Walter White – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 29 Oct 2025 21:32:56 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 The Breaking Dead https://www.carmillaonline.com/2015/07/26/the-breaking-dead/ Sun, 26 Jul 2015 18:03:51 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22519 Caroldi Alessandra Daniele

Subito dopo lo stupendo spin off Better Call Saul, anche migliore di quanto fosse lecito aspettarsi, la seconda serie a citare di più Breaking Bad quest’anno è stata The Walking Dead. Segue spoiler Dai riferimenti a Box Cutter nell’eccezionale season opening No Sanctuary, all’architettura dello showdown al Grady Memorial del midseason finale Coda, all’evoluzione di Carol, diventata il personaggio più complesso e interessante della serie, magistralmente interpretato da Melissa McBride. Entrata in scena cinque anni fa come vittima, Carol adesso è the danger. Nella quinta stagione [...]]]> Caroldi Alessandra Daniele

Subito dopo lo stupendo spin off Better Call Saul, anche migliore di quanto fosse lecito aspettarsi, la seconda serie a citare di più Breaking Bad quest’anno è stata The Walking Dead.
Segue spoiler
Dai riferimenti a Box Cutter nell’eccezionale season opening No Sanctuary, all’architettura dello showdown al Grady Memorial del midseason finale Coda, all’evoluzione di Carol, diventata il personaggio più complesso e interessante della serie, magistralmente interpretato da Melissa McBride.
Entrata in scena cinque anni fa come vittima, Carol adesso è the danger.
Nella quinta stagione di The Walking Dead, la migliore finora anche perché la prima a dare finalmente più spazio ai personaggi femminili, abbiamo incontrato tre diverse comunità organizzate di sopravvissuti, ognuna col suo particolare metodo di sopravvivenza.
Quello della setta di Terminus era il cannibalismo.
Quello dell’ospedale Grady Memorial, lo schiavismo. Una puntuale allegoria degli USA, dalla crudeltà mercantile del sistema sanitario, alla brutalità omicida della polizia.
Quello dell’ipocrita, borghese Alexandria è la vigliaccheria. Abbandonare gli altri al loro destino al primo segno di pericolo, negare le crisi finché non sia troppo tardi per risolverle, per poi consegnarsi al primo cazzaro disponibile. Difficile non pensare all’Europa.
Ai vertici delle tre comunità di sopravvissuti, tre donne emblematiche: Mary, la matriarca cannibale del mattatoio di Terminus; Dawn, sinistra stratega dello stato di polizia del Grady; e Deanna, ambigua senatrice di Alexandria. Ciascuna con le proprie auto-giustificazioni per ogni orrore commesso o consentito, in una scala crescente d’ipocrisia.
Tre donne al centro della scena anche nel gruppo storico dei protagonisti: Michonne, che assume sempre di più statura da leader, Sasha, la sniper ossessionata dai walkers come Achab da Moby Dick, e Carol, the one who knocks con una pirofila da casalinga in mano, e un coltello da caccia in tasca.
Dopo aver abbattuto Terminus con un’incursione da guerriglia, Carol ad Alexandria si finge innocua, si nasconde in piena vista come Walter White e Gus Fring ad Albuquerque.
Vari interessanti (e sanguinosi) sviluppi si annunciano per la prossima stagione, dentro e e fuori dalla presunta Safe Zone, mentre Rick Grimes somiglia sempre di più a un secondo Governor. Un Governor tecnico.
Mentre la serie progredisce però parte del fandom resta indietro, come dimostrano il bizzarro culto di Bethus, e la grottesca reazione omofoba alla coppia Aaron-Eric. A quanto pare una parte degli spettatori di The Walking Dead mostra tranquillamente ai propri figli cannibalismo, decapitazioni e sbudellamenti continui, ma inorridisce al pensiero che possano intravedere un bacio fra uomini. Quelli degli zombie non sono gli unici cervelli in decomposizione.

[Chi fosse interessato a qualche altro mio parere su serie vecchie e nuove, lo trova nella categoria TV di scheggetaglienti]

]]>
Better Watch Saul https://www.carmillaonline.com/2015/04/12/better-watch-saul/ Sun, 12 Apr 2015 18:32:16 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=21878 di Alessandra Daniele

La prima stagione di Better Call Saul è un capolavoro. Per certi versi persino superiore alla prima di Breaking Bad. Può sembrare una black comedy all’inizio, in realtà è uno stupendo noir, malinconico e spietato. Bob Odenkirk è assolutamente straordinario anche come attore drammatico. Il suo Bingo monologue del season finale è un indimenticabile instant classic. Anche Jonathan Banks giganteggia, e ha un intero magistrale episodio dedicato alla tragica backstory di Mike. Vince Gilligan e Peter Gould hanno saputo scegliere attori non soltanto di eccezionale talento, manche capaci di diventare di fatto co-autori dei personaggi che interpretano. Better Call Saul è [...]]]> di Alessandra Daniele

La prima stagione di Better Call Saul è un capolavoro. Per certi versi persino superiore alla prima di Breaking Bad.
Può sembrare una black comedy all’inizio, in realtà è uno stupendo noir, malinconico e spietato.
Bob Odenkirk è assolutamente straordinario anche come attore drammatico. Il suo Bingo monologue del season finale è un indimenticabile instant classic. Anche Jonathan Banks giganteggia, e ha un intero magistrale episodio dedicato alla tragica backstory di Mike.
Vince Gilligan e Peter Gould hanno saputo scegliere attori non soltanto di eccezionale talento, manche capaci di diventare di fatto co-autori dei personaggi che interpretano.
Better Call Saul è una serie praticamente perfetta da ogni punto di vista, compreso quello tecnico e visuale, elegantissimo, e ispirato ai classici anni ’40.

[Seguono spoiler da evitare accuratamente se non s’è vista tutta la stagione, cosa che dovreste fare subito. Sono soltanto dieci episodi, uno migliore dell’altro]

Jimmy McGill/Saul Goodman non è mai stato un comedy relief, la sua preziosa consulenza è fondamentale per l’ascesa di Walter White, e il suo geniale, implacabile sarcasmo ha sempre suggerito una complessità di carattere astutamente dissimulata.
In Better Call Saul, prequel-spinoff di Breaking Bad, Vince Gilligan e Peter Gould lo svelano come uno dei personaggi più drammatici dell’intero universo narrativo.
2002: Jimmy McGill ha uno straordinario talento affabulatorio in grado all’occorrenza anche di salvargli la vita, però, dopo un passato di piccole truffe col nick di Slippin’ Jimmy, ha deciso di metterlo al servizio della legge, nonostante l’ambiente legale ”rispettabile” continui a sbattergli la porta in faccia, e i suoi stessi clienti, Mike compreso, lo trattino da criminale.
Jimmy però persevera, interessato soprattutto all’approvazione del fratello maggiore Chuck, che considera un esempio di rettitudine.
La sua stima però è tragicamente mal riposta.
Il terribile tradimento subito da parte di Chuck dimostra crudelmente a Jimmy ciò che Mike sa già molto bene: il confine tra legale e illegale (sottolineati da toni opposti di blu e rosso) non coincide affatto con quello tra giusto e sbagliato.
Il rigido legalitario Chuck è in realtà l’autentico main villain, e le sue motivazioni sono persino peggiori dell’arroganza classista del collega e socio avvocato Hamlin: Chuck è intensamente invidioso del talento del fratello come Salieri di Mozart in Amadeus.
Mentre è il duro killer Mike quello dal codice etico più solido.
Il catalizzatore che innesca la trasformazione di Jimmy in Saul è però la morte di Marco, suo vecchio complice e amico.
Nel suo piccolo, Marco muore come Walter White: facendo ciò che lo fa sentire vivo.
Così anche Jimmy alla fine sceglierà ciò che lo fa sentire vivo. Sceglierà di  regnare all’inferno, di diventare se stesso: non un semplice avvocato, ma neanche un semplice criminale, né Jimmy McGill, né Slippin’ Jimmy, ma la fusione alchemica e l’evoluzione dei due in qualcosa di nuovo che è più della somma delle sue parti: Saul Goodman. Criminal lawyer.
Rosso più blu: Deep Purple. Smoke on the water, fire in the sky.
Una scelta consapevole sulla quale, al contrario di Walter White, Saul non mentirà mai a se stesso.

[Chi fosse interessato ad una mia nota sul rapporto fra Mike e Saul in Breaking Bad la trova qui. Seguendo la tag si trovano altri miei post sull’ultima stagione di Breaking Bad mai apparsi su Carmilla]

]]>
Fine anno, fine della corsa? https://www.carmillaonline.com/2014/12/20/anno-corsa/ Fri, 19 Dec 2014 23:01:44 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19547 di Sandro Moiso

walter white Quello che infastidisce maggiormente nello spettacolo di Mafia capitale è l’accento posto sull’eccezionalità del caso romano, la sorpresa che tutti i media sembrano mostrare nei confronti di quello che non è altro che un caso (tutt’altro che anomalo) di corruzione amministrativa e politica quotidiana nell’Italia degli scandali legati all’Expo, al Mose e a molti altri ancora. Ma, ormai, il termine Mafia ha preso il posto dell’Uomo Nero, di Freddie Krueger, di Walter White e di qualsiasi altra figura dell’immaginario più diabolico e viene sbandierato ad ogni piè sospinto per dimostrare che ciò che c’è di [...]]]> di Sandro Moiso

walter white Quello che infastidisce maggiormente nello spettacolo di Mafia capitale è l’accento posto sull’eccezionalità del caso romano, la sorpresa che tutti i media sembrano mostrare nei confronti di quello che non è altro che un caso (tutt’altro che anomalo) di corruzione amministrativa e politica quotidiana nell’Italia degli scandali legati all’Expo, al Mose e a molti altri ancora. Ma, ormai, il termine Mafia ha preso il posto dell’Uomo Nero, di Freddie Krueger, di Walter White e di qualsiasi altra figura dell’immaginario più diabolico e viene sbandierato ad ogni piè sospinto per dimostrare che ciò che c’è di marcio nella società attuale non dipende dai rapporti di classe e dall’appropriazione privata della ricchezza sociale prodotta, ma da poche figure negative che guastano i sani rapporti sociali basati sui principi del capitalismo e che possono anche arrivare a minacciare gli equilibri politici faticosamente raggiunti.

Da una parte dunque i buoni servitori dello Stato (e del Capitale) e dall’altra i corrotti, le anime perse che non hanno saputo resistere alle seduzioni del Grande Tentatore (di solito un singolo uomo, ex-terrorista di destra oppure capo-bastone di un clan, il solito “grande vecchio” che la sinistra istituzionale ci ha insegnato a vedere dappertutto). Anche se sappiamo tutti che questa narrazione è falsa, come la promessa di Renzi di resistere fino al 2018.

Tutti i commentatori, partendo anche da presupposti diversi, convergono infatti su un unico proposito: salvare l’immagine del capitalismo italiano, cercando di dimostrare che le cose vanno male a causa della corruzione diffusa o, ancor peggio come ha affermato qualche giornalista del solito TgNews RAI 24, che basti un unico individuo, in questo caso Buzzi o Carminati, ad infettare un sistema. Che naturalmente si presume sano.

buzzi poletti E che sano non è. Basta rivolgere lo sguardo alle inchieste più recenti, da quelle riguardanti l’Expo o il Mose arrivando fino all’intrico di interessi che si celano ancora dietro al TAV in Val di Susa (dove la presenza di interessi legati alla ‘ndrangheta sono stati individuati e parzialmente perseguiti così come è evidente il coinvolgimento delle coop nella sua realizzazione),1 per comprendere che la scelta del capitalismo italiano e della sua imprenditoria grande e media è stata proprio quella di “migliorare” le proprie prestazioni finanziarie (certo non quelle produttive) affidandosi spesso alle ruberie nelle tasche del solito Stato Pantalone o, ancor meglio, direttamente nelle tasche dei cittadini.

La stessa candidatura entusiasticamente avanzata in questi giorni affinché Roma sia sede dei giochi olimpici del 2024 conferma ancor di più tale ipotesi, perché mentre da un lato il governo presenta una proposta di disegno di legge che serve soltanto a gettare polvere negli occhi di chi spera in un giro di vite contro la corruzione, dall’altro prepara il terreno per un’altra grande opera che potrebbe diventare davvero, se messa in atto, la madre di tutte le speculazioni e di tutti i possibili intrecci politico-amministrativi con mafie e ‘ndrine.2

Da anni scrivo di questo su Carmilla e non mi pare che qualcosa sia significativamente cambiato oppure che ci siano state solide smentite di questa ipotesi. Il capitale italiano, soprattutto quello finanziario, è in fuga dal settore produttivo e, come tutti dovrebbero aver già capito da tempo, anche le leggi e le iniziative attuali sul lavoro (inique e retrograde più che mai) sono soltanto rivolte ad attirare sulle imprese italiane in svendita nuovi acquirenti stranieri, attratti dai bassi costi che possono facilitare qualsiasi tipo di speculazione e dalla facilità con cui si potrà licenziare a partire dall’approvazione del Job Act.

Bastino a confermare ciò le recenti rivelazioni sull’uso fatto dalle banche del prestito Tltro promosso dalla BCE: “Dei 26 miliardi di euro che le banche italiane hanno preso in prestito dalla Banca Centrale Europea a settembre, due terzi sono stati investiti per l’acquisto di Buoni poliennali del Tesoro. Quindi solo 8 miliardi sono stati effettivamente utilizzati per i prestiti alle imprese, e quindi introdotti nell’economia reale del Paese. Secondo quanto riferisce la Banca d’Italia, gli istituti di credito italiani hanno investito ad ottobre 18,4 miliardi di euro in BTp, portando gli asset governativi al livello mai raggiunto prima di 414,3 miliardi di euro. I nuovi acquisti in Btp, in sostanza, consistono nei due terzi di quei 26 miliardi di euro che le banche hanno preso dalla Banca centrale europea nell’asta Tltro del settembre scorso. I prestiti Tltro si differenziano dai prestiti Ltro proprio per quella T, che sta per “targeted” ovvero vincolati a un uso specifico: il sostegno alle imprese non finanziarie, senza troppi margini di discrezionalità3

In effetti vi è una liquidità estremamente volatile che circola vorticosamente a caccia di investimenti redditizi a breve o brevissimo termine, cosa che non può far altro che favorire, da un lato, la crescita esponenziale della spesa pubblica destinata a coprire gli interessi pagati sui titoli di stato e, dall’altro, speculazioni e appropriazioni indebite di attività lasciate spesso morire di inedia a causa di investimenti e prestiti che non arriveranno mai a destinazione. E’ il destino di tanta piccola e media industria, destinata a seguire, anche involontariamente, le orme delle grandi famiglie del capitalismo italiano e delle loro imprese e società per azioni. Destinate a loro volta ad essere acquisite e smembrate per fornire ai nuovi acquirenti la proprietà di un marchio di prestigio (e non vale assolutamente le pena di ritornare qui ad elencarli tutti poiché sono ormai centinaia) oppure una base “produttiva” per aggirare i divieti posti dall’Europa alle merci provenienti da altri continenti.

Possiamo quindi tranquillamente ipotizzare che non sono state soltanto la corruzione e le infiltrazioni mafiose o della malavita ad inficiare la vita politica e le attività economiche, ma che, al contrario, proprio le nuove regole del gioco hanno permesso l’allargamento del tavolo a gruppi ed attività un tempo sì significative, ma ancora relativamente marginali rispetto al peso esercitato sul PIL. Mentre oggi, non a caso, proprio i proventi di tutta una serie di attività illegali connesse alla grande criminalità organizzata (prostituzione, contrabbando, spaccio) sono ormai conteggiati anche nel PIL nazionale.4 In attesa soltanto di rientrare in circolo attraverso le banche e attività speculative più o meno legali.

Stupirsi della corruttela presente nelle cooperative bianche o rosse, come ha fatto recentemente il presidente dell’Autorità Nazionale Anti-corruzione Raffaele Cantone nella trasmissione serale di Lilli Gruber,5 significa quindi non aver colto la grande trasformazione che è avvenuta negli ultimi trent’anni all’interno dell’economia italiana, della sua classe imprenditoriale e della sua classe politica. Sempre di più tesa a realizzare profitti individuali nel minor tempo possibile, anche a costo di abbandonare qualsiasi norma di carattere economico, civile e morale. Come continua a dimostrare in primo luogo l’azienda torinese produttrice di auto, e capofila dell’imprenditoria italiana, che ha spostato la sua gestione patrimoniale e aziendale all’estero per non pagare le tasse in Italia, così come ha denunciato anche in questi giorni il numero uno dell’Agenzia delle entrate Orlandini.

Il lento declino di Silvio Berlusconi e del suo partito sta infatti contribuendo a rivelare che il “berlusconismo” non era il solo elemento a produrre la corruzione e il deragliamento istituzionale, che in altri paesi (vedi Germania) non è avvenuto oppure non ha avuto le stesse preoccupanti caratteristiche; in realtà non era altro che il prodotto di una trasformazione già in atto e in gran parte già avvenuta e di cui uno dei principali interpreti politici era proprio l’ex-PCI , poi PDS e poi PD. l'ultima cena E il cui nodo degli interessi “materiali” comuni sta proprio negli interessi economici incrociati di gran parte delle coop, di ogni colore e sigla, nel business degli appalti e nelle amministrazioni locali. Ad ogni livello. Con un partito caduto oggi talmente in basso da far sì che Matteo Orfini si è visto costretto a lanciare l’idea, apparentemente ridicola, di un corso di formazione anti-corruzione per i militanti romani.

Cooperative che si rivelano, intanto e sempre di più, tutt’altro che impermeabili alle infiltrazioni speculative, mafiose, criminali o più semplicemente “politiche”. Tanto quelle che non ci stanno sembrano destinate a morire. Come ben dimostra il caso della Cooperativa Un sorriso, al centro delle proteste, evidentemente manovrate, degli abitanti di Tor Sapienza, vero obiettivo di chi voleva togliere di torno un concorrente scomodo nell’affare dell’accoglienza degli immigrati.

Chi insufflò le prove di pogrom di Tor Sapienza? Chi doveva incassare i dividendi delle notti di fuoco, sassi e cocci di bottiglia di una borgata “rossa” che improvvisamente, a metà novembre, si era accesa al comando di saluti romani e ronde assetate di “negri” e “arabi”? Sono stati scomodati i sociologi per provare a dare un senso alla furia della banlieue di Roma.
E invece, per raccontare quella storia bisogna cominciare da un’altra parte. Dagli appetiti mafiosi del Mondo di Mezzo. Dai Signori degli appalti del “terzo settore” Salvatore Buzzi e Sandro Coltellacci, oggi a Regina Coeli per mafia, dal loro interfaccia “nero” Massimo Carminati e dalla sua manovalanza del Mondo di Sotto . E da una coraggiosa donna salentina, Gabriella Errico, presidente della cooperativa sociale Un sorriso, che in quelle notti ha perso tutto. I 45 minori non accompagnati di cui aveva la custodia e la struttura che li ospitava, resa inagibile da un assedio violento
6

A confermare la contiguità tra finanziarizzazione delle attività economiche, comportamenti speculativi e coop è giunta una recentissima indagine di Mediobanca in cui si afferma che: “Nel 2013 le Coop hanno guadagnato più dalla finanza che dai supermercati […] I proventi finanziari hanno rappresentato l’1,9% dei ricavi aggregati del 2013 (pari a 11,2 miliardi di euro) e si sommano a un margine operativo netto (cioè al reddito della gestione industriale) che si ferma solo allo 0,4%. Nel periodo 2009-2013 la gestione industriale delle Coop ha prodotto utili lordi per 249 milioni a fronte di 889 milioni di proventi della gestione finanziaria.[…] I 12,2 miliardi di investimenti delle Coop includono 3,1 miliardi di titoli di stato e 2,4 miliardi di obbligazioni, 2,1 miliardi di partecipazioni (in gran parte concentrate sul gruppo Unipol, che le Coop controllano attraverso Finsoe, a cui si aggiungono l’1,85% di Mps e l’1,5% di Carige)[…] Sei delle undici cooperative esaminate hanno chiuso con una gestione industriale in perdita, con risultati particolarmente negativi per Ipercoop Sicilia (-9,4% dei ricavi) e Unicoop Tirreno (-3,2% dei ricavi). Grazie al contributo della finanza le Coop in ‘rosso’ nel 2013 sono scesa a quattro: Unicoop Tirreno (-24,2 milioni), Coop Lombardia (-15,3 milioni), Ipercoop Sicilia (-13,5 milioni) e Distribuzione Roma (-8,8 milioni)“.7

Non a caso, poi, proprio a livello di cooperative sono state sperimentate tutte quelle forme di lavoro che oggi, con il Job Act, sembrano essere diventate legge. Con la difesa strenua e vergognosa fatta dal ministro Poletti in Parlamento del diritto degli imprenditori di poter fare ciò che vogliono per garantire i propri interessi e investimenti.coop expo
Sì, perché se il Re è oggi più nudo che mai lo è anche “grazie” al fatto che tale ideologia, così strenuamente difesa dal Presidente del Consiglio e dal suo ministro, non può fare altro che arrivare anche a giustificare indirettamente forme di coinvolgimento tra istituzioni e malaffare. Con tanto di cene e contributi, da cui si sta cercando di distogliere l’attenzione del pubblico.
Ma tutto ciò non può più costituire soltanto un problema morale e giudiziario. Qui è un sistema intero che va raso al suolo.

Pur essendo l’Italia già di fatto parzialmente commissariata dall’Unione Europea, nonostante il tanto celebrato semestre di presidenza italiana, Padoan, rispondendo a Juncker, può però affermare che le riforme fatte sono quelle che “ci servono e non perché ce l’hanno detto”. E ha ragione perché effettivamente tutte le riforme varate da Monti in avanti hanno semplicemente fatto comodo al capitale finanziario e speculativo italiano (togliere risorse al lavoro e alla società per favorire la rendita). Anche se la girandola di poteri e di governi alternatisi in Italia dal 2011 in avanti sta giungendo alla fine della corsa. Magnificamente e simbolicamente rappresentata dal baratro apertosi intorno alla giunta capitolina e dall’imminente uscita di scena di Giorgio Napolitano. Cosa di cui lo stesso Presidente è ben conscio e preoccupato.

Sul quale ultimo iniziano già ad abbattersi gli strali anche di un politologo moderato come Gianfranco Pasquino che, commentando il recente discorso del Capo dello Stato all’Accademia dei Lincei, ne ha sottolineato il fallimentare progetto politico affermando che: ”non ha ottenuto quello che voleva. Se per fallimento si intende essersi affidati a persone mediocri, a un manipolo di ipocriti, sì, ha fallito […] Non va mai oltre l’approccio che storicizza e non lo sfiora mai l’autocritica, quella politica.“. E augurandosi infine che lo stesso Napolitano “rinunci a nominare altri senatori a vita e che lui stesso rinunci alla carica, come invece gli spetterebbe. Questo spero che lo faccia, sarebbe un atto fondamentale. Ma non sarà così“.8

Così, mentre inizia la corsa per la nomina del nuovo Capo dello Stato, lo stesso Napolitano è costretto a difendere ancora a spada tratta, e vanamente, l’operato dell’ultima sua creatura con un endorsement privo di precedenti che sembra avere tutte le caratteristiche di un ultimo e disperato colpo di coda. Job Act, riforme istituzionali autoritarie, vaneggiamenti e febbre da annuncite del giovane premier sono tutti presentati, dal Presidente uscente, come passi essenziali per garantire ancora la stabilità del paese.

Nel fare questo Giorgio Napolitano è però costretto a rovesciare la realtà dei fatti, imputando l’instabilità politica, sociale ed economica del paese a chi si oppone con le lotte, nel tentativo di criminalizzare ancora una volta qualsiasi forma di opposizione, mentre in verità tale instabilità è insita proprio nelle scelte politiche portate avanti da una compagine governativa e da una classe dirigente estremamente divisa al proprio interno, che, come un branco di iene, è capace di riunirsi intorno ad un progetto soltanto quando si tratta di spogliare le carcasse delle proprie vittime designate o di quelle già abbandonate da altri, e superiori, predatori. Con un governo capace soltanto di proseguire a colpi di voti di fiducia, ma incapace di qualsiasi formulazione coerente, come il rinvio fino all’ultimo istante del maxi-emendamento sulla legge di stabilità ha dimostrato ancora una volta.

Mentre qualsiasi candidatura per l’elezione del futuro Presidente della Repubblica non farà che confermare lo stato di debolezza, incertezza e paralisi in cui si trovano le forze di governo, prive di qualsiasi possibilità di ricambio o cambiamento di rotta, se non quella di affidare ancora ad un esecutore testamentario vicino a Bruxelles un mandato settennale. Consegnando così, come al tempo delle Signorie, il governo delle proprie contraddizioni ad una forza mercenaria esterna.

All’inizio del mandato di Renzi avevo affermato che avremo visto i due personaggi uscire di scena insieme. 9 La cosa si sta, nemmeno troppo lentamente delineando all’orizzonte, in un contesto in cui l’ultimo argomento rimasto in mano al Governo e ai suoi rappresentanti, messi sempre più a nudo dall’ultimo scandalo, sembra essere infatti soltanto quello della minaccia dell’arrivo della Troika europea. Mentre la capitale scivola lentamente verso il baratro e Piazza Affari corre sulle montagne russe, la nave affonda e i topi scappano, lanciando dietro di sé dei fumogeni nell’inutile tentativo di coprirsi la ritirata.eataly

Gli stessi giochi all’interno del teatrino politico del PD sembrano cercare soltanto di allontanare o ritardare tale ipotesi con altre elezioni, pur sapendo, viste le recenti percentuali dell’astensionismo di massa, di essere giunti alla frutta.
Non c’è un’altra alternativa e il tentativo di gonfiare mediaticamente l’immagine di Salvini (così come era stato fatto nel 2013 con Grillo, oggi consapevolmente auto-sgonfiatosi) non ha altro scopo che quello di far andare ai seggi qualche elettore in più, sia da una parte che dall’altra.
Anche se difficilmente il gioco potrà riuscire anche questa volta.


  1. Proprio oggi il presidente dell’Autorità Anti-corruzione, Cantone, ha definito clamoroso il fatto che “nella realizzazione della Torino-Lione non ricorreranno interdittive antimafia perché i lavori avvengono sulla base del diritto francese dove l’interdittiva antimafia non c’è” (Paolo Griseri, La denuncia di Cantone: “Per la Tav valgono le leggi francesi, inutili i controlli antimafia”, La Repubblica 19 dicembre 2014  

  2. Vale forse la pena di ricordare, a questo proposito, che mentre i governi precedenti avevano almeno respinto a priori l’eventualità che Roma fosse candidata ad un’opera di questo genere, Renzi l’ha abbracciata e sostenuta in pieno, rivelando così ancora una volta quali siano le reali forze che lo sostengono insieme al suo governo. Basti qui citare, come esempio, la forte presenza tra gli sponsor e appaltatori dell’Expo milanese del 2015 della Lega Coop e di Eataly (del grande elettore renziano Natale “Oscar” Farinetti), che vedono a loro volta i loro interessi intrecciarsi con quel business agro-alimentare che fornirà il pretesto di facciata per tutto l'”affaire”. Di cui, paradossalmente, il tema del “cibo”, scelto per rappresentare l’evento, sembra costituire un’efficace metafora.  

  3. Bce, due terzi del prestito Tltro per aiutare le imprese sono stati investiti in Btp. Ecco dove sono finiti i soldi di Mario Draghi, Huffington Post 10 dicembre 2014  

  4. Ciò è reso possibile dall’entrata in vigore a breve del Sec ( Sistema europeo dei conti nazionali) 2010 che va a sostituire il precedente Sec 1995  

  5. Otto e mezzo, 12 dicembre 2014  

  6. Carlo Bonini, Minacce, aggressioni e avvertimenti mafiosi: l’ombra di Buzzi sui tumulti di Tor Sapienza, La Repubblica 11 dicembre 2014  

  7. http://www.repubblica.it/economia/finanza/2014/12/18/news/per_le_coop_pi_utili_dalla_finanza_che_dai_supermercati-103222321/?ref=HREC1-18  

  8. Giorgio Napolitano, per il politologo Gianfranco Pasquino “ha fallito” perché si è affidato a “un manipolo di ipocriti”, Huffington Post 11 dicembre 2014  

  9. https://www.carmillaonline.com/?s=sierra+charriba”>  

]]>
Abate, Cacciatore, Argentina: il noir è vivo https://www.carmillaonline.com/2014/11/26/abate-cacciatore-argentina-lunga-vita-noir/ Wed, 26 Nov 2014 22:10:13 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=19040 di Girolamo de Michele

Cacciatore_DifferenzaSo it seems in the end / Is this what we’re all living for today? (Queen, Is this the word we created?)

A proposito di: Francesco Abate, Un posto anche per me, Einaudi Stile Libero, Torino 2013, 226 pp., € 17.50; Giacomo Cacciatore, La differenza, Meridiano Zero, Bologna 2014, 170 pp., € 12.00; Cosimo Argentina, L’umano sistema fognario, Manni, Lecce 2014, 184 pp., € 17.00

Non finirà mai di stupire, la vitalità del noir: senza bisogno di costruirci sopra una metafisica o una teoretica, basta prendere atto di come, [...]]]> di Girolamo de Michele

Cacciatore_DifferenzaSo it seems in the end / Is this what we’re all living for today? (Queen, Is this the word we created?)

A proposito di: Francesco Abate, Un posto anche per me, Einaudi Stile Libero, Torino 2013, 226 pp., € 17.50; Giacomo Cacciatore, La differenza, Meridiano Zero, Bologna 2014, 170 pp., € 12.00; Cosimo Argentina, L’umano sistema fognario, Manni, Lecce 2014, 184 pp., € 17.00

Non finirà mai di stupire, la vitalità del noir: senza bisogno di costruirci sopra una metafisica o una teoretica, basta prendere atto di come, ogni volta che sembrano suonate le sue campane a morto, il noir si rigeneri trovando al proprio interno l’elemento a partire dal quale fiondarsi in avanti – il passato è forse il potenziale elemento di un futuro anteriore?
Così, nel momento in cui il genere sembrava sommerso dal ritorno dello sbirro “buono” – sia come personaggi che come autori –, e le maniglie di una deprecabile pancetta riformista arrotondano il girovita di autori un tempo affilati e taglienti, ecco qui tre libri diversi che ci dicono che il noir è ancora possibile, per la semplice ragione che ha ancora e sempre qualcosa da dirci.

Perché ci piacciono i sociopatici

In un suo aureo libretto di due anni fa sulle serie televisive nel “tardo capitalismo”1, Adam Kotsko ha identificato la figura del sociopatico come chiave di lettura di molte serie televisive. Il sociopatico di Kotsko non è uno psicopatico, non necessariamente è un serial killer – ed anzi, spesso gli si oppone. Kotsko nomina Homer Simpson, Eric Cartman (South Park), Tony Soprano, il gangsters Stringer Bell e il tossico Marlo di The Wire (ma avrebbe potuto aggiungere anche il detective Jimmy McNulty), Don Draper di Mad Men, Dexter, il dr. House; Jason Read aggiungeva all’elenco Walter White: oggi potremmo senz’altro inserirvi Lisbeth Salander, Ryan Hardy (The Following), la coppia di True Detective Rust Cohle e Marty Hart (il secondo dei quali palesemente ispirato a diversi detective interpretati da Al Pacino, con più di una citazione rivelatrice), e la coppia di House of Cards Frank e Claire Underwood, versione tardomoderna degli shakespeareani Riccardo III e Lady Macbeth.
Abate_un_posto_anche_per_meIl sociopatico è incapace di trovare il proprio ruolo all’interno della struttura relazionale e comunicativa del mondo attuale: «Il sociopatico è un individuo che trascende il sociale, che non è vincolato da esso, in nessun modo e che può quindi utilizzare il sociale come un mero strumento». La sua personale visione delle cose «rappresenta un tentativo di sfuggire alla natura inevitabilmente sociale dell’esperienza umana», e reagisce a una situazione di disagio (Awkwardness) nella quale le regole sociali sanno dirci che quello che facciamo è sbagliato, ma non sono capaci di argomentare in modo persuasivo qual è la cosa giusta che dovremmo fare. In un precedente libro, intitolato appunto Awkwardness (John Hunt Publishing, 2010) Kotsko ha sostenuto che la risposta a questa situazione kafkiana potrebbe essere quella di assumere la situazione di disagio, piuttosto che cercare di evitarla: «If the social bond of awkwardness is more intense than our norm-governed social interactions, it also has the potential to be more meaningful and enjoyable» (se il vincolo sociale del disagio è più intenso delle norme che governano le nostre relazioni sociali, allora esso ha la possibilità di essere più desiderabile e significativo). Assumere il disagio come condizione ordinaria ha il costo di sacrificare confort e prevedibilità: ma chi dice che confort e prevedibilità siano sempre desiderabili, dopo tutto?
Il sociopatico, insomma, ci attrae per la sua possibilità di aprire un mondo possibile nel quale, come lui, possiamo scivolare a lato della gabbia di relazioni sociali (mostrandocene al contempo la falsità) nella quale siamo sempre rinchiusi. La sua posizione sociale è alternativa tanto al serial killer psicopatico – la cui pervasività sta gradualmente minando le serie noir – quanto ai gruppi sociali: il colpo di genio della prima serie di The Following era proprio la contrapposizione tra il solitario Ryan Hardy e la capacità di tessere relazioni sociali del serial killer Joe Carroll; così come l’intuizione iniziale di Criminal Minds era la contrapposizione tra una posse di profiler sociopatici e la psicopatia negativa dei serial killer. Ambedue le serie sono poi naufragate nell’ossessiva reiterazione dei serial killer, scivolando in un’estetica del soft-gore (con punte di franco ridicolo) che ha contribuito, assieme alle derive fascisteggianti di Frank Miller, a preparare l’avvento gore-youtube delle start up del twitter-islamismo ( Quadruppani): il boia in nero che parla nel video puntando il coltello verso lo spettatore e tenendo per il collo la vittima occidentale rimanda, per rovesciamento, al serial killer che viene a introdursi a casa tua, titilla la tua paranoia e ti induce ad accettare il comando negativo della governance sociale in cambio di una promessa di sicurezza.

Il ritorno del noir

In questo momento, le librerie ci offrono tre libri italiani nei quali possiamo ritrovare la figura del sociopatico fotografata da Kotsko, all’interno di una struttura narrativa noi. Nei quali non ci sono né il serial killer psicopatico, né il “poliziotto buono” in stile law & order. Nei quali, soprattutto, il noir è dato dalla tonalità, dall’ambiente nel quale i personaggi si muovono. Non dimentichiamo che il noir è, salvo rare eccezioni, anche il racconto di una città, di come viene vissuta, attraversata, calpestata: e se in Un posto anche per me e in L’umano sistema fognario i personaggi si muovono lungo le direttrici che collegano le periferie alla città, in La differenza l’attraversamento porta a condensare la città in un solo luogo – un rione, e al suo interno un appartamento.
Tre romanzi, tre personaggi. Peppino, il primo, è un’anima in pena che vaga sugli autobus e nelle periferie romane, diverso – o diversamente abile – nella propria incapacità di costruire relazioni di causa-effetto ordinarie, ma capace di una visione ingenua e sognata – idiota, nel senso dostoevskijano del termine – del mondo: in qualche modo perseguitato da un passato che con molta lentezza, goccia a goccia, ci si rivelerà. Con Peppino, Francesco Abate riprende un discorso sulla diversità – sulla quotidiana diversità che ci insegnano i condannati ad essere “diversi” – intrapreso in Chiedo scusa: Peppino vive in una sorta di prigione itinerante – «Era stato deciso per la morte. Poi mi hanno dato questo ergastolo», tra il ghetto e la Roma-bene: una vita nella quale «ci hanno sempre imposto di imparare come andare da un punto A fino a un punto B. Ma non ci hanno mai spiegato che è nel viaggio fra questi due punti il succo della vita».
Mario Ombra, uno sbirro che decide all’improvviso di regolare a modo suo i conti col killer della mafia che riconosce in una ordinaria fila in farmacia – una versione sporca di Un borghese piccolo piccolo, nella quale non c’è la lenta discesa all’inferno del piccolo-borghese, perché nell’inferno Mario abita già da tempo, forse per un trauma psicologico di cui sapremo lo stretto necessario, e forse neanche quello: un inferno del quale la chiave di lettura è l’incontro tra un bambino e un gruppo di cartari che potrebbero essere tanto mafiosi quanto sbirri in camuffa – «Tutti, anche al bar all’angolo, gli sembrano schifosamente amici. O infidamente nemici»: la sottigliezza, per non dire la porosità del confine tra ordine e devianza, è la vera sfida, la camminata del funambolo sul filo, di questo libro.
Emiliano Maresca, uno dei tanti sociopatici che Cosimo Argentina ci ha raccontato, da Maschio adulto solitario a Per sempre cannibale, impegnato un una delirante difesa del proprio spazio vitale – l’appartamento e la pensione della madre morta e schiaffata nella ghiacciaia delle birre – e una vendetta cui finalizzare l’odio verso il padre che non ha avuto, invischiato in una città merdosa nella quale «il sole è un copertone incendiato mollato lì, sul ciglio dell’universo» e irretito da una socialità falsa e stereotipata – quella del tarro maschio testosteronico, che finisce col fare della propria sprezzante ironia una seconda natura  che lo ingabbia tanto quanto quella da cui vorrebbe, o forse no, evadere. Argentina ha una sorta di perverso talento nella creazione di figure sgradevoli, talora ripugnanti – in particolare nei loro fantasmi sessuali: ma è forse migliore, ciò che troviamo al di là e al di fuori del romanzo?
Roma (una certa Roma), Palermo, Taranto: tre luoghi dai quali sarebbe bene scappare, ma nei quali Peppino, Mario e Emiliano restano invischiati, con le suole delle scarpe incollate al bitume che si scioglie: il bitume di un mondo falso, sempre sulla lama di un equilibrio «che permette a una società, al limite del cinismo, di nascondere ciò che vuole nascondere, di mostrare ciò che vuole mostrare, di negare l’evidenza e proclamare l’inverosimile. L’assassino non trovato dalla polizia può essere ucciso dai suoi a causa degli errori che ha commesso, e la polizia può sacrificare dei suoi a causa di altri errori, ed ecco che questa compensazione non ha altro scopo che la perpetuazione di un equilibrio che rappresenta l’intera società nella più alta potenza del falso» ( Deleuze). Il ruolo della città è, in questi tre romanzi, decisivo: i processi di soggettivazione, di creazione in movimento dei protagonisti – non nature immutabili, ma prodotti della storie e della trama – sono gli stessi processi, regole, dinamiche sociali della metropoli tardomoderna: la falsa natura della metropoli è un artefatto, ma al tempo stesso è l’artefice di quella falsa natura che è il protagonista della trama – al quale, ai quali solo la possibilità di aderire alle proprie derive, di fare dell’inadeguatezza l’unica possibilità di adeguamento del sé a se stesso, può offrire una via di fuga. Il punto non è che Peppino, Mario, Emiliano siano a proprio agio nella propria esistenza come Bruce Chatwin nel deserto: il punto è se arriveranno a chiedersi “che ci faccio io qui?”. E la scrittura, diversa ma convergente, dei tre autori, che ad ogni passaggio sottrae al lettore elementi che possano permettergli di sollevare lo sguardo al di là della soggettiva del protagonista, s’ingegna nel prolungare l’attesa per lo scioglimento del dubbio: Cacciatore procede per paratassi, con violente elisioni e volute spigolosità, Argentina per accumulo manieristico di metafore che schermano il futuro in un presente senza uscita, Abate con una lingua solo in apparenza semplice, costruita con cura a misura di Peppino. Tocca ancora ripetere che gli autori di noir sono capaci, oltre che di narrare, di scrivere?

argentina_sistemaLa regola del noir

In questi tre romanzi vale una regola – forse la regola – fondamentale del noir, enunciata con chiarezza da Manchette: «il noir è caratterizzato dall’assenza o fiacchezza della lotta di classe, e dalla sua sostituzione con l’azione individuale (necessariamente disperata). Mentre i delinquenti e gli sfruttatori detengono il potere sociale e politico, gli altri, gli sfruttati, la massa, non sono più il soggetto della Storia, e ricoprono per lo più “ruoli secondari”, socialmente marginali. Qui però la lotta di classe non è assente come nel romanzo poliziesco a enigma; semplicemente, gli oppressi sono stati sconfitti e sono costretti a subire il regno del Male». Collassa sul Regno del male la scena del noir, e lo svela come tale: una scena catastrofica, sulla quale la catastrofe non è un incidente della storia, ma un fatto sociale. In qualche modo, i tre personaggi sono schiacciati dalla pesante ombra di una catasttrofe interiore, un evento passato – la figura di Marisa per Peppino, la perdita della figlia per Mario, l’assenza del padre per Emiliano –, e costretti in un mondo senza apparente via d’uscita, nel quale l’impossibilità di trovarsi a proprio agio trasforma l’evento passato in un destino: come se ciò che accade, ciò che noi lettori vediamo svolgersi, sia pre-determinato, pre-significato e pre-giudicato da un passato al quale non si può sfuggire. Ma è la stessa condizione di inadeguatezza – e l’impossibilità, per il lettore, di un’identificazione catartica senza residui – a lasciare aperta la possibilità, tanto nella trama quanto nel reale cui le narrazioni fanno segno, a un futuro diverso.
«Il destino esiste, ma a posteriori: il noir ne presuppone non l’eternità, ma la sua creazione» ( De Michele). Il mostro d’acciaio che sovrasta e sovradetermina Taranto, le periferie romane, i quartieri popolari di Palermo esistevano ed esisteranno al di là dei brevi momenti in cui dalle cronache locali sbucano sulle prime pagine.
Nulla, di questi microcosmi metropolitani, merita di essere salvato.
Che in queste città marcescenti dimori l’eventualità del sogno di una cosa è possibile, che questo sogno possa essere costruito è il problema all’ordine del giorno: This is the word we created.


  1. Adam Kotsko, Why we love sociopaths. A guide to late capitalist television, Zero Book, 2012; l’essenziale del libro è stato pubblicato come estratto sul “New Enquiry Magazine” n. 3; un suo interessante sviluppo, come commento a Breaking Bad, è Jason Read, Essere il capo di sé stessi: Breaking Bad e l’Imprenditore, “uninomade”, agosto 2012. 

]]>
Italia di genere https://www.carmillaonline.com/2014/04/20/italia-genere/ Sun, 20 Apr 2014 20:21:38 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=14266 -pulp-fiction-di Alessandra Daniele

A giudicare della campagna elettorale, gli italiani sono considerati degli imbecilli. In via d’ulteriore rincoglionimento. Il dibattito politico ha le forme e i contenuti d’una gara di rutti. Il livello di richiamo ai bassi istinti è persino inferiore al solito, e così tanto da poter essere espresso solo in numeri negativi. O scorregge. L’ultima televendita di Renzi è stata particolarmente loffia. Il neopremier sembrava aver perso molto del suo caratteristico vitalismo, e farfugliava più del solito. È probabile che stavolta abbia pippato eroina per sbaglio, e abbiano dovuto fargli l’adrenalina [...]]]> -pulp-fiction-di Alessandra Daniele

A giudicare della campagna elettorale, gli italiani sono considerati degli imbecilli. In via d’ulteriore rincoglionimento. Il dibattito politico ha le forme e i contenuti d’una gara di rutti. Il livello di richiamo ai bassi istinti è persino inferiore al solito, e così tanto da poter essere espresso solo in numeri negativi. O scorregge.
L’ultima televendita di Renzi è stata particolarmente loffia. Il neopremier sembrava aver perso molto del suo caratteristico vitalismo, e farfugliava più del solito. È probabile che stavolta abbia pippato eroina per sbaglio, e abbiano dovuto fargli l’adrenalina intracardiaca per rianimarlo. Si spiegherebbero le ore di ritardo.
Grillo corrisponde sempre di più allo stereotipo del santone pataccaro, del predicatore apocalittico farlocco da film di genere.  Perfetto antagonista per uno ”Squadra AntiGuru” con Tomas Milian.
E se la polizia mena, la magistratura non è da meno, piovono sentenze più pesanti d’uno scarpone celerino sulla milza: gli anziani degenti della casa di riposo Sacra Famiglia di Cesano Boscone sono stati condannati a sopportare le stronzate di Berlusconi ogni settimana per mesi e mesi. Dovranno fare da comparse per i suoi spot elettorali? Da morti saranno riciclati come risate finte nelle sit-com Mediaset.
La pena inflitta ai secessionisti veneti è stata ancora più crudele: sono stati rispediti a casa. In Veneto.
Intanto, al governo, Pink is the new Black: l’irritante e ipocrita etichetta Quote Rosa è stata la cazzata renziana della settimana, almeno fino alla raffazzonata televendita del bonus elettorale da 80€.
S’è cercato di spacciare per un grande segnale di rinnovamento le nomine di personaggi come Emma Marcegaglia e Luisa Todini, solo perchè appartenenti al genere femminile. Le cinque capolista PD – una per corrente – sono state esplicitamente scelte da Renzi in quanto donne, insultate da Grillo in quanto donne, e difese dal PD in quanto donne, come se l’unica cosa a definire una donna fosse l’essere donna. Considerate pedine intercambiabili senz’altra identità, come le redshirts. Le pinkshirts. Mentre Licia Ronzulli di Forza Italia rivendicava orgogliona a La7: ”Ricordiamoci che è stato Silvio Berlusconi a sdoganare la donna in politica, facendo ministro la Carfagna”.
Questo è il livello medio di cultura, memoria storica, e senso del ridicolo reperibile da quella parte. Dall’altra – sempre più indistinguibile – si continuano ad affastellare balle con la tecnica piramidale degli autori di Lost: sparare ogni settimana una cazzata abbastanza grossa da far scordare la precedente. Stabilire una nuova scadenza che faccia dimenticare tutte le precedenti non rispettate, una nuova promessa per tutte quelle non mantenute. Finché la piramide non crollerà.
Ormai mi tengo ben lontana da qualsiasi cosa firmata Damon Lindelof, quindi ho scoperto solo adesso questa ”recensione” con la quale sfrutta Breaking Bad per difendere ancora una volta quell’ignobile, catastrofica cagata del finale di Lost, usurpando la frase iconica di Walt “I did it for me. I was good at it. I was alive”. No Lindelof, tu non sei mai stato good at it.
Tu non sei Walter White. Sei Ted Beneke, il pretenzioso, viscido bancarottiere che non vuole pagare le tasse neanche coi soldi altrui.
E al quale in Italia verrebbe affidata la riscrittura della Costituzione.

]]>
Non dire gatto https://www.carmillaonline.com/2013/11/03/non-dire-gatto/ Sun, 03 Nov 2013 21:23:30 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=10569 walter-whitedi Alessandra Daniele

A rivederlo tutto da capo dopo aver visto il finale, Breaking Bad sembra persino più bello. Tutto torna. E questa è una qualità rarissima. E se, invece che da Vince Gilligan, Felina fosse stato sceneggiato da altri autori, come Moffat o Sorkin, cosa avrebbero scritto? Spoiler: Steven Moffat Dopo averla avvelenata, Walter scopre che Lydia era sua figlia Holly venuta dal futuro, nome completo Hollydia. Allora torna indietro nel tempo per resettare la timeline, ma sbaglia, e crea un universo parallelo dove tutte le donne sono [...]]]> walter-whitedi Alessandra Daniele

A rivederlo tutto da capo dopo aver visto il finale, Breaking Bad sembra persino più bello. Tutto torna. E questa è una qualità rarissima.
E se, invece che da Vince Gilligan, Felina fosse stato sceneggiato da altri autori, come Moffat o Sorkin, cosa avrebbero scritto?
Spoiler:

Steven Moffat

Dopo averla avvelenata, Walter scopre che Lydia era sua figlia Holly venuta dal futuro, nome completo Hollydia. Allora torna indietro nel tempo per resettare la timeline, ma sbaglia, e crea un universo parallelo dove tutte le donne sono sceme.

Aaron Sorkin

Walter affronta Uncle Jack. I due discutono ininterrottamente di politica per quarantacinque minuti, scambiandosi pungenti frecciate sarcastiche, e graffianti sferzate satiriche. Alla fine concordano sul fatto che tutte le donne sono sceme.

Ron Moore
Lydia e Todd appaiono a Walter, gli svelano d’essere due angeli, e gli dicono che Dio ha un piano per lui: deve farsi saltare in aria nel meth lab, e distruggerlo completamente. Walter esegue. Lydia e Todd appaiono quindi a Jesse, e gli dicono di ricostruire il laboratorio da capo. Alle proteste di Jesse che la cosa non ha senso, rispondono ”Tutto questo non ha mai avuto senso, tutto questo non ce l’avrà mai”.

David Shore
Quando la polizia irrompe nel laboratorio, Walter è ferito, ma ancora vivo. Viene quindi portato in ospedale, dove Greg House ha ripreso a esercitare in incognito col nome di Bruce Banner. House scopre che in realtà Walter non ha il cancro, ma un raro parassita tropicale che si cura con la diet coke (product placement). Walter guarisce, ma House viene scoperto. I due fingono di morire in un incendio, e fuggono insieme in chopper.

J. J. Abrams
Walter scopre che nel deserto c’è sepolto un misterioso manufatto precolombiano decorato da profezie apocalittiche; che la gang neonazista di Uncle Jack fa parte d’un complotto internazionale per instaurare il Quarto Reich; e che la Blue meth nella diet coke conferisce terribili superpoteri. Racconta tutto a Skyler. Lei lo caccia urlando ”Cristo, basta cazzate!” Poi viene rapita dagli alieni.

Damon Lindelof & Carlton Cuse
Walter si sveglia nella TAC, e scopre d’essersi sognato tutto. Poi esce dalla TAC, e scopre d’essere nell’aldilà. Gus Fring gli viene incontro e gli dà il benvenuto chiamandolo Heisenberg. Walter gli chiede perplesso: ”ma se ho sognato tutto, com’è che tu mi conosci davvero?” Gus gli sorride, e risponde ”lascia perdere le incongruenze, non hanno importanza, quello che conta è che adesso ci vogliamo tutti bene”.

Scott Buck & Manny Coto
Hank trova il libro con la dedica di Gale, ma non capisce cosa significa. Poi muore per una colica. Walter non viene mai scoperto dalla polizia, ma si sente così in colpa che affida i figli a una serial killer latitante, e va a morire da solo in montagna lo stesso.

David Chase
Walter entra in un bar.
Schermo nero.
Titoli di coda.

Joss Whedon
Walter entra in un bar.
La serie viene cancellata.

]]>
Blue Myth https://www.carmillaonline.com/2013/10/06/blue-myth/ Sun, 06 Oct 2013 20:37:49 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=9829 di Alessandra Daniele

BB5X9Il ritmo di Breaking Bad è sempre stato ispirato a quello dei western di Sergio Leone (che Tarantino ha ripreso): lunghi momenti di tensione, e fulminanti accelerazioni violente e sanguinose. L’atmosfera da western crepuscolare è particolarmente intensa in Felina,  l’ultimo episodio, non il finale, quanto piuttosto il terzo atto del finale di quella che ha saputo confermarsi la migliore serie di sempre.

Segue spoiler

Breaking Bad è anche uno studio sulla leadership. Tutti i boss della serie sono spinti dall’orgoglio, dal culto della propria immagine, a cominciare da Walter White/Heisenberg. [...]]]> di Alessandra Daniele

BB5X9Il ritmo di Breaking Bad è sempre stato ispirato a quello dei western di Sergio Leone (che Tarantino ha ripreso): lunghi momenti di tensione, e fulminanti accelerazioni violente e sanguinose.
L’atmosfera da western crepuscolare è particolarmente intensa in Felina,  l’ultimo episodio, non il finale, quanto piuttosto il terzo atto del finale di quella che ha saputo confermarsi la migliore serie di sempre.

Segue spoiler

Breaking Bad è anche uno studio sulla leadership. Tutti i boss della serie sono spinti dall’orgoglio, dal culto della propria immagine, a cominciare da Walter White/Heisenberg. Tutti sono come Kronos padri cannibali: dopo avere negli anni passati guardato con orrore sia Tuco che Gus uccidere uno dei propri picciotti, quest’anno anche Walter sconfitto ha finito per ordinare la morte di Jesse.
Nel primo atto del finale di Breaking Bad, il potente e perfetto Ozymandias, abbiamo assistito alla terribile caduta di Heisenberg, il sovrano. Nel secondo, lo stupendo, crudele Granite State, alla struggente consunzione dell’uomo, Walter White.
Dalle ceneri di entrambi, grazie a un momento di cristallina consapevolezza, è rinato un nuovo Mr. White, sintesi e quintessenza dei due, completamente cosciente delle proprie vere motivazioni e dei propri obiettivi, che nel magistrale Felina come Ulisse è tornato a casa per scrivere a modo suo l’ultima pagina della sua Odissea.
E c’è riuscito.
Grazie all’affinata astuzia di Heisenberg e alla ritrovata umanità di Walt, ormai indissolubilmente fuse in una sola personalità, Mr. White ha vinto.
Completamente e definitivamente.
Realizzando tutti i suoi obiettivi.
È riuscito con l’inganno ad assicurare ai suoi familiari la sua ricca e sanguinolenta eredità che avevano rifiutato con orrore.
Ha sterminato la gang neonazista che aveva ucciso Hank e osato rubare il brand della Blue Meth, la creazione sulla quale Mr. White ha di nuovo imposto il suo nome, simboleggiato da un’impronta insanguinata a forma di W.
Ha d’impulso salvato Jesse, che s’è così trasformato nella sua occasione per la morte eroica, rapida e auto-assolutoria che voleva, e nell’ultimo scambio di sguardi gli ha persino regalato una scintilla del passato legame, dell’eterna chemistry fra i due.
È morto libero, nel suo laboratorio, sfuggendo sia alla polizia che al cancro.
Questo non è un happy ending come gli altri, perché Mr. White non è un protagonista come gli altri.
È un genio del crimine, e non ne è affatto pentito.
Tutti i suoi avversari commettono l’errore fatale di sottovalutarne la pericolosità perché lo considerano un dilettante. In effetti Walter non è un professionista, non lo fa per denaro.
È un artista. Lo fa perché gli piace.
Anche per questo è il migliore.
Anche per questo i metodi che sceglie per uccidere sono spesso ingegnosi quanto teatrali come un’installazione pop: kamikaze a rotelle, droni mitragliatori. Cavalli di Troia.
Walter White ha scelto di regnare all’inferno non solo perché lo preferisca al servire in paradiso, ma anche perché in fondo è proprio all’inferno che gli piace regnare.
La sua vittoria definitiva è una sovversione delle rassicuranti regole della narrazione Tv, alle quali invece l’ambiguo finale de I Soprano s’è inchinato, e il finale moraleggiante di Dexter ha obbedito stolidamente.
Walter White/Heisenberg, contemporaneamente eroe e villain della sua storia invece esce dallo schermo ed entra nel mito da vincitore, per sempre scolpito nell’immaginario collettivo come tale.
Ed è quello l’inferno dal quale si regna sul mondo.

]]>
Il Trono di Cristallo https://www.carmillaonline.com/2012/08/13/il-trono-di-cristallo/ Mon, 13 Aug 2012 07:57:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=4402 di Alessandra Daniele

Heisenberg.JPGA tutti gli effetti una delle migliori serie della storia della Tv se non la migliore, Breaking Bad di Vince Gilligan è anche l’unica il cui valore effettivo sia persino superiore a quello già altissimo attribuitogli da critica e fandom, anche se chi la segue e la ama, per anni (come me) s’è trovato a parlarne molto meno di quanto avrebbe voluto, per non danneggiare l’esperienza di chi deve ancora scoprirla. Recuperatela subito se non l’avete ancora fatto, ha appena celebrato il 51° episodio, e ne mancano solo undici al finale.

SEGUE SPOILER

Ultimo discendente legittimo della [...]]]> di Alessandra Daniele

Heisenberg.JPGA tutti gli effetti una delle migliori serie della storia della Tv se non la migliore, Breaking Bad di Vince Gilligan è anche l’unica il cui valore effettivo sia persino superiore a quello già altissimo attribuitogli da critica e fandom, anche se chi la segue e la ama, per anni (come me) s’è trovato a parlarne molto meno di quanto avrebbe voluto, per non danneggiare l’esperienza di chi deve ancora scoprirla. Recuperatela subito se non l’avete ancora fatto, ha appena celebrato il 51° episodio, e ne mancano solo undici al finale.

SEGUE SPOILER

Ultimo discendente legittimo della grande e multiforme tradizione del noir USA che va da Dashiell Hammet a Pulp Fiction, Breaking Bad ci aggiunge un’inesorabile progressione narrativa da tragedia shakespeariana, gemme di feroce black comedy, e un geniale intreccio dalla tessitura cristallina nella quale tutti i dettagli combaciano con spietata perfezione, nessun particolare è casuale, e tutte le Cechov gun centrano il bersaglio.
Perfetto a ogni livello, dalla sceneggiatura che dimostra un’autentica pianificazione multi-stagionale; alla regia la cui mirabile eleganza visuale è sempre al servizio dell’efficacia narrativa; alla maestria di tutti gli interpreti, dallo straordinario Bryan Cranston, il protagonista Walter White, ai recurring come Bob Odenkirk, l’irresistibile affabulatore Saul Goodman; alla colonna sonora impeccabile per qualità e pertinenza; alla stupenda fotografia del miglior livello cinematografico, che si fa parte integrante della narrazione passando dai toni dominanti verde acido e giallo sabbia delle prime stagioni, ai colori accesi del tramonto nella terza, al cupo rosso sangue della quarta, al nero che domina la quinta, sempre in contrappunto con l’azzurro gelido della crystal meth di Walt.

Vince Gilligan viene dagli X Files, come producer e autore di alcuni dei migliori episodi standalone: “Pusher”, ”Soft Light”, gli horror “Leonard Betts” e “Folie à Deux”, il dickiano ”Field Trip”, e l’ottimo road thriller ”Drive”, interpretato da un giovane Bryan Cranston originariamente convocato per un altro ruolo, ma poi dimostratosi perfetto per quello del protagonista: un uomo in fuga letteralmente sul punto di esplodere. Dieci anni dopo quell’episodio, Gilligan scrive il pilot di Breaking Bad pensando proprio a Cranston per il suo Mr. White/Heisenberg, il prof di chimica che si scopre capace di scalare la vetta del crimine organizzato.
La carriera di Bryan Cranston ironicamente sembra rispecchiare l’ascesa di Walter White: una vita di ruoli minori e sit-com, e poi a cinquant’anni improvvisamente l’occasione per scatenare un immenso talento, unico per intensità, versatilità e carisma, abbastanza da proiettarlo direttamente fra i più grandi di sempre. Al suo fianco, un cast di co-protagonisti e antagonisti eccezionali, a cominciare da Aaron Paul, perfetto nel ruolo complesso dell’instabile giovane complice, quel Jesse Pinkman al quale Mr. White continua a salvare e rovinare la vita in un rapporto di ambivalente interdipendenza che, grazie anche alla perfetta chemistry fra Cranston e Paul, è il fulcro relazionale di Breaking Bad. Nelle passate stagioni la magistrale interpretazione di Giancarlo Esposito ha reso l’indimenticabile Gus Fring uno dei migliori villain di tutti i tempi; quest’anno il veterano Jonathan Banks sta facendo del suo killer/cleaner professionista Mike Ehrmantraut uno stupendo concentrato di filosofia hard boiled. Dean Norris continua efficacemente a svelare la fragilità e la complessità nascoste sotto la vernice poliziottesca di Hank, e Anna Gunn aggiunge nuovo spessore drammatico al personaggio di Skyler, la moglie di Walt, che attraverso le sue reazioni ai vari stadi della carriera del marito, rappresenta anche la reazione della società al crimine: condanna per il piccolo delinquente, collusione col medio – specialmente nei reati finanziari – sgomenta impotenza di fronte al boss stragista.

Nella sua turbolenta e sanguinosa ascesa/discesa da prof fantozziano a re del narcotraffico, Walter White ha affrontato e sconfitto ogni boss di livello, fino a diventare lui stesso il boss di livello, e uno dei più sinistri, nella sua apparente normalità. Un passo dopo l’altro, un omicidio dopo l’altro, Mr. White ha svelato il suo vero volto, è diventato se stesso .
Breaking Bad rivela tutta la violenza repressa che può nascondersi nell’uomo della porta accanto, e la spirale di crimini che sia capace di commettere e giustificare in nome dell’autodifesa, e di quel ”bene della famiglia” che è la maschera delle sue reali motivazioni: la sua sete di rivalsa, di potere, d’autoaffermazione. Walter White però non è un personaggio che possiamo comodamente giudicare dall’esterno, è un uomo tormentato nel quale Breaking Bad ci porta inesorabilmente a identificarci fin dall’inizio, quindi il viaggio all’interno del suo cuore di tenebra diventa anche un percorso di riconoscimento del nostro inner Heisenberg. Fino a che punto siamo ancora con Walt, e perché?
Forse perché è spesso diabolicamente geniale benché a volte terribilmente sprovveduto, e la sua è anche la rivincita del nerd. Forse perché, nonostante tutto, pensiamo che la sua umanità non sia morta, ma solo in disparte, dove prima si nascondeva il suo lato oscuro.
O forse queste sono solo razionalizzazioni, come quelle accampate dallo stesso Walt. E in realtà, se siamo ancora con lui è perché incarna quella parte di noi che pensa sia meglio regnare all’inferno che servire in paradiso.
Breaking Bad però ci ricorda che il trono dell’inferno è fatto di cristallo.
E che quel cristallo non è meth.

]]>