Emiliano Dominici – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Fri, 03 May 2024 18:39:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.25 “In un tedio / malcerto il certo tuo fuoco”: su “Maria Malva” di Emiliano Dominici https://www.carmillaonline.com/2024/04/28/in-un-tedio-malcerto-il-certo-tuo-fuoco-su-maria-malva-di-emiliano-dominici/ Sun, 28 Apr 2024 20:00:51 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=82323 di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Maria Malva. Brucia il giorno per me, effequ, Firenze, 2024, pp. 304, euro 18,00.

Per parlare di Maria Malva, romanzo di Emiliano Dominici recentemente uscito per effequ, vorrei partire da questi versi di Eugenio Montale tratti da Le occasioni: “Pareva facile giuoco / mutare in nulla lo spazio / che m’era aperto, in un tedio / malcerto il certo tuo fuoco”1, ricordando anche la quartina finale dello stesso componimento: “La vita che dà barlumi / è quella che sola [...]]]> di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Maria Malva. Brucia il giorno per me, effequ, Firenze, 2024, pp. 304, euro 18,00.

Per parlare di Maria Malva, romanzo di Emiliano Dominici recentemente uscito per effequ, vorrei partire da questi versi di Eugenio Montale tratti da Le occasioni: “Pareva facile giuoco / mutare in nulla lo spazio / che m’era aperto, in un tedio / malcerto il certo tuo fuoco”1, ricordando anche la quartina finale dello stesso componimento: “La vita che dà barlumi / è quella che sola tu scorgi. / A lei ti sporgi da questa / finestra che non s’illumina”2. Il tedio, nella poesia di Montale, distende le sue nere ali sul ripetersi quotidiano dell’esistenza quasi come l’“Ennui” di Baudelaire, la “Noia” che aggredisce qualsiasi angolo della vita umana. I luoghi e gli ambienti di Maria Malva sono pervasi dappertutto da un tedio molto simile a quello descritto dal poeta ligure. Dominici, infatti, è davvero un grande dipintore di ambienti e di atmosfere, e sa muovere alla perfezione i suoi personaggi all’interno degli spazi che crea, come pedine sulla scacchiera tediosa e inconsistente della vita. Tutto scorre, tutto passa segnato nel profondo da un inarrestabile taedium vitae: il personaggio di Maria Malva appare come il fulcro perfetto di questo avvolgente spleen, una figura che si lascia trascinare dalla vita come da una corrente che non permette via d’uscita, che non permette di nuotargli contro. Lo spazio è nulla e “il certo tuo fuoco”, nella narrazione, diventa anch’esso un “tedio” perché è generato da quel “gesto sconvolgente” (come leggiamo nella sinossi del libro e sul quale non voglio rivelare di più) compiuto dal personaggio.

Maria Malva e gli altri personaggi si muovono su uno sfondo quasi inconsistente, quasi metafisico si potrebbe azzardare, laddove l’indeterminatezza dei luoghi conferisce loro una maggiore autenticità, spazi perduti nel lancinante percorso di un quotidiano meravigliosamente descritto dall’autore. Ma il luogo dove viene compiuto il gesto, un’anonima piazzetta con gli alberi e con una fontana di un’altrettanto anonima città, inchioderà a sé tutti i personaggi presenti. Perché, in fin dei conti, lo stesso personaggio protagonista – in una crudele metamorfosi – si muterà in luogo, in spazio, ed è proprio lì che gli altri convergeranno per cercare di risolvere l’angoscia straziante che si è insinuata in loro. I luoghi e gli ambienti sono incapsulati dalla penna dello scrittore all’interno di un “film dell’impossibile”, per utilizzare un’espressione coniata da Carlo Cassola per mezzo della quale lo scrittore grossetano si riferisce alla volontà di plasmare le sue storie come se animasse una stampa, un dipinto, e facesse muovere tutti i suoi personaggi3.

Strade e piazze anonime, senza volto, si srotolano come un tappeto di fronte all’incedere nomadico della protagonista che sembra quasi cercare di fondersi con gli ambienti in un totale anonimato e che cammina di lato alla vita con una grazia leggera come la neve. Assieme alle strade e alle piazze incontriamo negozi, bar, cinema altrettanto anonimi e altrettanto indimenticabili e, soprattutto, interni di appartamenti, sia quelli affittati dalla protagonista nei suoi spostamenti che quelli sfitti dove Maria si incontra con un ambiguo agente immobiliare. Le case e gli spazi domestici sembrano raccontare le proprie vite, inserite anch’esse in una spropositata macina, e lo fanno dopo aver perso qualsiasi parvenza di calore domestico. Non troveremo mai interni accoglienti nel romanzo, non troveremo mai spazi veramente confortevoli: essi appaiono come lo sfondo metafisico e nebbioso nei quali si rincorre l’angoscia dei personaggi. Sfondo metafisico sì, ma anche capace di lasciare una traccia indelebile nel lettore: più sono anonimi e incerti, funereamente indefiniti, più essi sono indimenticabili, più la loro descrizione ci avviluppa e ce li rende estremamente interessanti.

Su uno sfondo di questo tipo, la narrazione di Maria Malva si muove come una detective story, come una sottile indagine dai tratti noir e polizieschi che, per certi aspetti, potrebbe ricordare il “pasticciaccio” gaddiano. Una narrazione che trova il proprio baricentro nei vari personaggi che affiancano la protagonista e che saranno segnati indelebilmente dal gesto compiuto da Maria Malva: l’agente immobiliare Giorgio e la cartolaia Gemma, il solitario Martelli, il giovane youtuber Paolo, la colf Milagros e la bambina Anna, affetta da disturbi comportamentali, nonché i genitori di quest’ultima. Fra questi personaggi sembra svettare appunto il giovane studente youtuber che, trovandosi di fronte alla protagonista nel momento in cui compie il suo gesto disperato, invece di soccorrerla non trova di meglio che riprenderla con un cellulare. Il personaggio appare infatti completamente fagocitato dalla contemporanea digitalizzazione dell’esistenza nonché dall’iconizzazione iperbolica della realtà: qualsiasi situazione (sia essa costituita da un paesaggio o da una o più persone che interagiscono), invece che essere vissuta e conosciuta veramente, sembra essere fatta soltanto per essere fotografata o ripresa ed essere esposta online, in una sorta di esibizionistica ‘turisticizzazione’ esasperata della quotidianità. Come se riprendesse un concerto, uno spettacolo, una partita o un piatto servito al ristorante, Paolo sembra talmente inserito nel proprio universo digitale da riprendere fino in fondo la protagonista fino all’esito fatale. Sembrerebbe quasi una rilettura digitale del personaggio ‘moderno’ e primo-novecentesco di “Serafino Gubbio operatore”, appartenente all’omonimo romanzo di Luigi Pirandello (1925); mentre, durante le riprese di un film, si gira una scena con una tigre, un attore uccide un’attrice con un colpo di pistola e viene sbranato dalla tigre: Serafino Gubbio rimane impassibile e continua a effettuare le sue riprese come se niente fosse. Se il romanzo pirandelliano, nel 1925, vuole denunciare la condizione di ‘uomo-macchina’ del personaggio, un essere umano meccanizzato e disumanizzato, si potrebbe pensare che nel 2024 il personaggio di Paolo, che continua impassibile le sue riprese, rappresenti invece una sorta di uomo digitale e digitalizzato.

Sarà un percorso affascinante e sorprendente seguire ognuno di questi personaggi e seguire anche il flashback che occupa il capitolo centrale, dedicato al dipanarsi della vita della protagonista attraverso le sue vicissitudini. Un’immersione in una realtà languida e realistica, metafisica e come persa in una placida nebbia; sarà un piacere allora attraversare le strade e le piazze di indefinite città insieme ai personaggi e trovarsi ad un angolo imprecisato, magari vicino al cinema Diabolique, un luogo evocativo e dal bellissimo nome, che sa di noir e di fumetto, di anni Sessanta e di cultura pop, e lasciarsi completamente fagocitare.


  1. E. Montale, Tutte le poesie, a cura di G. Zampa, Mondadori, Milano, 1990, p. 111. 

  2. Ibid

  3. Cfr. C. Cassola, Il film dell’impossibile, in Id., La visita, Einaudi, Torino, 1982, p. 7 e seguenti. 

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Quando i luoghi raccontano le storie, fra Livorno e New York https://www.carmillaonline.com/2021/06/10/quando-i-luoghi-raccontano-le-storie-fra-livorno-e-new-york/ Thu, 10 Jun 2021 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66694 di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, effequ, Firenze, 2020, pp. 364, € 18,00.

Nel recente romanzo di Emiliano Dominici, Gli anni incerti, molto probabilmente, è lo spazio a divenire protagonista e narratore, un vero e proprio “spazio temporalizzato, in cui si percepiscono la storia pubblica, le storie individuali, i conflitti: un paesaggio urbano fortemente polifonico”1. Lo spazio, quindi, diviene una sorta di interlocutore privilegiato per noi lettori, si espande e si racconta, sotto la lente [...]]]> di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, effequ, Firenze, 2020, pp. 364, € 18,00.

Nel recente romanzo di Emiliano Dominici, Gli anni incerti, molto probabilmente, è lo spazio a divenire protagonista e narratore, un vero e proprio “spazio temporalizzato, in cui si percepiscono la storia pubblica, le storie individuali, i conflitti: un paesaggio urbano fortemente polifonico”1. Lo spazio, quindi, diviene una sorta di interlocutore privilegiato per noi lettori, si espande e si racconta, sotto la lente della stratificazione temporale che ne mostra i cambiamenti, come bene ha dimostrato, riguardo alla letteratura, Silvia Albertazzi con il suo saggio dal titolo In questo mondo, ovvero quando i luoghi raccontano le storie. La letteratura, del resto, ha trasformato molto spesso lo spazio in cui le storie vengono ambientate in vero e proprio protagonista: si potrebbe pensare alla Londra di Dickens, alla San Pietroburgo di Dostoevskij o alla Brooklin di Auster, oppure, in ambito italiano, alla Ferrara di Bassani, alla Roma di Pasolini e, relativamente alla narrativa contemporanea, alla Milano di Alessandro Bertante, oggetto di un vero e proprio esperimento di “geopoetica”, ovvero di “riscrittura creativa dei fenomeni naturali e del territorio”2.

Emiliano Dominici punta la sua lente narrativa su Livorno, sua città d’origine. Ne Gli anni incerti, a maggior ragione, si può affermare che sia lo spazio a narrare la storia perché, appunto, questa comincia prima della nascita dei protagonisti, dal loro concepimento, secondo una strategia narrativa adottata, in forma sperimentale, già da Laurence Sterne col suo Tristram Shandy, che inizia infatti dal concepimento del protagonista. Jerry, Giulia e Guido, all’inizio non sono ancora nati: e se il primo nasce a New York e la seconda ad Assisi (a Livorno nascerà solo Guido), sarà proprio Livorno la città che li vedrà riuniti, come un vero e proprio luogo ‘prenatale’, in quanto le loro famiglie sono tutte originarie della città toscana. Significativo è poi il fatto che tutti e tre nascano lo stesso giorno, il 22 giugno 1969, a rimarcare un sottile legame astrale che li unirà tutta la vita. La città può essere considerata come un “luogo prenatale” nel quale vigeva la logica simmetrica di unione col ventre materno, simmetria poi perduta, secondo le teorie di Ignacio Matte Blanco, uno psicanalista cileno, interessante continuatore di Freud. Del resto, il desiderio di simmetria perduta, fin dal mito platonico narrato da Aristofane nel Simposio (in principio gli esseri umani erano androgini poi tagliati in due da Zeus), ha sempre caratterizzato sia il linguaggio erotico che quello mistico: dalla coppia di innamorati divisa e poi ricostituita dei romanzi greci fino a Juan de La Cruz e John Donne3.

Livorno è perciò il luogo in cui vigeva l’unità perduta e nel quale i tre personaggi, mossi reciprocamente da attrazione non solo affettiva ma anche erotica, cercheranno di ricrearla. Quello livornese si configura come un vero e proprio “spazio temporalizzato” che si muove attraverso il tempo. La storia prende infatti avvio nel 1969 e si dipana fino al 2001, realizzando un affresco di storia italiana. I personaggi sono lambiti, direttamente o indirettamente, da momenti significativi degli ultimi decenni del novecento: l’autunno caldo del 1969 (che Vittorio, padre di Guido, da operaio vive in prima persona partecipando a diverse manifestazioni a Pisa), la bomba di Piazza Fontana, lo sbarco sulla Luna, l’omicidio di Pasolini (la cui notizia, ascoltata in televisione, provoca il pianto di Alberta, madre di Jerry), gli anni di piombo, il ‘riflusso’ e il disimpegno degli anni Ottanta, le manifestazioni studentesche degli anni Novanta (il movimento della Pantera, vissuto dai tre ragazzi studenti all’università di Pisa) fino soltanto a intravedere la contestazione di Genova 2001.

Gli spazi ‘temporalizzati’ sono fondamentalmente due: Livorno e New York. Jerry nasce nella metropoli americana (a Central Park, durante un concerto dei Grateful Dead) e questa assume una rilevante importanza narrativa già nei momenti iniziali, in cui la madre Alberta la percorre in lungo e in largo insieme al bambino. Livorno è il luogo in cui i tre si incontrano e stipuleranno la loro eterna amicizia. Allora, nella prima parte del romanzo ci scorre sotto gli occhi una Livorno fine anni Sessanta e inizio anni Settanta. La sapiente scrittura di Dominici sembra dipanare sotto i nostri occhi un vero e proprio “film dell’impossibile”, secondo una definizione offerta da Carlo Cassola: la trasposizione narrativa di un quadro o di una stampa popolare ma anche, si potrebbe aggiungere, di una fotografia dell’epoca. Le vie, le piazze e le case di Livorno sembrano animarsi di vita propria come se, plasticamente, emergessero da una foto a colori di quegli anni, insieme alle persone che le popolano, insieme ai loro abiti, alle loro abitudini e alle loro automobili. Però – si badi bene – la narrazione dell’autore non appare semplicemente cronachistica, come se fosse la pura e semplice trasposizione letteraria di un quadro (come nell’antica ekfrasis), ma si presenta intrisa di vita, della vita quotidiana che sempre uguale si ripete, dei problemi e degli affanni della gente comune, dei dolori ma anche delle gioie e delle felicità che possono scaturire da un semplice sguardo. È soprattutto l’anima più popolare di Livorno che emerge dalle pagine di Dominici, dei quartieri più schietti e genuini che egli stesso ama di più.

La storia si espande fin quasi ad affrescare una saga familiare, di quella grande famiglia allargata costituita da genitori, parenti e amici dei tre protagonisti (e, nel corso della narrazione, vedremo una tipologia di famiglia ben lontana da quella ‘tradizionale’ perché una famiglia è costituita da chiunque si voglia bene), rappresentata graficamente come tante piccole stelle in una pagina iniziale del libro, a adornare il triangolo i cui vertici sono costituiti da Jerry, Giulia e Guido (il numero tre, come immagine di unione perfetta, ricorre infatti spesso nel corso della storia). Fra quelle piccole stelle incontriamo anche Capitalismo, il coniglio domestico della famiglia di Guido. Vittorio, da buon comunista, non ha esitato un attimo a scegliere il nome del piccolo animale:

Quando è stato il momento di scegliere il nome, a Vittorio è venuta un’idea: «È brutto? È cattivo? Mangia tutto? Allora lo chiamiamo Capitalismo». Così, quando il coniglio fa le sue cacatine nel soggiorno, Antonella lo apostrofa con «Brutto, Capitalismo!». O quando mangia l’insalata dell’orto, gli urla «Capitalismo, ingordo!». Quando lo sorprende nel letto dei bambini, lo scaccia con uno scappellotto e un «Capitalismo, sparisci!». Ogni volta che sente la moglie gridare contro il coniglio, Vittorio sorride, pensando di avere avuto una buona idea (pp. 47-48).

La narrazione, però, non mette solamente in scena una saga di tipo familiare ma anche, come già accennato, uno spaccato di vita italiana, rispecchiata nel microcosmo livornese. Questo aspetto, probabilmente, è evidente nel sottotitolo del romanzo, Canzone di fine millennio che, rimandando alla musica (un po’ sullo stile di un grande modello come la Pastorale americana di Philip Roth, il cui titolo rimanda a una composizione musicale), vuole trasmettere l’idea di composizione, di lungo canto poetico che appare come un omaggio alla propria terra.

Bisogna anche dire, comunque, che la musica è assai presente nell’intero racconto: dalle canzoni ascoltate dai personaggi fino, a livello formale, agli stessi titoli delle parti in cui è diviso il libro, ripresi, ad esempio, da frasi di canzoni di Nada, De Gregori, Battiato, dei Nirvana e dei R.E.M. L’impianto polifonico del libro (a creare, appunto, un “paesaggio polifonico”) è dato anche dai numerosi riferimenti all’arte, alla letteratura e al cinema. Quest’ultimo emerge soprattutto nel momento in cui Guido, all’università, seguendo il corso di Storia del cinema, si appassiona a molti registi contemporanei. Durante l’occupazione dell’università, nel Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo viene allestita una rassegna sulla Nouvelle Vague e i protagonisti sono attratti, non a caso, da Jules e Jim (1962) di François Truffaut. Guido, Giulia e Jerry si identificano nei personaggi del film e nelle loro incessanti scorribande all’insegna del triangolo erotico che li unisce. E, a tale proposito, si potrebbero ricordare anche i protagonisti di Bande à part (1964) di Jean-Luc Godard che, fra le loro scorribande attraverso Parigi, compiono anche una corsa nelle sale del Louvre, sequenza citata da Bernardo Bertolucci in The Dreamers (2003).

Perché, alla fine, anche Guido, Giulia e Jerry sono tre sognatori che non si sono fermati di fronte alla realizzazione dei propri sogni, accettando di essere se stessi fino in fondo: la pittura per Guido, lo studio della letteratura per Giulia, le Scienze per Jerry. Fino al sogno più difficile e probabilmente più importante, quello di mantenere intatta un’amicizia che è molto di più, che di volta in volta si trasforma in fraternità, eros, amore, affetto, attrazione sessuale. E, per capire davvero se, alla fine, sono riusciti a realizzare questo sogno, non resta altro da fare che inerpicarsi attraverso l’avvolgente e intrigante narrazione de Gli anni incerti.


  1. M. Fusillo, Estetica della letteratura, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 184. 

  2. Ivi, p. 184. 

  3. Cfr. I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi, Torino, 2000, pp. 118-119 e pp. 345-346. 

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