Nashville – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 18 Sep 2025 12:52:28 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dylan il trasfigurato https://www.carmillaonline.com/2018/02/01/dylan-il-trasfigurato/ Wed, 31 Jan 2018 23:01:56 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=43025 di Sandro Moiso

Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan. Volume I (1961 – 1978). Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione, Àncora Editrice 2017, pp. 378, € 26,00 e La Bibbia di Bob Dylan, Volume II (1978 – 1988). Il “periodo cristiano” e la crisi spirituale, Àncora Editrice 2017, pp. 332, € 26,00

E’ un’opera monumentale quella cui ci troviamo di fronte con il lavoro di Roberto Giovannoli da poco pubblicato dalla casa editrice Àncora. E lo è ancora di più se si considera che dovrà essere completata da un terzo volume, previsto per la primavera di quest’anno, dedicato [...]]]> di Sandro Moiso

Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan. Volume I (1961 – 1978). Dalle canzoni di protesta alla vigilia della conversione, Àncora Editrice 2017, pp. 378, € 26,00 e La Bibbia di Bob Dylan, Volume II (1978 – 1988). Il “periodo cristiano” e la crisi spirituale, Àncora Editrice 2017, pp. 332, € 26,00

E’ un’opera monumentale quella cui ci troviamo di fronte con il lavoro di Roberto Giovannoli da poco pubblicato dalla casa editrice Àncora. E lo è ancora di più se si considera che dovrà essere completata da un terzo volume, previsto per la primavera di quest’anno, dedicato agli anni compresi tra il 1988 e il 2012, che si intitolerà “Un nuovo inizio e la maturità” e comprenderà al suo interno gli indici delle canzoni, degli autori citati, dei temi, dei simboli e dei personaggi oltre a quelli delle Scritture citate in tutti e tre i volumi.

Più ancora che di fronte a un testo sulla presenza della Bibbia nell’opera del premio Nobel per la letteratura, ci troviamo davanti ad un’autentica Bibbia sull’opera di Bob Dylan, poiché per portarla a termine Giovannoli, ricercatore indipendente nel campo dei cultural studies ed autore di numerosi studi sul rapporto tra cultura popolare e cultura “alta”, ha osato fare ciò che nessun altro studioso aveva osato fare: analizzare l’intero corpus dylaniano sia mettendolo in rapporto con le sue radici popolari e dotte, sia andando ad identificare ogni possibile riferimento (frasi, canzoni, testi sacri) da cui il menestrello di Duluth ha tratto spunto per i suoi testi.

Una simile operazione era stata svolta in maniera sistematica soltanto da Greil Marcus nel suo Invisible Republic –Bob Dylan’s Basement Tapes nel 1997,1 che però si occupava esclusivamente delle circa 130 canzoni, scritte o rielaborate da Dylan e dai membri della Band durante il primo allontanamento dalle scene nel 1967, da cui sarebbero state poi tratte quelle che avrebbero dato vita nel 1975 all’omonimo album: The Basement Tapes.

Sempre Greil Marcus aveva scavato a fondo in una singola canzone di Dylan, Like a Rolling Stone, in un altro suo testo,2 ma nonostante le numerose opere dedicate all’autore americano, in Italia e all’estero, nessuno aveva mai osato spingersi così lontano e così in profondità nell’esegesi dell’opera dylaniana.

Come afferma Alessandro Carrera, un altro importantissimo studioso dell’opera di Dylan, 3

“Questo libro di Renato Giovannoli […] è una cosmologia di riferimenti, agganci, colpi di sonda, esplorazioni, ipotesi e dimostrazioni che stringono l’intera opera di Dylan in un solo covone, legato troppo bene per essere portato via da qualunque colpo di vento. Tante introduzioni sono possibili a Dylan; musicali, poetiche, sociologiche, politiche. Ma la Bibbia è l’accesso privilegiato, e questa mia premessa alla più generale introduzione articolata da Giovannoli non ha altro scopo se non inquadrare la religione secondo Dylan nel contesto dell’immaginazione spirituale della sua terra, in relazione ai tempi e al clima culturale che lo hanno formato come artista. Per l’esplorazione vera e propria, avrete a disposizione la mappa/territorio che Giovannoli ha approntato – un’opera unica, mai tentata finora in nessun’altra lingua, e che sarà molto difficile, se non impossibile, eguagliare.”4

Non a caso Carrera incrocia immaginario americano e religione, poiché se vi è una cultura che fin dalle sue origini, nel bene e nel male, sia a livello popolare che “colto”, è stata influenzata dalla narrazione biblica questa è stata sicuramente quella dell’America Settentrionale. In cui la data più appropriata per indicare simbolicamente il tempo dell’arrivo delle Sacre Scritture sembra essere quella dell’11 novembre del 1620, quando i Padri Pellegrini imbarcati sulla Mayflower, una nave partita da Plymouth in Inghilterra due mesi prima, sbarcarono erroneamente sulle coste del Massachusetts, essendo in realtà diretti verso la prima colonia del Nord America, Jamestown in Virginia fondata nel 1607.

Si trattava di rigidi puritani che si proponevano di purificare il culto della chiesa ed erano del parere che non bastasse separarsi dalla Chiesa di Roma, ma che si dovesse eliminare ogni traccia del cattolicesimo romano.
Perseguitati sia sotto il regno di Giacomo I Stuart che, successivamente, in Olanda, dove inizialmente avevano trovato rifugio, decisero di lasciare l’Europa e di iniziare una nuova vita in Nord America. Da qui è facile comprendere come il discorso biblico della Terra Promessa, e successivamente del Popolo eletto, avrebbe finito con l’influenzare le comunità che andarono istituendosi lungo le coste dell’Atlantico.

Anche se tale discorso finì troppo spesso col costituire una giustificazione per le prevaricazioni e le violenze nei confronti dei nativi americani, delle donne, degli schiavi africani là deportati e di tutti i rappresentanti delle ondate migratorie successive non appartenenti al gruppo WASP (White-AngloSaxon-Protestant), va però compreso come tale promessa di realizzazione collettiva ed individuale in una terra libera dalle catene dell’Ancien Régime finisse col tracimare all’esterno della cultura “bianca” e benestante dei commercianti e dei possidenti terrieri ispirati dal calvinismo, per cui l’accrescimento delle ricchezze collimava con il progetto divino di premiare i migliori, e riversarsi anche nell’immaginario degli strati più umili e non solo bianchi della popolazione.

Il gigantesco serbatoio mitopoietico della narrazione biblica, costituito da eroi, profeti, re, fughe dalla schiavitù, malvagi, guerre, traditori, donne dissolute, popoli in cammino nel deserto, vendette, punizioni divine, sacrifici, fede, promesse di salvezza, demoni, sepolcri, cadute dal Paradiso terrestre, redenzioni, diluvi e visioni apocalittiche ed ultramondane fornì quindi un materiale immenso per le narrazioni, le poesie, le canzoni, le ballate e gli insegnamenti per un popolo ancora disperso lungo le pianure del Midwest o della Valle del Missouri. Dalle Montagne Rocciose al Mississippi e alle piantagioni del Sud dove, spesso, padroni e schiavi, privati della loro iniziale identità culturale, finivano con l’attingere ispirazione dalla stessa fonte. Motivo per cui ancora oggi i membri del Tea Party e gli afroamericani appartenenti alle differenti congregazioni religiose possono far riferimento, da sponde opposte e con obiettive diversi, agli stessi inossidabili versetti.

Così mentre i contenuti illuministici della Dichiarazione di Indipendenza e della Costituzione americana sembrarono rimanere relegati alla Costa orientale, lungo la quale si erano diffusi tra i nuovi ceti borghesi, la Bibbia accompagnò gli spostamenti verso Ovest in un contesto in cui la cultura era ancora prevalentemente orale e le forme giuridiche della società traevano ancora spunto dalla consuetudine più che dal diritto scritto. In un contesto naturale e geografico in cui l’uomo bianco cristiano sarebbe andato incontro ai suoi demoni e a quelli suscitati in lui dalle poche letture che si sarebbe portato dietro.

Che poi, di volta in volta, il testo delle Scritture e il significato stesso delle parole potesse essere piegato o storpiato per motivi di interesse o di scarsa comprensione (talvolta anche e banalmente linguistica) non impedì al testo biblico di liberarsi dall’esegesi di carattere religioso per farsi carne e sangue di una cultura umile, rigida e condivisa in cui, probabilmente, a trionfare fu spesso il dio vendicativo del Vecchio Testamento più che quello della salvezza dei vangeli. Motivo per il quale, nella stessa, rimase costante la presenza della morte, del castigo e della lontananza, forse dell’impossibilità, del perdono e della salvezza se non per i pochi predestinati. Una visione drammatica del destino individuale di cui molte canzoni popolari statunitensi costituiscono ancora la testimonianza.

Forse anche per questo, come ebbe a dire D.H. Lawrence: “Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita”. Lo prova tutta la grande letteratura statunitense. Dal capitano Achab di Melville ai fantasmi di Edgar Allan Poe (rispetto ai quali i fantasmi europei di Horace Walpole sembrano i personaggi di un innocuo racconto per ragazzi), fino alle inquietanti storie di Nathaniel Hawthorne e ai mostri di H.P. Lovecraft oppure al vitalismo impregnato di morte di Hemingway e alle violente, e prive di speranza, storie western di Cormac McCarthy.

Ma anche nella popular music, da Hank Williams a Elvis Presley, dagli spiritual a Johnny Cash, dal gospel e dal blues a Bob Dylan, dalla musica soul alle murder ballads dell’Ottocento e del Novecento, non vi è ambito che non sia stato in qualche modo investito da quella tradizione. Motivo per cui Dylan, come autorevole rappresentante della cultura americana del ‘900, non ha potuto né tanto meno si è mai sognato di sfuggire a quel pressante imperativo della cultura popolare.

Bob Dylan, vero nome Robert Allen Zimmerman, è come tutti sanno di origini ebraiche ed è chiaro che per molti versi la narrazione biblica del Vecchio Testamento appartiene forse più a quella cultura che non a quella cristiana, ma più che questa supposta, e mai chiarita, vicenda dell’influenza religiosa sulla famiglia Zimmerman,5 certo è che fin dai suoi primi anni il giovane futuro poeta e cantore è stato immerso nella cultura proletaria e provinciale della piccola città del Minnesota che gli ha dato i natali, dove ancora nel 1920 erano stati linciati tre afroamericani accusati dello stupro di una donna bianca (con successiva e relativa vendita della cartolina ricordo dell’evento qui riprodotta). L’incontro non ancora ventenne con la musica di Leadbelly e successivamente dei neri americani e dei folk singer bianchi ha poi fatto il resto. Di cui il lettore potrà trovare tutti i percorsi e le tracce nella dettagliatissima ricerca e ricostruzione filologica condotta da Giovannoli.

Se questa costituisce la parte più copiosa e rimarchevole del testo, ce n’è un’altra, che si sviluppa proprio a partire dalla sua “conversione” dichiarata al cristianesimo evangelico, altrettanto utile per comprendere ed inquadrare quella che è e rimane una delle figura più contraddittorie e sfuggenti della musica e della cultura, non più soltanto popular, americana.
Ed è ancora una volta Carrera ad introdurla quando, ricordando le stesse parole di Dylan a proposito della sua repentina, conversione alla fede cristiana, parla di trasfigurazione ovvero di rinnovamento totale, spirituale e fisico, del neo-convertito. Che dopo essere stato battezzato nel gennaio del 1979, si iscrisse ad un corso trimestrale di lettura biblica in una chiesa di Reseda, in California. “Avevo sempre letto la Bibbia, ma per me era letteratura. Non ero mai stato istruito in maniera tale che per me divenisse significato”, avrebbe ancora affermato in seguito.6

La trasfigurazione nel discorso biblico ha direttamente a che fare che la rivelazione del carattere divino di Gesù agli Apostoli, ma serve anche benissimo a chiarire, credo sinceramente e una volta per tutte, il vero segreto del peregrinare musicale e personale di Dylan. Dal suo incontro col rock’n’roll di Buddy Holly quando non è ancora diciottenne ai dischi di Leadbelly che lo condurranno verso Woody Guthrie e gli altri eroi del folk americano; dalla scoperta del comunismo attraverso la famiglia militante di Suze Rotolo (la ragazza fotografata insieme a lui sulla copertina del suo secondo album Freewheelin’ Bob Dylan) alla rinuncia al suono acustico a favore di quello elettrico che lo farà andare incontro alle ire di Pete Seeger e dei suoi fan tra il 1965 e il 1966. Dalla riscoperta della country music di Nashville attraverso l’amicizia con Johhny Cash alla zingaresca carovana della Rolling Thunder Review che lo vedrà andare ancora in tour con Joan Baez, Ramblin’Jack Elliott, Allen Ginsberg e Sam Shepard (solo per citare alcuni dei comprimari di quella storia) in una sorta di riscoperta dei Medicine Show dell’Ottocento e del vagabondare dei Beat degli anni cinquanta. Dalla riscoperta della musica nera, in tutte le sue forme o quasi, all’attuale passione per il grande American Songbook degli anni Trenta e Quaranta e la senile passione per l’interpretazione delle canzoni di Frank Sinatra.

All’interno di questa storia di continue, vertiginose e inaspettate mutazioni, la vicenda della conversione religiosa tra il 1978 e il 1981 è sicuramente centrale. Da questo punto di vista il cofanetto di 8 cd recentemente pubblicato dalla Sony nella Bootleg Series, di cui costituisce il tredicesimo volume, è particolarmente utile per comprendere l’impeto, la passione, la forza creativa con cui Dylan affrontò questa ennesima e centrale trasformazione. Poiché è proprio attraverso le riprese dei concerti dal vivo tenuti in quel periodo, contenute nel film-documentario Trouble No More che accompagna il cofanetto dallo stesso titolo, è possibile vedere, sentire , comprendere quella autentica energetica e vitale trasfigurazione che accompagnò quel momento.

“Dylan ha attraversato una fase di attivismo predicatorio nel biennio 1979-1980, quando i suoi spettacoli erano diventati una successione di canzoni, prediche e invettive nella più pura tradizione dei preacher afro-americani degli Stati del Sud, che sono pastori e performer allo steso tempo.[…] Il quietismo non è mai stato parte di ciò che Dylan è, qualunque cosa Dylan sia, ma molte altre fasi sono seguite, caratterizzate da un uso a volte confuso ma sul lungo periodo sempre più consapevole, sottile, spesso poeticamente e teologicamente polivalente, delle fonti bibliche e del loro uso nella tradizione musicale americana. E’ qui che abbiamo bisogno dell’aiuto di Renato Giovannoli” 7

Giovannoli ci guida infatti in un’autentica Biblioteca di Babele folk-rock-blues-gospel in cui il fraseggio biblico si accompagna alle voce delle coriste afro-americane che accompagnarono Dylan durante le tournée di quegli anni e al fraseggio delle chitarre elettriche che sottolineavano brani come Solid Rock oppure al suono dell’organo Hammond che sottolinea i versi di Slow Train o Gotta Serve Somebody.

E allora si comprende che tutto il percorso di Dylan è il frutto di una continua trasfigurazione, in cui tutto cambia: le canzoni, la voce, l’aspetto fisico dell’ex-menestrello. Non per calcolo, ma per autentico cambiamento, in cui il protagonista è trascinato da una forza più grande, che di volta in volta si manifesta sotto forma di autentica passione: per il rock’n’roll, la musica nera, il folk, la spiritualità del gospel e del soul, la voce di Sinatra o le parole di Woody Guthrie, ma che ogni volta Dylan deve fare completamente sua per poi esaurirla e passare ad altro. Like a Rolling Stone, come una pietra che rotola.

Ecco allora anche la spiegazione del suo rifiuto di interpretare sempre le stesse canzoni e allo stesso modo (magari quello desiderato dai fan), la sua noia nei confronti dei giornalisti, dei critici e di tutti coloro che lo vorrebbero inquadrato una volta per tutte in un clichè. Da cui rifugge da sempre non come poseur, per snobismo o per amore della trasgressione, ma per semplice desiderio di ricerca e di cambiamento. Mai sazio. Mai finito. Mai definitivamente soddisfatto.

Conscio, come si coglie ancora dal testo in questione, di avere un destino da compiere. Come Dylan stesso ha affermato in un’intervista rilasciata a Ed Bradley della CBS, il 5 dicembre 2004: “E’ la sensazione si sapere di sé stessi che nessun altro sa, di sapere che quell’immagine di te che hai mente si realizzerà. E’ una cosa da tenere per sé, perché è una sensazione fragile, Se la si mette in mostra, qualcuno la ucciderà”8

Verrebbe da dire di Dylan ciò che Glenn Gould, altro genio sfuggente, ebbe a dire di Richard Strauss: “un uomo che arricchisce la propria epoca perché non le appartiene e che parla per ogni generazione perché non si identifica con nessuna”.9 Mentre questa sua inafferrabilità lo avvicina ai personaggi del Mito, che lui stesso ha per così tanto tempo impiegato e rimaneggiato nelle sue canzoni, sempre inavvicinabili e mai completamente comprensibili se non per un simbolo forte e sempre riconoscibile: nel suo caso la canzone popolare in tutte le sue possibili declinazioni.

Vorrei, alla fine di questo excursus, ringraziare sinceramente non soltanto l’autore ma anche la casa editrice Àncora per la coraggiosa scelta di pubblicare un’opera fino ad oggi impensabile, mettendo a disposizione del pubblico una ricerca utilissima per tutti coloro che non solo vogliano avvicinarsi al “mistero” Dylan, ma più in generale ad una migliore, meno superficiale e meno scontata conoscenza della cultura americana. Popolare e non.


  1. Tradotto in Italiano come Bob Dylan. La repubblica invisibile, Arcana Editrice 1997  

  2. Greil Marcus, Like a Rolling Stone. Bob Dylan at the Crossroad, 2005, tradotto in Italia come Like a Rolling Stone, Donzelli 2005  

  3. Alessandro Carrera è professore di Italian Studies e di World Cultures and Literatures all’Università di Houston, in Texas, e ha tradotto per Feltrineli tutte le canzoni di Dylan nel monumentale Lyrics in tre volumi (2004 – 2016 – 2017), il primo volume delle Chronicles (2004) e revisionato la traduzione di Tarantula (2007) sempre di Dylan, pubblicati dalla stessa casa editrice, oltre ad aver pubblicato, sempre per Feltrinelli, La voce di Bob Dylan. Una spiegazione dell’America (2001). Ha inoltre curato un’antologia di articoli e saggi, Parole nel vento. I migliori saggi critici su Bob Dylan, pubblicato da Interlinea Edizioni nel 2008 e l’edizione italiana della Nobel Lecture di Dylan ancora per Feltrinelli nel 2017  

  4. Alessandro Carrera, Bob Dylan e la religiosità americana, saggio introduttivo a Renato Giovannoli, La Bibbia di Bob Dylan, Volume I, pp. 7- 8  

  5. Lo stesso Dylan avrebbe affermato in un’intervista rilasciata nel 1978: “Non mi considero né ebreo né non ebreo. Non ho una formazione ebraica. Non prendo partito per nessun atto di fede. Credo in tutti e in nessuno”. Cit. in A.Carrera, Bob Dylan e la religiosità americana, pag. 10  

  6. Cit. in A. Carrera, op. cit. pp. 11-12  

  7. Alessandro Carrera, op. cit. pag.19  

  8. Citata in A. Carrera, op. cit. pag. 8  

  9. cit. in Mario Bortolotto, Equivalenze puritane, prefazione a Glenn Gould, L’ala del turbine intelligente. Scritti sulla musica, Adelphi 1988 (ottava edizione 2013), pag. XXII  

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Hard working men / 3: Dark As A Dungeon https://www.carmillaonline.com/2017/06/01/hard-working-men-3-dark-as-dungeon/ Wed, 31 May 2017 22:01:30 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=38528 di Sandro Moiso

MinersIt’s dark as a dungeon way down in the mine” (Merle Travis, 1946)

“E’ scuro come in una prigione, là al fondo della miniera” recitano i versi di una delle più belle e strazianti ballate del folk americano. In cui il termine dungeon, oggi spesso conosciuto per via dei giochi di ruolo, non rinvia affatto a labirinti magici o a misteri d’oltretomba ma alle celle segrete, magari proprio quelle sotterranee in cui venivano/vengono ancora tenuti i prigionieri più sfortunati. Quelli, troppo spesso, destinati alla fine più tragica o ad una morte violenta.

A scrivere la canzone e [...]]]> di Sandro Moiso

MinersIt’s dark as a dungeon way down in the mine” (Merle Travis, 1946)

“E’ scuro come in una prigione, là al fondo della miniera” recitano i versi di una delle più belle e strazianti ballate del folk americano. In cui il termine dungeon, oggi spesso conosciuto per via dei giochi di ruolo, non rinvia affatto a labirinti magici o a misteri d’oltretomba ma alle celle segrete, magari proprio quelle sotterranee in cui venivano/vengono ancora tenuti i prigionieri più sfortunati. Quelli, troppo spesso, destinati alla fine più tragica o ad una morte violenta.

A scrivere la canzone e a inciderla per la prima volta, nell’agosto del 1946, fu Merle Travis, figlio e fratello di minatori nelle miniere di carbone del Kentucky. Ripresa più volte da cantanti e gruppi come Johnny Cash (nel suo “Live at Folsom Prison”) o la Nitty Gritty Dirt Band (nell’epico triplo album “Will The Circle Be Unbroken” realizzato con i migliori musicisti di Nashville) oppure ancora da band rock-wave come i Wall of Voodoo (nel disco “Seven Days in Sammystown”), fu utilizzata anche per accompagnare le immagini iniziali del film-inchiesta “Harlan County, USA” di Barbara Kopple. Film che le fece vincere l’Oscar per il miglior documentario nel 1976 oltre a numerosi altri premi.1

harlan C Il documentario narra, in presa diretta, lo sciopero di Brookside, la lotta di 180 minatori del carbone e delle loro mogli contro la Duke Power Company, di proprietà della Eastover Coal Company’s Brookside Mine and Prep Plant, della contea di Harlan ( South-West Kentucky) nel 1973.
Barbara Kopple, che era stata a lungo un avvocato del lavoro, si era trasferita lì fin dal giugno del 1972 per documentare lo sciopero dei minatori supportati dall’UMWA (United Mine Workers of America), il sindacato statunitense dei lavoratori delle miniere di carbone.

Come and listen you fellows, so young and so fine,
And seek not your fortune in the dark, dreary mines.
It will form as a habit and seep in your soul,
‘Till the stream of your blood is as black as the coal.
2

La lotta documentata dal film era portata avanti per migliorare le condizioni di salute, lavoro e salario: tre semplici, chiare ed evidenti richieste di classe. Per fare questo la Kopple con la sua troupe seguì i minatori nelle gallerie della miniera, ai picchetti fatti davanti alla Borsa di New York, mentre i minatori venivano feriti con armi da fuoco dalle guardie padronali durante la lotta e filmando le interviste con coloro che erano stati colpiti dalle malattie polmonari dovute all’aver respirato polvere di carbone per tutta la vita.

barbara kopple 2 La Kopple, nata nello stesso anno in cui Travis aveva scritto e inciso la canzone, nel 1972 aveva già partecipato alla realizzazione del film Winter Soldier, insieme ad altri 19 filmmaker che avevano lavorato in maniera anonima per la realizzazione, sotto la sigla comune Winterfilm Collective, di un documentario contro la guerra in Vietnam destinato a documentare l’evento di tre giorni, denominato Winter Soldier Investigation, organizzato a Detroit, tra il 31 gennaio 1971 e il 2 febbraio 1972, dall’organizzazione dei Veterani del Vietnam contro la guerra (Vietnam Veterans Against the War -VVAW). In quell’occasione 109 veterani avevano denunciato le criminali politiche militari americane nel Sud Est Asiatico, rivelando i crimini cui avevano assistito o che avevano commesso durante la guerra tra il 1963 e il 1970.

It’s dark as a dungeon and damp as the dew,
Where danger is double and pleasures are few,
Where the rain never falls and the sun never shines
It’s dark as a dungeon way down in the mine.
3

Ma le immagini scarne della vita nelle miniere e nei poveri borghi che le circondavano, così come le parole dei minatori e delle loro mogli nelle assemblee pubbliche oppure l’arroganza dei rappresentanti delle forze dell’ordine o delle milizie arruolate, insieme a i crumiri, dalle società minerarie colpivano ancora di più. Spettatori e critici. Tanto da far sì che il critico cinematografico Dennis Schwartz definisse il film come “Uno dei migliori e più stimolanti film realizzati sulla guerra di classe in America”. Nel 1990 il film fu scelto per essere conservato presso il National Film Registry della Libreria del Congresso degli Stati Uniti essendo “significativo sul piano culturale e storico e dal punto di vista estetico.

La Kopple fu anche accusata però di non essere stata sufficientemente obiettiva nel rappresentare le due parti in lotta. Cosa che fece dire alla regista, allora non ancora trentenne: “Non era questione di obiettività. Credo che sia importante fare chiarezza su questo: la troupe non ha fatto finta di essere obiettiva. Hanno detto, stiamo col sindacato, e questo è come stanno le cose dal nostro punto di vista. E direi che non puoi metterti a discutere con le immagini. Le immagini non mentono. E le cose che si vedono nel film sono successe davvero.”4

harlan women 1 Le scene in cui i picchetti delle donne sono prima aggrediti e poi presi a colpi d’arma da fuoco, nell’oscurità della notte, dalle guardie che scortano i crumiri sono testimoniati dalle immagini girate dalla Kopple e dai suoi assistenti. Che furono aggrediti e malmenati dalle forze del disordine così come i minatori e le loro donne. E’ ancora la Kopple a ricordare la scena: “Era buio e stavamo lì come tanti anatroccoli, e tutto ad un tratto arrivano i thug,5 e cominciano a sparare razzi illuminanti che accendevano tutta la china della montagna. I thug passarono e io sentivo che dovevo stare in prima fila, così nel film si vedono i miei capelli e le cuffie, che si muovono in avanti; e i thug mi buttarono a terra, e buttarono a terra Anne [Lewis, l’aiuto regista] e mi prendevano a calci, ma io avevo un Nagra, che era il mio registratore, poggiato sul petto, così quando mi davano i calci non sentivo niente, e avevo come una lunga canna da pesca con un microfono in cima e cominciai a darglielo addosso. Ma fu un momento di paura, di paura vera. Fu una scena che ci scosse tutti e capimmo che lo sciopero stava cambiando, lo sciopero stava svoltando un altro angolo, lo sciopero stava diventando molto più violento e poteva scapparci il morto6

I lavoratori però si sarebbero presentati ai picchetti successivi a loro volta armati e determinati a far fuoco su chiunque avesse tentato ancora di forzare i picchetti sulla strada della miniera. Dando vita a fronteggiamenti che potevano durare anche ore, in cui entrambe le parti spianavano le armi l’una contro l’altra.

«Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, non potrà essere infranto il diritto dei cittadini di detenere e portare armi.» Così recita il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, così inviso ai benpensanti e alla Sinistra politically correct che vedono in tale principio soltanto un favore fatto all’industria delle armi. Senza cogliere nello stesso, affermato durante la lotta di liberazione anti-coloniale e anti-britannica, il diritto del popolo a ribellarsi e ad organizzarsi contro un governo autoritario, negando allo Stato il diritto di essere l’unico a poter detenere il monopolio della forza e della violenza organizzata. Su questo si basava la possibilità dei minatori di contrapporsi adeguatamente ai loro assalitori.

Così oggi, nell’Italia democratica di Minniti e del PD, il diritto ad armarsi dei cittadini è stato accolto, ma in chiave leghista e protofascista, in difesa della proprietà privata. Ecco a cosa ha portato, come al solito, la cancellazione della memoria di classe e storica, la negazione del diritto delle masse alla ribellione e ad un’autonoma organizzazione politica e militare. Dimenticando che anche alcuni illustri padri della Costituzione, come Aldo Capitini, avrebbero voluto vedere accolto nel suo testo il diritto alla sollevazione dei cittadini contro uno Stato iniquo. Diritto che fu aspramente negato sia dalla DC di De Gasperi che dal PCI di Togliatti.

The midnight, the morning, or the middle of day,
Is the same to the miner who labors away.
Where the demons of death often come by surprise,
One fall of the slate and you’re buried alive.
7

miner's son Il maggior elemento di scontro all’interno della vertenza era rappresentato dalla volontà della compagnia mineraria di inserire una clausola che prevedesse la rinuncia ad ogni forma di sciopero all’interno del contratto, mentre i minatori erano consapevoli che l’accettazione di ciò li avrebbe privati della principale arma in loro possesso per la difesa delle loro condizioni di lavoro. Opporsi alla proposta della compagnia significava comunque rientrare in quel ciclo di lotte che tra il 1967 e i primi anni settanta avevano visto i lavoratori americani rifiutare spesso gli accordi proposti dai sindacati e dare vita al numero più alto di scioperi selvaggi di qualsiasi altro periodo precedente.

Insomma sia la lotta di Harlan County che il film della Kopple non sorgevano dal nulla. Il terreno era stato ben concimato e successivamente, tra il dicembre del 1977 e il marzo del 1978, 166.000 minatori avrebbero bloccato completamente le miniere della regione degli Appalachi, riducendo enormemente le riserve di carbone in un momento in cui la classe dirigente stava cercando di fare della crisi energetica l’arma principale di una nuova politica economica.

miners wage Gli obiettivi dei minatori scesi in lotta non erano esclusivamente economici. Infatti il contratto firmato dai dirigenti dell’U.M.W.A. il 12 febbraio 1978 e respinto in massa dai lavoratori, prevedeva un aumento del salario del 37% in tre anni. Ma per i minatori ciò che contava di più erano le condizioni di lavoro, di vita e di libertà di organizzazione e di azione collettiva. Nonostante nel 1975 i profitti di imprese come la Duke Power Company fossero cresciuti del 170%, i salari del 4% e il costo della vita del 7%, gli operai e i lavoratori americani lottavano ancora principalmente contro il lavoro e le sue condizioni coatte.

La lotta di Harlan aveva costituito un frammento, significativo ma pur sempre un frammento, di tale scontro. Un frammento, però , i cui alcuni minatori avevano perso la vita. Come era successo a Joseph Yablonski, un appassionato rappresentante popolare del sindacato, amato da molti minatori, che nel 1970 era stato trovato ucciso in casa sua, con tutta la sua famiglia. Oppure al giovane Lawrence Jones, minatore con una moglie sedicenne e padre di un bambino, che era stato colpito a morte durante lo sciopero. Episodio, quest’ultimo che aveva condotto al tavolo delle trattative gli scioperanti della miniera di Harlan e i rappresentanti della compagnia mineraria.

Lawrence Jones era stato colpito a morte da Bill Brunner, sorvegliante della compagnia, che gli aveva sparato in faccia a bruciapelo, da pochi metri di distanza, con un fucile a pallettoni. Bill Brunner, che a sua volta era rimasto ferito nella sparatoria esplosa successivamente, fu processato per omicidio a Harlan e fu assolto per “legittima difesa”.

It’s a-many a man I have seen in my day,
Who lived just to labor his whole life away.
Like a fiend with his dope and a drunkard his wine,
A man will have lust for the lure of the mines.
8

miners 5 Spesso mentre interpretava la canzone Merle Travis si interrompeva per narrare questa storia: “Non riuscirò mai a dimenticare quella volta in cui, essendo tornato per una breve visita ai miei famigliari a Ebenezer, giù nel Kentucky, mi misi a parlare con un vecchio amico di famiglia che conoscevo fin da quando ero nato. Egli mi disse, «Figliolo, tu non sai quanto sei fortunato ad avere trovato un buon lavoro lontano da qui e a non dover scavare ciò di cui vivere sotto queste vecchie colline e a non dover urlare come io e tuo padre siamo abituati a fare». Quando gli chiesi perché non avesse mai lasciato quel lavoro per trovarsene un altro, egli mi rispose «Nossignore, non puoi farlo. Una volta che la polvere del carbone ti è entrata nel sangue, tu non potrai essere altro che un povero minatore per il resto dei tuoi giorni. Diventa un vizio, come masticare tabacco!»

In uno scritto riportato sullo United Mineworkers’ Journal , Travis avrebbe poi ricordato anche il fratello: “Taylor, il mio fratello più vecchio, era solito arrivare a casa e lavarsi via lo sporco. Ricordo benissimo la tinozza al centro del pavimento – la grande pentola nera di acqua caldissima versata dentro – il vapore – e l’acqua fredda per portare il tutto alla giusta temperatura Quando lo spiavo mentre si lavava via la polvere del carbone dal tatuaggio che rappresentava una piccola rosa sul suo braccio, sognavo di quando anch’io avrei potuto lavorare nella miniera e portare un tatuaggio come il suo… Poi egli si ruppe ogni costola del suo corpo per un incidente nella miniera e la sua vita cambiò completamente…9

Il lavoro visto come schiavitù, come “vizio” e come malattia, che soltanto la lotta di classe e l’azione autonoma e collettiva può contrastare, questo ci insegnano la lotta di Harlan e la canzone di Merle Travis. Una lezione che i lavoratori americani di oggi, quelli di cui da un po’ di tempo andiamo parlando dopo l’elezione di Donald Trump, sembrano aver dimenticato. Come il 62,5% dei voti accordatigli proprio nel Kentucky, purtroppo, ben dimostra.

Cosa rimane oggi della Contea di Harlan, in cui esistevano e lottavano donne come Lois Scott che, in una delle scene più famose del documentario estrae da sotto le vesti una pistola mentre arringa uomini e donne e li spinge ad avere fiducia nella loro lotta? Poco, molto poco, Soprattutto di quella coscienza, di quell’orgoglio e di quella autentica comunità umana documentata dal film. In un bacino minerario ormai privo di importanza, in cui le promesse di Trump di rilanciare l’uso e l’estrazione del carbone sembrano riprendere le lusinghe di cui parlava Merle Travis nella sua canzone.

harlan women 2 In una contea in cui gli ex-minatori vivono di espedienti mentre i loro figli trafficano in droga, unendo metaforicamente la realtà all’esempio tracciato nei versi finali di “Dark As A Dungeon”. E in cui, al posto del bellissimo documentario della Kopple, è stata girata in anni recenti la serie televisiva Justified, trasmessa in Italiano dal 2011come Justified-L’uomo della legge, in cui il protagonista è un Marshall degli Stati Uniti, Raylan Givens, che deve mantenere l’ordine proprio nella disperata e corrotta Contea di Harlan di cui è originario. La storia è ribaltata, le forze del disordine hanno vinto e i minatori e i loro parenti sono i cattivi. Mentre l’unico a salvarsi sembra essere Dave Alvin con la canzone della sigla: “Harlan County Line”.

( 3 – continua)


  1. Qui il link per accedere alla visione del film su YouTube: https://www.youtube.com/watch?v=CsNtc7Uxspw  

  2. Venite qui intorno e ascoltate compagni, così giovani e così orgogliosi / Non andate a cercare fortuna nelle scure e cupe miniere / Perché quel lavoro si infiltrerà nella vostra anima come un vizio / Finché il vostro sangue non sarà nero come il carbone – Traduzione dell’autore 

  3. E’ scuro come in una segreta e umido come la rugiada / Dove il pericolo raddoppia e i piaceri sono pochi / Là dove non piove mai e altrettanto non risplende il sole / E’ proprio scuro come in una prigione laggiù nella miniera  

  4. cit. in Alessandro Portelli, AMERICA PROFONDA. Due secoli raccontati da Harlan County, Kentucky, Donzelli editore 2011, pag.408  

  5. gun-thug era il nomignolo affibbiato dai minatori alle guardie armate della miniera  

  6. A. Portelli., op. cit. pp. 410-411  

  7. Mezzanotte, il mattino oppure il pomeriggio / Non fanno differenza per il minatore che lavora sempre. / Là dove i demoni della morte possono spesso presentarsi all’improvviso, / Basta la caduta di una lastra di pietra e sarai sepolto vivo.  

  8. Nei miei giorni ho visto più di un uomo / spendere la sua vita solo per lavorare sempre. / Così come un tossico fa con la sua droga o un ubriacone con il suo vino, / Uomini che hanno subito le lusinghe della miniera.  

  9. Riportato in Edith Fowke e Joe Glazer, Songs of Work and Protest, New York 1973, p. 51  

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