q-napoli.jpgQ di Ermanno C., spettacolo ispirato e dedicato al romanzo di Luther Blissett, scritto e diretto da Annamaria Russo e Ciro Sabatino.
Da sabato 26 novembre al teatro Il pozzo e il pendolo, dal giovedì alla domenica, per tre settimane ore 21 (domenica ore 19)
Sconti per studenti. Prenotazioni 081.5422088

…Qualcuno, del resto, ci ha già messo in guardia: non penserete che si possa fare Q con tre attori e un atto unico! L’operazione è tutta metatestuale, ovvio: c’è una compagnia che vuole provare a fare uno spettacolo da Q, ma non ci riesce, e lo spettacolo è tutto sull’impossibilità di fare Q con tre attori e un atto unico. Capito?
Sì, d’accordo. Peccato che nemmeno questo gingko abbia le foglie a ventaglio.
Certo, c’è l’aspetto metateatrale. E d’accordo, c’è la compagnia che prova a mettere in scena Q. Ma quel che davvero colpisce, alla fine della serata, è che Q, il romanzo, c’è davvero…

…e non per finta, come pura citazione.
Fatto con tre attori e un atto unico, proprio così, niente trucchetti. Fatto con la stessa tecnica usata da noialtri per costruire il protagonista: cucire tra loro identità distinte. Un montaggio impressionante, per dar vita a Demetra, a Elias, al capitano Gert. Tre personaggi che ne inglobano altri, usando frasi di altri, gesti di altri, destini di altri. Chiaro che la trama risulti stravolta: chi non ha letto il libro, se gli spieghi come vanno “davvero” le cose, quasi non ci crede.
Il miracolo, comunque, non sta nell’architettura del testo. Quel che è incredibile è quanto dicevo prima: tu monti, smonti, modifichi, ricomponi, tagli e incolli, fino a raccontare una storia diversa, eppure il romanzo è lì, intatto, come la donnina del prestigiatore chiusa dentro la cassa e attraversata dai coltelli. Come se quella storia così differente esistesse già, da qualche parte, nelle pagine del libro, in attesa che qualcuno, con passione ostinata, arrivasse a tirarla fuori. (Wu Ming 2, Appunti napoletani, luglio 2004)

***

La vicenda, attraverso una linea metateatrale che convince e appassiona, si snoda fra ricordi, intrighi, sogno e finzione, e mentre si snoda invece che liberarsi di riannoda, si aggroviglia, intrecciando i destini dei tre amici con quelli dei personaggi che dal copione di Ermanno prendono vita nei corpi e nelle voci di Bi, Micol e Alberto.
Così la malinconica rabbia del capitano Gert Dal Pozzo, che nelle battaglie ha perso tutti gli amici e forse se stesso, ma non la voglia di lottare, arriva come una lama da una notte di Carnevale vissuta in un bordello della Venezia del ‘500 fino alla scena teatrale, diventando la malinconia rabbiosa dei tre amici nel ricordare Ermanno, nel non comprendere il suo suicidio, nell’abitare il doloroso vuoto della sua assenza.
E dalla scena, condotta dalle note di una colonna sonora dolce e potente (Suzanne Vega, James Taylor, Claudio Lolli), l’emozione si trasmette al pubblico in sala. Le parole di Gert Dal Pozzo potrebbero essere quelle dei tre amici, quando il capitano reduce dice: “Non rimpiango solo gli amici caduti sul campo, ma il me stesso di allora”.
[…] Spettacolo fortemente simbolico (come lo è il romanzo da cui è tratto l’adattamento), questo Q può essere letto come un grande affresco dell’amicizia, vista nella sua dolorosa identità di tempo perduto, gesti svaniti, persone che non ci sono più, impegni da mantenere, tradimenti e lealtà, amori e sogni da onorare e da non dimenticare.
(Riccardo Brun, Metrovie, supplemento napoletano de Il Manifesto, 23 aprile 2004)

***

Il senso di un’operazione

[…] Tradurre in immagini teatrali le immagini di un libro non è mai facile. Letteratura e teatro hanno in comune la favolosa capacità di far passare le emozioni. Ma se la pagina scritta lascia l’impagabile libertà di viaggiare in una storia seguendo i sentieri più congeniali alla fantasia di ciascuno, al teatro corre l’obbligo di definire i tempi e i modi di quel viaggio. Il teatro è una lettura filtrata. E’ un libro raccontato. Nella messa in scena i personaggi hanno i volti le voci i gesti e i silenzi di un solo lettore, che ha scelto di diventare narratore. Una responsabilità enorme, che rischia di diventare paralizzante. Per farlo bisogna avere la forza di liberarsi del testo, di lasciare che siano le emozioni suscitate da quelle pagine a indicare la strada. Avere il coraggio di stapparsi da dentro l’eco delle infinite suggestioni che quelle parole hanno rievocato e scegliere.
E allora può anche accadere che dalle centinaia di pagine di un’epopea cinquecentesca venga fuori una storia più sommessa che racconti il dolore infinito di chi è costretto a tradire, di chi per far trionfare la vita deve scegliere la morte. E allora può anche accadere che un libro come Q diventi uno spettacolo teatrale.

L’adattamento e le note di regia

Q è un libro che pesa.
Pesa metaforicamente perché ha la forza rara e devastante di mettere a nudo tutta la violenza che c’è dietro qualunque fede, la miseria e la grandezza che sempre convivono nell’animo umano, di raccontare una storia fatta di santi briganti, di ladroni porporati, di vittime colpevoli e di assassini innocenti. Una storia nella quale chiunque abbia un briciolo di lucidità è costretto a veder riflesso anche il proprio volto. E pesa fisicamente, perché le settecento pagine lungo le quali di dipana la storia si sentono… anche tra le mani.
Decidere di prendere un libro così e farne uno spettacolo teatrale è un’operazione che potrebbe avere molto a che fare con la follia, o peggio con la sconsiderata presunzione. Ma potrebbe anche avere molto a che fare con l’amore. L’amore per quel libro e più in generale per i libri, per la scoperta delle infinite letture, cui ogni storia scritta si presta.
E’ proprio da quest’amore che ha preso le mosse il nostro lavoro. Da qui l’esigenza di mettere al centro della messinscena il testo, o meglio le inaspettate rivelazioni che un testo può riservare. Più che mai un testo già letto. Non una ma dieci, cento volte. Perché le pagine scritte hanno il magico potere di fondersi con i mutevoli stati d’animo del lettore, trasformandosi di volta in volta, svelando e nascondendo, e le parole ripetute tante volte acquistano un significato inaspettato, incominciando a narrare una storia completamente diversa da quella che si pensava di conoscere.
Se Q fosse stato un testo teatrale, se tre giovani attori avessero cominciato a provarlo, se dietro quel testo ci fosse un terribile segreto, se una notte, in un teatro vuoto, quel testo avesse cominciato a prendere vita e a raccontare, battuta dopo battuta, una vicenda nella quale i tre finiscono per riscoprirsi non piu’ interpreti ma protagonisti. Se…
Il nostro lavoro è cominciato così con una catena di se. E proprio da quei se è partita un’esperienza incredibile. Il testo ha davvero cominciato a prendere vita, le parole pronunciate a svelare significati inaspettati, a suscitare emozioni diverse da quelle che credevamo di aver bloccato nella scrittura. E noi a rincorrerlo, per rimettere di insieme i fili di una storia che prendeva forma prima che noi facessimo in tempo a decidere che forma volevamo darle. E la messa in scena ha conservato un unico solo punto fermo rispetto al progetto di partenza: l’idea che un testo letto, interpretato, recitato, finisce sempre per rivelare una storia che in fondo ci appartiene.

Annamaria Russo e Ciro Sabatino