turismo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Terzo settore e gentrificazione: una parola di chiarezza https://www.carmillaonline.com/2025/02/23/terzo-settore-e-gentrificazione-una-parola-di-chiarezza/ Sun, 23 Feb 2025 21:00:58 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87019 di Giovanni Iozzoli

Luca Rossomando, L’impresa del bene. Terzo settore e turismo a Napoli, Carocci Editore, Roma 2025, pp. 148, € 17,00

Nel corso della sua travagliatissima storia, Napoli è stata spesso laboratorio di sperimentazioni sociali – quasi sempre nefaste, spesso ardite e anticipatorie – che hanno inciso sul corso del suo sviluppo e delle sue infinite crisi. L’elemento più dirompente che ha segnato la città, in questo ultimo trentennio, è stato sicuramente l’avvento del turismo di massa, potentissimo fattore di riorganizzazione dei flussi economici e degli assetti urbanistici. Non che Napoli fosse storicamente estranea ai movimenti turistici; ma essi non [...]]]> di Giovanni Iozzoli

Luca Rossomando, L’impresa del bene. Terzo settore e turismo a Napoli, Carocci Editore, Roma 2025, pp. 148, € 17,00

Nel corso della sua travagliatissima storia, Napoli è stata spesso laboratorio di sperimentazioni sociali – quasi sempre nefaste, spesso ardite e anticipatorie – che hanno inciso sul corso del suo sviluppo e delle sue infinite crisi. L’elemento più dirompente che ha segnato la città, in questo ultimo trentennio, è stato sicuramente l’avvento del turismo di massa, potentissimo fattore di riorganizzazione dei flussi economici e degli assetti urbanistici. Non che Napoli fosse storicamente estranea ai movimenti turistici; ma essi non avevano influito che in minima parte sui suoi equilibri complessivi. Oggi, collocata a pieno titolo come tappa immancabile dentro la topografia turistica euromediterranea, la città subisce il ritmo crescente della valanga umana che anno dopo anno ne investe il centro storico, alterandone finanche l’antropologia, le relazioni sociali e i rapporti di potere e di classe.

Luca Rossomando, coordinatore delle attività editoriali di Napoli Monitor – laboratorio di riferimento della ricerca storiografica e sociologica sulle trasformazioni metropolitane – offre con questo suo breve e succoso saggio, una profonda occasione di riflessione. La sua analisi non si limita alla descrizione fenomenologica dei processi – turistificazione e gentrificazione – quanto all’inquadramento dei soggetti reali che guidano o cavalcano l’onda sociale delle trasformazioni. In particolare, l’indagine si concentra su tre quartieri simbolo – delle retoriche del “degrado” e della “rinascita” – studiando minuziosamente gli attori sociali che in tali territori esprimono progettualità e protagonismo: enti del Terzo settore, associazioni, imprenditori privati, ong, fondazioni, figure nuove di governance che operano “sul crinale tra sfera pubblica e mercato”.

In pratica, l’enorme scombussolamento sociale della turistificazione, sta producendo sul campo una nuova cartografia di poteri, sottopoteri, progetti, gerarchie, flussi finanziari, in cui il ruolo del pubblico risulta sempre più ancillare. E siccome questi processi – dal “particolare al generale” – possono riguardare qualsiasi tessuto urbano, le storie che Rossomando racconta in questo saggio, sono decisamente di largo interesse, al di là della babele napoletana.

Nel 1995 il centro storico di Napoli è stato dichiarato “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO. […] Qui, nell’ultimo decennio, i valori immobiliari sono aumentati costantemente e gli affitti temporanei hanno progressivamente soppiantato le locazioni residenziali. In poco tempo sono nate una miriade di piccole e piccolissime imprese, attive in particolare nei campi dell’accoglienza turistica e della ristorazione. Dopo la flessione dovuta al Covid 19, la marea dei turisti ha ricominciato a crescere, portandosi rapidamente sui livelli pre-pandemici. Nel 2023, l’aeroporto di Capodichino ha registrato 12,4 milioni di passeggeri, il numero maggiore della sua storia, con un incremento del 14% sul 2019. Nello stesso anno il traffico crocieristico ha indirizzato verso il porto di Napoli più di un milione e mezzo di persone, con una crescita del 43% rispetto al 2022. Nell’aprile 2024 il totale degli annunci disponibili sulla piattaforma Airbnb ha sfiorato per la prima volta quota 10.000. (p. 12)

Chiaro che fenomeni sociali di queste dimensioni producono impatti altamente distorsivi: quello che era il centro storico più grande d’Europa, densamente abitato e vissuto dalla popolazione residente, sta assistendo alla rapida espulsione dei soggetti socialmente deboli – poveri, anziani, studenti –, all’impennata dei valori immobiliari, alla chiusura di botteghe e servizi che lasciano il posto alla catena infinita della piccola ristorazione che, metro dopo metro, ridisegna le strade e gli odori della città. Anche il mercato del lavoro cambia rapidamente: il segmento dell’impiego precario e malpagato, in qualche modo si struttura, diventa definitivo, elemento non emancipabile, ma necessario e indispensabile per reggere l’industria dell’offerta turistica.

E il quadro politico-amministrativo – in un territorio che storicamente ha espresso una fetta importante di ceto dirigente nazionale – come approccia questi fenomeni?

Negli anni di Gaetano Manfredi, eletto sindaco nell’ottobre del 2021, la “turistificazione” della città è stata assunta dai governanti come punto di partenza in funzione del quale rimodulare ogni intervento o prospettiva di futuro. […] Nei discorsi e documenti della giunta si è affermata, nella rituale formula per cui le istituzioni lavorerebbero per il bene dei cittadini, la consuetudine di affiancare al benessere di questi ultimi anche quello dei turisti, talvolta invertendo i termini delle priorità: le istituzioni a Napoli, insomma, lavorano per il benessere dei turisti, ma anche per quello dei cittadini, con tutte le conseguenze che questa inversione comporta. (p. 13)

Quando il turismo inizia a riversarsi sul centro cittadino, una pluralità di soggetti afferenti alla categoria “omnibus” del c.d. Terzo Settore comincia a leggere le potenzialità di questa dinamica. Si possono gestire pezzi di territorio turisticamente interessanti, magari proprio in quei rioni che godono di non buona fama; si può organizzare la grande rete dell’ospitalità diffusa; si possono intercettare risorse fresche per “riorientare” la vita dei quartieri difficili e proporsi alle istituzioni come promotori di legalità; si può godere di un ampio serbatoio di mano d’opera locale, giovane, debole e disponibile. Per fare questo, si rafforzano lo stigma e gli stereotipi sul degrado dei territori da “bonificare” e ci si propone come “risanatori” dei quartieri, mettendo in rete le risorse di diversi soggetti: la Chiesa – che è un enorme proprietario immobiliare –, le fondazioni bancarie, le grandi imprese sponsor, le tipologie associative di ogni ordine e grado. Dalla retorica del degrado alla retorica della legalità, questi nuovi attori sociali conquistano campo, nella sottomessa passività del pubblico.

Questo ridisegno della mappa dei poteri e del dinamismo economico, va inquadrato dentro la più generale tendenza italiana, negli ultimi trent’anni, a esaltare il “privato sociale” e il principio di sussidiarietà. Secondo questa lettura il Terzo Settore si presenta come alternativa efficiente e democratica, rispetto allo Stato “burocratico e sprecone”. A Napoli, questo nuovo tipo di impresa – “del bene”, come suggerisce con amara ironia il titolo –, ha marciato con vigore, scoprendo spazi di valorizzazione e rafforzando giorno per giorno una sua propria narrazione: davanti al degrado, solo noi – società civile – siamo in grado di porre un argine e trasformare in oro la miseria sociale. Rossomando descrive attraverso una puntuale ricognizione dei progetti, dei soggetti e del loro rapporto con gli abitanti dei quartieri, l’azione di questi enti del Terzo settore, distinguendoli per risorse disponibili e velleità.

Le retoriche del Terzo Settore, si sono per anni sviluppate grazie ad una politica compiacente, ad un giornalismo servile, alla creazione di un clima generale che accreditava queste narrazioni. L’autore cita a mo’ di esempio un servizio televisivo di prima serata, in cui le attività di queste imprese napoletane, vengono sobriamente definite: “straordinaria esperienza di autogoverno civico”, “fabbrica del welfare sorta interamente su iniziativa e con risorse private”, “gemme di riformismo visionarie che fioriscono dove uno meno se le aspetta”.
Ma al di là del racconto entusiasta, quali sono i risultati concreti di questa ventennale discesa in campo del privato-sociale?

Questi enti operano da anni, talvolta da decenni, nei quartieri che descrivono al pubblico, agli sponsor, ai visitatori presenti e potenziali. Essi parlano di diseguaglianze, analfabetismo, disoccupazione, violenza, in modo così accalorato da far sorgere spontanee alcune domande: le loro iniziative hanno influito in qualche modo su queste criticità? Hanno prodotto miglioramenti apprezzabili? E quali? E quindi: è possibile identificare dei parametri validi per misurare l’efficacia del loro intervento? Si tratta di domande cruciali, perché poi con il passare degli anni, nuovi bandi vengono indetti da fondazioni private e amministrazioni pubbliche, nuovi sponsor decidono di scendere in campo per sostenere l’intervento sociale e culturale, e allora gli enti del terzo settore progettano nuove iniziative e, per partecipare ai bandi o attirare gli sponsor, ripropongono le narrazioni di cinque, dieci, quindici anni prima: il quartiere ghetto, il degrado, la disgregazione sociale e così via… (p. 131)

Questo piccolo saggio andrebbe adottato nelle facoltà di sociologia (almeno a Napoli!) come strumento di conoscenza e agenda di lavoro. Perché questa è proprio l’epoca in cui si vanno ridimensionando, con sempre più decisione, le risorse e gli strumenti di intervento pubblico che dovrebbero garantire i livelli minimi di tenuta dei diritti costituzionali. Rossomando mette quindi il dito dentro un nodo tutto politico, doloroso e attualissimo, del nostro presente. Più in generale, al di là del quadro napoletano, questo libro parla del potente ciclo neoliberale, delle sue egemonie, delle sue prassi, della sua ideologia sempre più incombente: l’impresa si fa “sociale”, il capitalismo si fa “green”, lo Stato si fa “leggero”. Quello che persiste è la riduzione alla misura del profitto di ogni attività, speranza e aspettativa umana.

]]>
Una seria riflessione sull’utilizzo delle terre alte https://www.carmillaonline.com/2023/09/20/lezioni-per-le-terre-alte/ Wed, 20 Sep 2023 20:00:05 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=78788 di Sandro Moiso

Maurizio Dematteis, Michele Nardelli, Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa, con una prefazione di Aldo Bonomi e una postfazione di Vanda Bonardo, DeriveApprodi, Roma 2022, pp. 302, 20 euro

Quelli che seguono sono ricordi di un breve soggiorno turistico sulle Dolomiti di qualche anno fa: i pascoli arrossati e resi inutilizzabili dall’uso della neve artificiale sopra Canazei in Val di Fassa; la miriade di impianti di risalita situati tra il passo Sella e quello del Pordoi; i rifugi [...]]]> di Sandro Moiso

Maurizio Dematteis, Michele Nardelli, Inverno liquido. La crisi climatica, le terre alte e la fine della stagione dello sci di massa, con una prefazione di Aldo Bonomi e una postfazione di Vanda Bonardo, DeriveApprodi, Roma 2022, pp. 302, 20 euro

Quelli che seguono sono ricordi di un breve soggiorno turistico sulle Dolomiti di qualche anno fa: i pascoli arrossati e resi inutilizzabili dall’uso della neve artificiale sopra Canazei in Val di Fassa; la miriade di impianti di risalita situati tra il passo Sella e quello del Pordoi; i rifugi trasformati in alberghi di lusso, i cui ristoranti fanno a gara nell’attirare i turisti non per le escursioni a quote relativamente praticabili da quasi tutti (a patto di aver un minimo di attrezzatura adatta), ma per i menù proposti da chef variamente stellati.

Cui si aggiungono le code infinite sui sentieri dovute, più che alla difficoltà alpinistica, all’inadeguata preparazione degli escursionisti e alla miserabile attrezzatura riscontrabile nelle scarpe da ginnastica indossate da molti o di quelle a tacco alto indossate da alcune “eleganti” signore. Il tutto condito dalle liti, sfioranti talvolta l’autentica rissa, per il posto a sedere ai tavoli dei rifugi all’ora di pranzo.

Un bel quadretto davvero di turismo alpino, sotto lo sguardo impassibile della Marmolada che quest’anno, dopo la rovinosa valanga staccatasi dal suo ghiacciaio nel luglio 2022 (che causò 11 morti tra gli alpinisti coinvolti), ha raggiunto ad agosto la temperatura di 13,3 gradi a 3.343 metri di altitudine. E, soprattutto, un significativo punto di partenza per iniziare a parlare di un libro decisamente interessante, riguardante lo sfruttamento del territorio alpino in una fase di riscaldamento globale come quello che stiamo attraversando. Come afferma, infatti, nella sua prefazione Aldo Bonomi:

Questo testo, che nel sottotitolo induce una certa idea crepuscolare dello sviluppo, è molto di più di una fotografia della lunga coda del modello di industrializzazione turistica della montagna italiana costruita intorno alo sci di massa nel corso della seconda metà del Novecento. E’, altresì, un variegato racconto polifonico, corredato da un’ampia rassegna di dati statistici, della complessa metamorfosi indotta dall’Antropocene, che ha nelle terre alpine e appenniniche uno straordinario e articolato laboratorio di una modernità costretta, causa il progressivo esaurirsi della materia prima che sosteneva le sue logiche estrattive, a fare i conti con i limiti che i cambiamenti climatici impongono alla logica degli investimenti che ne stanno alla base1.

Un testo che nel narrare esperienze comunitarie, storie di sfruttamento e iper-sfruttamento ambientale, fordismo turistico inizialmente soltanto alpino ma in seguito anche appenninico, intende muoversi tra il “non più” di ciò che è sempre più difficile sostenere dal punto di vista dei costi economici, sociali e ambientali e il “non ancora” della speranza di continuare a vivere nelle terre alte sulla base di una nuova coscienza più adatta ai luoghi e ai tempi.

Testimonianza di un cambiamento di paradigma di sviluppo turistico che, ancor prima che fare i conti con le modificazioni morfologiche e climatiche indotte dall’innalzarsi delle temperature, ha dovuto e deve fare i conti prima di tutto con l’affermarsi di un turismo inteso come industria globale. In cui l’apertura internazionale dei mercati e la diversificazione dell’offerta di territori e occasioni da “consumare” ha significato, come afferma ancora Bonomi: «un innalzamento progressivo dell’asticella degli investimenti infrastrutturali necessari a mantenere le posizioni acquisite, determinando una prima grande scrematura delle tante stazioni cresciute sullo sci di massa»2.

Sarà forse per questo motivo che, tra le tante narrazioni di esperienze locali proposte dal libro, siano state spesso le piccole località turistiche, come ad esempio Prali in Piemonte, a doversi porre il problema di come sopravvivere comunitariamente ai cambiamenti in atto (nei gusti, nelle proposte e dal punto di vista climatologico). Anche se il panorama delle proposte, delle resistenze e delle resilienze alpino-sciistiche si articola intorno a un panorama che si spinge dalle Alpi Occidentali a quelle Orientali, passando da Cortina e le velleità olimpiche di devastazione previste per il 2026 e, perpendicolarmente all’asse ovest-est a quello appenninico.

Un comparto industriale che vive di innevamento artificiale in un momento in cui la ritirata o la scomparsa dei ghiacciai, piccoli e grandi, che l’alimentavano si fa via via più evidente. Come ha affermato in una recente intervista Claudio Smiraglia, docente di geografia fisica all’Università di Milano e per molti anni presidente del Comitato glaciologico italiano:

In alta quota le montagne perdono compattezza, si sgretolano, si aprono voragini. Le studio da mezzo secolo e non ricordo mutamenti così rapidi come quelli che si stanno registrando negli ultimi anni […] Gli effetti sono spesso drammatici perché ci sono sistemi di rocce tenuti saldi da due elementi. Il primo è esterno: il ghiacciaio che le sovrasta le blocca. Il secondo è interno: il permafrost, l’acqua ghiacciata penetrata all’interno delle fessure della roccia fa da collante. Con un innalzamento della temperatura come quello che stiamo sperimentando questi due elementi di coesione spesso vengono meno […] il paesaggio cambia a velocità straordinaria. Prendiamo il ghiacciaio dei Forni, sopra Bormio, in Valtellina. Fino a due anni fa ci si arrivava tranquillamente. I turisti facevano l’ultimo mezzo chilometro passando su un tappeto di detriti e arrivavano a toccare il ghiaccio. [..] Vicino al ghiacciaio dei Forni c’è il Bivacco Meneghello, un posto in cui ho dormito tante volte. Poche settimane fa è crollato tutto il dosso roccioso che lo sosteneva. Ripeto: è l’intero paesaggio alpino a trasformarsi sotto i nostri occhi. […] Nell’arco di una trentina di anni i ghiacciai alpini sotto i 3.500 metri scompariranno se, come appare molto probabile, il ritmo di riscaldamento resterà costante o peggiorerà3.

Va qui ricordato, per sottolineare l’entità del cambiamento, che il ghiacciaio dei Forni, citato nell’intervista, è il secondo ghiacciaio delle Alpi italiane dopo quello dell’Adamello e che fino al 1995, prima cioè che il ghiacciaio dell’Adamello venisse riclassificato in un unico corpo glaciale, era il più grande ghiacciaio vallivo italiano e l’unico di tipo himalayano, originato da tre bacini collettori con tre lingue glaciali distinte confluenti a quota 3000 m in un’unica lingua di ablazione che nel XIX secolo si spingeva nel fondovalle fino a quote prossime ai 2000 m.

Un tale drastico mutamento non solo spinge a considerare, come afferma ancora Smiraglia nel corso della sua intervista, che: «Le regole sulla sicurezza in montagna vanno totalmente riscritte. E il problema è che non le conosciamo ancora, stiamo imparando a nostre spese: sono gli errori che insegnano. Stiamo scoprendo che comportamenti che potevano dire sicuri fino a 10 o 20 anni fa oggi creano rischi consistenti». Ma anche a riconsiderare le possibili ricadute su tutto il settore del turismo alpino e della vita sociale sulle terre alte. Come afferma Maurizio Dematteis:

Quando risalgo le valli alpine della mia regione, il Piemonte, mi fa male vedere la ruggine dei vecchi impianti di risalita abbandonati nei valloni laterali, tra rovina e incuria. Sono il simbolo di un turismo alpino ormai al tramonto, molto più, ad esempio, dello sci di fondo. Perché lo sci da discesa ha bisogno di infrastrutture pesanti e impattanti, per nulla adattabili ai cambiamenti di cui è da sempre soggetta la montagna. Penso che nel nostro paese ce ne sono a centinaia, piccole medie stazioni sciistiche dismesse, costruite a 1000 metri o poco più, che hanno resistito finché hanno potuto e poi sono state costrette a gettare la spugna. Anni di battaglie nell’inseguire una chimera di sviluppo insostenibile che si allontanava sempre di più, tra la diminuzione delle giornate con la neve,l’aumento delle spese e gli sciatori che svanivano. Gli sforzi per trovare sovvenzioni pubbliche, le offerte al ribasso e le costose manutenzioni che hanno fatto lievitare i debiti dei gestori degli impianti fino all’insolvenza. Perché sono proprio queste realtà figlie di un dio minore che oggi per prime fanno le spese del cambiamento « cultural-economico-ambientale», spesso lasciandosi alle spalle le macerie di un tempo che fu. Sono il simbolo di un sistema di crescita infinita che oggi è ormai al tramonto, un sogno interrotto che ha cullato e illuso le comunità delle terre alte4.

In questa riflessione sta un po’ tutto il senso della ricerca di una via di uscita che non può certo essere quella delle grandi stazioni di incrementare gli investimenti, “sparare” più neve artificiale e spostare gli impianti più in alto. E che, forse, non può nemmeno più essere quella di un turismo alternativo a base di trekking, mountain bike e sci di fondo.

Il “fallimento” dello sci di massa costituisce un po’ lo specchio del fallimento di un modo di produzione e di consumo obsoleto, dannoso e vorace basato sullo sfruttamento e l’estrazione di valore e ricchezza da ogni possibile risorsa (dalla forza lavoro a quelle ambientali come la terra e l’acqua). Il simbolo, paradossalmente come la strage di operai sulla linea ferroviaria a Brandizzo, di un mondo che non può più reggersi sui soliti, mortiferi e superati paradigmi della crescita economica e dello sviluppo.

Forse, ripensare le terre alte significa, soprattutto, ricordare che proprio lì è nata migliaia di anni fa l’agricoltura5 e che lì la specie ha trovato rifugio dai pericoli di vario genere che si annidavano e si spostavano più velocemente nelle valli e nelle pianure. Oggi, in un tempo di guerre e riscaldamento planetario, ancora una volta e in tal modo, le montagne dovrebbero essere ripensate e liberate da tutto ciò che è inutile. E questo libro, nonostante qualche perdurante abbaglio sull’economia del turismo alpino, si rivela davvero utile per iniziare a ripensare non solo un modo di produzione, ma anche il consumo turistico dei territori e delle risorse ad esso collegato. Senza il primo il secondo non potrà infatti continuare ad esistere (e viceversa).


  1. A. Bonomi, Prefazione. Terre alte, laboratori di comunità in M. Dematteis – M. Nardelli, Inverno liquido, DeriveApprodi, Roma 2022, p. 5  

  2. Ivi, p. 8  

  3. A. Cianciullo, Claudio Smiraglia: “Studio le Alpi da mezzo secolo, mai vista una ritirata così veloce dei ghiacciai”, «Huffington Post» 28 Agosto 2023  

  4. M. Dematteis, L’origine. La montagna fra il non più e il non ancora in M. Dematteis – M. Nardelli, op. cit., pp. 12-13  

  5. Sul tema si veda: Nikolaj Vavilov, L’origine delle piante coltivate. I centri di diffusione delle diversità agricole, Pentàgora, Savona, recensito qui  

]]>
Il turismo come pratica di consumismo di massa https://www.carmillaonline.com/2021/01/14/il-turismo-come-pratica-di-consumismo-di-massa/ Thu, 14 Jan 2021 22:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64446 di Gioacchino Toni

Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile?, Eris, Torino 2020, pp. 64, € 6,00

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici» (Rodolphe Christin)

Nel corso degli ultimi decenni sono diverse le città e le zone paesaggistiche che in ogni parte del mondo sono soggette a processi di trasformazione profonda determinati dal turismo di massa. Espulsione dai centri storici [...]]]> di Gioacchino Toni

Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile?, Eris, Torino 2020, pp. 64, € 6,00

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici» (Rodolphe Christin)

Nel corso degli ultimi decenni sono diverse le città e le zone paesaggistiche che in ogni parte del mondo sono soggette a processi di trasformazione profonda determinati dal turismo di massa. Espulsione dai centri storici degli abitanti economicamente più svantaggiati e delle attività commerciali tradizionali sostituiti rispettivamente da ondate di turisti a cui vengono destinati gli alloggi e da infrastrutture commerciali ad essi dedicate, abnorme concentrazione di popolazione in spazi ridotti (overtourism), aumento dell’inquinamento, edificazione di opere di forte impatto urbanistico-ambientale realizzate al solo scopo di attrarre visitatori ad eventi di breve durata, cancellazione di quell’identità storica, culturale e paesaggistica che erano alla base dell’attrattività delle località. Insomma, il turismo di massa sta letteralmente distruggendo l’ecosistema urbano e naturale di molte zone del pianeta.

Un esempio su tutti. In seguito alla fortunata serie televisiva Game of Thrones, la città di Dubrovnik (Kings Landing, nella fiction) si è vista letteralmente invadere dai turisti: l’80% del milione di visitatori giunti in città nel 2016 è arrivato sul posto con enormi navi da crociera a gruppi di migliaia di passeggeri per volta. Se si sta diffondendo una certa sensibilizzazione – si pensi a Venezia – circa l’impatto delle grandi navi sull’ecosistema, non deve essere sottostimato l’impatto provocato sulle località dallo sbarco della marea umana da esse trasportata. Anche i voli low cost contribuiscono all’overtourism e in alcuni casi nei confronti dei medesimi luoghi messi a dura prova dalle grandi navi.

Dopo aver analizzato il fenomeno Airbnb, vera e propria piattaforma di gentrificazione digitale che sta riplasmando il volto delle città turisticamente più attrattive1 [su Carmilla], con un suo recente libro, la ricercatrice indipendente e giornalista freelance Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile? (Eris, 2020), affronta di petto gli effetti del turismo di massa contemporaneo sulle città e sull’ambiente naturale.

Dopo aver ricostruito quella trasformazione del viaggio per pochi in turismo di massa che Rodolphe Christin2 [su Carmilla] ha sintetizzato in maniera efficace affermando che il turista, nato come sperimentatore esistenziale, si è via via convertito in un consumatore del mondo, Gainsforth si preoccupa di evidenziare l’incidenza che su tale processo hanno avuto lo sviluppo dell’economia, le politiche urbanistiche e la cultura, per poi terminare il volume con una riflessione sulla distruttività di questo sistema turistico giungendo a chiedendosi se un altro turismo, sostenibile, sia, oltre che auspicabile, possibile.

Per quanto riguarda il turismo urbano, Gainsforth ricorda come questo sia cresciuto velocemente e in maniera spropositata anche a causa dell’incremento dell’offerta di alloggi turistici a prezzi (inizialmente) convenienti proposta da alcune piattaforme digitali che nel giro di pochi anni hanno trasformato la pratica di condivisione degli alloggi in un business che sottrae le abitazioni ai residenti stabili in favore di turisti di passaggio.

Il turismo di massa ha inoltre contribuito enormemente a rendere le città un po’ tutte uguali; essendosi l’economia locale specializzata in un unico settore, quello turistico, sono state le città ad adeguarsi ai turisti e non l’inverso. Per tentare di arginare l’overtourism si sono mosse alcune amministrazioni comunali attivando meccanismi di regolamentazione del mercato degli affitti di breve durata e si sono sviluppate mobilitazioni dal basso (come nel caso di Barcellona).

Se fenomeni come l’overtourism e la turistificazione dei centri storici sono fenomeni recenti, questi si sono però innestati su processi già in corso da tempo in diverse città e per comprendere come ciò sia potuto avvenire è indispensabile, sostiene Gainsforth, ricostruire i motivi per cui il turismo è diventato un settore portante dell’economia urbana in diverse città.

Secondo la studiosa uno spartiacque importante in tal senso è rappresentato dalla fine degli anni Settanta, quando il consolidato legame tra industrializzazione e urbanizzazione è entrato in crisi e la città si è avviata a trasformarsi da luogo di produzione a centro di servizi. A partire da allora diverse città hanno investito il loro futuro economico sull’innovazione tecnologica e culturale mentre in contemporanea si provvedeva a smantellare il welfare sull’onda della riduzione della pressione fiscale su profitti e rendite, della deregolamentazione dei flussi di capitale e della liberalizzazione del commercio. In tale contesto il settore pubblico ha via via abbandonato il suo storico ruolo di erogatore di servizi trasformandosi in committente di servizi erogati da privati.

Il passaggio da un’economia industriale a una del terziario ha comportato l’abbandono di numerose aree urbane che, da qualche tempo a questa parte, sono state destinate ai nuovi settori economici trainanti, tra cui la stessa produzione culturale: eccoci allora alla stagione dei grandi eventi, dagli Expo ai mega-eventi sportivi, con annessi fenomeni di gentrificazione e trasformazioni urbanistiche in nome del turismo come risorsa, moltiplicatore di lavoro e di ricchezza.

La contraddizione è questa: se le politiche urbane contemporanee sarebbero chiamate a sanare le diseguaglianze e ridurre le dinamiche di esclusione sociale prodotte da un’economia finanziaria, della rendita, i progetti di rigenerazione urbana sono inscritti nello stesso sistema economico che dovrebbero correggere. Per questo il termine “rigenerazione urbana” si riduce spesso a un’etichetta “etica” appiccicata a speculazioni immobiliari private, e il termine “valorizzazione”, tanto ricorrente in queste operazioni, indica non un generico miglioramento di un immobile o di un quartiere, ma la creazione di una rendita. Il turismo è una delle principali strategie di promozione di quartieri, luoghi trattati come prodotti, come brand per attirare capitali privati ed è il pretesto che giustifica la “valorizzazione” immobiliare e finanziaria della città. (p. 17)

Oltre a mostrare i disastri determinati dal turismo come pratica di consumismo di massa, il volume di Sarah Gainsforth ha il merito di invitare a ripensare il turismo a partire da una nuova prospettiva, da un’ecologia popolare.


  1. Sarah Gainsforth, Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale, DeriveApprodi, Roma 2019. 

  2. Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano 2019. 

]]>
Confini e superamenti. Turismo o rivoluzione https://www.carmillaonline.com/2019/08/14/confini-e-superamenti-turismo-o-rivoluzione/ Wed, 14 Aug 2019 21:00:57 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=54084 di Gioacchino Toni

Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, 2019, pp. 134, € 14,00

«Con l’industrializzazione del quotidiano anche i nostri sogni sono stati industrializzati». «Il turismo è la soluzione proposta dal capitalismo liberista per canalizzare la spinta sovversiva intrinseca alla volontà di trasformare la propria condizione». «La nostra smania di partire per le vacanze è l’indice della nostra insoddisfazione. Testimonia la nostra rassegnazione a vivere il noioso, l’insulso il carente, l’invivibile. Turismo o rivoluzione: bisogna scegliere» Rodolphe Christin

L’antropologo iraniano Shahram Khosravi nota che se da un [...]]]> di Gioacchino Toni

Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, 2019, pp. 134, € 14,00

«Con l’industrializzazione del quotidiano anche i nostri sogni sono stati industrializzati». «Il turismo è la soluzione proposta dal capitalismo liberista per canalizzare la spinta sovversiva intrinseca alla volontà di trasformare la propria condizione». «La nostra smania di partire per le vacanze è l’indice della nostra insoddisfazione. Testimonia la nostra rassegnazione a vivere il noioso, l’insulso il carente, l’invivibile. Turismo o rivoluzione: bisogna scegliere» Rodolphe Christin

L’antropologo iraniano Shahram Khosravi nota che se da un lato l’attuale “sistema delle frontiere” sembra voler imporre l’immobilità agli esseri umani più poveri, dall’altro non manca di imporre agli stessi un’estenuante mobilità che li costringe a vagare tra paesi, legislazioni, istituzioni, burocrazie, campi di accoglienza e di espulsione ecc. Khosravi spiega perfettamente come attorno alla mobilità umana si sviluppi una lotta incessante tra chi tenta di ridurla a strumento di controllo sociale e chi cerca di sottrarsi a quest’ultimo.

La rigida distinzione gerarchica introdotta dall’attuale “regime delle frontiere” prevede una netta differenziazione tra viaggiatori “non qualificati” (migranti, profughi, persone prive di documenti) e viaggiatori “qualificati” (turisti, espatriati, avventurieri). Se Io sono confine (Elèuthera, 2019) di Shahram Khosravi [su Carmilla] si occupa del primo tipo di viaggiatori, Turismo di massa e usura del mondo (Elèuthera, 2019) del sociologo Rodolphe Christin affronta il secondo con l’intento di analizzare l’usura del mondo «mettendo in evidenza le contraddizioni tra l’apparente libertà di movimento e lo sviluppo dell’industria turistica».

Secondo il sociologo viviamo una contemporaneità “dromomaniaca”, in balia dell’automatismo deambulatorio. Se per i personaggi pubblici la mobilità è una condizione di visibilità, più in generale è spesso vista come mezzo per conseguire la felicità e se nel turismo è possibile vedere «la punta di diamante dell’ideologia edonistica associata al muoversi nello spazio», per certi versi il mondo virtuale è lo spazio limite in cui la mobilità giunge ad annullarlo nell’istante. L’ubiquità è la forma massima di ipermobilità.

Nonostante solitamente alla mobilità venga associata l’idea di libertà, lo spostamento può divenire un obbligo. «Subita o in apparenza accettata, la mobilità è la condizione degli individui che si mettono a disposizione, che si sottomettono al capitalismo fluido e flessibile. Per chi è disposto ad adattarsi alle opportunità offerte dal Grande Mercato, il prezzo da pagare è lo sradicamento, o quanto meno la sua versione estetico-turistica, lo spaesamento».

La mobilità, sostiene Rodolphe Christin, favorisce l’espansione capitalismo: grazie ad essa i prodotti conquistano nuovi consumatori, le aziende si delocalizzano riducendo i costi, si fluidifica il transito della manodopera ecc. «Una tale fluidità sociale è connaturata all’economia di mercato e la migrazione ne è un ingrediente di base». La libertà di andare e venire può trasformarsi in un obbligo imposto dal sistema economico. «La conseguenza dell’ipermobilità è lo sradicamento, necessario all’intercambiabilità degli esseri e alla standardizzazione dei luoghi, che dunque riguarda sia gli oggetti che i soggetti»

Se il turista nasce come sperimentatore esistenziale, ora si è trasformato in un “consumatore geografico” e la mobilità turistica risulta essere al servizio del “consumo del mondo”. La libertà concessa dal tempo libero è presto degenerata in «nuove forme di controllo sociale finalizzate a canalizzare le energie destinate alle vacanze». Il tempo libero, continua l’autore, «diventa ben presto la preda preferita delle normative messe in campo da una razionalizzazione ideologica tesa a inculcare un certo modello di salute pubblica, che peraltro va in continuità con il pretesto terapeutico del turismo delle origini, le cui destinazioni erano speso terme o sanatori».

Da indubbio avanzamento sociale, le ferie retribuite sono presto divenute dal punto di vista legislativo un «adeguamento al modus operandi del capitalismo che ne favorì l’accettazione da parte delle classi lavoratrici. Ma ancor di più il rapporto tra salariato e ferie destinate allo svago gettò le basi per lo stile di vita tipico della società consumista». Come accaduto con il tempo lavorativo, «anche il tempo delle vacanze è stato progressivamente conquistato dall’ingiunzione mobilitaria, che non poteva certo lasciarsi sfuggire una simile opportunità per assicurarsi una circolazione sempre maggiore di beni, servizi e persone».

Il senso di libertà del turista risiede nel godere per alcune settimane all’anno dell’illusione di vivere di rendita. Libero di impiegare tempo come crede e di farsi servire dagli altri che invece stanno lavorando, il turista si sente un rentier. «Se il turista sogna di emanciparsi dal lavoro, di fatto lo fa solo nello spazio temporale dedicato alle vacanze». «Industria della ‘falsa partenza’, il turismo prospera grazie al male di vivere. Al quale si torna sempre, inesorabilmente».

Walter Benjamin individuava tre condizioni affinché potesse esservi la figura del flaneur: la città, la folla e il capitalismo. Rodolphe Christian ritiene che il turista presupponga: il lavoro salariato con ferie retribuite, la capacità logistica di organizzare una mobilità su larga scala e il capitalismo.

Il luogo consacrato ai consumatori in transito per eccellenza è il centro commerciale, ove il consumatore-flaneur vaga nel suo anonimato sentendosi libero di fare acquisti senza interferenze. La galleria commerciale accoglie un pubblico che tenta di placare la sua noia frequentando un luogo pensato per l’individuo indolente. «La figura del consumatore-flaneur, furtivo e prodigo al tempo stesso, è complementare a quella del produttore di beni o servizi, remunerato per quello che fa, un rapporto che configura il primo come il cliente attuale o potenziale del secondo. Questa stessa partizione è presente nel turista e struttura la relazione commerciale che intrattiene con il mondo. Anzi il turismo è l’esempio perfetto di questa ambivalenza dell’uomo contemporaneo, diviso tra il desiderio di avere, qui e ora, la possibilità di godersela senza alcun ostacolo e l’obbligo di pagare un prezzo per tutto questo, ovvero l’obbligo di lavorare per guadagnare il denaro necessario per i suoi acquisti, che farà durante il tempo libero. Alla pari dell’ozio anche il bighellonare consapevole […] ha in sé un potenziale di dissidenza comportamentale. Ma la società del consumo e l’ideologia economicista sono riuscite a canalizzare la forza a proprio vantaggio, riducendola al fugace piacere di passeggiare guardando le vetrine. Il prevalente orientamento mercantile impedisce a quel potenziale di trasformarsi in autentica forza sovversiva, convertendolo in turismo, cioè una realtà organizzata attorno al consumo».

«Affinare il sogno turistico, fornendogli una gamma di risposte adatte a ogni esigenza, rende accettabile la vita di tutti i giorni: sempre a condizione di averne i mezzi, l’offerta è quella di trascorrere qualche settimana in un luogo in cui si è temporaneamente sgravati dall’obbligo di lavorare e dalla monotonia del tran tran quotidiano». Il fatto di viaggiare in compagnia di “strumenti ausiliari” come smartphone, computer ecc., sostiene il sociologo, sottolinea quanto si tenda a voler tutto sommato restare gli stessi indipendentemente da dove ci si viene a trovare. L’ipermobilità contemporanea sembra funzionale a contenere gli individui all’interno dello spazio sociologico predefinito. Tale tipo di mobilità sembra essere un modo per mantenere l’essere umano all’interno in un mondo di beni e servizi presentato come il solo auspicabile o possibile.

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici». Secondo l’autore, dopo essere state conquistate con fatica le vacanze sono divenute uno dei pilastri del sistema insieme alla televisione, agli antidepressivi, al calcio ecc. «La fugace felicità delle vacanze turistiche è una risposta al cupo fardello della vita quotidiana».

]]>
Roma underground https://www.carmillaonline.com/2015/09/07/roma-underground/ Mon, 07 Sep 2015 21:00:47 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=25042 di Luca Cangianti

roma-underground-laura-manciniLaura Mancini, Roma underground. Una guida anticonformista e low cost, Imprimatur, 2015, pp. 265, € 15.00)

Il turismo è il viaggio ai tempi del capitalismo. Non a caso nasce convenzionalmente nella prima metà dell’Ottocento grazie ai primi pacchetti realizzati da Thomas Cook in Inghilterra. Tipico del turismo è la sua riconduzione alla dimensione del tempo libero e la sua estensione temporale limitata, ma reiterabile. L’esperienza del viaggio così può divenire merce, “democratizzarsi” e consentire a un numero crescente di persone di raggiungere destinazioni una volta riservate solo ai giovani nordeuropei [...]]]> di Luca Cangianti

roma-underground-laura-manciniLaura Mancini, Roma underground. Una guida anticonformista e low cost, Imprimatur, 2015, pp. 265, € 15.00)

Il turismo è il viaggio ai tempi del capitalismo. Non a caso nasce convenzionalmente nella prima metà dell’Ottocento grazie ai primi pacchetti realizzati da Thomas Cook in Inghilterra. Tipico del turismo è la sua riconduzione alla dimensione del tempo libero e la sua estensione temporale limitata, ma reiterabile. L’esperienza del viaggio così può divenire merce, “democratizzarsi” e consentire a un numero crescente di persone di raggiungere destinazioni una volta riservate solo ai giovani nordeuropei ricchi, che intraprendevano il grand tour attraverso l’Italia e la Spagna, ai pellegrini, ai soldati e ai marinai inviati in spedizioni belliche o commerciali.
Tuttavia la mercificazione dell’esperienza del viaggio porta inevitabilmente con sé svariati orrori quali le palle di vetro con il Colosseo miniaturizzato, i centri storici ridotti a mall, le finte osterie con i fiaschi di vino impagliati, le paste precotte e mantecate con litri di panna. Roma, come sa chiunque abbia passeggiato tra Piazza di Spagna e il Panteon, è selvaggiamente devastata da tali fenomeni. Fortunatamente Laura Mancini, nella nuova edizione 2015-2016 di Roma Underground, insegna come evitare tutto ciò, svelando il lato anti-turistico e alternativo della Capitale.

lagopanorama2

Il Lago Ex Snia nel quartiere Prenestino

La guida contiene una ricca sezione dedicata a ventuno centri sociali. Oltre a essere punto d’incontro per larga parte dell’antagonismo romano, queste strutture coltivano orti urbani, allestiscono ciclofficine, difendono i diritti dei migranti, dei precari e delle donne, ospitano convegni e seminari sulle esperienze politiche bolivariane e curde. I centri sociali permettono di stare insieme, di ballare tango e mangiare prodotti sani a prezzi popolari. Si tratta quindi di luoghi che nella geografia urbana costituiscono una rete di solidarietà umana e politica fondamentale rinnovando l’esperienza delle cameracce emiliano-romagnole e delle associazioni culturali proletarie ottocentesche frequentate dallo stesso Karl Marx (cfr. Carmilla, 24.4.2014). Tra le iniziative citate più belle (quasi poetiche, si potrebbe dire) va senz’altro ricordata quella dell’Ex Snia che, fra le altre cose, ha intrapreso una lotta vincente per la riappropriazione di un vero e proprio lago dalle acque purissime. Questo, paradossalmente, è nato dallo sfondamento accidentale di una falda acquifera durante le opere di speculazione edilizia per la costruzione di un centro commerciale.

I bar sono un altro luogo di costruzione di reti sociali generalmente invisibile allo sguardo turistico: “La vita quotidiana, specie del lavoratore dipendente o dello studente itinerante, obbligato a una lunga giornata fuori casa, viene scandita da frequenti ma fulminee soste al bar.” Ogni bar ha i suoi frequentatori, di conseguenza questi esercizi sono un osservatorio privilegiato di antropologia metropolitana: il Bar dei Belli a San Lorenzo è un “crocevia di gente, teatro di prime colazioni e ultimi amari, luogo di scontro tra malandrini e incontro tra fanciulle in ritardo”; nel cortiletto del Bar Marani a via dei Volsci, davanti a Radio Onda Rossa, la storica emittente dell’autonomia romana, continuano a sgranocchiare patatine e a sorseggiare Peroni tutte le generazioni di attivisti dagli anni settanta a oggi; di contro al Bar del Fico, vicino a Piazza Navona, si riuniscono i “gaggi” (spacconi, in romano) esibendo “leggins e audaci ciuffi”.
La guida elenca poi le associazioni culturali più attive, le librerie indipendenti con esperienze di militanza antagonista pluridecennale (es. Anomalia a San Lorenzo), quelle dove è possibile acquistare libri di piccole case editrici anche a notte fonda (es. Fahrenheit 451 a Campo de’ fiori) o luoghi ad alto tasso di creatività come il Cafè Libreria Giufà che organizza il campionato di biliardino letterario. Molto utile anche la sezione sulle biblioteche, con indirizzi inaspettati come quello dell’Elsa Morante di Ostia che offre agli utenti un’esotica vetrata che dà direttamente sulla spiaggia.

baseman_2825

Opera di Gary Baseman per il cinquantenario del rastrellamento del Quadraro

“Da cittadina romana – afferma l’autrice nella sezione dedicata al cibo – ho sempre pensato con disappunto a tutti quei turisti che alla cieca siedono ai tavolini di ristoranti assassini, trangugiando a mezzogiorno una pizza di gomma o qualche altra immonda zozzeria. La trappola per turisti è una piaga che affligge anche altri Paesi, ma qui rasenta la bestialità: carbonare con la panna, spaghetti scotti, un continuo attentato mosso ai piatti di centinaia di tedeschi e spagnoli privati del piacere di un buon pasto, e spesso salassati al momento del conto… Le trattorie romane sono spartane, offrono un numero dei piatti limitato a un prezzo onesto, solitamente vi si arriva per passaparola analogico.” Seguono quindi alcuni indirizzi di osterie e di altri luoghi dove si svolgono i riti romani collegati allo spuntino – come quello del trancio di pizza al Forno di Campo de’ fiori dopo le manifestazioni o quello dei cornetti notturni appena sfornati a via Albalonga, nei pressi di Piazza Re di Roma. La guida illustra alcune esperienze di produzione biologica come quella di Agricoltura Nuova del quartiere Spinaceto, una cooperativa fondata nel 1977 “grazie all’occupazione di uomini e donne che rivendicavano il diritto a lavorare la terra, creando un’alternativa di impegno e di reddito” o come gli Orti Urbani della Garbatella e Eutorto all’Ardeatino. In quest’ultimo caso i cassintegrati dell’Eutelia si sono reinventati un percorso di creazione di reddito riuscendo a farsi dare in gestione gli orti dell’istituto agrario presente nel quartiere.

Sotto la superficie leggiadra e umoristica, Mancini dispiega uno sguardo fortemente sociologico. A tratti sembra quasi che a scrivere sia un Simmel edonista e scanzonato: “Il garbatellaro è caratterizzato da forte senso di appartenenza, spesso conduce una vita ritirata nell’isola felice del proprio quartiere…”; Pigneto è fortemente connotato dagli studenti fuorisede e dalla comunità senegalese, il testaccino doc vive nel suo quartiere “da più di sette generazioni, parla ad alta voce, fa la spesa al mercato e ha il motorino perché non si trova parcheggio”, Monti è “modaiolo e hipsterone”, Piazza Mancini è il regno della comunità peruviana. Vengono infine citate mete solitamente irraggiungibili per i turisti come la Certosa e il Mandrione, “oasi di romanità alternativa, tra baretti, gastronomia casareccia e libreriole.”
Anche se sceglie di non approfondire la storia e i dibattiti politici che appartengono a molti dei luoghi descritti, l’autrice è interna culturalmente ed emotivamente al mondo che descrive. Per chi fosse interessato a conoscere più in dettaglio il versante storico-politico dei quartieri romani può integrare la lettura di Roma underground con Guida alla Roma ribelle di Rosa e Viola Mordenti, Lorenzo Sansonetti e Giuliano Santoro (Voland, 2013, pp. 384, € 16.00).

1_panorama-agostino-iacurcib

Fish ‘n’ kids di Agostino Iacurci, in via del Porto fluviale

Mancini riserva un’attenzione particolare ai nuovi progetti di urban art come MURo. Si tratta di un’iniziativa che ha trasformato una parte del Quadraro in un museo d’arte contemporanea a cielo aperto. Da vedere è sicuramente il graffito di Gary Baseman, realizzato a Largo dei Quintili nel giorno del cinquantenario del rastrellamento nazifascista avvenuto nella zona. Un’iniziativa simile, anche se meno collegata alla specifica storia del quartiere, è quella animata dalla galleria Wunderkammern a Torpignattara, mentre a Ostiense, all’angolo tra via del Porto Fluviale e via delle Conce, possiamo osservare il palazzo dai volti colorati dipinto da Blu e, a via del Porto Fluviale, un’enigmatica ragazza realizzata da Axel Void che ci rivolge le spalle. Sulla stessa via, a pochi passi dal Ponte di Ferro, abbiamo l’opera di Agostino Iacurci, Fish ‘n’ kids. Anche il quartiere di Tormarancia infine ospita venti palazzine popolari dipinte ognuna da uno street artist.

Roma underground è uno strumento di legittima difesa, estetica e di vita quotidiana, per chi visita la Capitale, ma anche per chi ci vive e vuole avventurarsi per la città senza pentirsene amaramente. È un libro tanto più necessario per i ribelli provenienti da altri parti d’Italia che in mancanza di amici romani rischiano facilmente di ritrovarsi circondati da ciò che normalmente rifuggono come la peste. Sarebbe infine un grande gesto di solidarietà internazionalista prevedere in tempi brevi la traduzione della guida nelle principali lingue europee.

]]>