raccontava della banda, dei loro amici, dei suoi progetti di vendetta, della sua vita, dei bei tempi quando c’erano tutti, lui, i ragazzi, e Sein e Cruel, prima che la sventura se li prendesse.
Quello era il suo appuntamento abituale con la memoria, e sebbene da tempo avesse perso la fede, credeva nella presenza dei suoi morti, credeva nella loro protezione, e questo gli bastava per tirare avanti senza paura del futuro, perché se fosse morto avrebbe perso i suoi amici per ritrovare gli altri.
Non sarebbe mai rimasto solo.

Sombras sapeva che Venerdì beveva molto, e sapeva anche che a volte gli piaceva farsi di coca. Seguendolo aveva anche scoperto che si teneva alla larga dall’eroina. Non poteva negare che fosse divertente vederlo sbronzo: quando smetteva di connettere non faceva che chiedere a tutti: “Ma oggi… è venerdì?”
Sì, Sombras lo trovava comico e, mentre lo osservava alla Rosa d’Oro, sotto uno dei suoi innumerevoli travestimenti (quel giorno sfoggiava una chioma bionda che solo chi lo conosceva non avrebbe scambiato per i suoi veri capelli, lenti a contatto azzurre e un elegante completo beige da uomo d’affari), si chiedeva come accidenti avrebbe potuto fargli varcare la soglia del Grande Buio senza troppo chiasso…
Venerdì diventava particolarmente maldestro quando beveva troppo, e non sembrava nemmeno molto attento a quello che faceva… Forse Sombras aveva trovato uno splendido modo per toglierselo dai piedi, ma doveva sentire un paio di persone. Se queste gli davano il loro beneplacito e aiuto, entro un paio di settimane Venerdì sarebbe andato a far compagnia a Eagle, B.D., Chains e Siete.

Sombras aveva 25 anni, era stato un killer di Francis Serpente, aveva svolto quel lavoro con fedeltà ed efficienza dai 15 fino ai 22 anni, e a volte ne sentiva la mancanza. In un certo senso era stato “mandato in pensione” da Francis, che lo considerava come un fratellino minore, e tuttavia lo temeva: Sombras, senza volerlo, si era accattivato tutta la simpatia degli altri “ragazzi”, e Francis aveva temuto una sovversione o un complotto alle sue spalle. Così un giorno aveva fatto chiamare Sombras nel suo ufficio per parlargli. Gli aveva offerto una liquidazione, con la scusa che non poteva più utilizzare per le missioni quello che era stato un visino innocente da ragazzino fino ad un paio di anni prima, ma che ora, quando beveva un po’ troppo, diventava rissoso, come aveva preso a fare Sombras in quel periodo.
Sombras capì le ragioni del Capo, ma gli straziava il cuore lasciare i suoi compagni, il suo lavoro e quell’ambiente che gli era divenuto tanto caro. Vi si trovava bene quanto un pesce nell’oceano. Accettò la liquidazione, ma chiese di potersi tenere in contatto con Francis Serpente e i vecchi amici. Chi lo sa, forse un giorno avrebbe potuto rientrare nella banda e ricominciare a spedire idioti nel Grande Buio…
Francis accettò e lo raccomandò per un lavoro in un’altra parte della Città. Consisteva in uno degli impieghi giudicati da Sombras tra i più barbosi: il commesso, però accanto a ciò che amava di più al mondo, le armi. Il vecchio Capo gli aveva trovato un impiego come aiutante in un’armeria alle sue dipendenze, una di quelle che fornivano alle bande di teppistelli gli strumenti per scannarsi a vicenda.
La parola del Capo è legge, questo era l’assioma di Sombras. Inoltre aveva un debito di gratitudine con Francis Serpente: era lui che lo aveva salvato quando, da piccolo, aveva visto la sua famiglia sterminata per un grosso quantitativo di droga che suo padre aveva fatto sparire. Per fortuna Francis e la sua squadra erano in rotta con quella banda e, grazie al tamtam del quartiere, erano venuti a sapere della strage, arrivando in tempo per accoppare gli assassini, scoprire il nascondiglio della droga e trovare un bambino dall’aria spaurita nascosto in un armadietto, nella cucina della casa semidistrutta.
Francis l’aveva adottato e l’aveva condotto nel suo mondo violento e spietato. Il piccolo Marcos, crescendo, non aveva conosciuto che quella vita e, nel suo ambiente, era diventato uno dei migliori. A quindici anni, quando aveva compiuto la sua prima missione, gli diedero il soprannome di Sombras: veloce e leggero come le ombre della notte, e altrettanto imprendibile e invisibile. Sapeva mimetizzarsi e scomparire, riapparire armato di pistola, coltello, o qualunque altra arma gli mettessero in mano. Non lo presero mai, ma lui prese sempre chi era stato condannato a morte da Francis.
Ora, per una nuova missione, aveva bisogno dell’appoggio del suo vecchio Capo.
Due settimane dopo, quando fu sicuro di conoscere tutti i percorsi, le tappe e i luoghi cari a Venerdì, si recò da Francis Serpente, ormai quasi cinquantenne, ma ancora capace di rompere una mascella con un pugno, o di spezzare il collo in due mosse a chi lo avesse contrastato.
Dopo i convenevoli di rito Sombras parlò a lungo a Francis della vendetta che stavano attuando, dei vari come, quando e perché del suo amico Lizard, che forse Francisco conosceva di fama: un asso con le lame, un uomo d’onore che lavorava saltuariamente per Javier Dos Hierros, e che come lavoro fisso aiutava i contrabbandieri e i trafficanti. Uno che ci sapeva fare insomma, e che era dell’ambiente. Voleva vendicarsi per l’assassinio del suo migliore amico e fratello di sangue, un motivo più che valido.
Sombras rimase a cena dal suo vecchio Capo a rievocare i bei tempi. Al momento di andarsene gli chiese speranzoso se non avesse qualche lavoretto da fargli fare: aveva imparato a controllarsi nel bere, non scatenava più risse e non si era mai fatto di niente.
Francis Serpente sorrise con aria paterna, e la sua ultima parola (“Vedremo”) accese un lume di speranza nel cuore di Sombras. Se ne andò felice con ciò che era venuto a cercare.
Arrivato a casa chiamò Lizard e gli disse che era pronto per l’esecuzione. Che non perdessero d’occhio i giornali.

2 – CONTINUA