Cartesio – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 03 Nov 2025 21:00:51 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “Serbatoio di immaginazione” e dinamiche del controllo: l’eterotopia della nave nella letteratura e nel cinema https://www.carmillaonline.com/2016/07/06/serbatoio-immaginazione-dinamiche-del-controllo-leterotopia-della-nave-nella-letteratura-nel-cinema/ Wed, 06 Jul 2016 21:30:58 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=31363 di Gioacchino Toni

nuovomondo13Paolo Lago, La nave lo spazio e l’altro. L’eterotopia della nave nella letteratura e nel cinema, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 222 pagine, € 20,00

Nel saggio La nave lo spazio e l’altro, Paolo Lago, riprendendo il concetto di eterotopia sviluppato da Michel Foucault, analizza lo spazio della nave come “eterotopia per eccellenza” – luogo senza luogo, spazio in movimento diretto verso altri luoghi sconosciuti, scrigno di sogni – in svariati autori della letteratura e del cinema. Tale analisi conduce lo studioso ad individuare alcune grandi tipizzazioni: navi emigranti [...]]]> di Gioacchino Toni

nuovomondo13Paolo Lago, La nave lo spazio e l’altro. L’eterotopia della nave nella letteratura e nel cinema, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2016, 222 pagine, € 20,00

Nel saggio La nave lo spazio e l’altro, Paolo Lago, riprendendo il concetto di eterotopia sviluppato da Michel Foucault, analizza lo spazio della nave come “eterotopia per eccellenza” – luogo senza luogo, spazio in movimento diretto verso altri luoghi sconosciuti, scrigno di sogni – in svariati autori della letteratura e del cinema. Tale analisi conduce lo studioso ad individuare alcune grandi tipizzazioni: navi emigranti e dell’esilio; navi dell’avventura; navi “infernali”, mostruose e spettrali; navi della ricerca e dell’erranza; navi ferme e in disarmo. Il saggio, con un occhio di riguardo alle dinamiche sociali, ricostruisce dunque il mutevole funzionamento dello spazio eterotopico nelle diverse tipologie di imbarcazioni verificando come l’eterotopia-nave possa configurarsi come un “serbatoio di immaginazione” in grado di sfuggire alle dinamiche del controllo. La nave nella letteratura e nel cinema è pertanto analizzata dall’autore come spazio sociale così come spazi sociali risultano essere i luoghi che essa mette in comunicazione.

In apertura del volume viene ripreso il concetto di eterotopia sviluppato da Michel Foucault: se con il termine utopia si può indicare uno spazio privo di un luogo reale, con il termine eterotopia lo studioso francese indica invece un luogo reale ma separato dal contesto quotidiano in cui viviamo. Si possono avere, sempre secondo Foucault, “eterotopie di crisi” (luoghi riservati a chi è in uno stato di crisi rispetto alla società) ed “eterotopie di deviazione” (luoghi in cui vengono confinati individui con comportamenti devianti rispetto alle norme che regolano la società). Eterotopie sono anche i cimiteri, le biblioteche, i teatri, i cinema, i musei, i villaggi vacanze ed, in generale, quelli che l’antropologo Marc Augé ha definito “non luoghi”. Altre caratteristiche delle eterotopie individuate da Foucault sono il loro essere dotate di un sistema di chiusura/apertura che le rende isolate/penetrabili ed il fatto che esse istituiscono uno “spazio illusorio” che palesa come lo “spazio reale”, al di fuori di esse, sia ancora più illusorio. Da pare nostra abbiamo già avuto modo di affrontare il concetto di eterotopia sviluppato dalle produzioni audiovisive analizzando [su Carmilla] il saggio curato da Sara Martin, La costruzione dell’immaginario seriale contemporaneo. Eterotopie, personaggi, mondi (2014).

Dopo un prologo incentrato sull’Odissea come opera archetipale dedicata ai viaggi via mare, il primo capitolo del saggio si occupa delle “Navi emigranti e dell’esilio”. Le navi di tale tipologia declinano il loro “serbatoio di immaginazione”, nell’approssimarsi alla località d’approdo, come speranza o come angoscia. Lo spazio-nave è però, ricorda l’autore, anche lo spazio ove si prende coscienza della propria condizione di emigrante o di esule. Si tratta, pertanto, di uno spazio di fuga rispetto a ciò che si vuole/deve abbandonare ed al tempo stesso di un contenitore di sogni autonomo rispetto al “fuori”, privo tanto di un punto di partenza che di approdo.

A proposito delle navi emigranti e dell’esilio, lo studioso inizia con l’affrontare opere letterarie e cinematografiche incentrate sul momento dell’approdo alla meta, al “nuovo mondo”. Nel romanzo autobiografico Il primo Dio (pubblicato postumo nel 1978) di Emanuel Carnevali viene raccontata l’esperienza di emigrante dello scrittore e l’analisi dello studioso si concentra su come il microcosmo di immaginazione rappresentato dal transatlantico, si sfaldi improvvisamente alla vista della destinazione. «Si può quindi pensare che, in questo caso, un’eterotopia serva per raggiungere un’utopia; ma non appena quest’ultima viene raggiunta non è più tale, non è più quel paese perfetto e ideale che si credeva» (p. 33). Nell’autobiografia Son of Italy (1924) di Pascal D’Angelo, invece, la nave si mostra inquietante e mostruosa sin dalla partenza, lo scrittore ne parla come di una prigione terrificante. Quello spazio navigante che per Carnevali è un sogno, per D’Angelo è un incubo che sembra attenuarsi soltanto in vista dell’approdo, nel momento in cui ci si prepara ad abbandonare la nave. L’imbarcazione come microcosmo separato dalla terraferma la si ritrova anche in Sull’Oceano (1889) di Edmondo De Amicis, che descrive il transatlantico come frammento della terra natale diretto verso un nuovo mondo sconosciuto. Nel caso di Vita (2003) di Melania Mazzucco, l’imbarcazione, vista con gli occhi di una bambina, diviene spazio fantastico d’avventura ed immaginazione e, in questo caso, non vengono descritti i momenti dell’approdo finale. Tale microcosmo onirico galleggiante sembra vivere per se stesso, come uno spazio “altro” senza partenza né approdo, ove il tempo scorre circolare.

nuovomondo3Per quanto riguarda l’ambito cinematografico, Lago si sofferma su Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese, film che mette in scena una nave di emigranti siciliani diretti a New York. «I sogni degli immigrati, una volta che questi sono sbarcati e sottoposti al controllo e a una rigida selezione, vengono catturati e incasellati dalla “società disciplinare” che li vuole trasformare, reificandoli, in forza-lavoro produttiva all’interno della società industriale; le strutture di potere catturano l’immaginazione degli immigrati» (p. 38). Nel film, alla nave come “serbatoio di immaginazione”, si contrappone la terraferma come luogo di controllo e disciplinamento. Nell’opera di Crialese, sottolinea lo studioso, la nave si presenta come luogo misterioso che incute timore sin dal momento dell’imbarco ma, una volta salpata, man mano che si allontana dalla terra natia, conquista lo statuto di spazio autonomo, di “serbatoio di immaginazione” contenente i sogni e le speranze degli emigranti. In Terraferma (2011), successivo film di Crialese, viene affrontato lo sbarco dei migranti sulle coste italiane. All’arrivo i migranti vengono sottoposti ad un controllo disciplinare del tutto simile a quello a cui erano sottoposti i migranti italiani all’atto dello sbarco sulle coste statunitensi ad inizio Novecento. Viene mostrato anche l’incontro con “l’altro” in termini solidali tra pescatori ed alcuni clandestini ma, sottolinea Lago, per far ciò, è necessario contravvenire alle leggi. Nelle scene finali il “peschereccio solidale” viene mostrato allontanarsi dalla macchina disciplinare, «dal reticolo del controllo che si è stabilizzato fra le isole e le coste italiane e quelle africane [ed] il peschereccio, divenuto “serbatoio di immaginazione”, si dirige lontano dallo spazio del controllo riproducendo la possibilità del desiderio dei migranti di un altrove libero e liberato dalla dinamica della sorveglianza e della cattura» (p. 41).

Sempre all’interno del capitolo dedicato alle navi emigranti e dell’esilio, viene analizzato il romanzo Amerika (pubblicato postumo nel 1927) di Franz Kafka. In tale racconto la nave viene presentata come un ambiente labirintico e caotico che conduce ad un altro grande ambiente labirintico e caotico (New York). Si tratta di un “serbatoio di immaginazione” che offre agli ingenui occhi degli emigranti la visione di un mondo irreale, fantastico e caotico. «Lo spazio della nave, quindi, diviene quasi un’appendice eterotopica del luogo da cui parte e di quello in cui arriva, rispecchiandone le abitudini e le caratteristiche. Fra i due punti di convergenza c’è lo spazio del viaggio, della mescolanza, dell’immaginazione, della fantasia che si appropria utopisticamente del punto d’arrivo» (p. 43).

Una sezione del primo capitolo è dedicata anche alla figura dell’intellettuale che si trova a scrivere nel corso di un viaggio in mare che lo porta verso l’esilio. L’analisi inizia con l’esilio di Ovidio narrato nei Tristia (I sec. d.C.). In questo caso l’esiliato, salendo a bordo della nave, entra in un “altro” luogo ed in un “altro” tempo rispetto alla quotidianità. La scrittura del protagonista avviene dunque in un luogo di rottura assoluta col tempo quotidiano; a bordo, il tempo, è assorbito dallo spazio. L’imbarcazione può dirsi un ambiente liminale, una vera e propria prefigurazione delle sofferenze dell’esilio. «La nave, in questo caso, è perciò uno spazio che si dirige verso una condizione di morte; dalla civilizzata Roma, il centro del mondo, la nave sta portando Ovidio verso territori inospitali e ‘barbari’, abitati da gente selvaggia, rude, violenta e caratterizzati dal freddo e dall’oscurità» (pp. 49-50). Nel saggio viene fatto riferimento anche alla rilettura dell’esilio di Ovidio realizzata da Christoph Ransmayr nel suo Il mondo estremo (1988) ed al romanzo Le passioni dell’anima (2011) di Raffaele Simone, in cui si narra del burrascoso viaggio in mare di Cartesio e della sua permanenza nella fredda ed inospitale Stoccolma. Anche in questo caso la nave si configura come uno spazio liminale che prelude alla solitudine di quello che è vissuto dal Cartesio del romanzo come un esilio. Lago sottolinea come Cartesio, al pari di Ovidio, scriva durante una tempesta in mare, quasi si trattasse di un’anticipazione dello scrivere in terra straniera: «lo spazio della nave diviene un’anticipazione dell’eterocronia dell’esilio, della lontananza, della solitudine in terra straniera» (p. 52). Sia nel caso di Ovidio che di Cartesio, la scrittura in mare sembra generata dalla nave come “serbatoio di immaginazione” che, nell’avvicinarsi all’infausta destinazione, tende a trasformarsi essa stessa in luogo dell’esilio. Nei racconti si assiste ad una metamorfosi dell’eterotopia navigante che genera riflessioni sulla destinazione. «La spazialità della nave che trasporta letterati e intellettuali verso terre sconosciute è quindi essa stessa una creazione letteraria, ed è costruita dalla penna degli autori come una vera e propria anticipazione dell’ambiente che li attende lontano dalla loro patria e dalla sua rassicurante quotidianità» (p. 54).

nuovomondo06Il secondo capitolo del saggio è dedicato alle “Navi nel ‘tempo d’avventura’” e qui, lo studioso, analizza la configurazione dello spazio eterotopico della nave quando questa diviene cerniera narrativa tra avventure. Dopo aver passato in rassegna alcuni esempi tratti dall’antichità, dal romanzo greco – a partire dalle Avventure di Cherea e Calliroe (I sec. a.C. – I sec. d.C.) di Caritone – al Satyricon (I sec. d.C.) di Petronio, Lago si sofferma su Gargantua e Pantagruele (1532) di François Rabelais, romanzo ove la nave si caratterizza come spazio di libertà attraverso cui si possono raggiungere nuovi mondi. Lo studioso mette in luce come, nel caso di Rabelais, ci si trovi di fronte ad un passaggio epocale, dal mondo medioevale alla modernità rinascimentale, ed in linea con gli studi di M. Batchin, Lago sostiene che qui la nave non è una semplice cerniera narrativa fra un’avventura e l’altra, come avviene nel romanzo greco, ma «diventa essa stessa corpo; una nave molto più ‘umanizzata’ che, vero e proprio “serbatoio di immaginazione”, conduce i personaggi verso territori fantastici ai quattro angoli del globo, vettore di spostamento su una geografia nuova, antigerarchica, in cui sempre nuove espressioni culturali stanno progressivamente entrando in libera interazione fra di loro» (p. 72).

A questo punto nel saggio vengono analizzati diversi romanzi settecenteschi in cui i lunghi viaggi in mare conducono ad utopiche terre misteriose e la nave diviene spesso uno spazio liminale ove i personaggi si ritrovano improvvisamente in universi fantastici. In tali testi l’imbarcazione, oltre che luogo dell’avventura e dell’immaginazione, riveste spesso valenze economiche; l’avventura si incrocia al commercio, come avviene nei Viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift, ove la nave incarna tanto la fuga verso l’ignoto, verso l’utopia, quanto il mezzo di “sviluppo economico”. Nel romanzo di Swift la nave con cui, di volta in volta, il protagonista fa ritorno dalle sue avventure è anche “spazio del linguaggio”, del racconto. «Lo spazio per eccellenza del ritorno dall’ignoto, dall’avventura, dall’Utopia è la nave, ed è tale spazio che permette il dispiegarsi della scrittura; una scrittura che nell’ottica swiftiana vuole insegnare, rendere migliori gli uomini. La nave dovrebbe configurarsi come lo spazio di un arricchimento culturale tramite la libertà dell’immaginazione, non come il mezzo di un cieco sviluppo economico che non esita a colonizzare e conquistare le popolazioni in modo barbaro e crudele» (p. 77).

Nel romanzo Viaggi di Enrico Wanton ai regni delle scimmie e dei cinocefali (1749) di Zaccaria Seriman, si racconta di un viaggiatore che entra a far parte del microcosmo navigante con sete di conoscenza, pur spaventato dal doversi staccare dallo spazio-tempo quotidiano della terraferma. L’eterotopia si configura qua come spazio dello studio e della scrittura in vista degli incontri con nuove popolazioni; «la nave è veramente una finestra aperta sull’Altro, un ‘altro da sé’ da studiare in modo scientifico e razionale secondo un metodo che anticipa quello della moderna etnografia» (p. 79). Ai momenti di permanenza sulla terraferma spetta invece la fase empirica, il contatto con l’Altro in carne ed ossa.

Nel caso di Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe, per tutta la prima parte del romanzo, la nave può essere interpretata come il mezzo con cui ci si allontana dalla tranquilla ed operosa vita borghese, dunque come “spazio sovversivo”, come eterotopia che proietta il protagonista verso un altrove che finirà con l’avere la forma di una nuova eterotopia: l’isola. La nave funziona anche come spazio di salvezza durante la permanenza obbligata sull’isola; dall’imbarcazione, restata praticamente intatta su una secca, il protagonista recupera alimenti ed utensili utili alla sopravvivenza. La nave, vista dall’isola-prigione, assume una forte carica immaginativa che la connota come spazio di libertà. Lago segnala, inoltre, come nel romanzo l’imbarcazione abbia anche «una spiccata valenza commerciale e mercantile, mentre lo stesso protagonista assume le caratteristiche del moderno homo economicus della società capitalistica e borghese» (pp. 82-83). Ed infatti, se nella prima parte del libro la nave è spazio di allontanamento dall’economia borghese, nella seconda parte il valore commerciale del viaggio e della stessa nave finisce con l’avere il sopravvento. L’economia riprende il sopravvento sull’avventura. In Robinson Crusoe «la nave appare sia come una via di fuga dal quieto mondo borghese della famiglia di Robinson, sia come uno strumento utilizzato da quella stessa società inglese per arricchirsi e poter mantenere quello status sociale di benessere. L’avventura e il commercio, nel romanzo di Defoe, appaiono quindi come le facce di una stessa medaglia: la nave, come una sorta di Giano bifronte, le incarna entrambe» (p. 84).

All’interno del secondo capitolo l’autore affronta anche Candido, o l’ottimismo (1759) di Voltaire concentrandosi sulla nave diretta a Buenos Aires che, secondo Lago, può essere identificata, oltre che come cesura narrativa che conduce i protagonisti verso nuove avventure, anche come spazio di riflessione e di preparazione degli stessi a fare ingresso in un nuovo mondo. La valenza commerciale della nave è presente anche in questo romanzo ma, secondo lo studioso, qua è connotata decisamente in maniera più negativa rispetto agli altri romanzi settecenteschi analizzati. «L’immagine della nave mercantile che salpa per l’Europa dopo aver derubato l’ingenuo Candido ha […] una forte connotazione simbolica poiché rappresenta il lato negativo di quello “sviluppo economico” che non esita a sfruttare, derubare e imbrogliare» (pp. 85-86).

nuovomondo02A proposito di navi e di avventura, l’autore non poteva che affrontare il mondo dei pirati a partire da un libro esemplare in tal senso come L’isola del tesoro (1883) di Robert Louis Stevenson, per poi trattare un curioso romanzo contemporaneo, La vera storia del pirata Long John Silver dello scrittore svedese Björn Larsson, che palesa una sorta di rapporto ipertestuale con l’opera di Stevenson. Uno spazio del capitolo è dedicato anche alla tipologia della “nave-carcere” attraverso l’analisi del romanzo Viaggio al termine della notte (1932) di LouisFerdinand Céline e del film Satyricon (1969) di Federico Fellini. Nel primo caso, afferma Lago, non abbiamo alcuna soglia tra la terraferma e la nave; il passaggio del protagonista «nell’eterotopia della nave avviene […] entro una dimensione onirica che ce la fa apparire in una veste nuova: se, precedentemente, i personaggi che si sono imbarcati hanno sempre guardato la nave dal di fuori, prima di salirvi, caricando questo sguardo di sognante immaginazione e fantastiche aspettative, oppure di ansie e pensieri angosciosi, adesso […] ci appare già vista dal di dentro» (p. 95). La nave del romanzo di Céline resta ancora un “serbatoio di immaginazione” seppur diretto verso un’utopia in negativo. Nel film di Fellini, invece, l’imbarcazione non pare avere a che fare con il “serbatoio di immaginazione”, essa si presenta piuttosto come luogo di viaggio infernale. Lago ricorda come in Fellini, la nave come “serbatoio di immaginazione” faccia invece palesemente la sua comparsa nel film E la nave va (1983); in questo caso l’imbarcazione può dirsi microcosmo simbolico della fantasmagoria del mondo dello spettacolo che non si ferma nemmeno di fronte al dramma dello scoppio della Grande guerra.
Il capitolo si chiude con l’analisi del romanzo Roderick Duddle (2014) di Michele Mari. In questo caso, l’eterotopia della nave si caratterizza come spazio del sogno, tanto che anche la (inevitabile) tempesta sembra configurasi come un sogno legato al desiderio d’avventura del protagonista.

Il terzo capitolo del saggio è dedicato alle “Navi della ricerca e dell’erranza”. In questo caso i testi presi in esame sono Le Argonautiche (III sec. a.C.) di Apollonio Rodio e Moby Dick (1851) di Hermann Melville. Si tratta di opere in cui i protagonisti solcano il mare alla ricerca di un “oggetto del desiderio” (il Vello d’oro e la balena bianca) ma che assumono connotazioni erratiche. «La ricerca si unisce perciò al nomadismo e all’erranza: la nave non è più uno spazio di congiungimento tra due sponde, ma un universo lanciato dietro una ricerca nomadica in territori sempre più lontani e sconosciuti» (p. 107).

Alle “Navi mostruose, ‘infernali’, perturbanti, spettrali” è, invece, dedicato il quarto capitolo del volume, ove vengono affrontati viaggi marittimi in cui il “serbatoio di immaginazione” diviene “serbatoio di incubo”. Eterotopie naviganti di tale specie le ritroviamo in Storia di Gordon Pym di Edgar Allan Poe – ove «lo spazio della nave non possiede più positive connotazioni avventurose o picaresche; il desiderio di scoperta e di avventura del protagonista si infrange contro il nulla dell’orrore» (p. 129) – e nel romanzo I pirati fantasma (1909) di William Hope Hodgson, ove la nave spettrale appare totalmente slegata dallo spazio-tempo tradizionale. All’interno di questo capitolo l’autore prende in esame anche il film The Fog (1980) di John Carpenter. In tal caso viene raccontata la storia di una nave spettrale popolata da fantasmi di lebbrosi (il rimando alla “nave dei folli” rinascimentale è evidente) che si presenta al cospetto di una cittadina americana per punire le colpe degli avi degli abitanti, rei di avere, un secolo prima, affondata la nave col suo carico di malati a bordo. La nave degli spettri appare davvero una nave proveniente da un mondo “altro” e tale “serbatoio di incubo”, come in molte opere di Carpenter, si presenta come minaccia della quieta, quanto cinica, società borghese.

A proposito di navi fantasma, non poteva mancare un riferimento al mito nordico dell’Olandese volante, vascello fantasma condannato a navigare in eterno, che ha ispirato parecchie trasposizioni nelle più diverse arti. Lago si sofferma in particolare sul romanzo La nave fantasma (1839) di Frederick Marryat e sull’opera L’Olandese Volante (1841) di Richard Wagner. Nel caso del romanzo lo studioso segnala come la nave spettrale appaia come un’eterotopia che non si limita ad istituire un “tempo altro”; in questo caso lo scorrere del tempo è annullato. La nave fantasma di Marryat è uno spazio senza tempo, è «lo spazio della leggenda, di un altrove in cui l’immaginazione e l’incubo si confondono; uno spazio senza tempo condannato in eterno a solcare il mare, luogo metaforico per eccellenza della libertà, dell’erranza nonché della perdita del sé» (pp. 137-138).

Lo spazio della nave ne Il compagno segreto (1910) di Joseph Conrad, è, invece, lo spazio del perturbate attraverso cui lo scrittore, secondo Lago, decostruisce lo spirito avventuriero e colonialista ottocentesco: «Conrad presenta una situazione assolutamente realistica e verosimile, lontano dai dettami della letteratura fantastica. Lo spazio della nave che fa la spola fra la ‘civilizzata’ e ‘razionale’ Inghilterra e l’universo ‘straniero’ delle colonie si riduce a un “battello di morti” minacciato dall’Inferno. Segno che forse – anche se il capitano riuscirà a condurre in salvo la nave – qualcosa sta cambiando: su quell’imperialismo marittimo di età vittoriana cominciano a formarsi delle crepe. L’avventura imperialista inizia inevitabilmente a decadere» (p. 144).

eterotopie-paolo_lago_coverIn alcune opere lo spazio della nave si presenta come vero e proprio inferno capace di trasformare gli stessi personaggi che lo abitano in esseri infernali. Le descrizioni ricorrono spesso ad una terminologia rimandante alla malattia ed al disfacimento fisico. Il negro del “Narciso” (1897) di Joseph Conrad è esemplare a tal proposito. Qui lo spazio della nave diviene lo spazio della malattia a cui si aggiunge una spaventosa tempesta e gli effetti della malattia sembrano placarsi soltanto all’arrivo della nave in Inghilterra, quando l’eterotopia si rompe al salire sulla nave delle persone della terraferma. Connotazioni infernali delle imbarcazioni si ritornavano anche in altri romanzi conradiani ed, in generale, secondo Lago, lo «spazio della nave che commercia con le colonie, in Conrad, è […] spesso segnato dalla malattia e dal disfacimento dei corpi dei membri dell’equipaggio. L’Imperialismo è ormai malato; lo spazio navigante che collega madrepatria e colonie si riduce ad un inferno di uomini malati e affaticati, paragonati a cadaveri o a maschere grottesche segnate dalla morte» (p. 153).

Seppure in maniera differente, anche Louis-Ferdinand Céline rappresenta la decadenza del colonialismo nel romanzo Viaggio al termine della notte (1932). Nuovamente lo spazio della nave che porta verso le colonie si presenta come “serbatoio d’incubo”, come spazio della malattia e del decadimento; le colonie divengono luoghi dannati che nulla hanno più a che fare con il sogno.
Invece, nel caso del romanzo La nave morta (1932) di B. Traven, la nave è sì spazio infernale ma, rispetto alla terraferma, ove non è possibile vivere senza un’identità attestata dai documenti, è pur sempre un inferno in cui, sottraendosi alla logica del controllo, il protagonista riesce a ritrovare una dimensione più autentica.

Uno spazio importante, all’interno di questo quarto capitolo, è dedicato alla nave del vampiro a cui hanno mirabilmente dato immagine Friedrich Wilhelm Murnau, nel film Nosferatu (1922) e, successivamente, Werner Herzog nel suo Nosferatu, Principe della Notte (1979). Nei due film Lago individua nella nave «il mezzo con il quale la forza infernale e irrazionale del vampiro giunge a minare il sicuro e razionale ordo borghese dell’Occidente; il suo è uno spazio spettrale che conduce, per mezzo di un ennesimo viaggio dell’incubo, il diverso ed il nomade verso i territori industrializzati del cuore dell’Europa. Il deserto, lo spazio liscio, la potenziale colonia lontana, adesso, attaccano l’Occidente colonizzatore per annientarlo» (pp. 165-166)

Nel quinto capitolo vengono passate in rassegna le “Navi ferme e in disarmo”. Nei romanzi di Álvaro Mutis, Ilona arriva con la pioggia (1988) e di Jean-Claude Izzo, Marinai perduti (1997), la terraferma finisce col contaminare la vita dei marinai a cui è momentaneamente preclusa la vita in alto mare, mentre nel romanzo L’isola del giorno prima (1994) di Umberto Eco e nel film I love Radio Rock (2009) di Richard Curtis la nave è ferma al largo, dunque mantiene una certa autonomia dalla terraferma.

Nel romanzo di Mutis lo spazio della nave, nel momento in cui si avvicina a terra, «viene gradatamente invaso da un altro spazio e un altro tempo gravidi di ripetitivi rituali, subalterni alle dinamiche della quotidianità e del controllo» (p. 171). Dunque, il contatto con la terraferma determina «il progressivo sfaldarsi dell’eterotopia navigante e l’oscurarsi graduale del “serbatoio di immaginazione” che essa era stata: la “polizia”, la struttura del controllo sale a bordo e comincia ad annichilire l’assolata bellezza dei corsari e le sue dinamiche di immaginazione e di libertà» (p. 172). Si palesa così una contrapposizione tra lo spazio navigante, spazio della libertà e dell’avventura, e lo spazio della terraferma, spazio razionale e della quotidianità. Nell’essere obbligatoriamente bloccata in porto, la nave del romanzo di Izzo è costretta a sottostare alle regole del controllo statale, dunque finisce per divenire «il nucleo irradiante dal quale si dipartono tante linee di fuga verso la città e il suo spazio. I marinai, una volta a terra, sono “perduti”, quasi snaturati, e danno inizio a una serie di intersezioni con la terraferma che li trasforma fin quasi a perdere coscienza di sé» (p. 178). Come in molti romanzi di Izzo, ancora una volta, è Marsiglia la vera protagonista del libro, tanto che, nel venire a contatto con la nave bloccata in porto, è come se la città la fagocitasse, la trasformasse in una sua appendice.

Secondo lo studioso la nave ferma del romanzo di Eco può essere, invece, considerata «un complesso “mondo possibile”, creato in tutto o in parte dalla fantasia e dalle ossessioni di Roberto (e, dietro di lui, dal narratore onnisciente): un altro “serbatoio di immaginazione” che, anche se non in movimento, anche se non congiunge paesi e continenti, riesce a creare infiniti mondi, sogni, pensieri di pensieri» (p. 171).
Il film I love Radio Rock di Curtis narra di una stazione radio pirata che, nel 1966, trasmette all’Inghilterra musica rock da una nave ancorata al largo, quando i canali radiofonici ufficiali si ostinano a non prenderla in considerazione. Si tratta di una nave bloccata al largo, che non viaggia più ma capace di far «viaggiare la parola e il linguaggio in una dinamica di contestazione allo spazio ‘quotidiano’ della terraferma. Dall’eterotopia della nave si dipartono voci, parole e musica che minano alle sue basi la stanca società e il suo linguaggio d’ordine, regolato da meccanismi disciplinari» (p. 182). Dunque, suggerisce Lago, ricorrendo alle parole di Foucault (Spazi altri), lo spazio della nave, in questo caso, può essere considerato «una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo» (pp. 182-183). In tale film, continua Lago, la nave è «un’eterotopia della contestazione che si muove pur stando ferma, che possiede non il movimento (non a caso, quando proverà a muoversi si guasterà e colerà a picco) ma la velocità. Una velocità ‘nomadica’ che, dal mare aperto, dallo spazio liscio di un deserto marino, muove una pacifica e terribile guerra all’apparato statale immobile e sedentario» (p. 184).

croc_naufrIl volume La nave lo spazio e l’altro, si conclude con “Un epilogo postmoderno: la crociera”, in cui l’autore passa in rassegna la crociera, «vero e proprio “serbatoio di immaginazione” creato a tavolino, uno spazio postmoderno emblema dello sfarzo e del declino della società occidentale capitalistica» (p. 185) raccontata dal romanzo Una cosa divertente che non farò mai più (1997) di David Foster Wallace e dalle opere cinematografiche Un film parlato (2003) di Manoel De Oliveira e Film Socialisme (2010) di Jean-Luc Godard.

Il romanzo di Wallace presenta la crociera come microcosmo spettacolare, becero e meschino, della società capitalistica statunitense. Il film di De Oliveira ricorre alla nave come simbolo dell’intera società occidentale contemporanea, segnata dalla forza razionale della parola, che si trova improvvisamente ed inaspettatamente a fare i conti con il suo doppio oscuro ed irrazionale che la fa saltare in aria. «Il terrorismo e il suo orrore non è altro che una mannaia che il razionalismo capitalista si è autoimposto, una mannaia direttamente collegata a terribili errori compiuti nel passato da quello stesso razionalismo. La nave da crociera, quel “trionfo calvinista del capitale e dell’industria sulla primitiva forza corrosiva del mare”, secondo le parole di Wallace, simbolo della società occidentale, è adesso devastata dalla morte e dalla distruzione. Ancora una volta, in fondo a quel “serbatoio di immaginazione”, rimane soltanto l’orrore, stavolta non letterario, ma crudamente e terribilmente reale» (p. 193). Nel caso di Godard la nave è un «postmoderno scrigno del divertimento ostentato e del benessere occidentale, […] simbolo di una società, di un popolo, di un continente» (p. 193). Quella di Godard è una nave alla deriva, che si allontana dall’Africa, dimentica delle sue colpe coloniali. «Sembra che nella società contemporanea dominata dal Capitalismo maturo anche la stessa eterotopia della nave si infranga per lasciare spazio al nuovo mondo globalizzato e livellato, diretto verso un inesorabile declino» (p. 195).

Nell’individualismo più sfrenato a cui l’occidente capitalista ha condotto l’umanità sembra ormai tramontato anche l’invito all’arrangiarsi, al “si salvi chi può!”. La crociera postmoderna narrata da questi autori sembra piuttosto palesare l’impossibilità della salvezza. “Salvarsi non si può!”

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Tutte le immagini sono tratte dal film Nuovomondo (2006) di Emanuele Crialese tranne l’ultima che mostra il famoso naufragio del 2012, nei pressi dell’isola del Giglio, della medesima nave da crociera utilizzata nel Film Socialisme (2010) di Jean-Luc Godard.

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Arte e cultura materiale https://www.carmillaonline.com/2015/05/17/arte-e-cultura-materiale/ Sat, 16 May 2015 22:01:14 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22298 di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi [...]]]> di Gioacchino Toni

Il rapporto omologico tra produzione artistica e fattori materiali in Renato Barilli

arte e cultura materiale barilliNell’ambito degli studi artistici, l’originalità della proposta di Renato Barilli consiste nell’incentrare l’analisi  attorno al rapporto che si determina tra tecnologia, modalità di produzione e di circolazione delle merci e degli individui, e capacità di immaginare e progettare il futuro, attività che pertiene alle arti ed alle scienze. Nell’analizzare il rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica, l’autore riprende la nozione di rapporto omologico tra struttura e sovrastruttura proposta da Lucien Goldman per poi articolare il proprio approccio facendo interagire le riflessioni di McLuhan e le proposte avanzate da Erwin Panofsky nel noto saggio giovanile La prospettiva come forma simbolica.

Ricostruendo l’imponente produzione dello studioso, conviene abbandonare l’ordine di pubblicazione dei diversi saggi e partire dal recente e voluminoso Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche, uscito sul finire del 2011, ove vengono presi in esame quasi tre millenni di arte occidentale letta ed interpretata attraverso un rigoroso impianto metodologico argomentato dall’autore in Scienza della cultura e fenomenologia degli stili (1982, nuova ed. 2007). Nonostante le seicento pagine, il testo del 2011, non pretende, né potrebbe, offrire un’analisi dettagliata di un periodo storico tanto ampio da spaziare dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche di inizio Novecento; l’intento dell’opera è piuttosto quello di affrontare la produzione artistica dei millenni esaminati individuando quelli che possono essere ritenuti gli snodi essenziali derivati dall’impostazione sviluppata dallo studioso nel corso di diversi decenni di ricerca ed insegnamento universitario.
Alcuni dei periodi storico-artistici trattati dal saggio sono stati approfonditi precedentemente dall’autore attraverso voluminosi testi specifici come Maniera Moderna e Manierismo (pubblicato nel 2004), L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Fussli a Delacroix (pubblicato nel 1995) e L’arte contemporanea (1984, nuova ed. 2014). Le parti riguardanti l’antichità ed il periodo medioevale fanno invece il loro esordio, almeno in maniera strutturata, in questo imponente e recente volume e, per certi versi, rappresentano la vera novità utile a completare la ricerca. Occorre sottolineare che, nel saggio, non mancano interessanti “inserti di collegamento” tra i periodi affrontati dettagliatamente in altri testi.

NC intro NoordaLa trattazione inizia con l’analisi della scultura greca dall’arcaismo all’Ellenismo. Vengono, pertanto, passati in rassegna celebri kouroi e korai del periodo arcaico, alcune note realizzazioni di età classica, di Policleto e Fidia, e tardoclassica, di Lisippo, Skopas e Prassitele, sino a giungere al dinamico intreccio tra i copri caro alla produzione ellenistica, come il Gruppo del Laocoonte e l’Altare di Pergamo. L’analisi barilliana segnala come le trasformazioni stilistiche che hanno portato dalle rigidità distaccate della statuaria arcaica ai movimentati grovigli ellenistici siano rapportabili alle trasformazioni che hanno visto saltare i confini tra le singole e separate Poleis di età arcaica e classica.
Sempre in ambito antico, l’analisi prosegue con l’epopea romana individuando nell’Ara Pacis Augustae il punto di partenza per esaminare quello che si rivela essere un percorso di lenta e graduale perdita di naturalismo e di individuazione delle singolarità umane in favore di un livello crescente di stilizzazione. Alle figure umane ripetute quasi meccanicamente si accompagnano però scenari ben dettagliati. Di pari passo l’analisi di Barilli evidenzia come dal centralismo di Roma Caput mundi dell’età augustea, la situazione si evolva verso un impero sempre meno centralizzato e centralizzabile. Già nella Colonna Traiana iniziano a palesarsi elementi di stilizzazione, di replica stereotipata delle figure. Per certi versi, stilisticamente parlando, può dirsi iniziato un processo di conquista del centro da parte della periferia. Si assiste ad un’inversione di marcia: non è più Roma a dettare, ad esportare, “la linea” ma è la provincia a premere sulla capitale trasformandone lo stile. La successiva Colonna Antonina sembra essersi liberata dei dettagliati sfondi presenti nel rilievo della precedente, le figure umane sembrano ora muoversi nel vuoto. Nei sarcofaghi realizzati tra il II ed il III secolo si assiste ad un bilanciamento tra naturalismo ed astrazione; alle ancora evidenti conoscenze anatomiche e proporzionali si affianca una composizione in cui i personaggi risultano allineati sul primo piano. L’instaurazione di un regime tetrarchico che politicamente coincide con una sorta di «moltiplicazione per quattro dei centri di potere e di comando dell’impero, attraverso una vera e propria clonazione» trova la sua «corrispondenza omologica a livello stilistico di questo principio di clonazione (…) nel gruppo dedicato ai quattro Tetrarchi, elaborato a Costantinopoli e quindi trasportato a Venezia, a San Marco». Tale monumento, nella marcata specularità delle figure e nel senso di contrazione e di annullamento delle anatomie che sembrano ormai avviate a collassare, evidenzia bene la situazione politico-istituzionale venutasi a creare.
L’avvento del cristianesimo, per opera di Costantino, rivoluziona l’arte a livello tematico ma non dal punto di vista stilistico; a trionfare è l’isolamento delle figure disposte in ordine una accanto all’altra senza alcun rapporto. È la proliferazione di altrettanti mondi chiusi tanto uguali quanto privi di contatto e, tale isolamento delle figure, rimanda inevitabilmente al processo di lenta ed inesorabile implosione della rete viaria romana. Non c’è da stupirsi se in ambito paleocristiano la produzione artistica resta legata all’astrazione e la scelta di realizzare i grandi cicli figurativi a mosaico è da interpretarsi come una precisa scelta stilistica. Considerando le maggiori decorazioni musive di Ravenna, appaiono evidenti i caratteri stilistici dominanti: figure prive di volume disposte frontalmente ed allineate in maniera stereotipata alla medesima altezza e distanza. La semplificazione e lo schematismo di derivazione bizantina tendono a rendere le figure simili ad ideogrammi, ed all’aumentare del livello di astrazione, diminuisce la distanza tra parole ed immagini, tanto che, in taluni casi, convivono agevolmente.
Tra il VI e l’inizio del XI secolo il panorama artistico resta pressoché bloccato così come bloccata appare la società dominata da un sistema feudale costituito da una miriade di centri di potere pressoché incomunicanti: «Languisce il reticolo delle vie di comunicazione, e assieme ad esso pure la prospettiva diviene assolutamente impervia, impraticabile, priva di qualsiasi utilità». È attorno alla seconda metà del XI secolo che le cose iniziano lentamente a cambiare, in concomitanza con la ripresa dello studio del diritto romano, forte della sua portata universalistica; «il particolarismo dei Comuni non è ostile alla restaurazione di reti viarie, ovvero i Comuni dialogano tra loro, le rispettive merci devono viaggiare lungo direttrici riattivate (…) e dunque, il particolarismo, la pluralità dei centri si concilia col tentativo di accedere ad una legislatura unitaria, esattamente come avveniva tra le poleis della grecità, fieramente autonomiste, pronte anche a darsi battaglia, ma unificati nei caratteri di una civiltà abbastanza omogenea». Di pari passo alla riesumazione del diritto romano come elemento unificante, dal punto di vista stilistico l’arco a tutto sesto tende ad imporsi come elemento unificante nell’architettura dell’intera Europa. Le lastre modenesi di Wiligelmo, nel XII secolo, mostrano come sia possibile iniziare a mettere in discussione i canoni di una rappresentazione eseguita per clonazione dei personaggi disposti con regolarità stereotipata. Il grande scultore manifesta, davvero in anticipo rispetto ai tempi, l’inizio di una fase espansiva ove il protagonista è sempre meno disposto ad accettare di dover sottostare a rigide partizioni modulari. Lo stesso Antelami, in quel di Parma, pur manifestando certamente una maggior padronanza anatomica rispetto a Wiligelmo, risulta meno propenso ad abbandonare la sottomissione delle scene ad un generale ritmo paratattico.

barilli_maniera_manierismoIl corposo volume continua la sua trattazione fino a passare in rassegna le avanguardie storiche ma, giunti a questo punto vale la pena proseguire il cammino affrontando il periodo storico-artistico che inaugura la modernità attraverso l’approfondimento proposto dal saggio Maniera Moderna e Manierismo (Recensito su Carmilla). Qui Barilli si addentra nell’epopea artistica moderna recuperando la proposta vasariana dell’evoluzione stilistica basata sulle famose “tre maniere” che indirizzano l’arte verso una resa mimetica della realtà. Si passa pertanto dall’introduzione di elementi di aderenza al reale, nella prima maniera, ad un loro sviluppo scientifico, grazie, soprattutto, al ricorso ad un preciso tipo di prospettiva, nella seconda, sino al raggiungimento di esiti naturalistici, con tanto di resa atmosferica e rappresentazioni sciolte e vitali, nell’ultima maniera, quella detta moderna, appunto, che vede tra gli assoluti protagonisti autori come Leonardo, Raffaello e Tiziano.
La nascita dell’epopea artistica moderna si lega, nella lettura barilliana, all’introduzione di una prospettiva di tipo scientifico, indicata da Panofsky quale forma simbolica della modernità, nel suo proporre/imporre una precisa visione del mondo in anticipo di un secolo e mezzo rispetto agli studi di Galilei, Cartesio e Newton. All’introduzione della prospettiva scientifica si aggiunge un’altra fondamentale invenzione volta a normalizzarne ed a diffonderne la logica retrostante: la tipografia a caratteri mobili introdotta da Johan Gutenberg. Tale innovazione sistematizza l’impatto visivo della pagina stampata, con le relative implicazioni concettuali, in maniera analoga a quanto fatto dalla prospettiva scientifica nell’impaginazione dei dipinti. Il carattere tipografico assume ora la chiara connotazione di elemento standard, discreto, divenendo, in definitiva, equiparabile al punto come unità di costruzione di una superficie omogenea, di un piano. Vengono pertanto riprese le argomentazioni addotte da McLuhann circa la portata culturale e le implicazioni sociali dell’omogeneizzazione razionale e seriale insinuata dal medium tipografico.
L’epopea moderna, che si inaugura artisticamente con il Rinascimento, tenta di legittimare un nuovo rapporto con la rappresentazione del mondo. L’universo, in quanto oramai vissuto come idealmente commensurabile, è sempre meno distante ed incomprensibile. Il timore reverenziale, che fino a questo momento viene risolto nella preservazione simbolica del mistero, cede il posto ad un’apertura consapevole, fiduciosa nei propri mezzi tecnici e scientifici. Il mondo visibile e la concretezza del presente storico diventano oggetto di uno sforzo pittorico improntato alla veridicità, alla resa realistica, all’indagine naturalistica.
Alla maturità rinascimentale, caratterizzata dall’ossessione per la mimesi, si contrappone il fenomeno manierista, contraddistinto dall’arbitrio dell’artista che ormai intende contraddire il sistema proporzionale e la verosimiglianza anatomica dei personaggi effigiati. La produzione di artisti come Pontormo, Rosso Fiorentino, Giulio Romano e Tintoretto non intende più farsi specchio del percepibile ma, piuttosto, apertura ad un mondo fantastico ed onirico. Lo spirito controriformista contribuisce alla rapida chiusura della parentesi manierista supportando il ritorno ad impostazioni votate al naturalismo che si incanalano lungo tre direttrici secentesche: una carraccesca di tipo classicista, una caravaggesca di intonazione realista ed una più strettamente sensualista sull’onda delle opere berniniane e rubensiane.

barilli_alba_contempL’antimodernismo manierista non resta comunque lettera morta, esso viene ripreso da artisti visionari come Füssli e Blake che, per certi versi, anticipano il superamento della modernità che si attuerà soltanto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo con il passaggio all’età contemporanea. Barilli affronta in maniera dettagliata tale compagine visionaria nel saggio L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, analizzando come tali precursori del contemporaneo, attraverso registri differenti, caratterizzati da evidenti semplificazioni formali che conducono, non di rado, a soluzioni bidimensionali di impaginazione ed a veri e propri fuori-scala, manifestano una chiara contrapposizione all’illusionismo naturalistico dell’epoca moderna.

Il passaggio epocale che segna l’avvento di un’arte che si distingue decisamente da quella moderna, inaugurata nel corso del XV secolo, viene individuato da Barilli nella figura di Paul Cézanne. Dopo il “movimento-cerniera” impressionista, è con tale autore che crolla definitivamente l’illusione di una rappresentazione obiettiva, mimetica. L’artista rifiuta di vedere nella prospettiva uno strumento ordinante i rapporti spaziali. Per Cézanne la visione è inevitabilmente approssimativa, relativa, complessa ed in movimento, fluttuante; essa non può certo essere coglibile attraverso uno strumento rigido quale la prospettiva scientifica. È pertanto con la trattazione di detto artista che Barilli apre il saggio dedicato al definitivo superamento della modernità: L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze.

barilli_contemporaneaL’analisi riparte dal rapporto tra cultura basso-materiale e cultura alto-simbolica. Conseguenza diretta della Rivoluzione industriale, l’età contemporanea impone da subito una radicale revisione dei precedenti statuti culturali. La tecnologia, con l’inevitabile ricaduta sull’immaginario collettivo, riveste un ruolo fondamentale nelle trasformazioni che si danno a livello delle espressioni culturali, dei linguaggi rappresentativi, dei paradigmi identificativi. L’arte partecipa significativamente all’avvicendamento, descrivendo, proprio a partire dalle istanze tecnologiche, un percorso di ricerca di nuove forme simboliche in cui riconoscersi e consolidare l’appartenenza collettiva. Se la correlazione delle arti con il livello alto, ideale, della cultura di una determinata epoca è facilmente individuabile, trattandosi spesso di un rapporto di emanazione diretta, meno evidenti sono i rimandi e gli attraversamenti con il livello basso, materiale, della medesima cultura, rappresentato dalla tecnologia.
Tra gli anni ’60 e ’70 del XIX secolo, alcune fondamentali scoperte tecnico-scientifiche avviano un processo di cambiamento epocale a partire dalle fonti energetiche, in particolare dalle possibilità offerte dalle cariche elettriche. Nel corso di tali decenni si susseguono alcune tappe importanti nell’ambito di quella che può essere definita “rivoluzione energetica”: gli studi del fisico Antonio Pacinotti volti a ricavare lavoro meccanico dallo sfruttamento dell’azione combinata dell’elettricità e del magnetismo, la posa del primo cavo telegrafico tra Europa e Nord America, che amplifica le possibilità di trasmissione di informazioni attraverso onde elettromagnetiche, e gli studi del campo elettromagnetico di James Clerk Maxwell. Si assiste in tal modo ad uno spostamento concettuale da un universo meccanico, rigidamente vincolato dalle leggi galileiane e newtoniane, ad un universo fluttuante, legato al divenire di un continuum energetico. Si passa da una concezione atomistica, legata alla somma di entità spazialmente distinte, relazionantisi a distanza tramite le leggi gravitazionali, ad una concezione sistemica, sviluppata sulle idee di flusso e di campo come luoghi della continuità e dell’interazione simultanea.
La costruzione cézanniana dello spazio, nel suo contestare la struttura prospettica e l’idea che ne consegue di profondità come dislocazione tridimensionale di punti fissi ed ordinati, di particelle distinte e localizzabili, si richiama ad un nuovo tipo di visione dinamica e sferoidale. Da una spazialità certa, stabile, esattamente conoscibile e conosciuta, si passa ad una spazialità incerta, instabile, in continua e rapidissima trasformazione, percorsa da invisibili flussi energetici in grado di interagire con la struttura degli elementi, modificandola. Questo spazio fluttuante, legato all’imponderabilità dei campi intesi come sistemi di influenze, è lo stesso che ai primi del Novecento evidenzia il limite epistemologico della Meccanica classica, aprendo alla Relatività di Albert Einstein e al Principio di indeterminazione di Werner Heisenberg.

La fine dell’Ottocento vede anche altri percorsi di formalizzazione più o meno consapevole della fluttuanza, uno di questi è certamente quello proposto dall’Art Nouveau che, seppur espressione di una tendenza volta ad estetizzare l’industrializzazione, palesa, nel suo repertorio formale, d’ispirazione floreale, di volgersi, più o meno consapevolmente, alle novità tecnico-scientifiche legate all’energia elettromagnetica. Il ricorso a tipologie formali fitomorfe formalizza l’andamento curvilineo del campo elettromagnetico; la nuova tendenza decorativa svolge la propria funzione simbolica nei confronti di un sistema di riferimenti materiali e concettuali ormai decisamente oltre la modernità. A cavallo tra moderno e contemporaneo, tra Otto e Novecento, si pone anche la compagine simbolista che, nel suo contrapporre l’evocazione all’impressione, intende oltrepassare la cerniera impressionista; in essa il simbolo diventa l’unità di senso che rapporta l’apparenza all’essenza profonda, ciò che è fisico a ciò che è spirituale.

Anche l’esperienza cubista si propone il superamento della pittura intesa come pura registrazione del dato visivo. L’opera, nella nuova poetica, diviene creazione neoplastica in cui la natura non è più il punto di partenza, anzi, ad essa si sostituisce la volontà dell’uomo di plasmare in proprio. Se dal punto di vista stilistico il meccanomorfismo cubista palesa il debito nei confronti di una tecnologia tradizionale, più contraddittoria appare la proposta futurista nel suo legare l’esaltazione della civiltà delle macchine ai suoi aspetti più dinamici. In entrambi i casi, però, la realtà finisce per essere riformulata sul modello delle macchine. Toccherà ai movimenti dada-surrealisti contestare il meccanomorfismo cubo-futurista a partire dai suoi aspetti ideologici; il ricorso a componenti del mondo delle macchine viene qui ad avere finalità contestatarie e beffarde. Le macchine dada-surrealiste sono abbandonate ad un ritorno delle energie primarie, ad una contaminazione con la casualità ed il disordine della natura tale da azzerarne le logiche razionali di funzionamento; all’utilitarismo, si contrappone il ritorno al principio di piacere che regola i meccanismi inconsci.

Giunti a metà Novecento, dal punto di vista scientifico-tecnologico, si assiste allo sviluppo ed alla diffusione di molte delle invenzioni e delle scoperte dei primi decenni del secolo. In un’epoca ancora segnata dal dramma della guerra, prendono piede nuovi materiali, si avvia la corsa alla conquista spaziale e si inaugura l’era della televisione. Tutte queste novità tecnico-scientifiche non mancano di influenzare il panorama culturale ed artistico; spetta alle poetiche informali captare e dare forma ed immagine ad un periodo attraversato da un generale senso di angoscia che trova, parallelamente alle novità tecnico-scientifiche, nel rapporto tra essere umano, spazio e materia il centro attorno a cui gravitare facendo riemergere la questione dell’identità dell’uomo. Il dominio dell’Informale negli anni ’40 e ’50, lascia, sin dai primi anni ’60, spazio allo sviluppo di poetiche accomunate dall’attenzione per gli oggetti tratti dalla realtà quotidiana (New dada, Pop art, Nouveau Réalisme…). All’interesse dell’Informale per la sfera degli elementi primari, le “poetiche dell’oggetto” contrappongono gli elementi secondari: è il mondo degli oggetti costruiti a divenire centrale.

barilli_informale_oggetto1La produzione artistica successiva la metà del secolo, è analizzata da Renato Barilli attraverso tre saggi: Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60 (1988), Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70 (1988) e Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005 (2006). barilli_informale_oggetto2I primi due testi, relativi agli anni ’50, ’60 e ’70, si presentano sotto forma frammentata di raccolta di scritti stesi in un lungo arco di tempo, in diretta con gli eventi, e lasciati, sostanzialmente, “tali e quali”. Nell’ultimo saggio, invece, pur derivato da interventi precedenti, l’autore opta per una loro rielaborazione a posteriori in modo da conferire alla trattazione una stesura continua. Successivamente è uscito anche uno studio dedicato all’arte italiana: Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006 (2007).

Di tutto ciò, eventualmente, si parlerà più avanti.

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Immagine di apertura: Paul Cézanne, Le grandi bagnanti (1906), olio su tela, 208×251 cm, Museum of Art di Filadelfia

Bibliografia

Edizioni attualmente in commercio:

– R. Barilli, Scienza della cultura e fenomenologia degli stili, Bononia University Press, Bologna 2007, 220 pagine, € 22,00

– R. Barilli, Arte e cultura materiale in Occidente. Dall’arcaismo greco alle avanguardie storiche. Bollati Boringhieri, Torino 2011, 609 pagine, € 40,00

– R. Barilli, Maniera Moderna e Manierismo, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 2004, 308 pagine, € 30,00

– R. Barilli, L’alba del contemporaneo. L’arte europea da Füssli a Delacroix, Feltrinelli (Campi del sapere), Milano 1996, 304 pagine, € 35,00

– R. Barilli, L’arte contemporanea. Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano 2014 (8 ed.), 368 pagine, € 45,00 (Campi del sapere) / € 17,00 (Universale economica)

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume I. La ricerca artistica negli anni ’50 e ’60, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 293 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Informale Oggetto Comportamento. Volume II. La ricerca artistica negli anni ’70, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2006 (3 ed.), 238 pagine, € 14,00

– R. Barilli, Prima e dopo il 2000. La ricerca artistica 1970-2005, Feltrinelli (Universale economica), Milano 2014 (4 ed.), 234 pagine, € 12,00

– R. Barilli, Storia dell’arte contemporanea in Italia. Da Canova alle ultime tendenze 1789-2006, Bollati Boringhieri, Torino 2007, 565 pagine, € 35,00

 

 

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