Procura di Torino – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 03 May 2024 10:35:01 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.25 Il nemico interno/6 https://www.carmillaonline.com/2020/12/21/il-nemico-interno-6/ Mon, 21 Dec 2020 03:30:13 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64015 di Alexik

Sin dall’inizio della lotta, e con particolare intensità negli ultimi dieci anni, l’opposizione popolare al TAV Torino/Lione si è dovuta confrontare con un livello altissimo di violenza istituzionale, di cui la  criminalizzazione penale è un aspetto rilevante. La creazione di una corsia preferenziale per i procedimenti contro il movimento, con il coinvolgimento di  centinaia di imputati, l’esercizio dell’azione penale anche per reati “bagatellari”, l’abuso delle misure cautelari, l’utilizzo a piene mani del concorso e delle aggravanti, la particolare velocità dei processi,  la sproporzione delle [...]]]> di Alexik

Sin dall’inizio della lotta, e con particolare intensità negli ultimi dieci anni, l’opposizione popolare al TAV Torino/Lione si è dovuta confrontare con un livello altissimo di violenza istituzionale, di cui la  criminalizzazione penale è un aspetto rilevante.
La creazione di una corsia preferenziale per i procedimenti contro il movimento, con il coinvolgimento di  centinaia di imputati, l’esercizio dell’azione penale anche per reati “bagatellari”, l’abuso delle misure cautelari, l’utilizzo a piene mani del concorso e delle aggravanti, la particolare velocità dei processi,  la sproporzione delle condanne e delle sanzioni economiche, sono da anni parte dell’esperienza concreta dei militanti, ed evidenti a chiunque soffermi lo sguardo sul fenomeno repressivo in Valsusa.

Per questo tre  anni fa un gruppo di compagni e compagne ha ritenuto importante iniziare un’opera di archiviazione storica dei materiali processuali che rendesse possibile un’analisi più dettagliata della criminalizzazione giudiziaria nei confronti del movimento, la misurazione del fenomeno e la sua comparazione con altri campi di esercizio dell’azione penale.
Parallelamente si è provveduto alla creazione di un software per la gestione delle informazioni e dei documenti, con la costruzione (ancora in corso) di un data base ad uso degli studi legali di riferimento del movimento No TAV.

Il progetto ha tratto origine e ispirazione da un lavoro  già avviato da un militante storico della Valle. Si è sviluppato nutrendosi dei saperi di compagne e compagni provenienti dalla preziosa esperienza, maturata anche in SupportoLegale, nell’ambito del sostegno tecnico e politico agli imputati e ai legali di movimento dopo il G8 di Genova del 2001. Ha coinvolto informatici e giovani ricercatori e ricercatrici in campo giuridico,  con il sostegno della Associazione Bianca Guidetti Serra.
Si è trattato di un impegno importante,  con una grossa mole di lavoro, che ha permesso la catalogazione degli atti processuali  (nella loro parte accessibile: datazioni delle fasi, dibattimento e decisioni) per i processi aventi come imputati e imputate militanti del movimento No Tav, chiusi almeno in primo grado al 31 dicembre 2017.

Sui materiali archiviati si è appena conclusa una prima esperienza di ricerca a cura di Alessandro Senaldi,  incentrata in particolare su 151 procedimenti iscritti al Registro Generale Notizie di Reato (RGNR)  dal 2005 al 2016,  fra  i quali di 86 è stato possibile ricostruire in maniera completa la storia processuale.
La ricerca, pubblicata sulle pagine online della rivista Studi sulla questione criminale, comprende una parte quantitativa e relative valutazioni su cui è interessante soffermarsi.
Dati che confermano, in buona parte, la conoscenza maturata dal movimento attraverso l’esperienza diretta, ma che al contempo permettono una quantificazione più precisa di vari aspetti rilevanti dell’offensiva giudiziaria contro l’opposizione al TAV.

Lo sviluppo temporale della criminalizzazione giudiziaria

Il debutto della Procura e del Tribunale di Torino sul palcoscenico della vicenda TAV ha inizio nel 1998, con gli arresti di Silvano Pelissero, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas, e  l’iscrizione del primo procedimento penale riconducibile al progetto dell’Alta Velocità Torino Lione.
Presto la morte di Sole e Baleno irrompe come un segno anticipatorio della violenza che lo Stato sarà disposto a mettere in campo a tutela della Grande Opera, così come il processo che segue contro l’unico sopravvissuto anticipa caratteristiche della criminalizzazione giudiziaria del movimento del decennio successivo, come l’utilizzo di imputazioni per terrorismo destinate a sgretolarsi in Cassazione.

A questo episodio premonitore faranno seguito diversi anni di quiete dell’azione penale, che riprenderà lentamente fra il 2005 e il 2006, per subire poi un’impennata dal 2010.
Senaldi traccia la curva di questa evoluzione, che mostra come si passi dall’assenza di procedimenti iscritti al RGNR  nel 2009 ai 40 del 2011, 34 nel 2012, 37 nel 2013. Procedimenti che comportano il coinvolgimento di centinaia di imputati.

“Tale impennata – commenta l’autore –  se per alcuni versi appare naturale conseguenza della radicalità espressa dal movimento a fronte dei primi passi concreti mossi dalla compagine promotrice, può anche essere letta come l’effetto della nascita del “Gruppo Tav”, ovvero il pool di magistrati istituito, contestualmente alle prime operazioni di implementazione dell’opera, dal procuratore capo Caselli (il 13/1/10)”.

Va detto che, se è vero che i primi passi concreti per l’apertura dei cantieri determinano l’intensificarsi delle azioni di contrasto e le relative denunce, ciò che alimenta il rapido sviluppo e i contenuti dell’azione penale è la militarizzazione della Valle.
È lo Stato che provoca lo scontro, che ne moltiplica le occasioni con il massiccio dispiegamento di truppe sul territorio, e che ne traduce l’esito in una miriade di notizie di reato, grazie anche ad una particolare ‘produttività’ a riguardo da parte della digos di Torino.

Il “Gruppo TAV” della Procura è l’ingranaggio successivo, che ha cura di adoperarsi affinché ogni denuncia contro i militanti – anche quelle relative a infrazioni minimali – si trasformi prontamente in richiesta di rinvio a giudizio, generalmente accolta dal Giudice per le Indagini Preliminari.
C’è da tener conto inoltre del fatto che gran parte dei reati contestati ai militanti No TAV – proprio quelli generati dalle frizioni con le FF.OO. (violenza, minaccia, resistenza a pubblico ufficiale – articoli 336 e 337cp) – prevedono l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero attraverso la citazione diretta a giudizio, senza passare al vaglio del GIP.

Scrive Senaldi che su 80 procedimenti da cui è stato possibile ricavare il dato, sono ben il 62,5%  quelli in cui la fase delle indagini preliminari si conclude con la citazione diretta in giudizio da parte del PM.
Vi è quindi anche un meccanismo in presa diretta che collega l’efficientismo della Procura di Torino all’impennata delle iscrizioni nel Registro Generale Notizie di Reato.

Una Procura, peraltro, talmente efficiente da aver costituito il 13/01/2010 il ‘Gruppo TAV’ – con una nutrita assegnazione di personale (2 procuratori e 5 sostituti procuratore, su un organico complessivo della Procura di una cinquantina di PM) – ben prima che vi fossero reati rilevanti contro la Grande Opera su cui investigare1.
Molto meno solerte, invero, quando è il momento di procedere per le denunce sporte dai manifestanti No TAV per le violenze degli agenti delle FF.OO., il cui esito si conclude sistematicamente con l’archiviazione2.

Procedimenti “ad alta velocità”

La ricerca di Senaldi fornisce una quantificazione di quanto già chiaramente riscontrato dal movimento e dai suoi legali in termini di velocità dei procedimenti nelle loro varie fasi.
Partiamo dalle indagini preliminari.

Sugli 83 procedimenti in cui è possibile ricavare questo dato risulta una durata media delle indagini preliminari di 279 giorni, a confronto con il tempo medio sul territorio nazionale  (quando si tratta di reati con autore noto) di 404 giorni.
Sicuramente tale velocità trova spiegazione nella costruzione di un gruppo di PM specificamente dedicato,  o nell’ampio ricorso alla citazione diretta in giudizio da parte del PM, che salta il passaggio dal GIP.
Ma una interpretazione convincente emerge anche dall’analisi dei documenti del maxiprocesso ai No TAV ad opera della ricercatrice Xenia Chiaramonte:

Cronologicamente… vengono prima le annotazioni di polizia, poi il vaglio del PM … e poi il vaglio di un secondo magistrato, stavolta con funzioni giudicanti che è il giudice per le indagini preliminari.
Chi legge questi atti però si trova davanti dei testi che si citano l’un l’altro e che si avvalorano di passaggio in passaggio senza profondamente criticarsi al fine di quel profondo e sostanziale vaglio che il codice prevede. Il PM ripercorre in modo pressoché pedissequo le annotazioni della polizia giudiziaria, poi le trasferisce su un diverso documento che approda nelle mani del GIP, il quale al posto di valutarlo nel dettaglio lo conferma, e così, come analizzeremo, nel peggiore dei casi si arriva a una decisione dal tenore nuovamente troppo simile“.3

E ancora, nelle parole di una militante intervistata: “La procura è partita dalle informazioni Digos e ha finito la requisitoria con le stesse informazioni Digos, anzi si vede proprio negli atti, si vede che ci sono dei copia-incolla con gli stessi errori di ortografia presenti nelle annotazioni di servizio della polizia“.4
Vale a dire: le indagini le costruisce la Digos prima dell’inizio del procedimento, e poi attraversano tal quali le varie fasi del procedimento stesso senza che i PM e che i GIP si attardino in eventuali approfondimenti, confronti con altre fonti testimoniali, confutazioni, emendamenti vari, inutili correzioni ortografiche. Un modus operandi che con tutta probabilità accorcia i tempi notevolmente.

Ma, tornando ai dati elaborati da Senaldi, se nei procedimento contro i No TAV la velocità delle indagini preliminari è notevole, quella dei processi è addirittura stupefacente.
Uno dei parametri considerati dall’autore per valutarne la misura è il tempo che mediamente passa tra un’udienza e l’altra, ovvero la media in giorni che trascorrono per ogni rinvio.
È stato possibile calcolare questo dato su 63 processi contro il movimento, con un tempo medio di rinvio di 57 giorni.
Come emerge dal  “Rapporto sul Processo Penale 2008” dell’Unione delle camere penali italiane, presso il tribunale di Torino il rinvio ad altra udienza presenta tempi medi di 102 giorni per i processi monocratici e 82 giorni per quelli collegiali, mentre, la media nazionale è di 139 giorni per i primi e 117 per i secondi.
Al di là delle medie, vi sono casi (come al maxiprocesso), dove la frequenza delle udienze è risultata talmente alta  da suscitare le vibranti proteste degli avvocati difensori del movimento, che valutavano il calendario definito dal Tribunale di Torino come lesivo del diritto alla difesa, visto che gli impediva di prepararsi adeguatamente.

Per quanto poi riguarda la durata del primo grado di giudizio dei processi ai No TAV, calcolata come tempo trascorso dalla prima all’ultima udienza, “dalla comparazione con le statistiche fornite da fonti ministeriali in tema di velocità dei processi, emerge come quelli contro il movimento siano ad “alta velocità”, ovvero, 2,5 volte più veloci della media nazionale“.

Un’ “alta  velocità” che stride con la lentezza con cui, nella stessa città, è stato condotto il giudizio per lo stupro di una bambina, finito in prescrizione dopo 20 anni nel febbraio del 2017. (Continua)

Nota: i tre grafici qui riprodotti sono tratti da Senaldi, A. (2020) I dati dei processi contro i/le No Tav: un contributo al dibattito, in Studi sulla questione criminale online.


  1. I contorni di quest’ultima anomalia sono stati così delineati, tempo fa, dal Comitato Spinta dal Bass: “In effetti, solo nel gennaio 2010 iniziano i presidi e le manifestazioni di opposizione ai sondaggi, realizzati da LTF sui terreni della Consepi. La cosa curiosa è però che le prime due comunicazioni di reato per tali vicende arrivano sul tavolo della Procura rispettivamente il 10 gennaio e il 15 gennaio, per i primi due presidi effettuati in località Traduerivi il 9.1.2010 e il 12.1.2010. E invece, già il 13 gennaio dello stesso anno, dimostrando così una straordinaria capacità predittiva e divinatoria, i vertici della Procura decidono di costituire un’apposita sezione di magistrati, che, caso più unico che raro nella storia giudiziaria, viene istituita prima che i reati vengano commessi.
    Alla data della sua istituzione, infatti, la sezione Tav dispone di una sola notizia di reato, relativa, tra l’altro, ad un’invasione  terreni… vale a dire un reato che più modesto e inoffensivo non si può…
    E, invece, di fronte a tale fatto di evidente straordinaria tenuità … che fanno i vertici della Procura?
    Decidono di dirottare imponenti risorse umane ed economiche su questo fronte repressivo, distogliendo alcuni PM dai loro normali compiti d’ufficio per destinarli ad una sezione che non aveva però, in allora, materiale su cui investigare.
    La relativa sezione specializzata non nasce come risposta organizzativa alla necessità di affrontare una moltitudine di procedimenti per fatti simili (come ad esempio è avvenuto per le altre sezioni …) ma anticipa la verifica dell’esistenza di tali reati”. 

  2. Si consiglia, a riguardo, la visione del documentario Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa“. 

  3. Xenia Chiaramonte, Governare il conflitto. La criminalizzazione del movimento No TAV, Meltemi, 2019, p. 109. 

  4. Ibidem, p. 198. 

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An tute manere… a sarà fest! Alta Felicità, Venaus 25 – 28 luglio 2019 https://www.carmillaonline.com/2019/07/16/an-tute-manere-a-sara-fest-alta-felicita-venaus-25-29-luglio-2019/ Tue, 16 Jul 2019 20:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=53656 Se non ci fossero di mezzo i corpi e la libertà personale dei militanti colpiti dagli arresti e dagli obblighi di firma, ci sarebbe quasi da ridere. Una bella, sonora, gigantesca risata destinata a seppellire i magistrati torinesi che, con un accanimento terapeutico davvero ingiustificato e ingiustificabile, hanno ripetuto anche quest’anno una sceneggiata che ha ripreso pari pari la stessa trama già proposta per quella che già aveva avuto scarso successo l’anno scorso. Un tentativo, a dir poco miserabile, di minacciare e di impedire una manifestazione del movimento NoTav che, evidentemente e [...]]]> Se non ci fossero di mezzo i corpi e la libertà personale dei militanti colpiti dagli arresti e dagli obblighi di firma, ci sarebbe quasi da ridere.
Una bella, sonora, gigantesca risata destinata a seppellire i magistrati torinesi che, con un accanimento terapeutico davvero ingiustificato e ingiustificabile, hanno ripetuto anche quest’anno una sceneggiata che ha ripreso pari pari la stessa trama già proposta per quella che già aveva avuto scarso successo l’anno scorso.
Un tentativo, a dir poco miserabile, di minacciare e di impedire una manifestazione del movimento NoTav che, evidentemente e nonostante la sua totale pacificità, fa sempre paura.

Paura evidentemente condivisa dal ministro dell’interno, da Di Maio e dal PD oltre che da tutte le associazioni imprenditoriali, le ditte e, soprattutto, le mafie politico-economiche interessate alla prosecuzione senza fine dei finti lavori per un’autentica grande opera inutile.
Timore che i magistrati, con scarsa autonomia, si sforzano di esorcizzare, sperando che prima o poi gli irriducibili dell’opposizione alla devastazione economica, ambientale e sociale intendano la lezione e si ritirino sconfitti.

In realtà la lezione dovrebbero averla già appresa la Procura di Torino e le forze, istituzionali e non, che essa rappresenta.
Evidentemente, però, come i peggiori allievi, coartati a ripetere sempre le stesse scuse e le poche nozioni imparate a memoria nel tentativo di strappare una sufficienza impossibile, i rappresentanti del dis/ordine costituito e quelli dei media non vogliono apprendere dai propri errori. Così come i cani da guardia degli interessi imprenditoriali, politici e mafiosi che si annidano in tutte le forze politiche. Di governo e non.

Ma d’altra parte è inevitabile che una manifestazione che si è andata ingrandendo a dismisura nei suoi primi tre anni, dimostrando una capacità di attrazione enorme del movimento NoTav nei confronti di un grande numero di giovani e di cittadini di ogni genere, età e condizione socio-economica, sia destinata a suscitare sempre di più le ire della Legge e del Potere.
Soprattutto perché in tale occasione non soltanto si fa festa, ma si ragiona collettivamente.
Una cosa che, in tempo di social acefali, media asserviti e odiosi slogan populisti, privi di qualsiasi significato reale, spaventa e scuote la società della disinformazione, delle banalità di base e della repressione politica e culturale.

In questa quarta occasione di confronto si discuterà. Tanto.
Si discuterà di migranti, di Rojava e di costi del Tav.
Si parlerà di emergenza climatica con il professor Michele Carducci, professore ordinario di Diritto costituzionale comparato e diritto climatico nell’Università del Salento, dove coordina il Centro di Ricerca Euro Americano sulle Politiche Costituzionali (CEDEUAM – Red CLACSO), l’unico in Italia a studiare l’approccio ecosistemico al diritto e le forme e modalità di “analisi ecologica” della politica e del diritto.1

Si discuterà dei Gilets Jaunes e delle prospettive di quel movimento con alcuni suoi rappresentanti.
Si parlerà di guerra e repressione, in Italia e globale, con Sandro Moiso, Xenia Chiaramonte e Livio Pepino. E di movimenti territoriali e ambientali con i rappresentanti della casa editrice Tabor e del Collettivo ‘Mauvaise Troupe’ della ZAD di Notre Dame des Landes.
Si passeggerà, all’alba, intorno al cantiere con l’accompagnamento di letture fatte da alcuni scrittori presenti.

Ci si confronterà consumando birra e alimenti di ogni genere sotto il grande tendone-ristorante e bevendo vino acompagnato da panini e cibi grigliati presso gli stand più piccoli.
Si ballerà, riderà, parlerà accompagnati, dalla metà di ogni pomeriggio, da un ricco e vario programma musicale.
Si farà la festa al Tav e al modo di produzione che lo sottende in ogni istante e con ogni mezzo possibile. Perché non solo c’eravamo, ci siamo e ci saremo sempre ma anche, parafrasando Philip K. Dick, perché nei confronti del sistema Tav ci sentiamo liberi di dire: Noi siamo vivi, mentre voi sieta già tutti morti.

Qui di seguito il link per il programma culturale completo.

Eventi culturali 2019


  1. In ragione delle sue attività universitarie e di divulgazione scientifica il prof. Carducci opera anche come esperto nella piattaforma ONU “Harmony with Nature” e come Human Rights Defender & Earth Protector ed è uno dei promotori legali della causa climatica verso lo Stato italiano “Giudizio universale”  

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Antropologia e movimento No Tav: divulgare conoscenza per produrre consapevolezza https://www.carmillaonline.com/2017/04/06/antropologia-movimento-no-tav-divulgare-conoscenza-produrre-consapevolezza/ Wed, 05 Apr 2017 22:01:48 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=37413 di Sandro Moiso

chiroli-ora-sempre-no-tav Roberta Chiroli, ORA E SEMPRE NO TAV. Pratiche e identità del movimento valsusino contro l’alta velocità, Mimesis 2017, pp. 192, € 18,00

Fin dalle sue origini settecentesche ed illuministiche l’antropologia ha portato con e in sé una dialettica contrapposizione tra funzione sistemica e sistematizzante nei confronti delle culture esaminate in rapporto alla società (occidentale) che le studiava e una funzione eversiva nei confronti dei valori e delle tradizioni di quella stessa società che intendeva esaminare e sottoporre al proprio insindacabile giudizio gli stili di vita, le culture e le società altre.

Si potrebbe dire però che, fin [...]]]> di Sandro Moiso

chiroli-ora-sempre-no-tav Roberta Chiroli, ORA E SEMPRE NO TAV. Pratiche e identità del movimento valsusino contro l’alta velocità, Mimesis 2017, pp. 192, € 18,00

Fin dalle sue origini settecentesche ed illuministiche l’antropologia ha portato con e in sé una dialettica contrapposizione tra funzione sistemica e sistematizzante nei confronti delle culture esaminate in rapporto alla società (occidentale) che le studiava e una funzione eversiva nei confronti dei valori e delle tradizioni di quella stessa società che intendeva esaminare e sottoporre al proprio insindacabile giudizio gli stili di vita, le culture e le società altre.

Si potrebbe dire però che, fin dalla rosseauiana condanna del processo civilizzatore inteso come allontanamento dallo stato di grazia e purezza appartenuto alle culture primitive, in cui non si era ancora potuta manifestare la proprietà privata come strumento di dominio e spossessamento dell’altro, sin dagli inizi una parte consistente degli studi antropologici ha tradito il mandato da sempre assegnato alle scienze occidentali: produrre conoscenze destinate a sistematizzare, riordinare e ricomporre non solo l’universo, macro e micro, che ci circonda ma anche l’intera società/mondo che ne dirige e utilizza la ricerche.

Insomma, mentre il compito prioritario dell’antropologia avrebbe dovuto essere quello di integrare le culture che fossero compatibili con un certo modello morale, politico ed economico di sviluppo e giustificare l’esclusione di quelle incompatibili con lo stesso, una parte significativa del lavoro antropologico ha finito col ritrovare e ricercare nelle comunità umane differenti non solo le radici, vere o presunte, del nostro vivere quotidiano ma, spesso, differenti e validi spunti per un diverso ed equilibrato agire sociale. Intra e infra specie e natura.

In particolare nel corso del ’900 le ricerche antropologiche hanno finito, probabilmente a partire dal Saggio sul dono di Marcel Mauss,1 pubblicato per la prima volta nel 1923-24, col costituire spesso la negazione della falsa coscienza della superiorità del modello occidentale e capitalistico di sviluppo. Basti pensare, ad esempio, all’uso che i surrealisti e in particolare Georges Bataille fecero di quel saggio per criticare capitalismo e stalinismo allo stesso tempo.2

Critica radicale di un modello di sviluppo che si acutizzò a partire dalla seconda metà del XX secolo a seguito di una più diffusa presa di coscienza classista e antimperialista. Prova ne siano le opere di Pierre Clastres, Marshall Sahlins, Dell Hymes insieme a quella di Robin Clarke e Geoffrey Hindley (quest’ultimo non propriamente un antropologo), solo per citarne alcuni.3 Ancora prima delle opere di David Graeber, più volte citato nel testo.

Non a caso, e sempre più spesso, alcune delle analisi più interessanti sui movimenti sociali e sulle lotte dal basso sono opera di studiosi che hanno fatto, e fanno, ricorso a metodi di studio di carattere antropologico. Soprattutto nell’ambito del movimento valsusino contrario alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità e al sistema politico-economico che cerca di imporla.4

Così sarà forse per questo motivo che attraverso tutto quanto è stato poco innanzi rapidamente descritto si è giunti ad un autentico corto-circuito tra ricerca e contesto culturale in cui la prima è prodotta. Corto circuito che ha visto l’autrice del libro, Roberta Chiroli ex-studentessa di Antropologia alla Ca’ Foscari di Venezia, essere condannata in primo grado per aver condiviso le esperienze del movimento al fine di meglio comprenderne e interpretarne le ragioni. Cosa che ha costretto la stessa Procura di Torino, che l’ha condannata, a gettare la maschera e dare un giudizio sulle attività di ricerca universitaria.

Come afferma Erri De Luca nella sua efficace Prefazione: “In Valle di Susa valgono i rapporti di forza; il danneggiamento simbolico di una recinzione del famigerato cantiere è considerato attacco al cuore dello Stato. La tesi di laurea di una studentessa è un atto sovversivo.
Roberta Chiroli non ha studiato il campo da dietro i cordoni delle truppe, da dove non si vede e non si capisce niente. Lei non sta da «embedded» al seguito delle operazioni militari e non si attiene alle varie versioni fornite dallo Stato Maggiore delle truppe in campo. La sua tesi è perciò incriminata di complicità: lei stava nelle manifestazioni. Inoltre si vuole scomunicare il riconoscimento di materia universitaria alla resistenza civile della Valle. Non sia mai che si diffonda la ricerca.
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E come narra la stessa autrice nella Premessa, i carabinieri prelevarono la sua tesi depositata presso l’Università Ca’ Foscari per conto della Procura di Torino che l’ha poi usata come prova autoaccusatoria nel processo del 15 giugno 2016. “I No Tav. La mia tesi riguarda proprio loro, i «ribelli della montagna» che da venticinque anni lottano contro la realizzazione della nuova linea Alta Velocità costruendo percorsi di cittadinanza attiva e socialità che sfidano i diktat dei governi democratici e immaginano un altro mondo possibile. Il mio «essere là» in mezzo agli attivisti per documentare le pratiche di lotta del movimento ha costituito, per la Procura torinese, un motivo sufficiente per condannarmi in quanto – dalla sentenza – «il fatto stesso che sia rimasta sul posto unitamente ad altri partecipanti ha integrato un contributo apprezzabile perché l’efficacia di azioni di questo tipo è strettamente dipendente dall’effettiva presenza fisica di un numero elevato di persone, numero che la Chiroli ha contribuito a formare». Il giudice inoltre ha specificato che la mia responsabilità non derivava da condotte delittuose materiali, oltre alla mia mera presenza fisica, ma morali: «ha fornito un apprezzabile contenuto causale quanto meno sotto il profilo morale rispetto alla commissione di entrambe le fattispecie di reato».6

Al di là del fatto che il giudizio sul “numero elevato di persone che ha contribuito a formare” possa costituire il miglior complimento che si possa fare ad una ricercatrice sincera ed appassionata come la Chiroli, rimane pur sempre il fatto che in tale contesto ciò che la Procura ha espresso non è stato soltanto un giudizio sulla persona, ma anche sull’attività di ricerca scientifica e su quali siano le modalità della sua conduzione e le sue finalità giuridicamente ammissibili.

Infatti, ci ricorda ancora la ricercatrice, le parole espresse dalla Procura torinese hanno sollevato la reazione di una parte del mondo accademico, perché condannano “direttamente la ricerca sul campo e portano a interrogarsi su quale sia il ruolo della ricerca antropologica e dell’Università pubblica in generale all’interno dello Stato italiano, quale sia il riconoscimento che le istituzioni danno al lavoro di ricerca e quali limitazioni impongono, anche servendosi di strumenti giudiziari. La mia vicenda ha ribadito agli addetti del settore quanto in Italia l’antropologia sia poco conosciuta e le sue metodologie spesso fraintese o ritenute “non scientifiche” perché hanno abbandonato da tempo la pretesa di neutralità.

Naturalmente nell’assurdo, ma autentico balletto ri-ordinativo e giudiziario non potevano mancare i media mainstream con il loro ruolo di diffusori dell’ignoranza e della conservazione sociale.
I giornali hanno fatto ripetutamente riferimento alla famigerata «osservazione partecipante» teorizzata da uno dei pilastri della disciplina, Bronislaw Malinowski, che però nel corso di quasi un secolo ha subito revisioni e aggiornamenti dando luogo a diverse interpretazioni del significato dell’imprescindibile «ricerca sul campo» […] Nella contemporaneità tanti antropologi hanno teorizzato e promosso un tipo di ricerca che fosse «impegnata», attenta cioè a decostruire i discorsi egemonici del potere per farne emergere le ipocrisie e gli effetti che colpiscono le classi subalterne, ad indagare quali effetti socio-culturali hanno le logiche dell’economia globale e a cercare di comprendere posizioni antagoniste ignorate, sviluppando una narrazione altra del dissenso che restituisse legittimità alle popolazioni e gruppi in lotta.7

Il testo, che ripercorre la storia e le pratiche del Movimento fin dalle proteste contro la costruzione dell’autostrada A32 e dell’elettrodotto che avevano preceduto la proposta di realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità in Val di Susa, sottolinea come uno dei principali fattori di mobilitazione sia stato fin dagli inizi quello di “divulgare conoscenza per produrre consapevolezza”. Obiettivo che, fin dalla fine del 1991, fu alla base del comitato Habitat “formatosi in larga parte per volontà degli stessi soggetti attivi contro l’autostrada, docenti universitari, ambientalisti e militanti8

Poi, dall’iniziale gruppo di una dozzina di persone che aveva costituito il primo nucleo di resistenza allo sviluppo dell’autostrada, pian piano la partecipazione avrebbe iniziato a crescere fino alle migliaia di partecipanti attuali. A concorrere a ciò furono sia l’ottusità dello Stato e delle sue forze del disordine, di cui la morte dei due giovani militanti Sole e Baleno fu una diretta e spietata conseguenza, che la determinazione di militanti e studiosi nel far crescere la consapevolezza dei valligiani e di tutti coloro che, pur non essendo residenti in valle, oggi si oppongono al progetto del tav.

Come ho già detto prima, con le sue pagine dense e documentatissime, il testo di Roberta Chiroli si inserisce perfettamente in tale contesto e porta avanti il compito di quella che dovrebbe essere la vera ricerca scientifica e sociale ovvero quello di negare e superare i limiti che alla stessa conoscenza, e più in generale alla cultura, sono posti per motivi di ordine politico ed economico.
La ricerca e la stessa scrittura non potranno mai rispettare i confini del bon ton istituzionale e del servaggio imposto, come questo caso ben dimostra, con metodi inquisitoriali.

Metodi inquisitoriali che come l’autrice dimostra sono stati applicati in tutta la materia giuridica riguardante le vicende di lotta e resistenza della valle, ma che hanno finito con l’intaccare anche la presunta, ma tutt’altro che tale, “indipendenza” della ricerca. Destino che finisce con l’accomunare il destino dell’antropologo a quello dei popoli, delle società o dei movimenti che egli intende studiare; che un malinteso senso morale borghese, ereditato dal cristianesimo più retrivo, tende a giudicare sempre “inferiori” al proprio ordito istituzionale e culturale. E soprattutto economico.


  1. Marcel Mauss, Saggio sul dono, Einaudi 1965, 1991 e 2002  

  2. Georges Bataille, La parte maledetta. La società di impresa militare/religiosa –il capitalismo – lo stalinismo, bertani editore, Verona 1972 e, ancora, G.B., Il limite dell’utile, Edizioni Adelphi 2000  

  3. Si vedano: Pierre Clastres, La società contro lo Stato. Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli 1977 e Archeologia della violenza e altri scritti di antropologia politica, la salamandra 1982; Marshall Sahlins, L’economia dell’età della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitive, Bompiani 1980 (che nell’edizione francese conteneva un’introduzione di Pierre Clastres intitolata Società contro lo Stato, società contro l’Economia, pubblicata in Italia sul numero 1 di An.Archos, la salamandra 1979); Dell Hymes ( a cura di), Antropologia radicale, Bompiani 1979; Robin Clarke – Geoffrey Hindley, La sfida dei primitivi, la salamandra 1980  

  4. Si vedano i recenti Marco Aime, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi edizioni 2016 e Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, Ombre corte 2016. Entrambi recensiti su Carmillaonline  

  5. pag. 12  

  6. pag. 15  

  7. pag. 16  

  8. pag. 50  

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Fuori dal tunnel: cattivi e primitivi https://www.carmillaonline.com/2016/11/09/dal-tunnel-cattivi-primitivi/ Wed, 09 Nov 2016 22:00:39 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34410 di Sandro Moiso

venaus-aggressivi Marco Aime, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi editore 2016, pp.300, € 22,00

Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, Ombre Corte 2016, pp.214, € 18,00

Come scriveva Jean Baudrillard nel 2002, (Jean Baudrillard, La violenza del globale in Power Inferno, Raffaello Cortina Editore 2003, pag. 63) a dare scacco al sistema nel mondo attuale potranno essere soltanto specifiche particolarità che non costituiscono obbligatoriamente un’alternativa, ma che appartengono sicuramente ad un altro ordine. Si trattava, [...]]]> di Sandro Moiso

venaus-aggressivi Marco Aime, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Meltemi editore 2016, pp.300, € 22,00

Alessandro Senaldi, Cattivi e primitivi. Il movimento No Tav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione, Ombre Corte 2016, pp.214, € 18,00

Come scriveva Jean Baudrillard nel 2002, (Jean Baudrillard, La violenza del globale in Power Inferno, Raffaello Cortina Editore 2003, pag. 63) a dare scacco al sistema nel mondo attuale potranno essere soltanto specifiche particolarità che non costituiscono obbligatoriamente un’alternativa, ma che appartengono sicuramente ad un altro ordine. Si trattava, per il filosofo, sociologo e semiologo francese “di uno scontro quasi antropologico tra una cultura universale indifferenziata e tutto ciò che, in qualsiasi campo, conserva qualche tratto di un’alterità irriducibile”.

Anche se queste parole erano state scritte a seguito di una riflessione sull’allarme suscitato dall’attacco alle Twin Towers nel settembre del 2001, col passare del tempo è diventato sempre più evidente che le interpretazioni dei conflitti sociali e di classe date nel corso del ‘900 non sono più in grado di per sé di spiegare le dinamiche sottostanti ai movimenti reali che si oppongono all’attuale modo di produzione e di dominio e, ancor meno, di determinarne tattiche e strategie.

E’ un intero sistema di categorie e di ideologie che è in qualche modo fallito.
Le promesse implicite nel modello di sviluppo proposto dal capitalismo, in tutte le sue varianti occidentali e asiatiche oppure liberali o stataliste, hanno dimostrato la labilità e la fallacia dei loro presupposti, finendo però col riversare il proprio fallimento anche su tutte quelle ideologie che pur facendo del capitalismo l’obiettivo delle proprie critiche hanno comunque finito con il non abbandonarne i presupposti paradigmatici e continuato a condividerne nell’immaginario lo stesso territorio politico. Inclusa gran parte del marxismo, sia eretico che ortodosso.

Lo sviluppo, l’ampliamento della produzione industriale, il benessere legato al consumo di massa, sia di servizi che di beni materiali o immateriali, non solo non sono stati alla reale portata di tutti, ma anche là dove, pur in forme diverse, più ci si è avvicinati a tale obiettivo (Europa, USA, Giappone), tali valori paradigmatici e condivisi hanno mostrato la loro fragilità temporale, la loro vacuità e la loro sostanziale dannosità, ideologica e ambientale, trasformando un sorriso di rassegnata soddisfazione nel sogghigno squarciato del Joker.

In altre parole: i presupposti dell’espansione capitalistica e delle sue meraviglie sono venuti a mancare o, per lo meno, hanno mostrato non solo come queste fossero destinate ad una cerchia sempre più ristretta di investitori/sfruttatori, ma anche come tale gioco al rialzo (più investimenti, più produzione, più ricchezza per tutti, più investimenti, etc.) non fosse altro che un mantra ipnotico e devastante per la maggioranza della specie umana, sia in termini di realizzazione individuale che sociale.

Insomma se la visione socialista del mondo, sia nella sua variante socialdemocratica e riformista che in quella rivoluzionaria, è in qualche modo superata, lo è non perché è fallito il socialismo reale o perché una miriade di partiti e formazioni di sinistra ed ultra-sinistra è stata progressivamente sconfitta e/o riassorbita dall’avversario, ma piuttosto per il fatto che il loro presupposto storico-politico non si discostava troppo da quell’idea di progresso, di organizzazione politica partitica e di sviluppo che condivideva con il nemico a partire fin dall’Illuminsimo e dalle due grandi rivoluzioni del XVIII: quella francese e quella industriale. Progresso e sviluppo senza fine e al di là di ogni confine.

Che con la globalizzazione economico-finanziaria sembravano aver raggiunto il loro apice, ma che, con le attuali vittorie, per non dire trionfi, dei cosiddetti populismi dalla Brexit a Trump,1 vedono invece detonare tutte le loro contraddizioni in maniera asimmetrica e nel cuore del sistema. Movimenti sismici che sembrano trasmettere onde telluriche sempre più vicine e apparentemente imprevedibili, destinate a frantumare le certezze sia dei sostenitori dell’espansione basata sulla speculazione finanziaria e bancaria (da Renzi alla Clinton2) che di un antagonismo sociale talvolta ancora radicato in un immaginario politico che, come nel caso di “Born In The USA” di Springsteen per la corsa alla presidenza degli Stati Uniti appena conclusasi, giova ormai di più alla causa della conservazione che a quella del superamento dell’attuale modo di produzione.

Per tutti questi motivi l’alterità irriducibile di un movimento come quello No Tav sviluppatosi nella e a partire dalla val di Susa, ormai da più di 25 anni, non può essere facilmente irreggimentata nelle interpretazioni classiche della sociologia e delle ideologie politiche. Infatti, anche se la componente anti-capitalista e ambientalista è sicuramente forte, è altrettanto vero che molti altri aspetti (locali, individuali, storici, geografici e culturali solo per ricordarne alcuni) concorrono a determinarne le caratteristiche e la combattività.

Non a caso due delle più recenti ed interessanti opere uscite nel corso degli ultimi mesi sono state pubblicate una, quella di Meltemi, nella collana Biblioteca/Antropologia e l’altra, quella di Ombre Corte, nella nuova collana Etnografie. Scelte non tanto determinate dagli editori quanto dalle metodologie utilizzate e rivendicate dai due autori per analizzare la forza e la capacità di resistenza, sviluppo ed offensiva dimostrate dal tale movimento nel corso degli anni.

Entrambi i testi si pongono, infatti, in una dimensione altra rispetto alla semplice rievocazione dei fatti e delle lotte oppure della ricostruzione delle vicende politico-economiche che hanno portato alla scelta e all’autentica truffa della realizzazione di una linea ferroviaria ad alta velocità per il trasporto delle merci che proprio nella val di Susa doveva transitare.
Non siamo di fronte ad una semplice, per quanto ricca, oral history3 né, tanto meno, ad una appassionante ricostruzione della dialettica conflittuale venuta a realizzarsi tra lotte del Movimento e decisioni mafiose, imprenditoriali e governative.4

Una delle principali caratteristiche di tale movimento è infatti quella che vede, al di là delle simpatie e delle celebrazioni nei suoi confronti manifestatesi sia dentro che fuori i confini nazionali, il forte radicamento sociale e territoriale dei suoi militanti e delle loro ragioni porsi ben al di là dei normali limiti politici, sindacali, generazionali e di classe che hanno spesso determinato le caratteristiche dei movimenti del ’900.

Un movimento che non solo, come tutti i grandi rivolgimenti sociali della storia, ha prodotto una nuova cultura, nuovi valori, una nuova visione dei rapporti umani e politici, una nuova concezione di quelle che dovrebbero essere le scelte ambientali ed economiche, ma anche, e soprattutto, una irriducibile volontà di resistere per costruire una differente comunità umana.
Una comunità che oltre a riprendersi lo spazio intende, come afferma Wu Ming 1 in una delle più felici intuizioni del suo ultimo libro, riprendersi il tempo. Non poi, non dopo la fine della lotta e la vittoria, ma subito. Qui, ora e adesso. Dove spazio e tempo coincidono, come la fisica contemporanea ci ha da tempo avvisati.

fuori-dal-tunnel Come questo sia diventato possibile, nel corso dei venticinque anni di lotta in cui tale movimento si è dispiegato, non può essere soltanto una vecchia lettura politica a spiegarcelo; così l’antropologo Marco Aime, docente di Antropologia culturale presso l’Università di Genova, si sforza di penetrare il segreto di tale efficace resistenza creativa attraverso interviste e testimonianze raccolte sul campo che, più che elencare ancora una volta eventi e ragioni che hanno accompagnato e accompagnano tutt’ora la lotta, sono destinate a rivelarne l’intrinseca esperienza umana e comunitaria. Con i propri riti, le proprie narrazioni e le proprie riflessioni, individuali e collettive.

Scrive Aime: “A differenza dei movimenti di protesta del recente passato, quelli attuali non si costituiscono nella classica forma di partito, né cercano alleanze con i partiti esistenti, ma soprattutto, nella maggior parte dei casi, vengono avversati dai partiti istituzionali, tanto di destra quanto di sinistra. E’ il caso del No-Tav, ma anche di altre realtà antagoniste simili.
Se in passato un movimento di protesta veniva in qualche modo accolto da una parte politica e le sue rivendicazioni trovavano una sponda istituzionale, oggi non è così o almeno non lo è nella stessa misura […] Destra e sinistra, conservatorismo e progressismo, sono divenuti leggere sfumature di un modello pressoché consolidato, fondato sul profitto, che richiede un consenso generale di chi governa e in cui etica, ideali e valori non trovano più spazio. Come non trova più spazio riconosciuto la communitas […] La communitas in quanto anti-struttura ha il fondamentale compito di fungere da contrappeso al modello dominante. Quando tale contrappeso viene a mancare, il rischio è un senso di soffocamento, di oppressione tipico di una realtà mono-dimensionale, che progressivamente si chiude su se stessa […]Il caso della valle di Susa diventa allora paradigmatico di una comunità che propone un’alternativa e che la difende per oltre venticinque anni contro un fronte istituzionale quasi unanime formato da forze politiche tradizionalmente rivali tra di loro, ma accomunate da una identica visione che privilegia lo “sviluppo” e l’economia letti in un’ottica macro rispetto alle esigenze locali. Visto in una cornice più ampia il movimento no-tav esprime un disagio piuttosto diffuso nei confronti di un modello economico sempre più dominato da interessi ristretti, da una sempre minore redistribuzione e da un sempre maggiore attacco all’ambiente. Un disagio che il movimento è riuscito a organizzare in protesta e in proposta.
” (pp. 285-290)

Ecco allora che il titolo del testo, Fuori dal tunnel, ci dice molto, perché qui non si tratta più di analizzare ciò che accade nello scavo e per la realizzazione della “Grande opera di importanza strategica” ma, piuttosto, la proposta di uscita dal tunnel senza sbocco in cui l’attuale modo di produzione si è infilato, abbagliato soltanto dalle logiche del profitto e del dominio incontrastato.
Fuori dal tunnel , però, anche per l’attenzione che la vita comunitaria del Movimento merita, così come la meritano le riflessioni dei suoi militanti.

Io sono passato dal considerare il nemico e il combattere noi contro di loro a combattere me stesso, sono o il nemico, perché con le mie scelte e abitudini ho contribuito a creare il tessuto sociale per questo mostro che è nato e vive di vita propria nella totale indifferenza delle popolazioni, a causa di milioni di persone che hanno comportamenti che favoreggiano questa cosa5

Più volte, nelle conversazioni con attivisti No-Tav delle manifestazioni, mi sono sentito dire rasi del tipo: «In fondo ci si diverte anche». E questa è un’altra cifra caratteristica di questo movimento ed è un ulteriore dato che conferma la dimensione di communitas, perché l’ironia è una delle forme di comunicazione tipiche delle antistrutture. Gli scherzi, le battute, il sarcasmo hanno l’effetto di sovvertire la struttura dominante delle idee. «Il riso e gli scherzi, attaccando la classificazione e la gerarchia, sono ovviamente simboli atti a esprimere la comunità nel senso di rapporti sociali non gerarchizzati e indifferenziati» scrive Mary Douglas.6 Insomma, il burlone alleggerisce per tutti l’oppressività della realtà sociale, facendo piazza pulita del formalismo in generale.” ( pag. 157)

Come anche la lotta condotta da alcuni militanti contro i provvedimenti disciplinari presi nei loro confronti dalla Procura di Torino, e la vicenda di Nicoletta Dosio in particolare, ben testimoniano.
Rimane comunque il problema del tentativo in atto da parte delle istituzioni statali, forse unico nella storia delle lotte degli ultimi decenni in Italia, di criminalizzare un’intera comunità: quella della bassa val di Susa.

Osserva ancora Aime: ”Ogni conflitto nasce da una relazione ed è qui che nasce il pensiero relativista; dalla possibilità di conoscere ed eventualmente riconoscere la differenza. Laddove questo conflitto viene impedito o negato ci troviamo di fronte all’imposizione di un’unica verità dogmatica, che non prevede alternative, né spazi di traducibilità.
La mancanza di alternative possibili o ipotizzabili è a un tempo causa ed effetto di un’operazione di chiusura. Se ciò che pensiamo è il vero e l’assoluto, allora non esiste possibilità di declinarlo in altri modi, non sono possibili altri mondi, altre realtà. Pensando in questo modo, ci isoliamo da, impedendo l’accesso a chiunque sia portatore di cambiamento. Se poi quel qualcuno è tra noi, va espulso o messo a tacere.
” (pag.287)

cattivi-e-primitivi Proprio di questo aspetto repressivo di espulsione, reclusione e silenziamento del Movimento No Tav e dei suoi militanti si occupa invece il testo di Alessandro Senaldi edito da Ombre Corte. Ricercatore indipendente nel campo della sociologia della devianza e del mutamento sociale, impegnato nello studio criminologico dei movimenti sociali, l’autore, nell’affermare l’importanza scientifica del Movimento No Tav, dichiara che: “Il movimento in questione trova la sua particolarità nella sua storia e nei risultati raggiunti. Nato come movimento territoriale all’inizio degli anni novanta del secolo scorso, ha saputo cambiare pelle con il mutare del tempo, adattandosi alle diverse fasi che la storia gli imponeva e bloccando, di fatto, la realizzazione dell’opera. Dopo venticinque anni dalla sua «fondazione» il dato che ci viene consegnato è quello di un movimento ancora in salute, che non ha pari nel nostro paese per costanza e quotidianità di iniziativa. Proprio la sua intergenerazionalità lo rende particolarmente interessante, in quanto, col tempo, ha assunto un ruolo totalizzante nel contesto valsusino, implementando una propria pedagogia, dei propri miti, una propria storia, fino ad arrivare a vere e proprie pratiche mortuarie. Un movimento che orienta e accudisce le giovani generazioni, le fa crescere ed infine le conduce fino alla propria uscita dalla scena. Un movimento che si inscrive e sovrappone all’esperienza esistenziale dei singoli, arricchendola e fornendogli una nuova dimensione ontologica.” (pp. 7-8)

Per questi motivi si rivela particolarmente utile l’uso del metodo etnografico, proprio per analizzare sia le strategie e i discorsi messi in atto dalla compagine istituzionale per realizzare l’opera e fronteggiare il movimento che vi si oppone sia quelle messe in atto dalla controparte.
L’etnografia per Senaldi è una necessità: “La scelta del metodo etnografico è stata una scelta «dovuta». Quest’ultimo ha infatti peculiarità proprie, che ben si prestano allo studio dei diversi temi affrontati nella ricerca. Inoltre consente di muoversi con una certa libertà all’interno delle maglie strette del paradigma scientifico, in quanto respinge la formulazione rigida e preconcetta di teorie e fa procedere queste ultime di pari passo con la ricerca; favorisce peraltro l’impiego di un approccio trans-disciplinare che abbatte i confini tra aree di conoscenza.” (pp. 8-9)

Scelta che deriva oltre che dal percorso biografico e dalla militanza pluriennale all’interno del movimento No Tav del ricercatore, anche dal fatto che, come già affermava Danilo Montaldi,7 nel metodo etnografico “è possibile ritrovare espliciti fini «etico-politici». Questo perché «gli angoli visuali incidono in modo detrminante sulla rappresentazione, sulla narrazione e sulla creazione stessa della realtà».8 Questa considerazione è ben riferibile al caso della vicenda Tav, in cui vi sono almeno due divisioni diverse della «realtà dei fatti»: quella narrata dai diversi livelli di potere e quella del movimento che si oppone alla realizzazione dell’opera. La scelta metodologica è quindi determinata dalla necessità di fare emergere il punto di vista del movimento No Tav, le sue pratiche, le sue rappresentazioni e narrazioni; oltre che dall’occasione di «documentare l’esperienza di soggetti sociali trascurati dalla storiografia e dalla ricerca sociale».9 In sostanza «dar voce a chi voce non ha»”. (pag. 9)

Anche nel caso del testo edito da Ombre Corte, il titolo è rivelatore: Cattivi e primitivi. Due termini che riassumono inequivocabilmente l’immagine che i fautori delle Grandi Opere vogliono dare di coloro che a tali opere si oppongono.
Cattivi perché dannosi per gli interessi della Nazione e primitivi perché inadeguati e impreparati per le meraviglie della modernità. Tutto sommato un giudizio che accomuna i valsusini, ma anche tutta la storia dei movimenti di classe e anti-sistemici più radicali, a tutti quei popoli espulsi dalla Storia con la violenza della modernità.

La Storia, lo si sa, la scrivono i “buoni” e i “progressisti”; gli altri resteranno sempre tra i popoli senza storia o tra i vinti perché cattivi o inutili. Ma ciò che ha funzionato per secoli non è detto che debba funzionare obbligatoriamente ancora in futuro. Il mantra del cambiamento istituzionale, dal “Sì” al Referenduma alla TAV, ormai traballa insieme a tutto il sistema che li ha ideati e non ancora prodotti, mentre la partita è ancora tutta da giocare. Però su un campo di gioco e con regole totalmente differenti, come potrebbero dire i killer di Pulp Fiction ideati da Quentin Tarantino.

La ricerca di Senaldi si riferisce, principalmente, ad un periodo di osservazione e partecipazione ad iniziative, eventi, vita quotidiana, lavori e pratiche giornaliere riconducibile all’estate del 2013.
La parte centrale del mio lavoro è rappresentato da interviste non strutturate. Più precisamente ho raccolto delle «interviste in profondità» che cercavano di indagare la ricostruzione che gli attivisti danno dei dispositivi di controllo implementati, le dimensioni motivazionali e i mutamenti biografici e relazionali delle persone che partecipano alla lotta.” (pp. 9-10)

Grazie a tale metodo, ne deriva un coro di voci anonime, ma autentiche che delineano collettivamente le scelte, i discorsi e le strategie del movimento nel suo insieme. Fungendo così da perfetto contraltare al discorso e alle pratiche repressive istituzionali.
Non ci sono categorie di No Tav che non siano soggetti a tali pratiche poliziesche, e non si tratta di un provvedimento riguardante solo gli attivisti più duri. Durante la mia permanenza ho avuto modo di dialogare con alcuni attivisti appartenenti al gruppo «Cattolici della Valle», che, ridendo, mi hanno fatto notare come, essendo quelli che visitano più spesso il cantiere, andando a pregare lì ogni mattina, sono conseguentemente quelli più schedati e fermati dalle FF.OO. Qui […] pur essendo mantenute – soprattutto dal punto di vista pubblico – le pratiche discorsive di discernimento tra «buoni» e «cattivi», si assiste tuttavia a un evidente cortocircuito nel rapporto tra queste ultime e le pratiche del controllo poliziesco. Sarebbe a dirsi che nell’attacco a tutto campo delle tattiche antagoniste in questione, ritroviamo nuovamente la volontà di applicare una reductio ad unum del controllo ed estendere così lo status di non cittadini.” (pag.127)

Si dimostra in tal modo perché, così come gli antropologi che compiono ricerche sul campo in ambienti lontani dalle pratiche del mondo civilizzato oppure da quest’ultimo relegati al di fuori della legalità e del suo riconoscimento giuridico devono fare, oggi chi si occupa di lotte realmente antagoniste è altrettanto costretto a studiare il suo soggetto come “altro” dalla società che lo ha prodotto e che pur combatte, riportando il discorso su quella irriducibile, e andrebbe aggiunto inevitabile, alterità di cui si è parlato all’inizio di questa lunga recensione.

Alterità che, nonostante gli sforzi dello Stato e dei suoi galoppini mediatici ed ideologici, non può e non vuole essere relegata in una sorta di “riserva indiana”, come forse anche qualche benpensante democratico vorrebbe intendere la lotta No Tav nel suo contesto. Anche perché, nonostante gli sforzi imponenti, “Anche sul versante giuridico, come su tutti gli altri livelli, il dispositivo sembra però in affanno. La sensazione è che la compagine istituzionale stia, rispetto ai soli confini geografici della Valle, tentando l’applicazione casuale dei dispositivi di controllo disponibili, attraverso un procedimento che potremmo definire di «trial and error». Un procedimento per il quale – anche a seconda delle fasi evolutive della lotta – gli attori preposti al governo della popolazione e al suo controllo affiancano ai dispositivi volti al disciplinamento (accumulando saper sulla società) quelli miranti alla neutralizzazione e all’espulsione dei non cittadini, insieme a tattiche di polizia e giudiziarie che puntano invece alla deterrenza. Questo affanno, questo tentativo di usare tutti i mezzi possibili dimostra la difficoltà che la compagine istituzionale avverte nel controllare e leggere la conflittualità sociale.” (pag. 160) Che, aggiungerei, non vuole e non sa più leggere finendo col credere soltanto più nel proprio discorso: farsesco e fuorviante allo stesso tempo.

contrees Due ottimi libri, interessanti e documentatissimi, per comprendere e andare oltre le letture ormai “istituzionalizzate” di uno dei movimenti più vivaci ed innovativi della realtà europea contemporanea. Mi permetto però, e soltanto a questo punto, di suggerire che, per capire a fondo le trasformazioni in atto nelle lotte più significative, sarebbe necessario anche la traduzione in lingua italiana dell’inchiesta parallela condotta attraverso cinquanta interviste a militanti NO Tav italiani e ad altri cinquanta militanti francesi della Zad di Notre-Dame-des-Landes, prodotta ed edita dalle compagne e dai compagni del Colletivo Mauvaise Troupe: Contrées. Histoire croisées dela zad et de la lutte No TAV dans la Val Susa, Éditions de l’éclat 2016, pp.412


  1. Si veda in proposito il mio https://www.carmillaonline.com/2016/06/24/outsiders-vs-establishment/  

  2. Sulla scarsa credibilità elettorale e sull’inevitabile sconfitta della candidata democratica si veda ancora il mio https://www.carmillaonline.com/2016/05/02/donne-sui-tre-lati-della-barricata/  

  3. Come quella già efficacemente prodotta a cura del Centro sociale Askatasuna: A sarà düra! Storie di vita e di militanza no tav, DeriveApprodi 2013  

  4. Come nel caso dell’ultimo testo di Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve, Einaudi Stile Libero 2016  

  5. cit . in Aime, pp. 205-206  

  6. M. Douglas, Antropologia e simbolismo, il Mulino, Bologna 1985, pp. 76, 88  

  7. D. Montaldi, Militanti politici di base, Einaudi 1971  

  8. Gianfranco Carofiglio, L’arte del dubbio, Sellerio Editore 2007, pag. 15  

  9. Alessandro Dal Lago e Rocco De Biasi, Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale, Laterza 2002, pag.XXXII  

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ARCHIVIATO. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa https://www.carmillaonline.com/2016/07/02/archiviato-lobbligatorieta-dellazione-penale-valsusa/ Fri, 01 Jul 2016 22:30:46 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=31573 di Alexik

violenze Val di Susa-Sua Eccellenza …

-Che c’è ??!!

-Ci sono dei Valsusini, signor Procuratore. Chiedono giustizia.

-Ancora ! Ma se gli ho già detto che non hanno i requisiti !

-In che senso, scusi, non hanno i requisiti ?

-Sono ancora vivi ! E’ la prova evidente del fatto che non hanno i requisiti per chiedere giustizia.

-Ma da morti come potrebbero inoltrare la domanda ?

-Questo è un problema loro ! Quegli stupidi valligiani [...]]]> di Alexik

violenze Val di Susa-Sua Eccellenza …

-Che c’è ??!!

-Ci sono dei Valsusini, signor Procuratore. Chiedono giustizia.

-Ancora ! Ma se gli ho già detto che non hanno i requisiti !

-In che senso, scusi, non hanno i requisiti ?

-Sono ancora vivi ! E’ la prova evidente del fatto che non hanno i requisiti per chiedere giustizia.

-Ma da morti come potrebbero inoltrare la domanda ?

-Questo è un problema loro ! Quegli stupidi valligiani vorrebbero che fermassimo  la perforazione di una montagna violenze Val di Susa1piena di amianto. Dicono di non voler fare la fine di quelli di Casale Monferrato.

Non solo, dunque,  chiedono giustizia ancor prima di essere ammazzati dal mesotelioma, ma (inaudito !) pretendono pure di impedirlo !!!!

Ignorano forse che la giustizia bisogna sudarsela ? Che per poterla richiedere bisogna prima immolarsi sull’altare del progresso (peraltro, in maniera statisticamente significativa), e che tocca pure mettersi in fila? Sapessero quanto hanno dovuto aspettarla i morti per le nocività industriali dell’Eternit, della Solvay, della Michelin …

I Valsusini si rassegnino ad attendere composti il loro turno, ché un disastro ambientale non si improvvisa mica dall’oggi al domani ! Il mesotelioma pleurico, poi, è un tumore paziente, sa attendere anche 30 anni prima di manifestarsi. La loro giustizia postuma sarà un problema delle Procure del futuro.

violenze Val di Susa2– Eccellenza, non si alteri, ma le faccio umilmente notare che anche le vittime dell’Eternit, della Solvay e della Michelin non hanno mai avuto giustizia

Che c’entra ! Stiamo parlando dei requisiti per richiederla, mica di quelli per ottenerla ! E qui mancano i presupposti fondamentali. Intanto bisogna essere certificati come vittime e, questi ostinati valligiani, vittime non vogliono proprio diventarlo !

-Comunque questa volta l’amianto non c’entra. I Valsusini chiedono giustizia per le botte.

-Quali botte ?

-Quelle che gli hanno provocato gravi lesioni …

-Quali lesioni ?

violenze Val di Susa3-Quelle dei manganelli dei carabinieri e dei celerini …

-Aaaaaaaah ! Ora capisco !

-Ebbene ?

-Ebbene, chiedono giustizia e giustizia avranno !!! Se succedono fatti di reato, un qualunque magistrato di questa Repubblica Italiana non può voltarsi dall’altra parte, deve fare il suo mestiere, il suo lavoro !
Dirò di più: il suo dovere COSTITUZIONALE. Perché l’azione penale è obbligatoria in base all’articolo 112 della nostra Carta fondamentale, quella a cui abbiamo giurato fedeltà e che guida e illumina il nostro agire.

-Quindi eserciterà l’azione penale ?

– Senza dubbio, e con premura. Apprezzo inoltre che i rei si siano spontaneamente autodenunciati.

violenze Val di Susa4-I carabinieri e i celerini ?

-Ma no ! I valligiani. Colpevoli di aver lesionato dei beni dello Stato con le loro ossa coriacee. Un povero tonfa ha avuto addirittura 60 giorni di prognosi !

-E le ossa rotte dei manifestanti ?

-Hanno opposto resistenza !!!

-I manifestanti ?

-No, le ossa. Ho qui un mucchio di setti nasali, tre facce, un piede, un occhio e un cranio indagati per resistenza a pubblico ufficiale. Il cranio è quello più esagitato di tutti. Vedessi come picchiava il manganello. Una vera testa calda!

-Ma sta dicendo che condurrà l’azione penale contro nasi, crani, bocche ?

violenze Val di Susa4-Certamente ! L’AZIONE PENALE È OBBLIGATORIA !

– – – – – – – – – – – –

Questo breve dialogo vi è sembrato surreale?

Non lo è. Almeno non più del comportamento della Procura di Torino, che a fronte delle reiterate violenze inflitte ai manifestanti No Tav da agenti e funzionari dei vari corpi schierati in Val di Susa, a fronte degli evidenti reati e delle gravissime lesioni provocate, non ha mai ritenuto di voler procedere nei confronti di carabinieri e poliziotti.

In vari casi, sono state le parti offese a venir messe in stato di accusa.

Gli esiti giudiziari delle loro denunce sono stati ricostruiti in una video/inchiesta: “ARCHIVIATO. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa, patrocinata da Controsservatorio Valsusa,  Antigone,  A buon diritto , Associazione Nazionale Giuristi Democratici, L’altro diritto.

“ARCHIVIATO” verrà presentato a Torino martedì 5 luglio 2016 alle ore 20.30

presso la Galleria d’Arte Moderna di via Magenta 31

A seguire, dibattito con Marco Revelli (docente universitario e saggista), Enrico Zucca (magistrato della Procura Generale di Genova), Maurizio Pagliassotti (giornalista e scrittore).

Leggi la sinossi del video qui.

Leggi il dossier ‘Operazione Hunter. Isoliamo i violenti’.

Contatti: archiviato.valsusa@gmail.com Sito: https://archiviatoblog.wordpress.com/

Pagina Facebook: Archiviato – l’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa

]]> Alcune questioni di ordine semantico (e non solo) intorno alla resistenza No TAV https://www.carmillaonline.com/2014/07/01/alcune-questioni-semantica-non-intorno-tav/ Mon, 30 Jun 2014 22:08:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=15782 di Sandro Moiso semantica

George Orwell fu sicuramente tra i primi a rendersi conto che, nell’evoluzione della politica autoritaria successiva all’esperienza delle dittature europee della prima metà del ‘900 e alla fine della seconda guerra mondiale, lo stravolgimento semantico del discorso sarebbe stato uno degli strumenti più importanti di governo e di acquietamento delle coscienze attraverso una disinformazione programmata. Infatti, a confronto dei Ministeri dell’Amore, della Pace e della Verità previsti nel suo romanzo più famoso, quelli delle passate dittature avevano avuto almeno il pregio di chiamarsi con il loro vero nome semantica

George Orwell fu sicuramente tra i primi a rendersi conto che, nell’evoluzione della politica autoritaria successiva all’esperienza delle dittature europee della prima metà del ‘900 e alla fine della seconda guerra mondiale, lo stravolgimento semantico del discorso sarebbe stato uno degli strumenti più importanti di governo e di acquietamento delle coscienze attraverso una disinformazione programmata. Infatti, a confronto dei Ministeri dell’Amore, della Pace e della Verità previsti nel suo romanzo più famoso, quelli delle passate dittature avevano avuto almeno il pregio di chiamarsi con il loro vero nome 1 .

Così, anche se abituati ormai da tempo a sentire definire le missioni militari all’estero come missioni di pace oppure a sentirci dire che soltanto con i tagli di posti di lavoro e di spesa pubblica l’economia tornerà a volare, negli ultimi tempi il ribaltamento di significato dei termini utilizzati negli articoli e nei provvedimenti inerenti alla costruzione della linea ferroviaria ad Alta Velocità tra Torino e Lione e alla sua contestazione ha raggiunto livelli di autentico parossismo.

Certo, anche su questo ha gravato l’effetto causato da uno dei peggiori presidenti del Consiglio della storia della Repubblica: sputare parole per promettere tutto senza mantenere nulla o, ancor meglio, soltanto per sputarle e muovere aria per attirare, come in un mercato medievale fiorentino, l’attenzione dei possibili clienti. Cosa abbondantemente testimoniata dai recenti insuccessi in sede Europea, del tentativo di ottenere proroghe e flessibilità nel raggiungimento del pareggio di bilancio, sbandierati come successi legati alla simpatia e al savoir-faire del nostro omino di marzapane.

Così come anche un grande elettore dell’attuale leader del PD ha dovuto espressamente ammettere: “Matteo Renzi e il paese che rappresenta sembrano viaggiare col vento in poppa. Sembrano e in parte è fortunatamente così; in altra parte è un gioco di immagini e di specchi, di annunci ai quali la realtà corrisponde molto parzialmente. La sola vera conseguenza è il suo rafforzamento personale a discapito della democrazia la cui fragilità sta sfiorando il culmine senza che il cosiddetto popolo sovrano ne abbia alcuna percezione“.2

Ma rimane comunque stupefacente come gli autori di articoli pubblicati sui principali quotidiani oppure di certi rinvii a giudizio riescano a stravolgere coscientemente i fatti e il significato delle parole. E la questione del TAV e del trattamento riservato alle lotte dei valsusini e di tutti coloro che gli si oppongono ne è diventata, contemporaneamente, banco di prova e terreno di provocazione.
Tanto che un giornalista ha potuto scrivere che, da parte dei promotori, finanziatori e difensori della linea ad alta velocità in Val di Susa, sarebbe in atto una vera e propria beffa ai danni dei No TAV. 3

Dimenticando che è già stato revocato metà del contributo europeo,4 in un autentico tripudio di parole in libertà di stampo futurista, ha così affermato che: “La parola d’ordine è: cambiare versante. Forse così la grande battaglia d’autunno non ci sarà. Lo scontro atteso e temuto da molti all’apertura del cantiere del tunnel di base della Torino-Lione a ottobre-novembre, il momento della verità in cui tutti gli oppositori al progetto tenteranno l’ultima spallata a Susa, potrebbe svanire nel nulla. Non perché, improvvisamente, sia tornata la ragionevolezza. Ma perché, più semplicemente, potrebbe non esserci il cantiere. L’idea, che circola da qualche settimana tra i tecnici, dovrebbe essere discussa tra pochi giorni nella riunione della Conferenza intergovernativa italo-francese in programma a Chambery: scavare anche i 12 chilometri di galleria del versante italiano partendo dalla Francia. In modo da poter rinviare per molto tempo il momento in cui si dovranno espropriare i terreni del futuro cantiere vicino a Susa, la cittadina che il 25 maggio ha fatto vincere per otto soli voti il sindaco No Tav Sandro Plano. Cambiando il versante di attacco del lavoro delle talpe, il cantiere di Susa potrebbe aprirsi anche tra 4-5 anni mentre nel cuore della montagna le macchine lavorano indisturbate. Nel frattempo, scavando dalla Francia, l’impatto dei lavori sulla valle potrebbe diminuire”.

semantica 1 La possibile rinuncia alla realizzazione di un’opera inutile e infattibile dal punto di vista politico, come afferma la stessa Piattaforma del Corridoio Torino-Lione, se non sarà fatto “ tutto il possibile affinché quella esistente torni a essere la principale arteria di trasporto in seguito ai lavori di ampliamento nel traforo ferroviario del Fréjus/Moncenisio” e a seguito del sopracitato taglio dei contributi europei, viene rivestita da intelligente ed astuta misura per aggirare la resistenza NoTAV che, al contrario, potrà invece fin da oggi ritenersi ancora più forte nella sua lotta contro l’immondo e costosissimo progetto.

Ma non ancora contento, il nostro eroe, fidandosi del parere espresso anche dal Ministero degli Interni, si è lanciato in un’altra impegnativa affermazione: “Tecnicamente l’operazione sembra fattibile. Dei 57 chilometri di galleria di base solo 12 sono sul lato italiano. Le talpe francesi inizieranno tra qualche mese a scavare i primi 45 chilometri di loro competenza. Le macchine cominceranno a lavorare da tre diversi punti: lo sbocco del grande tunnel sul versante francese a Saint Jean de Maurienne e i punti di incrocio tra il tracciato del supertunnel e le tre gallerie di servizio francesi a 8 (Saint Martin la Porte), 17 (La Praz) e 29 (Modane) chilometri dall’ingresso transalpino. Proprio dalla galleria di servizio di Modane, quella più vicina al confine, potrebbero partire le talpe che scavano verso l’Italia e che potrebbero sbucare 28 chilometri più a est a Susa, 16 ancora in territorio francese e 12 in Italia”.

Spostando tunnel, tracciati, percorsi e cantieri come se fossero noccioline, ma dovendo poi ricordare che ”l’insidia principale per il futuro del progetto non viene dai No Tav ma dal governo francese. Che, a differenza di quello italiano, non ha ancora messo a bilancio i 2,2 miliardi di euro necessari a pagare la quota di Parigi nell’opera.[…] È un fatto che oggi i francesi sembrano avere più problemi dell’Italia nel rispetto dei parametri finanziari europei. E dunque qualche problema in più del passato a trovare le risorse”. E senza tener conto del fatto che anche un sindacato di polizia come il Siulp, attraverso la voce del suo segretario Eugenio Bravo, ha chiesto al Prefetto e al questore di Torino un “sopralluogo urgente” al tunnel di base della Torino-Lione, a Chiomonte in Valle di Susa, per valutare i rischi derivanti dalla inalazione delle polveri per i poliziotti in servizio al cantiere. Facendo, in questo modo, sorgere spontanea una domanda: “Chi potrà nel prossimo futuro farsi beffe di chi?

Se le beffe sono leggere, però, le accuse di terrorismo sono più pesanti e qui, purtroppo, si scende su un terreno più accidentato. Non soltanto dal punto di vista semantico. Infatti, mentre la Procura della Repubblica ed il Tribunale di Torino sostengono nel qualificare quale atto di terrorismo il danneggiamento di un compressore poiché sarebbe la causa dei ritardi accumulati e le conseguenti riduzioni di finanziamento, da parte della Commissione Europea, la Cassazione lo scorso 15 maggio, ha detto no agli arresti con l’accusa di terrorismo nei confronti dei quattro attivisti No Tav, Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobila per un attacco contro il cantiere avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2013.

E sono proprio le motivazioni con cui la Sesta sezione penale ha disposto un nuovo esame al Tribunale di Torino, ad essere interessanti poiché in esse si afferma che “la connotazione terroristica dell’assalto di Chiomonte non può essere efficacemente contestata in base alla generica denuncia di una sproporzione di scala tra i modesti danni materiali provocati e il macroevento di rischio cui la legge condiziona la nozione di terrorismo” e si dovrà pertanto “verificare se per gli effetti direttamente riferibili al fatto contestato sia stata creata una apprezzabile possibilità di rinuncia da parte dello Stato alla prosecuzione dell’opera Tav, e di un grave danno che sia effettivamente connesso a tale rinuncia, o comunque, all’azione indebitamente mirata a quel fine“.

La Cassazione ricorda poi ancora che perché possa scattare la contestazione di terrorismo ci deve essere “un grave danno per un Paese o una organizzazione internazionale” e si comprometta “il sereno svolgimento della vita pubblica, il fisiologico esercizio del potere pubblico, la stabilità e l’esistenza stessa delle istituzioni di una società pluralistica e democratica“.

Inoltre, per quel che riguarda il delitto di attentato, la Cassazione manda a dire al giudice del rinvio che “non sussisterebbe se non fosse provato che il lancio degli ordigni era univocamente diretto ad offendere il diritto alla vita e all’integrità personale degli operai di Chiomonte“.

E per non lasciare alcun margine al dubbio, la Suprema Corte critica l’ordinanza del Tribunale di Torino del 9 gennaio scorso per avere “assunto una ricostruzione dei fatti non sufficientemente argomentata, per poi desumerne comunque conseguenza giuridicamente scorrette“. Rimarcando, infine, la grave “confusione (o meglio contraddizione) che segna finanche, nel loro complesso, le osservazioni difensive sull’andamento dei fatti” in cui sarebbe incorso lo stesso Tribunale.5

Questioni di semantica dunque, ma non solo poiché potrebbe esistere una correlazione tra il contenuto dell’articolo delle beffe e le motivazioni della Corte di Cassazione al fine di aggirare le stesse. Nel frattempo la lotta continuerà come sempre, mentre nella confusione dovuta al rovesciamento di significato di ogni discorso pubblico sembra ormai destinata ad affogare una parte della stessa classe dirigente. Incapace di rendersi conto che l’unica libertà concessa dalle banche e dalla finanza internazionale ai governanti italiani è soltanto quella di giocare con le parole.


  1. Nel romanzo1984, il Ministero della Verità è destinato a modificare continuamente l’ordine e il significato dei fatti per fare trionfare sempre il pensiero del governo, quello della Pace è destinato a preparare la guerra, mentre quello dell’Amore ha la funzione di diffondere sistematicamente l’odio e la paura tra la popolazione  

  2. Eugenio Scalfari, Quant’è bravo il premier, ma chi ripara gli errori che sta facendo?, La Repubblica, 29 giugno 2014, in cui si afferma ancora che “Ascoltando il leader appena tornato dalle esibizioni di Ypres e di Bruxelles sembra che la partita della flessibilità economica sia stata guadagnata. Pienamente guadagnata, dopo aver mostrato i muscoli alla Merkel e avere poi concluso con un sorriso, un abbraccio e solide promesse. Il pareggio del bilancio sarà rinviato al 2016, gli investimenti per la crescita saranno consentiti, la fiducia cambierà in meglio le aspettative, le riforme strutturali – che sono la condizione richiesta dalla Germania – saranno fatte anche perché (Renzi lo dice e lo ridice) il premier ci mette la faccia. Più chiaro, più netto ed anche più irresistibile di così non ce n’è un altro. Un vero fico che la sorte ha regalato all’Italia e – diciamolo – al Partito socialista europeo e all’Europa intera. Però…
    Però non è proprio così. Intanto per quanto riguarda la flessibilità.
    Il pareggio di bilancio non è stato rinviato al 2016, ma in realtà al 2015 il che significa che bisognerà porne le condizioni nella legge di stabilità di quell’esercizio, che sarà in votazione dell’autunno di quest’anno. Si intravede una manovra di circa 12 miliardi e forse più.
    Nel frattempo la domanda, cioè i consumi, sono fermi anzi leggermente peggiorati; la “dazione” degli 80 euro, almeno per ora, non ha dato alcun segnale. È certamente presto per giudicare, aspettiamo i dati di giugno e di luglio; ma per ora non ci sono segnali di ripresa. Semmai ci sono segnali di ulteriore aumento della disoccupazione, giovanile e non
    “.  

  3. Paolo Griseri, Beffa ai no-Tav: “Scavi solo dalla Francia”, La Repubblica, 26 giugno 2014  

  4. Nel marzo 2013, la Commissione Europea ha ufficializzato la revoca di parte del contributo assegnato al progetto Torino-Lione passando dai 671,8 milioni di euro inizialmente concessi a 395,3 milioni. Il ridimensionamento riguarda tutto il programma, il cui importo complessivo passa da 2,09 miliardi di euro a soli 891 milioni con una riduzione del 57%  

  5. Tutte le citazioni dalla sentenza della Corte di Cassazione sono tratte da “No TAV: non è terrorismo se lo stato non deve rinunciare all’opera”, La Repubblica, 27 giugno 2014  

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