Ulrike Meinhof – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Sun, 14 Dec 2025 21:00:52 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “Un fiore è sbocciato” https://www.carmillaonline.com/2017/07/05/un-fiore-sbocciato/ Tue, 04 Jul 2017 22:01:52 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=39059 di Fiorenzo Angoscini

Davide Steccanella, Le indomabili. Storie di donne rivoluzionarie, Edizioni Pagina Uno, Vedano al Lambro (Mb) pag. 224, febbraio 2017, € 15,00

L’ultimo lavoro di Davide Steccanella, insieme a quello realizzato da Milton Danilo Fernàndez (“Donne, pazze, sognatrici, rivoluzionarie…”, Rayuela Edizioni, Milano, 2015), può essere considerato l’ unico libro scritto da un uomo, con al centro solo e tutte donne ribelli, che valga la pena di essere preso in considerazione. Donne si è detto: anticonformiste, ribelli, spregiudicate, indipendenti. E belle, al di fuori e al di sopra dei canoni fisici ed estetici ormai predominanti.

Steccanella, affianca alla [...]]]> di Fiorenzo Angoscini

Davide Steccanella, Le indomabili. Storie di donne rivoluzionarie, Edizioni Pagina Uno, Vedano al Lambro (Mb) pag. 224, febbraio 2017, € 15,00

L’ultimo lavoro di Davide Steccanella, insieme a quello realizzato da Milton Danilo Fernàndez (“Donne, pazze, sognatrici, rivoluzionarie…”, Rayuela Edizioni, Milano, 2015), può essere considerato l’ unico libro scritto da un uomo, con al centro solo e tutte donne ribelli, che valga la pena di essere preso in considerazione. Donne si è detto: anticonformiste, ribelli, spregiudicate, indipendenti. E belle, al di fuori e al di sopra dei canoni fisici ed estetici ormai predominanti.

Steccanella, affianca alla sua attività professionale, l’amore e la passione per alcuni argomenti e temi specifici che, spesso, finalizza in scritti e pubblicazioni. Così il suo amore per la musica lirica si è concretizzato con un libro sull'”ultimo soprano assoluto”, Montserrat Caballè, e con una serie di appunti per l’ascolto dell’opera lirica. Steccanella è anche un cultore di musica rock e appassionato tifoso (Interista-Leninista) dell’Internazionale, quella nerazzurra di Milano. Al calcio ha dedicato “Non passa lo straniero (Ovvero quando il calcio era autarchico)”.

Negli ultimi anni ha particolarmente analizzato e studiato le esperienze rivoluzionarie e di lotta armata. Frutto di questi approfondimenti alcune pubblicazioni, dalla prima bozza1 di quello che diventerà Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata2 fino a “Rivoluzionaria. 2017 Agenda 12 mesi”3 nella quale, per ogni giorno dell’anno, ricorda un avvenimento o un fatto particolarmente significativo: il trionfo della Rivoluzione Cubana, l’assassinio di Ernesto Che Guevara, il sequestro di Mario Sossi, l’evasione dal carcere di Pozzuoli (Na) di Franca Salerno e Maria Pia Vianale, la vittoria dei No al referendum per l’abrogazione del divorzio.

Sull’esperienza militante e rivoluzionaria delle donne altri contributi, esclusivamente al femminile, hanno un particolare significato e valore.
Dal primissimo omaggio di Ida Farè a Margherita Cagol4 sino all’ultimo (per ordine cronologico di pubblicazione) di Paola Staccioli5 di cui sono state realizzate diverse ristampe. Senza dimenticare l’altro contributo di Paola Staccioli, scritto a quattro mani con Haidi Gaggio Giuliani con prefazione di Silvia Baraldini.6 Mentre su un piano, e in un’ottica, completamente diversi, si colloca “Donne oltre le armi”.7

L’autore, dopo aver dedicato la sua attuale fatica a Maria Elena, Paola e Valentina inizia la propria cavalcata storico-politica partendo da metà ‘800. Tra le prime ‘femmine ribelli’ ricorda Louise Michel (1830-1905) combattente durante le giornate della Comune. Per il suo carattere indomito e guerriero, dalla stampa benpensante venne definita ‘La belva assetata di sangue’ e Paul Verlaine le dedicò una poesia, “Lei ama il povero”.

Nel suo ‘excursus’, passa poi a Rosa Rossa Luxemburg, ed arriva alla prima (novembre 1910) ‘rivoluzione’ del XX° secolo , quella messicana, con la sua protagonista femminile principale: Petra Herrera detta Pedro che “…andava all’assalto con tale ardore da trascinare con il suo esempio uomini e donne insieme”. Per addentrarsi poi nella Rivoluzione più significativa, simbolica e importante che ha caratterizzato il secolo scorso, quella Bolscevica d’ottobre (1917).

Parlando di essa, traccia il profilo di alcune protagoniste della stessa: Aleksandra Michajlovna Kollontaj, ‘Commissaria del Popolo per l’Assistenza sociale’, di cui Steccanella evidenzia come “…sia stata la prima donna al mondo a essere ministro di un governo”, promotrice, con molte altre donne Sovietiche, delle leggi su aborto e divorzio (1920). Nella patria dei Soviet le donne godevano già del diritto di voto e all’istruzione, di essere elette, e di percepire un salario uguale agli uomini. La Kollontaj, durante il suo incarico, dispose la distribuzione ai contadini delle terre appartenenti ai monasteri, l’istituzione degli asili nido statali e l’assistenza di maternità.

Un’altra ‘Bolscevica’ (“Bolscevica entusiasta e intelligente” la definirà Lenin) è Inessa Armand, nata Elise Stèphanne, che stabilì rapporti e instaurò relazioni politiche con i rivoluzionari russi fino al compimento e costituzione del governo degli operai e contadini. Quando (16 luglio 1914) “L’Ufficio dell’Internazionale Socialista convoca, a Bruxelles, una conferenza per ridiscutere della riunificazione di tutte le correnti dei socialdemocratici russi” Lenin, fiutata la trappola con cui si tentava di far approvare, dall’Internazionale, una mozione favorevole all’unificazione, consapevole delle capacità e doti della ‘compagna’, chiese ad Inessa di rappresentarlo, scatenando le ire di Kautsky, Luxemburg, Trockij, Plechanov e Marlov. All’ambigua risoluzione oppose una proposta che invitava tutti i socialdemocratici a unirsi al programma bolscevico. Nonostante la sua contro-risoluzione venisse respinta, Lenin fu più che soddisfatto: “Hai condotto l’affare molto meglio di quanto io avrei potuto fare. Io sarei esploso. Non avrei potuto sopportare quella commedia e li avrei trattati da canaglie”.
Brava pianista, eseguì La Patetica, la sonata preferita di Vladimir Ilic Ulianov (Lenin) e ai funerali di Paul Lafargue e Laura Marx (Parigi, 3 dicembre 1911) l’orazione funebre letta da Lenin fu tradotta in francese da Inessa che, oltre alla madre lingua francese, era un’ottima conoscitrice di altre lingue straniere.

Dopo Messico e ‘Ottobre’, Arriva Spagna!.
Il 17 luglio 1936 i golpisti, con a capo Franco, proclamano il ‘sollevamento’, l’attacco armato fascista alla Repubblica spagnola. Tra le principali figure della lotta al franchismo, spicca quella della Pasionaria, la basca Dolores Ibàrruri, amica personale di Stalin e, come si autodefinisce, una donna “di pura razza mineraria”. Nel suo libro autobiografico che riprende, nel titolo, il discorso pronunciato in difesa della Repubblica a nome del Partito Comunista Spagnolo il 19 Luglio 1936, “No pasaràn!-Memorie di una rivoluzionaria” 8 ribadisce come sia riuscita a modificare la “rabbia disperata e il sentimento di ribellione in consapevolezza politica e ideale, per quella trasformazione di una semplice donna del popolo in una combattente rivoluzionaria, in una Comunista”.

Dopo la Spagna, la montagna…
Davvero tante, e con ruoli di primo piano, le combattenti per la libertà italiane. Steccanella ricorda la numerosa rappresentanza: “70.000 organizzate nei Gruppi di difesa della donna; 35.000 partigiane combattenti; 20.000 con funzioni di supporto; 4.563 arrestate, torturate e condannate dai Tribunali fascisti; 2.900 cadute o uccise in combattimento; 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti; 1.700 ferite; 623 fucilate; 512 Commissarie di guerra; 19 medaglie d’oro e 17 d’argento”.
Alcuni nomi, famosi e meno noti, per tutte: Irma Bandiera, Carla Capponi, Iris Versari, Joyce Lussu, Vandina Saltini, e molte altre ‘Stelle Rosse’.

Altre significative presenze, sono quelle delle donne protagoniste nella lotta per i diritti degli afroamericani, per l’emancipazione degli ‘ultimi’ e per il riscatto sociale, del nord America: Rosa Louise Parks, la Pantera Nera Kathleen Claver poi, quando rompe con il BPP, militante del ‘Revolutionary People’s Communication Network’; e il simbolo più conosciuto della ribellione dei neri d’America: Angela Davis. Nel volume viene ricordata la definizione che la Davis fornisce per ‘radicale’: “Radicale significa semplicemente comprendere le cose dalle loro radici”.
Forse, in questa sezione, sarebbe dovuta essere ricordata anche Ethel Rosenberg, capro espiatorio del maccartismo imperante.

Direttamente e indirettamente, l’America Latina forgia molte donne-guerrigliere. Ricordiamo Tania Haydèe Tamara Bunke Bider,9 uccisa ventinovenne a Puerto Mauricio dove era al seguito della spedizione boliviana del Che. Un’altra teutonico-latina è Monika Ertl Imilla,10 che il 1 aprile 1967, ad Amburgo, armata da Feltrinelli, vendica il Comandante Che, giustiziando il suo boia: Roberto Quintanilla.
Rimanendo nell’ ambito dell’isola caraibica, Steccanella ricorda come a Cuba, con molte altre donne che sono state formate ideologicamente e militarmente nell’ isola felice, abbia trovato asilo politico e continui a viverci la rivoluzionaria afro-giamaicana, militante del Black Liberation Army, Assata Shakur, nome da schiava JoAnne Chesimard, alla cui liberazione (non evasione, come tiene a specificare) ha partecipato, nella sua parte finale, anche Silvia Baraldini.11

L’autore dedica attenzione anche alle donne che hanno partecipato alle lotte d’indipendenza europea del secolo appena passato: Irlanda del Nord e Euskadi.
Nel conflitto Nord Irlandese hanno combattuto Bernadette Devlin, Mairead Farrell uccisa a Gibilterra, il 6 marzo 1988, da uno ‘squadrone della morte’ dell’esercito inglese.
Uno dei maggiori ‘simboli’, per autorevolezza e significato, della lotta del popolo basco, è senz’altro Eva Forest, artefice del ‘Piano Ogro’ (eliminazione di Luis Carrero Blanco, ‘capo’ del governo di Franco). Fatto saltare in aria con la sua auto a Madrid il 20 dicembre 1973. Nel suo “Operazione Ogro. Come e perchè abbiamo ucciso Carrero Blanco” 12 inizia il racconto così: “Carrero Blanco aveva un sogno: volare. Un giorno Eta ha reso il suo sogno una grande realtà”.

Nell’ampia rassegna di circa quaranta profili di rivoluzionarie (anche se ci sarebbe piaciuto fossero state ricordate Olga Benario, comunista ed ebrea, emissaria dell’Internazionale Comunista in Brasile, assassinata nel lager di Bernburg-Euthanasia Centre il 23 aprile 1942;13 la comandante Celia Sànchez della rivoluzione cubana: “quella che prendeva le principali decisioni”; 14 Genoeffa Cocconi, madre dei fratelli Cervi e Carla Verbano.15 ) Steccanella coltiva due ‘fiori rossi’ particolari: Margherita Mara Cagol (fondatrice delle Brigate Rosse, ‘giustiziata’, secondo la testimonianza di un militante presente al precedente conflitto a fuoco, con un colpo di pistola sparato alla nuca, quando era inginocchiata ed arresa, il 5 giugno 1975 presso la Cascina Spiotta frazione Arzello di Melazzo (Al). I suoi Compagni nel comunicato di saluto affermano: “Mara, un fiore è sbocciato, e questo fiore di libertà le Brigate Rosse continueranno a coltivarlo fino alla vittoria! Lotta armata per il comunismo!”) e Ulrike Meinhof, giornalista e militante della Rote Armee Fraktion, morta ‘misteriosamente’ nel carcere di Stammheim la notte tra l’8 e il 9 maggio 1976. Un manifesto del Soccorso Rosso la ricorda così: “Un fiore è sbocciato. Lo coltiveranno i rivoluzionari di tutto il mondo. Lo coltiveranno fino alla vittoria”.16

Per solidarietà militante, rispetto ed apprezzamento, le ultime due donne ricordate nel libro sono “Nonna Mao”-Cesarina Carletti, ex partigiana, libraia dell’usato al mercato di Porta Palazzo a Torino, arrestata il 15 luglio 1975 in quanto sospetta brigatista: “C’è proprio da ridere, con quest’ultima sono ventuno volte che sono stata in galera. E non mi sarei mai immaginata di ritrovarmi con le stesse imputazioni di trentatrè anni fa, quando ero partigiana: appartenenza a banda armata”.

Caterina Rina Picasso, classe 1908, ‘la nonnina delle BR’, viene ricordata così da Prospero Gallinari: “Caterina Picasso è un pezzo del nostro passato. Un volto della città profonda, dell’intensità antifascista e comunista della storia genovese”. All’età di 72 anni è “condannata in primo grado a tre anni e quattro mesi , aumentati in appello a quattro anni . Fuori dalla sua cella espone una rudimentale bandiera rossa cucita con vari pezzi di stoffa”.

Infine, ma non assolutamente ultima, va ricordata una, a modo suo, ‘combattente’ che mai nessuna antologia, libro di biografie o rassegna di donne menziona: Anna Magnani. Quando, ormai segnata dalle ‘offese del tempo’, incurante dell’estetica ribadiva: “Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele
Un’assunzione di consapevolezza molto diversa dagli attuali stereotipi estetici ed artistici, non solo, femminili.


  1. Davide Steccanella, Le Brigate Rosse e la lotta armata in Italia. Cronologia degli eventi che hanno contrassegnato 15 anni del nostro paese, Simplicissimus, Loreto (An)-Catania, 2012  

  2. Davide Steccanella, Gli anni della lotta armata. Cronologia di una rivoluzione mancata, Bietti, Milano, 2013  

  3. Davide Steccanella, Rivoluzionaria. 2017 Agenda 12 mesi, Mimesis, Sesto San Giovanni (Mi), 2016  

  4. Ida Farè-Franca Spirito, Mara e le altre. Le donne e la lotta armata: storie interviste riflessioni, Feltrinelli, Milano, 1979  

  5. Paola Staccioli, Sebben che siamo donne. Storie di rivoluzionarie, DeriveApprodi, Roma, 2015  

  6. Haidi Gaggio Giuliani-Paola Staccioli, Non per odio ma per amore. Storie di donne internazionaliste, DeriveApprodi, Roma, 2012  

  7. Rosella Simone, Donne oltre le armi. Tredici storie di sovversione e genere, Milieu Edizioni, Milano 2017  

  8. Dolores Ibàrruri, Memorie di una rivoluzionaria, Editori Riuniti, Roma, 1963  

  9. Marta Rojas-Mirta Rodriguez Caldiron, a cura di, Tania la guerrigliera, Feltrinelli, Milano, 1971  

  10. Jurgen Schreiber, La ragazza che vendicò Che Guevara. Storia di Monika Ertl, casa editrice Nutrimenti, Roma, 2011  

  11. Assata Shakur, Assata, un’autobiografia, introduzione e cura di Giovanni Senzani, CONTROInformazione internazionale, Erre emme Edizioni, Roma, dicembre 1992  

  12. Marco Laurenzano, a cura di, Eva Forest, Operazione Ogro. Come e perchè abbiamo ucciso Carrero Blanco, Red Star Press, Roma, dicembre 2013  

  13. Ruth Wener, Olga Benario. Una vita per la rivoluzione. La storia di una vita coraggiosa, Zambon Editore, Francoforte, 2012  

  14. Dieci donne rivoluzionarie…che non appaiono nei libri di storia, Kathleen Harris, 2014 https://www.bibliotecapleyades.net/sociopolitica/sociopol_globalupraising81.htm  

  15. Carla Verbano con Alessandra Capponi, Sia folgorante la fine, Rizzoli, Milano, 2010  

  16. La morte di Ulrike Meinhof, Rapporto della Commissione Internazionale d’inchiesta, traduzione di Petra Krause ed Elisa D’Ambrosio, Tullio Pironti Editore, Napoli, settembre 1979 – Ulrike Meinhof, Bambule. Rieducazione, ma per chi?, Edizioni della battaglia, Palermo, gennaio 1998  

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Divine Divane Visioni (Cinema porno) – 76 https://www.carmillaonline.com/2016/12/15/divine-divane-visioni-cinema-porno-76/ Thu, 15 Dec 2016 21:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=34800 di Dziga Cacace

Fuck the game if it ain’t sayin’ nuttin’

ddv7601876 – Librianna, Bitch of the Black Sea di anonimo cane, USA 1979 Librianna è un bidone, ma non solo il film, pure la giunonica eponima protagonista, una sorta di santona del sesso che predica a colpi di bacino la controrivoluzione in URSS. Sinceramente non ricordo come ho fatto a imbattermi in questa roba mostruosa ma una volta saputo che esisteva un fake che pretendeva di essere il primo e unico porno dell’era sovietica non ho saputo resistere: [...]]]> di Dziga Cacace

Fuck the game if it ain’t sayin’ nuttin’

ddv7601876 – Librianna, Bitch of the Black Sea di anonimo cane, USA 1979
Librianna è un bidone, ma non solo il film, pure la giunonica eponima protagonista, una sorta di santona del sesso che predica a colpi di bacino la controrivoluzione in URSS. Sinceramente non ricordo come ho fatto a imbattermi in questa roba mostruosa ma una volta saputo che esisteva un fake che pretendeva di essere il primo e unico porno dell’era sovietica non ho saputo resistere: ho sbrigliato la mia fibra ottica e, voilà, eccovi il resoconto di quanto ho visto. Purtroppo.
Che si tratti di un’epocale fetecchia è evidente dopo pochi secondi di visione: si parte con il monumento a Lenin e il picchetto d’onore sulla piazza Rossa. Poi scene della ridente Mosca brezneviana, grigia e piovosa. Stacco e c’è una bella bruna che ansima a gambe larghe e un bel tomo le zompa addosso e con voce off si rivolge a noi malcapitati spettatori: “Vi chiederete come mai mi trovi in un posto come questo… Mosca intendo”. Capisco che si arriverà a vette sublimi. Ma come siamo giunti a questo punto? Dunque: Scott è un giornalista di Seattle minacciato di licenziamento; gli fanno vedere un filmino hard e veniamo a sapere che in URSS sta proliferando la pornografia underground con funzione dissidente e la leader è tale Librianna: Scott deve andare a intervistarla, costi quel che costi. E per entrare in Unione Sovietica basta chiedere, no? Il protagonista arriva come turista sul Mar Nero (che non è chiaramente il Mar Nero) in treno (da Seattle!) e poi da lì a Mosca in aereo, con intrattenimento orale gentilmente offerto in volo da una compagna (“Abbiamo infranto la barriera del suono”). Scott finisce sulla piazza Rossa (e c’è sul serio! E fa quasi più impressione che ci sia del contrario!) e si chiede, da vero segugio: come trovare Librianna? Basta andare ai magazzini GUM, e dove, se no? (C’è solo una milionata di russi, del resto, a guardare i prodotti, pochi). È il momento più godibile dell’immonda pellicola: Scott salta fuori qui e là nelle location moscovite come un Paolini in cerca di notorietà. Però gli va sempre buca: decide allora di provare la fortuna alla parata che celebra la Rivoluzione d’Ottobre. Del resto è logico: più gente c’è, più è probabile che si trovi lì anche Librianna… La logica viene ulteriormente violentata grazie a un tizio che vende al mercato nero la dritta verso tale Maya, una con il tatuaggio di una stella rossa su una chiappa, giuro. Ovvia copula ma il lavoro di intelligence va in malora perché Maya è un’agente KGB. Arrestato e interrogato, Scott riesce a scappare (non è dato sapere come: la mai abbastanza celebrata grandezza dell’ellisse narrativo!) ed è Librianna a contattarlo. La leader controrivoluzionaria è una ninfomane che vuole liberarsi del giogo comunista e si masturba con i libri di storia sovietica: sa tutto di Scott e lo ha seguito insieme al suo servo, un personaggio incappucciato chiamato Igor. Riceve lo straniero nel suo covo segreto, lo invita a farsi un bagnetto e gli concede l’agognata intervista. Lui le chiede come mai sia così ricca e riesca nella sua attività porno-politica e lei gli risponde come se parlasse a un deficiente: in URSS sono tutti così timorosi di fare domande che nessuno le fa e questo le permette di prosperare. Ma pensa! E da qui prosegue l’assortimento di bestialità, con una trama pensata da qualcuno che ha ingestito peyote grossi come birilli, farcita di scene pornografiche eccitanti come in un film di Rocco – ma Buttiglione non Siffredi – con fotografia amatoriale, musiche stonate e montaggio e regia che farebbero augurare un’effettiva permanenza in Siberia degli autori di cotanta vaccata. C’è tutto il repertorio: sopra, sotto, davanti e dietro, ma è sempre tutto di una bruttezza indicibile, assolutamente inibente qualunque desiderio sessuale, anche a causa di attori orrendi, senza distinzione di genere, tutti, maschi e femmine, oltretutto pelosi anche oltre le folte abitudini dell’epoca. Lui sembra un Kevin Costner con la frangetta, finito sotto una pressa e senza un bagliore di intelligenza negli occhi ed è un attore bestiale, asinino ma non dove ti aspetteresti che lo sia un attore porno. Lei è una non irresistibole tettona alla Russ Meyer, dal volto cubista e con parrucca platinata. Il top della comicità involontaria è toccato con la scena di seduzione della bionda nei confronti di Scott: passeggiata sulla spiaggia, bacetti, cena a lume di candela e ballo lento, con lui con un completo enorme che andrebbe forse a Galeazzi e lei vestita come Moira degli elefanti. Tra le altre perle la liberazione di Igor da un gulag entro il circolo polare artico, impresa irrisoria perché “sanno impedire alla gente di uscire dai campi, ma non di entrarci”. Infine la conclusione: Scott torna a casa, pubblica il suo articolo e si riguarda beato i filmini della sua avventura, con il degno finale di lui che possiede Librianna con addosso un costume da orso sovietico, scena degna del peggior film porno mai visto, ma mai brutto come questo. (22/8/11)

ddv7602877 – La bestia nel cuore – e temo anche alla regia – di Francesca Comencini, Italia 2006
Premetto: farò di tutto per non scadere nel querelabile. E aggiungo: non escludo che cattiva digestione, ansie professionali e meteopatia possano avere influenzato il mio giudizio. La prendo larga: per quel che mi riguarda questo film è disastroso ed è l’epitome (ehi, ho usato la parola “epitome”) di tanto cinema italiano, tronfio e insopportabile. La cosa che soffro di più è il testo, mortificante, tutto scritto, legato, finto: la regia insistita e non granché originale contribuisce a questo senso di poca spontaneità, in una generale piattezza talvolta interrotta da qualche lampo d’invenzione, alternanza – rara – che insinua il dubbio della casualità e dell’inconsapevolezza. La drammaturgia è gestita come un macellaio tratta un nodino, con improvvisi apici recitativi scomposti, tra urla e gemiti. Poi arriva il momento leggiadro, sentimentale e, zac!, parte la Gnossiénne numero 5: povero Satie, ridotto a stereotipo musicale. Giovanna Mezzogiorno non recita, ma sussurra ai limiti dell’inudibile e sembra avere qualche problema di dizione e siccome l’argomento è scottante la si premia, anche in memoria del padre Vittorio che in vita, invece, ce l’eravamo filati poco nonostante avesse lavorato con Peter Brook. Luigi Lo Cascio se la cavicchia, ma qui non mi sembra un problema di capacità attoriali, ma proprio di gestione delle stesse, con una regia che anestetizza tutto fino alla prossima accelerazione isterica, passando da personaggi narcotizzati a giulivi e poi tragici. In certi momenti il film sembra Boris, ma per comicità involontaria. Finale con rallenti e fermo immagine: non vado oltre se no finisco nel penale. Audio brutto, luci e scene finte, con interni irreali, case vuote, senza tende o persiane (la metafora? Spero di no ma pure potrebbe). Dialoghi da manuale, ma di quelli per principianti: più che indignato, sono incredulo e Barbara mi è testimone dello scempio cui assistiamo. La trama è tratta da un romanzo della regista e si può sintetizzare il più brevemente così: papà è pedofilo e incestuoso, ma la figlia ha rimosso nonostante l’evidenza dei ricordi. E certo, se no il film non si fa. Lei incinta va in USA dal fratello per rasserenarsi dato che la turba l’immagine ricorrente della patta aperta del padre che la raggiungeva nel suo lettino di bimba. E chissà mai cosa sarà potuto accadere. Ma in USA non ha il coraggio di chiedere esplicitamente al fratello. Poi annuncia che è incinta e quando la cognata dice che la gravidanza le farà dimenticare tutto, che questa nascita la salverà, arriva il picco drammatico: “Salva da cosa!?!”, urlando all’improvviso. E da lì rivelazioni a cascata e ritorno in Italia con ulteriori vicissitudini che culminano nella scena stracult del delirio preparto, con camera zenitale che ondeggia sulla Mezzogiorno in deliquio. Candidato per l’Italia al premio Oscar, il film non è stato però premiato e chissà poi perché. Mentre scrivo, cioè il giorno dopo questo supplizio, la Comencini ha presentato il suo nuovo film a Venezia, tratto da un altro suo romanzo. Ci son state risate a scena aperta durante le scene drammatiche. Lei ha accusato i critici maschi, e te pareva. Mi dispiace, ma dopo questo La bestia nel cuore non ho dubbi su chi possa aver ragione. Critico no, ma maschio sì, sorry, e non significa che devo accettare sullo schermo ogni cosa solo perché la regista si ritiene intoccabile per nascita, eh. Vabbeh, basta: ho una fame nera, comunque, e vorrei capire perché se basta una sera per prendere un chilo, serve un mese per abbatterlo e perché a 20 anni mangiavo 5 etti di patatine fritte e non avevo problemi e adesso non posso più farlo. È un mondo cattivo, con la bestia nel cuore, certamente. (Diretta su RaiMovie; 6/9/11)

ddv7603879 – L’incantevole, giuro, Come d’incanto di Kevin Lima, USA 2007
Galeotto fu il trailer in un dvd Disney visto recentemente. Le bimbe pretendono e il pessimo padre obbedisce. Il concept è imbattibile (personaggio da favola, simil-Principessa, immerso in realtà metropolitana odierna) e il risultato finale è ottimo perché si tiene il ritmo delle trovate e non si sbraca mai. La prima parte funziona benissimo ma è anche la più facile (per modo di dire) da scrivere. È la parte destruens, con tutta l’ironia – anche cattiva – sul mondo disneyano e gira a mille con equivoci, gag e anche battute azzeccate. Il primo Shrek era tutto così ed era amabile. Ma era solo così: parodia, geniale perché inedita, ma solo parodia. Diventa difficile però portare avanti il gioco, la parte construens: come far funzionare la trama, come risolvere tutto ed è qui che io batto le mani perché tutto si incastra alla perfezione, sempre con autoironia e plausibilità narrativa. È un ottimo lavoro, sinceramente, e non l’avrei mai detto, ma mai mai mai. Brava la protagonista principale, Amy Adams, e anche il belloccio contemporaneo, tale Patrick Dempsey, che, mi spiega Barbara, si tratta di gnoccolone riverito dall’universo mondo femminile intiero in quanto protagonista di Grey’s Anatomy, uno di quei telefilm di bassa lega che ha conosciuto immensa popolarità in tempi recenti (ne ho visto una volta una puntata e l’unica cosa curiosa era che protagonista fosse una cinese con la faccia più storta che avessi mai visto, tolti due quadri di Picasso). Film adorato dalle bambine (le mie, intendo) e pure apprezzato da me, com’è evidente. (1/10/11)

ddv7604880 – Boris – Il film di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, Italia 2011, non vale il Boris che conoscevamo
La partenza è buona, con la sentenza definitiva sul fare tivù (“è come la mafia: non se ne esce, se non da morti”, confermo) e con il racconto dolorosamente attendibile del sottobosco cinematografico: la cialtronaggine dei produttori finti e veri, le fisime intellettuali degli sceneggiatori, i salari rubati, le pose acculturate. Finisce che René Ferretti accetta di girare un improbabile La casta, provando il colpaccio con un’operazione in stile Gomorra. Ovviamente finirà tutto in vacca, rassegnati – anche su pellicola – a riprodurre le modalità lavorative della televisione. Perfetta la caratterizzazione della grande attrice italiana, che non parla ma sussurra ed è piena di fobie, ritrattino che mi sembra adattabile a un numero imprecisato di attrici (ma facciamoli ‘sti nomi: la Mezzogiorno, la Morante, la sempre nevrotica Buy). Ci sono alcune trovate azzeccate, ma più che ridere si sorride e in alcuni momenti si subiscono stasi esiziali e la questione è che da un film così vorresti avere una brillantezza insuperabile, come nella serie tivù. Invece si rimane in superficie in troppi momenti. La seconda parte ricalca le dinamiche note nella serie, ma senza la freschezza e la velocità cui eravamo abituati e la morale finale l’abbiamo già vista in tre finali di serie, anche se Barbara parte con le ipotesi: e se fosse stato un sogno? Ma non cambia il risultato: René quello sa e deve fare, la tivù cialtrona, ammesso che ne esistano altre possibili. Gli attori sono tutti bravi e ben diretti. Sermonti è l’unico che mi risulta fastidioso, ma non per limiti suoi, ma perché il suo ruolo non ha più misura, è completamente fuori controllo e non credibile nel pur poco credibile livello di realtà. Cameo grandioso di Nicola Piovani che si riscatta dall’amorazzo con Giovanna Melandri e rende meritevole l’Oscar vinto anni fa con La vita è bella. (1/10/11)

ddv7605886 – Babylon A.D., una babelica stronzata di Mathieu Kassovitz, Francia 2008
Questo film fa cacare, ma dolorosamente, con crampi e nebulizzazioni diarroiche tipo spray. È di sconcertante bruttezza, dalla trama intorcinata e inspiegabile, senza alcun fascino visivo e narrativo. Pure le scene d’azione fanno schifo e Vin Diesel non ha una battuta una che sia decente. Di contorno una Rampling truccata come The Joker (e con qualcosa della Moratti, ecco) e un Depardieu conciato da cattivo in maniera grottesca con un nasone immenso e i denti marci. Brutto tutto, la fotografia buissima, la musica che si dimentica subito. Prevedibili gli sviluppi della trama, sono implausibili anche nel campo dell’implausibilità della fantascienza i motori narrativi della vicenda. Tremendo. Rai4 sta comunque diventando il nostro canale preferito del digitale terrestre: ha un programma denso di vaccate assolutamente godibili. Ti siedi, accendi e subisci, sdivanato e assente. Sembra una Italia1 di 15 anni fa, piena di film d’azione di cui uno non sospetta neanche l’esistenza. Barbara s’è vista due film dedicati alla Banlieue 13, che io invece ho assunto a tratti. Scene d’azione sempre godibili, montate freneticamente ma anche con bei cinematismi, inventivi, cosa che nel film di Kassovitz mancava clamorosamente togliendo anche uno dei pochi motivi di visione. Le trame e i dialoghi invece facevano schifo, ma la colpa magari è della traduzione, chissà. (No, non credo). Ad ogni modo il secondo episodio finisce con gli eroi della banlieue (arabi, dropout, punk, delinquentelli, sballati etc.) che fanno tenerezza al presidente francese improvvisamente illuminato, tutti vanno d’amore e d’accordo, egalité, fraternité, Beyoncé, e si completa il piano del cattivone di turno (il capo della flicaille) che voleva bombardare la banlieue per realizzare una pesante speculazione. La si bombarda sì, ma tutti decidono che la si ricostruirà migliore e con del verde. Ma che buffoni! (Diretta su Rai4, 21/10/11)

hqdefault888 – Fulminati e persi ne La Vallée di Barbet Schroeder, Francia 1972
Moglie di diplomatico annoiata conosce 4 hippie storti che nella verdeggiante Nuova Guinea vogliono trovare l’uccello del paradiso in una valle misteriosa. Ovviamente la ciccetta si diletta di ornitologia in altra maniera, con consumo entusiasta di droghe, tronata e libera da convenzioni piccolo borghesi, e l’allegra combriccola intraprende un trekking: il film diventa quasi un documentario, con facce, usi e costumi degli aborigeni e la consueta uccisione dei maiali (sembra un obbligo narrativo degli anni Settanta) presi a legnate in faccia, in una scena abbastanza cruenta e insistita. Il viaggio prosegue imperterrito sinché la compagnia arriva stremata in cima a una montagna. Sono tutti affamati, sporchi, distrutti da fame, sete e fatica e – con un effettaccio tipo TeleTubbies che simula la rifrazione dei raggi solari – la protagonista si risveglia e dice: la vedo, ecco la valle! (letteralmente, come da titolo: la vallée!) e poi “FIN” e buonanotte ai suonatori. Eeeeh? E nonostante ciò il film ha un suo perché: è lentissimo e ipnotico, drogato e drogante, nel senso che non riesci a metterlo giù nonostante l’azione pressoché nulla e il finale stupefacente nel suo lasciarti a bocca asciutta. La Nuova Guinea, è un’isolaccia immensa, pressoché disabitata se non da tribù che vivono su altipiani a 2000 metri e senza quasi risorse alimentari (ho appena letto Armi, acciaio, malattie di Jared Diamond, bellissimo, sull’evoluzione dell’uomo e ‘sti poveretti sono (stati) cannibali per la drammatica mancanza di proteine nella loro dieta). Per altro gli indigeni seminomadi sono fisicamente stranissimi, come degli aborigeni australiani, ma più scuri, con niente in comune con gli orientali né tanto meno gli occidentali. I paesaggi sono maestosi: sembrano alpini, ma con foreste intricatissime, ed è sempre nuvolo, con una percepibile umidità che solo a guardare il film mi sentivo venire i reumatismi. Sono andato su Google Maps a dare un’occhiata e in effetti è ovunque chiazzato di nuvole. La colonna sonora (per canzoni) è dei Pink Floyd, contenuta nell’album Obscured By Clouds, come la valle paradisiaca, sconosciuta e introvabile in quanto non fotografata nelle ricognizioni aeree perché oscurata dalle nubi. La musica è usata poco e male ed è un peccato perché è una delle opere più originali dei Pink. Realizzata in due settimane, praticamente buona alla prima, ha un piglio rock niente male (dall’hard fino a due pezzi invece inusitatamente pop, con David Gilmour in bella evidenza) e stupisce al confronto del coevo Dark Side of the Moon. O forse mi piace perché c’è quell’inconfondibile sonorità, ma su pezzi non così rifiniti, non cesellati, puliti, quasi asettici come nel capolavoro di cui si celebrano in questi giorni i 40 anni con edizioni clamorosamente costose e ricche (di roba inutile: un capolavoro per pulizia progettuale e interpretativa ti viene rivenduto con gli scarti zozzi? mah!). La protagonista Bulle Ogier è interessante, sembra una bambolina, così compita coi suoi occhioni azzurri e i capelli biondi. Gli hippie invece sono mostruosi, non particolarmente convincenti come attori e ce n’è uno che a un certo punto indossa il chiodo da metallaro… in Nuova Guinea! Alle volte, i corto circuiti temporali e climatici, mah! Il film l’ho cominciato a guardare in treno sul computer e al 15° minuto ‘sti qui trombano, come se fosse la cosa più normale del mondo. E forse lo era. (Quando sarebbe interessato a me, no. Dopo neanche. Oggi neppure). Comunque non potevo vederlo col timore che arrivasse alle spalle un controllore mentre due copulano sullo schermo. Vabbeh, l’ho spento e rivisto con più calma a casina mia. Interessante spaccato di vita quotidiana, nevvero? (29/10/11)

ddv7607889 – La libertà irripetibile di Alpe del Vicerè 1973 e Re Nudo di Luigi Salvaggio e Dario Vergani, Italia 2010
Raccolta di documenti visivi (che si accompagnano a un divertente libro di Matteo Guarnaccia) che rinuncia programmaticamente alla forma filmica e alla nostalgia. Si tratta di diversi reperti storici dei primi raduni pop in Italia, genuinamente underground e realizzati con pochi soldi e tanta energia e idee. Le immagini sono attualizzate con interviste ai testimoni dell’epoca, realizzate tecnicamente un po’ coi piedi e con poca severità nei tagli, ma comunque interessanti e congruenti allo spirito rievocato. E non puoi che voler bene a queste persone che non ostentano alcun reducismo post sessantottino. Nelle immagini vediamo maree di giovani e c’è meno politica “parlata” di quanto si possa credere, piuttosto tanta politica praticata. Le sequenze di Alpe del Vicerè sono straordinarie e c’è un Battiato che se non lo vedi non ci credi. Ha una testa di capelli che al confronto Angela Davis era una dilettante calva: magrissimo e simpaticissimo, era già geniale allora, ma questo lo sa chiunque abbia ascoltato Fetus. Tra i protagonisti dell’epoca anche Finardi che racconta sullo sfondo di San Michele di Pagana, tra Rapallo e Santa Margherita. Quando lo vedo, penso: ma quegli scogli io li conosco! Incredibile: questo va da sempre nella spiaggia in cui andavo io da bambino (ho un evidente legame sotterraneo con Eugenio Finardi: veniva d’estate anche a Champoluc e oggi abita vicino a me: prima o poi devo intervistarlo). Dopo questo tuffo nella memoria, emozionante e per nulla compiaciuto, mi son rifatto la bocca con il finale del grandioso Trappola d’amore, un disastroso thriller sentimentale con un risibile Richard Gere al top della forma, tra pianti e scenate isteriche: prima o poi si impone una visione integrale con doverosa disamina critica. (3/11/11)

ddv7608890 – Il grande freddo di Drive, di Nicolas Winding Refn, USA 2011
Raggelato, stilosissimo, intrigante: il kitsch anni Ottanta che diventa stile. Mi ricorda uno Scorsese, ventenne nei temi e cinquantenne nella forma, ma c’è molto di più, è chiaro. C’è il Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, per esempio, e altre cose ancora che i critici seri sanno e io non ricordo più e neanche ho voglia di farlo. Drive è girato benissimo, con una lentezza ostentata che va di pari passo col mutismo del protagonista: non ricordo se l’ha detto Ryan Gosling o Refn proprio, ma sarebbe un sogno, o potrebbe esserlo, con le sequenze finali come uniche ambientate nella realtà. Ma non mi interessa, il film viaggia bene così. Titoli con lettering e colori fluo a sottolineare la curiosa adesione estetica di cui dicevo: si veda anche la musica di plastica, decisamente azzeccata (anche se a film finito non la sentirei manco sotto tortura). Bravi gli attori, bello il montaggio e intelligenti le piccole deviazioni narrative che ti ingannano per pochi secondi. (12/11/11)

ddv7609893 – Altrimenti ci arrabbiamo!, sempre!, di Marcello Fondato, Italia Spagna 1974
In realtà lo abbiamo visto a rullo per un mesetto circa, ma con continuità io l’ho rivisto solo stasera. E con che stolido piacere, signori miei. Pochissimo dialogo, tutto memorabile però, nella sua semplicità archetipica: quando l’ho visto nell’agosto 1979 ricordo che con Pier Paolo citavamo a memoria – e dopo una sola visione – tutte le frasi del duo Bud and Terence, manco declamassimo versi dell’Ariosto. E oggi lo vedo fare a mia figlia. I due protagonisti erano in stato di grazia e affiatatissimi, ma anche i personaggi di contorno sono perfetti (su tutti Donald Pleasance!), così come le caratterizzazioni (i duri della banda nemica, il killer Paganini). Le musiche dei fratelli De Angelis alias Oliver Onions sono eccezionali (e non solo la frizzante Dune Buggy, anche il Coro dei pompieri, Across the Fields che accompagna il rally iniziale e Il ballo, in tutte le scene danzerecce). Un giorno m’è venuto lo sghiribizzo di fare un controllino e ho verificato che lo stadio era quello dell’Atletico Madrid (Google Map è uno strumento prodigioso: certe volte passo un’ora a passeggiare virtualmente in posti che conosco. Sono un cretino, lo so). Poi ho googlato e trovato un sito con estensione Tokelau di un simpatico matto che ha perlustrato Madrid ritrovando tutti i luoghi del film 40 anni dopo. Vabbeh. Di solito coi film amati nell’infanzia, quando si rivedono dopo tanto tempo, si prova una sensazione agrodolce, scoprendo quanto fossero irrisolti, salvati dalla benevolenza della memoria. E invece no: Altrimenti ci arrabbiamo sta in piedi non solo dignitosamente, ma proprio benissimo e potrebbe correre la maratona. L’incasso fu stratosferico e non ho né voglio cercare le pezze d’appoggio, ma insieme a Fantozzi e a Ultimo tango a Parigi credo sia uno dei film più visti dal popolo italiano. D’accordo che c’erano le seconde visioni, le terze e i parrocchiali (io il film – del 1974 – l’ho visto al cinema sia nel 1979 che nel 1980) e la televisione era quella del monopolio Rai (e non ancora del monopolio Nano), ma Benigni, Aldo Giovanni e Giacomo, Zalone e Giù al sud, gli fanno una pippa ad Altrimenti. E anche non fosse un semplice calcolo sui biglietti staccati o sugli incassi, io parlo proprio di immaginario, perché non c’è persona tra i 40 e i 50 che non sia stato segnato dalla visione di questi film. Comunque che si continui a parlare d’incasso più grosso di tutti i tempi basandosi solo sul valore nominale dell’incasso e non sull’effettivo valore considerando la svalutazione, beh, è una coglionaggine che non ha veramente senso. (5/12/11)

ddv7610895 – Voglio i Gremlins di Joe Dante, USA 1984
Approfittando del sonno pomeridiano della piccola Elena, Sofia e io ci concediamo una peccaminosa visione di un film che mamma Barbara sconsiglia. Ma vinciamo noi e, non avendo visto il film all’epoca, capisco a chi si riferisca il nome della band attualmente à la page dei Mogwai. Noto anche che il mio amore Phoebe Cates era proprio patatissima, nonostante certe camicette emetiche tipicamente anni Ottanta. Invece il protagonista non l’ho mai più visto. Dunque: siamo alla vigilia di Natale e un inventore senza arte né parte regala al figlio un curioso mostricciattolo peloso scovato in un robivecchi cinese. Ma, attenzione: niente luce, niente acqua e guai a dargli da mangiare dopo mezzanotte. Cose che puntualmente accadono e mentre sulla tivù girano prima La vita è meravigliosa e poi L’invasione degli ultracorpi, la cittadina viene invasa da mostruose creature devastatrici. È una fiaba di Natale horror, dove il buonismo spielberghiano viene sbeffeggiato (complice Spielberg stesso che produce). Rimandi cinefili e tanta ironia: altro che E.T.: questi gremlins sconquassano lo status quo, pervertono e perturbano anarchicamente tutto, sfasciano, fumano, sbevazzano, fanno pure giustizia dei tanti personaggi negativi della cittadina, ma ovviamente l’orrore sano non può vincere su quello reale, di un paese ormai finto, che finge di credere a Babbo Natale e che si sente assediato dagli stranieri (tantissime volte, se ne parla e si vedono prodotti esteri). Insomma, ne esce un film più intelligente di quanto vuol dare a vedere – con la sua estetica infantile e smaccatamente falsa (ma i mostri finti in modo pacchiano sono anche un omaggio alla fantascienza maccartista degli anni Cinquanta). Però rimane il solito problema: si ride e si scherza e si dicono pure cose non banali, ma il film non va bene per gli adulti (a meno che non siano un po’ rimbambiti) né per i bambini, perché al di là della vicenda (molto prevedibile) i temi sono fin troppo alti. Sofia ha visto tutto senza fare un plissé né reagendo al clamoroso spoiler: Babbo Natale non esiste! (9/12/11)

ddv7611897 – Fumata nera per Habemus Papam di Nanni Moretti, Italia 2011 Dvd
Naaaa. Non riuscito. Parte con un tema interessante che però non viene granché sviluppato: la solitudine della scelta di un uomo sembra lasciata esattamente al protagonista e la regia e la trama non provano a darci altre indicazioni. Un po’ comodo, quando invece si indugia su stupidaggini autoreferenziali (la partita a pallavolo che non finisce più, il tormentone prevedibilissimo della mancanza di accudimento) o alcune macchiette irritanti (il giornalista del Tg2 che poi, per fortuna, viene perso di vista). Un’occasione persa, insomma. C’è l’intelligenza di Moretti, ci mancherebbe, ma anche tante scorciatoie che lasciano l’amaro in bocca. A me che Nanni faccia Nanni, un po’ incazzoso e monomaniaco, non dispiace. Oh, è ben per questo che lo abbiamo amato, ma non si può cadere nella parodia di sé. Cosceneggiatori Francesco Piccolo (che ha venduto mille milioni di copie di un trascurabile liberculo intitolato Momenti di trascurabile felicità) e la genovese Federica Pontremoli che mai sono riuscito a incrociare tra Lumière e altro. (11/12/11)

ddv7612899 – Le colpe dei padri… Children of the Revolution di Shane O’Sullivan, Irlanda/Germania 2011
Curioso documentario dal repertorio iconografico storico clamoroso che racconta la storia di due madri “rivoluzionarie”, Fusaku Shigenobu e Ulrike Meinhof, e delle loro figlie, figlie della rivoluzione, senza padri e sballottate per il mondo, senza identità. Il film è apologetico e non “critico” o storiografico: sceglie di non dedicarsi alla storia delle madri in maniera approfondita, non entra nelle polemiche sui crimini commessi o meno né si occupa granché della morte della Meinhof. Circoscrive l’indagine privilegiando gli aspetti privati ed essendo un ritratto emotivo fallisce proprio perché rimane asettico, senza far scattare una vera empatia. Mai una scintilla, dell’affetto, una partecipazione, anche tra gli stessi protagonisti. Bettina Meinhof è una derelitta incarognita che ha pagato eccome per le colpe della madre, se la madre ne ha avuto, ancora ossessionata dai fan postumi. Le amiche di Ulrike che la raccontano sono delle anziane borghesi che sembrano non aver capito il travaglio della Meinhof (che a loro si ribellava) e tendono a giustificarla dando la colpa – ‘anvedi – alle cattive compagnie o ai problemi neurologici della giornalista (che si portava una bella piastra di metallo in testa che potrebbe averle cambiato la personalità). Mah. Delle due storie la più riuscita è decisamente quella di May Shigenobu, persona realizzata e dalla vita interessante. La madre Fusaku Shigenobu è stata partecipe in maniera onorevole, proprio secondo l’accezione giapponese – che non conosco, ma ci siamo capiti – della lotta palestinese per la libertà, assieme al FPLP, e non si può che provare simpatia quando la traducono in carcere, indifesa, innocua, dopo 30 anni di latitanza e lotta ideale, giacché dopo la partecipazione ai dirottamenti degli anni Settanta non ha più fatto nulla, se non vivere in fuga. I vecchi compagni della Shigenobu sono invece dei mai domi compagni nipponici, sorridenti, capaci di ironia, ancora irrequieti. Come del resto lei, di cui si vedono le immagini della cattura nell’aprile 2011, salda e sicura. Edizione sottotitolata in inglese quando i protagonisti non lo parlano direttamente (alcuni militanti palestinesi in maniera atroce e incomprensibile). Film interessante, non so quanto riuscito. (16/12/11)

(Continua, forse – 76)

Altre Visioni su Twitter, pensa che gggiovane: @DzigaCacace
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