Striscia la notizia – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta. https://www.carmillaonline.com/2023/02/19/dal-bunga-bunga-al-festival/ Sun, 19 Feb 2023 21:00:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=76167 di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, [...]]]> di Sandro Moiso

La recente assoluzione del Cavaliere da cabaret non può stupire più di tanto, pertanto l’autore di queste righe non si protrarrà nel ricordare gli eventi e le polemiche che hanno accompagnato la vicenda. Già fin troppo tempo si è speso su un terreno che di opposizione politica reale ben poco aveva ma che, in compenso, è servito da paravento per segnare un passaggio epocale di tanta sinistra italica da una posizione di carattere ancora socialdemocratico ad una persa tra le spirali del liberalismo salottiero e moralista, oltre che economico, destinate soltanto a far smarrire qualsiasi riferimento alla guerra tra le classi e ai bisogni materiali delle fasce sociali meno abbienti della società.

Sì, le lunghe “battaglie”, soprattutto mediatiche, condotte sulle “malefatte” di un premier autentico erede del Marchese del Grillo, intravisto nel nostro futuro più che nel passato nazionale da quel geniaccio cinematografico che rispondeva al nome di Mario Monicelli, avranno pure alimentato tanta ironia, anche sulle pagine di «Carmillaonline» attraverso le “Schegge taglienti” di Alessandra Daniele, ma, soprattutto, sono servite a diffondere una tendenza al moralismo e al giustizialismo che, dopo aver rinvigorito l’immagine di Marco Travaglio e del suo giornale e aver costituito le fondamenta dei “Vaffa Day” di Beppe Grillo, che hanno preceduto l’entrata in scena del Movimento 5 Stelle, ha cancellato, o almeno ha cercato di farlo, ogni riferimento al fatto che la battaglia politica, soprattutto se condotta da Sinistra, dovrebbe fondare le sue radici nelle contraddizioni reali del modo di produzione capitalistico. E non nelle sue platoniche ombre mediatiche.

Si dice che Antonio Ricci, ideatore di tanta tv berlusconiana, dai tempi di Drive In e Lupo Solitario fino ai tutt’ora inossidabili Striscia la notizia e Paperissima, sia da sempre appassionato ammiratore e collezionista di tutto quanto riguardi il Maggio francese e il Situazionismo. Così da far pensare che di quella significativa esperienza critica possa esser diventato uno dei legittimi eredi. Portando lo spettacolo ad essere l’unico elemento di riferimento per qualsiasi critica sociale e politica e rovesciando la rabbia della critica nel sorriso, nemmeno acido, dello spettacolo d’intrattenimento. Tanto da poter dire che se Bonaparte fu l’esecutore testamentario della Rivoluzione francese, così Ricci, si scusi il paragone un po’ azzardato sul piano storico e delle dimensioni effettive dei personaggi e degli eventi, lo è stato altrettanto in Italia per le intuizioni di Guy Debord sulla Società dello spettacolo.

Passato dalle collaborazioni con Beppe Grillo a quella più lunga, solida e, probabilmente, meglio remunerata col Cavaliere di Monza, l’autore televisivo, dopo essersi fatto le ossa in Rai, ha potuto scatenare il suo estro in una serie di programmi che hanno abituato il pubblico a reagire con lo sghignazzo e la battuta a qualsiasi evento politico e sociale. Trasformando così ogni evento in un puro e semplice spettacolo satirico. Anche se dai tempi di Lupo Solitario e dei gemelli Ruggeri, ivi transitati dal cabaret insieme a Patrizio Roversi e Syusy Bladi, e dell’ironica critica al socialismo reale raffigurato nell’immaginaria terra di Kroda, a quelli del Tapiro d’oro di Striscia la notizia e degli involontari capitomboli di Paperissima, qualcosa si è perso per strada. Soprattutto in termini di originalità.

Ma poco importa poiché, per i motivi appena menzionati, forse, si dovrebbe affermare che il vero artefice e stratega dei successi berlusconiani, compresi quelli processuali, sia da individuare proprio in colui che del détournement situazionista ha fatto la sua carta vincente e il grimaldello per scassinare una comunicazione “politica” già da tempo imbalsamata. Il rovesciamento, l’uso obliquo dei significati e dei fatti ha infatti finito col costituire il motore e il motivo delle narrazioni politiche italiane, certo non soltanto a partire dall’epoca berlusconiana, ma che in quest’ultima ha trionfato.

Soprattutto a Sinistra.
Un trionfo del rovesciamento che ha fatto sì che oggi gran parte del cosiddetto elettorato, ma anche chi scrive, non sappia più cosa significhi concretamente in politica il termine “sinistra”. Troppo volubile, troppo espandibile, troppo ambiguo e, come si sa, il troppo stroppia.

Una Sinistra istituzionale ammaliata dai salotti dei talk show televisivi. Una Sinistra per cui il look e l’apparenza hanno trionfato sui contenuti, così come dimostrano ancora le immagini di quella parte della stessa che esultava trionfante alla vista del Cavaliere che lasciava Palazzo Chigi nel 2011. Soltanto per sottomettersi, poi, al successivo governo Monti, lanciato in tv come salvatore della patria, non lo si dimentichi mai, proprio da Pier Luigi Bersani, e alla riforma Fornero delle pensioni. Senza nemmeno lontanamente accennare a ciò che oggi, per un tipo di riforma simile ma tutto sommato più leggera (64 anni invece di 67 per la pensione di vecchiaia) sta accadendo nelle strade e nelle piazze francesi.

Una Sinistra, infine, che si affida ai messaggi social e alle prediche vuote del Festival di Sanremo, durante il quale lo spettacolo di nani e ballerine di craxiana memoria si è ripetuto su grande scala e con un audience elevatissima. Liberalismo da strapazzo che, tra fiori che volavano per i calci di Blanco e le finte provocazioni di Rosa Chemical, Fedez e dei Maneskin, si è ammantato di “impegno civile” per mezzo dei discorsi stantii e retorici di Benigni; di un femminismo che non è riuscito nemmeno a elevarsi al livello dell’hollywoodiano “Me Too” (già piuttosto deludente rispetto ad un serio discorso sulla questione delle reali condizioni sociali e famigliari di milioni di donne); della superficiale lamentatio antirazzista e di mille altre banalità di base scambiate per discorsi “seri” e “impegnati”.

Discorsi del tutto simili a quelli contenuti nei programmi del PD che un altro uomo di spettacolo, Fiorello, ha definito “discorsi ad minchiam” dopo essersi imbattuto in un articolo dell’Adnkronos riguardante “i caratteri del nuovo partito nella quattro mozioni”, nel quale si citava testualmente: «Il nuovo Pd dovrà essere ‘aperto’, ‘inclusivo’ e ‘di prossimità’. Ma anche ‘paritario’, magari con una ‘cosegreteria’ o comunque con vertici ‘duali’ uomo/donna, e mai più ‘verticista’».

Il successo di tanto chiacchiericcio inutile e vuoto, tutt’altro che classista, si è visto, ad esempio nel calo dei tesserati del PD, sul quale pesano nonostante tutto anche le false tessere campane, la scarsa attenzione per il suo congresso (soprattutto nelle sezioni di tradizione “operaia”) e nel risultato delle votazioni regionali di Lazio e Lombardia in cui, guarda caso, il vero vincitore è stato l’astensionismo. Un astensionismo cosciente, non nel senso politico ma di rabbia e disgusto volutamente espresso attraverso il non voto. Come ha ammesso Stefano Fassina in un articolo dell’«Huffington Post» del 16 febbraio scorso:

Un’astensione con un nettissimo segno di classe. A tal proposito, le analisi delle precedenti tornate elettorali, amministrative e politiche sono inequivocabili. In attesa della scomposizione sociale del voto del 12-13 febbraio scorso, ne troviamo chiara conferma nell’affluenza a Roma, dove la quota di votanti in ciascun Municipio è direttamente proporzionale al reddito medio in esso registrato. […] In sintesi brutale, chi ha più bisogno di politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalla sinistra ufficiale…

Astensionismo che segnala anche, però, la possibilità di una rinascita futura di movimenti spontanei dal basso, poco ideologizzati e ancor meno inquadrabili ai fini dell’ormai cadaverico parlamentarismo. Manifestazione di uno scontento diffusissimo, giovanile e non, operaio e non, femminile e non, che per forza di cose dovrà, in forme ancora tutte da definire, rivolgersi contro l’attuale sistema di valori “condivisi” e di sfruttamento diffuso, mal retribuito e spietato del lavoro salariato. In sostanza, contro il capitale e le sue guerre sociali e militari.

Per ora, Berlusconi ha vinto e si sfrega ancora una volta le mani felice. Ma non ha vinto per i cavilli legali utilizzati dai suoi abili avvocati e nemmeno per le crepe apertesi nella magistratura e nel suo lavoro. Sempre fin troppo efficiente nei confronti di anarchici e No tav. Anche se Marco Travaglio potrà piangere ancora su puttanieri scagionati e giudici minacciati, mentre ancora qualche giorno fa il suo giornale mostrava un’immagine di prima pagina in cui alle spalle di Alfredo Cospito si proiettavano le ombre dei mafiosi, sbandierando il suo giustizialismo “tradito” nelle aule di tribunale e parlamentari.

Silvio Berlusconi rimane l’autentico vincitore di Sanremo, tant’è vero che del, tutt’altro che monolitico, blocco di centro-destra è stato l’unico a non iniziare la tiritera opposta su foibe, famiglia e droga. Perché sapeva di aver vinto, insieme ad un Guy Debord rovesciato nel suo contrario (com’è destino di ogni teorico del détournement), quando ha visto il Presidente della Repubblica inchinarsi davanti allo spettacolo e alle sue implacabili leggi. In nome dei discorsi di “impegno civile”. Mentre, Zelensky, nel ruolo di fantasma europeo, poteva soltanto aggirarsi ma non manifestarsi di persona sul palco dell’Ariston.

Dunque, dopo tanti anni, missione compiuta per il Cavaliere. Con la Sinistra istituzionale definitivamente rovesciata nel contrario di ciò che avrebbe dovuto essere e “rifondata” a immagine e somiglianza del glamour dei programmi Mediaset.
The king is dead, long live the king!
Anche se all’orizzonte già si delinea il volto confuso di uno strano soldato…

APPENDICE

Si allega qui di seguito, per dover di cortesia e non per altro, la precisazione richiesta all’autore dall’Ufficio Stampa di Striscia la notizia.

PRECISAZIONE CON RICHIESTA DI PUBBLICAZIONE

Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta.

Gentile Sandro Moiso,

abbiamo letto il suo pezzo “Dal Bunga Bunga al Festival. Missione compiuta”, apparso su Carmillaonline.com il 19 febbraio. Superata una certa sorpresa nell’assistere al divertente e creativo tentativo di collegare l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo “Ruby ter” al Festival di Sanremo 2023 e all’impatto sul linguaggio televisivo (e non solo) avuto da Striscia la notizia e dai programmi di Antonio Ricci, ci teniamo a precisare alcuni punti che ci sembrano decisivi.

Drive In, come d’altra parte anche Lupo solitario, che lei cita, è stato un programma innovativo, libero e libertario. Era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell’epoca: un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi degli anni 80. Una parodia dell’Italia di quegli anni esagerati, del riflusso, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere. Omar Calabrese, Luciano Salce, Giovanni Raboni, Federico Fellini, Umberto Eco, Oreste Del Buono, Angelo Guglielmi e tanti altri intellettuali dell’epoca la definirono «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» o «l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv».

È andato in onda dal 1983 al 1988, quindi molti anni prima della fondazione di Forza Italia e non ha nulla a che fare con l’impegno politico diretto di Silvio Berlusconi.

E seppure, come scrive lei, a Striscia la notizia, che è nata nel 1988, a volte si ride, è pure vero che non è sempre così. Si ride pochissimo quando, come in questi giorni, si mandano in onda immagini delle violenze dentro il CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio) di Palazzo San Gervasio, delle gabbie in cui vengono rinchiusi gli “ospiti” della struttura, delle fascette di contenzione, della “terapia” a base di sedativi che alcuni di loro sono costretti a prendere. Tanto più che Striscia la notizia è l’unica voce di denuncia, nell’indifferenza generale della stampa nazionale. A Striscia si ride pochissimo anche quando salta in aria l’auto dell’inviata da Palermo, Stefania Petyx, che tra i tanti servizi contro le mafie ne ha realizzato uno a Corleone, proprio sotto la casa di Totò Riina. O quando in redazione arriva un pacco bomba o quando viene data alle fiamme la casetta di un inviato. Si ride pure pochissimo quando si denunciano magagne, errori, inefficienze del nostro Paese e lo si fa senza riguardi per le più importanti imprese pubbliche e private, dall’Eni a Fca, a Telecom, e per questo si accumulano più di 400 vertenze legali, e neppure quando si indaga sulle acque minerali, i supermercati, le grandi aziende che talvolta sono sponsor della rete televisiva che manda in onda il programma. È chiaro che tutti noi (lei compreso) potremmo sempre fare di più. Ci proviamo, spesso non ci riusciamo e aumenta il disincanto nel constatare che una risata, anche finta, non seppellirà nessuno.

Con i nostri più cordiali saluti

L’ufficio stampa di Striscia la notizia

P.S. Antonio Ricci non ha mai firmato esclusive di alcun genere con nessuna rete proprio per avere la più grande autonomia possibile.

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Il Fantasma del Cazzaro passato https://www.carmillaonline.com/2018/12/16/il-fantasma-del-cazzaro-passato/ Sun, 16 Dec 2018 18:00:49 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=47865 di Alessandra Daniele

”La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi – Silvio Berlusconi, discorso della ”discesa in campo”, 1994

“That is not dead which can eternal lie“ – Non è morto ciò che può mentire in eterno – H. P. Lovecraft

Periodicamente, Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto. La prima volta fu nel 1994, pochi mesi dopo la sua prima vittoria elettorale, quando Bossi tolse la fiducia al loro governo, col famigerato Ribaltone. D’Alema s’illuse, e chiamò la Lega “Una [...]]]> di Alessandra Daniele

”La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi – Silvio Berlusconi, discorso della ”discesa in campo”, 1994

“That is not dead which can eternal lie“ – Non è morto ciò che può mentire in eterno – H. P. Lovecraft

Periodicamente, Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto.
La prima volta fu nel 1994, pochi mesi dopo la sua prima vittoria elettorale, quando Bossi tolse la fiducia al loro governo, col famigerato Ribaltone.
D’Alema s’illuse, e chiamò la Lega “Una costola della sinistra”. Dopo la sconfitta del 1996, Bossi la riportò all’ovile berlusconiano.
Durante gli anni successivi, i governi dell’Ulivo si occuparono di favorire economicamente le aziende di Berlusconi, e spianare politicamente la strada al suo ritorno, nel 2001.
Alla fine del 2010, dopo un decennio quasi ininterrotto di berlusconismo circense, Gianfranco Fini cercò incautamente di fare le scarpe al Re Sòla, che appariva indebolito dagli scandali.
In testa a tutti i sondaggi, allora Fini era considerato L’Uomo del Destino. Anche nel centrosinistra molti lo preferivano ai loro stessi leader.
Berlusconi però riuscì a rimanere al governo comprandosi una manciata di senatori sfusi.
Poi coi suoi media si divertì a distruggere completamente Fini.
Dopo la crisi dello spread del 2011, e la condanna per frode fiscale del 2013, quasi tutti si convinsero che fosse la volta buona, che il giovane rampante Matteo Renzi avrebbe svuotato Forza Italia e rottamato Berlusconi, portandogli via tutto l’elettorato.
Renzi fallì miseramente in questo obiettivo, come in tutti gli altri.
Adesso tocca al giovane rampante Matteo Salvini.

Periodicamente Silvio Berlusconi viene dato per politicamente morto.
I primi che lo hanno fatto sono fisicamente morti da almeno un decennio.
E se questa fosse veramente la volta buona?
Gli esseri umani non sono eterni.
Berlusconi però non è un essere umano, è un logo, come Walt Disney. E ha fatto dell’Italia la sua Disneyland. Con le topoline al posto di Topolino.
In quest’impero di cartapesta e di promesse farlocche, questo Cirque du Sòla d’impresari cazzari e pagliacci sinistri, domatori di pulci e giocolieri incapaci, noi siamo ancora prigionieri, a prescindere dalla sopravvivenza politica o fisica di Berlusconi.
Questo grottesco sub-universo ha comunque il suo marchio.
“Meno tasse per tutti”.
“Un milione di posti di lavoro”.
“Un nuovo Miracolo Italiano”.
Come Matteo Renzi, anche Matteo Salvini viene dai telequiz Mediaset, ed è stato portato al successo dall’occupazione bulimica di tutti i talk show.
Rocco Casalino, onnipresente PR e media manager del Movimento 5 Stelle, viene dal Grande Fratello, e ne incarna completamente la logica.
Antonio Ricci di Striscia la Notizia è stato il primo autore di Grillo.
La vittoria elettorale Grilloverde nasce anche (e al Nord soprattutto) dagli Allarmi Immigrazione e dalle Emergenze Criminalità di TG4 e Studio Aperto. E dalle inchieste delle Iene, che oggi non a caso gli si ritorcono contro.
Come Jory di Ubik, Berlusconi è il demiurgo non-morto d’un universo che cade a pezzi nel quale siamo ancora prigionieri, perché quelle che ci vengono spacciate per vie d’uscita, e che così tanti imboccano, sono in realtà solo porte girevoli che riportano dentro.
A Silvioland.

“In principio era il logo” – Philip K. Dick, 16 dicembre 1928 – 2 marzo 1982
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Divine Divane Visioni (Cinema di papà 05/06) – 59 https://www.carmillaonline.com/2014/05/20/divine-divane-visioni-cinema-papa-0506-59/ Mon, 19 May 2014 22:01:55 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=14692 di Dziga Cacace

So no one told you life was gonna be this way… (clap clap clap clap)

ddv5901ManoNegra585 – Mano Negra – Out of Time di autori vari, Francia 2005 …e il Boss e Santana sono in città! È un periodo senza film – va così – e solo con un po’ di musica, che posso farci? Cerco allora tracce di cinema nella musica che gira intorno, per esempio in un dvd da recensire, che tratto con spocchia da criticonzo (è assurdo, ma se ti poni da ‘sto cazzo allora ti viene dato credito) e in realtà [...]]]> di Dziga Cacace

So no one told you life was gonna be this way… (clap clap clap clap)

ddv5901ManoNegra585 – Mano Negra – Out of Time di autori vari, Francia 2005 …e il Boss e Santana sono in città!
È un periodo senza film – va così – e solo con un po’ di musica, che posso farci? Cerco allora tracce di cinema nella musica che gira intorno, per esempio in un dvd da recensire, che tratto con spocchia da criticonzo (è assurdo, ma se ti poni da ‘sto cazzo allora ti viene dato credito) e in realtà grande affetto: “Dopo il punk, ultima scossa tellurica datata 1977, il rock che non vive di maniera ha ripreso a vivere solo grazie all’innesto di nuove forme musicali e al recupero di quelle tradizionali, diventando una creatura mutevole, spesso sfuggente, ma ancora vitale perché crogiuolo di suoni e significati. E speranze. La Mano Negra è l’incarnazione più riuscita di questo meticciamento, tanto da dargli un nome, patchanka, che tutti utilizziamo per indicare quel cocktail inebriante di rock’n’roll, punk, musica araba, reggae e quello che saltava in testa ai membri della band in quel momento. Una fusione viscerale e coinvolgente, politicamente esplosiva perché autonoma, avulsa dai canoni spettacolari dello showbiz: rock per pensare e per ballare, dove l’attività del bacino asseconda quello degli emisferi cerebrali. Out of time documenta con generosità (sono 6 ore, tutte meritevoli) la storia di questa banda di delinquenti che ha rifiutato le lusinghe dello star system andando a suonare (perlopiù gratis) nelle periferie del mondo, regalando emozioni e catturando ogni volta nuove energie vitali per la propria arte. Il doppio dvd presenta 4 coloratissimi film documentari, 17 videoclip (molti inediti) e altre 17 tracce audio tra cui – guarda un po’ – saltano fuori cover di Little Richard, Elvis, Fats Domino e Chuck Berry, le radici della rivoluzione. Musica e immagini ci rendono un universo di truffatori, puttane, sbronze e consapevolezza politica, contro l’odierno strapotere culturale e politico yanqui. Edizione in francese (di tali Joseph Dahan, Thomas Darnal, Philippe Teboul) con sottotitoli, ma musica e immagini parlano da sé. Facce scure, sorrisi, chitarre, trombe e tamburi… come dice la Mano Negra: pura vida”.
E poi che altro cinema c’è stato? Beh, il mio, perché il 12 maggio Bruce Springsteen era in città e io (mesi prima) avevo già deciso che non avevo l’età per cercare i biglietti. Però, la mattina, un mio vicino mi fa: “ne ho uno che mi avanza… interessa?”. Secondo te? Ad Assago siamo tutti ipnotizzati da un concerto bello, intenso e musicalmente validissimo che fa seguito all’album tributo We Shall Overcome – The Seeger Sessions: folk, work song, un po’ di Woody Guthrie e nessuna concessione al repertorio del Boss. Alla prima canzone scoppio a piangere, davanti a gente che non conosco. Non sono l’unico a commuoversi e mi abbraccio con uno sconosciuto. Il mio amico Max non ha dubbi: non è passione musicale condivisa, è solo depressione incipiente.
Il 30 invece ho visto, sempre ad Assago ma stavolta con acustica degna di un mercato ittico, Santana: concerto buono ma non eccezionale, con qualche chicca (A Love Supreme, l’attacco di Santana III) ma troppi pezzi da Supernatural e dai recenti album danzerecci che sembrano prodotti in un villaggio vacanze. Sono piazzato in tribuna Gold ed è un pacco perché è lontanissima dal palco: la vera fiesta è sotto, con una marea di latinos che hanno finalmente una meritata serata para gozar en paz. Seduto vicino a me c’è Antonio Ricci che al cellulare, sornione, dà indicazioni per la messa in onda in diretta di Striscia la notizia: “Allunghiamo il brodo… mettici Capitan Ventosa”. Sotto la tribuna bambini, vecchie signore che ballano il merengue anche se non c’entra nulla e tanti giovani ingiacchettati che quando riconoscono le hit si scamiciano, “esagerando” per manifestare il loro apprezzamento. Per tornare a casa ci metto un’ora e mezza, come se abitassi ancora a Genova: i vigili ti dirottano solo sulla tangenziale dove ci sono lavori, incidenti e polizia e non è possibile puntare direttamente verso il centro città. Tutti provano a superare tutti e la coda conosce un processo di gemmazione inarrestabile. Questa è la Milano che ha eletto ieri Letizia Moratti sindaco. Addavenì la dittatura, ma quella cattiva cattiva. (Dvd; 26 e 27/5/06)

ddv5902lenny586 – Splendido Lenny di Bob Fosse, Usa 1974
Quando rivedo un film dopo tanti anni, ho sempre una paura tremenda. Perché la memoria addolcisce tutto e a 17 anni non avevo pensieri: ogni film era un regalo, una storia nuova con delle immagini da affidare al catalogo dei ricordi. E infatti Lenny ce l’ho ancora stampato qui in testa: le scene, le facce dei personaggi, le interpretazioni, il bianco e nero aspro e doloroso, anche la musica. E poi la vecchia nonna ebrea che fa Feee feeee!, Dustin Hoffman in un ruolo della vita, la battaglia artistica contro la società e le convenzioni, la disperazione, la solitudine e i propri demoni combattuti con armi suicide come alcol e droga. Ho letto l’anno passato Come parlare sporco e influenzare la gente, curato da Luttazzi, e qui ritrovo quel sapore amaro e disincantato. Film amato ai tempi del liceo e anche a quelli dell’università: il timore di non aver capito nulla allora è fugato: Lenny è ancora bellissimo (oppure non capisco niente anche adesso, fate voi). (Dvd; 4/6/06)

ddv5903TheCorporation587 – Il mappazzone The Corporation di tre tizi, Canada 2003
Film paratelevisivo dei carneadi Mark Achbar, Jennifer Abbott & Joel Bakan, frutto del rimontaggio di un ciclo di episodi più lunghi. Gode di meriti dovuti alla sua natura no global ma, sinceramente, è un pasticcio montato neanche granché bene. Tante storie di capitalismo sfruttate senza un’idea dietro che non fosse il metterle in fila. E mancano anche le conclusioni su cosa produca questo sistema mondiale, fermandosi al singolo cattivello preso con le mani nel sacco. In più l’edizione italiana parla continuamente della Corporazione, qualcosa che a me evoca dei sindacati fascisti e non il Nuovo Ordine Mondiale (per non parlare del SIM, ecco). Peccato, anche se vedendo cosa raccontano, meglio che l’abbiano fatto, dài. (Dvd; 6/6/06)

ddv5904Vergeat589 – Il capolavoro artigianale Vic Vergeat Live at Music Village di Riccardo Festinese ed IO, Italia 2006
Questa è una storia lunga ed è meglio raccontata a voce, ma il succo è che a fine novembre dell’anno passato abbiamo organizzato in pochi giorni le riprese di un concerto di Vic Vergeat, un amico musicista sulla cui vicenda di milite chitarrista ignoto Riccardo ed io stiamo progettando un documentario. In due giorni abbiamo messo su una squadra di 4 persone (noi compresi) approfittando dei potenti mezzi televisivi della redazione in cui lavoriamo (abbiamo cioè fregato nastri, microfoni e telecamere). Poi, in loco s’è decisa la regia, impostato le luci e scelto coll’artista una scaletta. E poi ci siamo affidati alla buona sorte. La prima serata non è stata eccezionale né per Vic né per noi: stavamo ancora capendo tutti come comportarci. La seconda è venuta benissimo, band e troupe in forma, con l’unico personale problema di tenere la telecamera dritta mentre balli. Il Dvd lo abbiamo montato all’antica, mettendo al passo tutte le camere e scegliendo gli stacchi – pochi – in modo preciso, non a cazzo come sembra di moda fare adesso. È venuto sinceramente bene e le advanced copies mandate alle riviste musicali hanno fruttato una marea di recensioni entusiastiche, dovute anche all’affetto per il musicista e per la modalità produttiva da banditi, a costo veramente ridottissimo. L’unico problema è che il Dvd, poi, la Cramps non lo ha praticamente distribuito. Io l’ho portato materialmente da Black Widow, negozio di settore di Genova, e le dieci copie che gli ho lasciato sono state tutte acquistate entro una settimana. Misteri del mercato. È stata una bella esperienza e sul curriculum adesso vanto regia, direzione della fotografia, montaggio e produzione di un titolo. Che però non ha dato gli esiti sperati. Amen. (Dvd; luglio 2006)

ddv5905ER590 – Il capolavoro seriale E.R. Anno 1 di Aa.Vv., USA 1994/95
Mi sono detto: massì, tra un match e l’altro della Coppa del mondo di calcio in Germania, mi vedo un episodio tanto per gradire e capire perché tanti decerebrati perdono le bave per un maledetto telefilm, come drogati davanti al video per ricevere la dose settimanale. E poi, ovviamente, la scimmia m’è salita in spalla: diventato campione del mondo senza troppo entusiasmo (fuorché nella semifinale coi tedeschi, quando ho gridato afono per non svegliare Sofia), non sono però riuscito più a staccarmi dal serial. Perché è vero: E.R. è altissima narrazione popolare che affronta cronaca e vita, con un linguaggio, un ritmo e un’abilità narrativa e tecnica notevoli. È un capolavoro fruibile a tutti i livelli, io chiaramente al più basso, quello emozionale, de panza, amando subito tutti i personaggi, vivendone i problemi, sentendoli incredibilmente vivi e veri. E il dvd è un’invenzione geniale: 40 minuti a sera, in lingua originale, col formato giusto. E poi tutti a nanna. (Dvd; giugno, luglio e agosto 2006)

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Primo film in sala da un anno e quattro giorni a questa parte, di nuovo a Champoluc: serve un’estate intera e vuota, ormai, per riuscire ad andare al cinema. E per fortuna questo è un bel film che ti sbilancia con le consuete follie almodovariane che tu accetti dicendoti: e beh, Almodòvar! Del resto sei stanco, dormi poco, capisci già quasi niente di tuo… e poi, come per magia, alla fine, tutto ha un senso, il mosaico si ricompone e capisci che sei uomo di poca fede di fronte all’abilità di Pedro. E poi quelle facce, gli occhi di Penelope, quei colori, quella musica, quelle lacrime. E sei felice. (Cinema Sant’Anna, Champoluc; 14/8/06)

ddv5907JoeCocker592 – Il felicemente caotico Joe Cocker Mad Dogs and Englishmen di Pierre Adidge, USA 1971
Quando non c’era il dvd e neanche uno straccio di tivù musicale, se ti perdevi un concerto non ti restava che andare al cinema. E beccarti un film come questo: la cronaca di un tour incredibile che attraversò gli USA nel 1970. Reduce da altre tournée e beneficiato dalla performance immortalata dal film su Woodstock, Joe Cocker fu letteralmente costretto dai discografici a tornare on the road. In pochi giorni quel geniaccio di Leon Russell (il pianista di Delta Lady… ah no? Non la conoscete? Strano…) gli mise su una band funkyssima, con sezione fiati e coriste da infarto: una ventina di crociati del rock (e del blues e del gospel e del soul etc. etc.) con bambini e cani a carico, incubo di ristoratori e albergatori nel cuore dell’Amerika. La regia è minimale: sesso e droga sono pressoché invisibili, ma li leggi negli occhi dei protagonisti, occhi distrutti dalla fatica (in poco più di due mesi, 58 concerti) e dalla tensione che stava montando, dal momento che Cocker non sopportava il ruolo di Russell, vero leader sopra e sotto il palco. Il film è disordinato ed eccitante come i concerti ripresi, talmente intensi che il catarroso Cocker ci ha messo quindici anni per riprendersi e diventare il crooner pelato per yuppies di metà anni Ottanta. Il proletario inglese di allora sembra il bisnipote di quello odierno. Ha ancora i capelli e due basette da ufficiale napoleonico e se l’air guitar è l’abilità a mimare la sei corde ecco a voi il campione del mondo di air orchestra, capace di assecondare coi movimenti spastici del corpo tutti i musicisti che lo accompagnano sul palco. Film tenero, quando si pensava che il rock potesse cambiare il mondo ed evitare la prossima guerra. (Dvd; 23/8/06)

ddv5908MyArchitect593 – Inaspettatamente sentimentale, My Architect di Nathaniel Kahn, USA 2003
Oggi un po’ dimenticato quando si cita il Movimento Moderno, l’architetto e urbanista Louis Kahn gode di grande fama tra gli intenditori. A me, personalmente, è sempre stato pesantemente sulle balle. Quando studiavo architettura non amavo le sue (poche) realizzazioni monumentali e un po’ ottuse e un prof che ritengo un coglione lo magnificava apoditticamente (sono un po’ invelenito, lo ammetto, perché la carogna mi aveva fatto sputare sangue per l’esame di Composizione II). Grazie a questo documentario scopro che Kahn era anche un farfallone, indebitato fino al collo e incapace di gestire i suoi affari che comunque lo avevano portato in giro per il mondo come guru architettonico ben prima degli odierni archistar. Il figlio avuto fuori dal matrimonio indaga sul padre che non ha conosciuto abbastanza e scopre quanto detto sopra. Ma gli vuole bene lo stesso e gli dedica questo affettuoso filmetto dove si cercano tracce del padre ripercorrendone anche la carriera. Ci sono momenti grandiosi (un bengalese che, davanti al parlamento di Dacca, chiede: “Chi? Farrakhan?!”), altri crudi (l’urbanista pratico che massacra il lavoro dell’architetto), altri ancora impudichi o calorosi. Documentario altalenante, curioso, formalmente impreciso come lo sono le opere fatte col cuore e non con la testa. Per cui fa piacere vederlo. (Dvd; 26/8/06)

ddv5909Hitchhikers594 – The Hitchhiker’s Guide to the Galaxy di Garth Jennings, Gran Bretagna 2005
Siam dalle parti del capolavoro, e ve lo dice uno che la fantascienza non la capisce mai fino in fondo. In origine uno sceneggiato radiofonico, poi libro, infine film. Conoscevo il testo (che però avevo anche abbastanza dimenticato) e trovo magnifica la riduzione cinematografica, che conserva invenzioni, stupore e ironia: procuratevi un asciugamani, che si parte. (Scusate, ma non so cosa scrivere di più… non so: 42? Grazie per il pesce? Dai, un film così non si commenta, si ama e basta). (Dvd; 30/8/06)

ddv5910InsideMan595 – Molto cool, Inside Man di Spike Lee, USA 2005
È un giovedì e ci diamo un tono da genitori che non subiscono la dittatura dei figli e che vanno allegramente al cinema. Anche a metà settimana, capito? Ed è tutto falso, ma il film lo vediamo veramente, anche se poi non c’è tempo neanche per un toast e una birretta. Inside Man non è niente male e ci va bene così: solido film di genere, con megarapina in banca, simpatia evidente per i delinquenti e investigatore scaltro (Denzel Washington) che esibisce con gusto la sua sensuale blackness. Dialoghi serrati e ben gestiti, attori notevoli, bellissima fotografia sgranata e regia inventiva. E si parla anche della psicosi newyorchese post 11/9 e delle libertà individuali sotto tiro, senza che stavolta Spike parta col trombone retorico, ma facendolo per cenni brevi e sapidi. Bravo. E bravi. Noi. (Cinema Gloria, Milano; 7/9/06)

ddv5911lecollinehannogliocchi596 – Il pessimo anatroccolo Le colline hanno gli occhi di Alexandre Aja, USA 2006
Rifacimento putridissimo di un classico dell’horror che non ho mai visto. Di questo posso dire che la prima parte non mi sembra granché. Lo comunico placidamente a Barbara nell’intervallo, sospirando per la sfiga di chi va poco al cinema e in più si piglia un film dissenterico. Poi però c’è una svolta maligna e il film diventa cattivello come si deve: la bellissima Vinessa Shaw viene ammazzata senza pentimenti (cosa che aggiunge mistero al plot: hai veramente seccato una così? …una che vale da sola la visione del film? Naaa, dài…) e assume importanza anche un sottotesto politico prevedibile ma orchestrato decentemente. Insomma: volevo gli zompi e qualche idea e alla fin fine – siccome son di bocca buona e maltrattato dall’insonnia – li ho avuti. Rilevo che sono tra i pochissimi a cui sia minimamente piaciuto il film. Ci sarà qualche motivo, temo. (Cinema Ducale, Milano; 14/9/06)

ddv5912blackmoreMr. Blackmore, I suppose…
Ritchie Blackmore è l’uomo responsabile di milioni di chitarristi grazie al riff primordiale di Smoke on the Water. Eccentrico, taciturno, spigoloso: dai tempi dei Deep Purple, la fama che lo precede non è rassicurante. Ha fatto impazzire compagni di band coi suoi scherzi pesanti, ha licenziato frotte di musicisti e ha spiazzato i critici con interviste aggressive o dichiarando l’amore per gli ABBA. Dieci anni fa ha imbracciato l’acustica (e spesso anche il liuto) per dedicarsi con perizia alla musica rinascimentale, lasciando tutti di stucco. Ma ha anche ideato un gioco di ruolo: lui è il menestrello in leggings, la futura sposa Candice Night la sua dama e il pubblico la corte danzante. Tutti in costume, come in Non ci resta che piangere. Da allora, complici le esplicite prese per il culo dei critici, non parla più con la stampa rock. Io però ci provo nonostante si dica che Ritchie sia succube non solo della compagna, ma addirittura della futura suocera. Non si sa mai e infatti, siccome non è prevedibile, il giorno prima del concerto che tiene a Milano, arriva un fax che dice: «Sì!». Per cui dopo un’esibizione divertente – e nel consueto clima folle – attendo fuori dai camerini la chiamata. Quando è il momento la prima sorpresa: il chitarrista non è più in calzamaglia e stivaloni, ma è vestito da calciatore della Germania, con tanto di scarpini. Non scherzo. Candice invece, è ancora in costume e presenzia, regalandomi una serie di scambi dialogici degni di una Casa Vianello medievale. Vi risparmio tante ciance, ma Blackmore adora Bob Dylan, Zidane e purtroppo difende Bush. Vado poi dritto alle polemiche con la stampa che non gli perdona di aver abbandonato l’hard rock e lo demolisce puntualmente da anni a ogni disco che pubblica. Azzardo che i nostalgici siano loro, non lui. Ritchie diventa rigido e scandisce le parole una per una, temo che s’incazzi: «Questo È Corretto Al Cento Per Cento». Pfuii… «Ma non m’importa che ci trattino male. Se c’è un brutto pezzo su di noi non m’interessa leggerlo. Se è buono… beh, sono cose che so già. Sono annoiato da interviste sul rock, metal, l’hard… preferisco parlare di altre cose». Allora rilancio: è vero, come hanno scritto, che a casa ti piace passare il battitappeto? «Beh, è vero!». Interviene Candice: «È per questo che mi piace!». Ma perché, tutto ciò? «Sai, nel 1981 viene a trovarmi a casa il mio batterista dei Rainbow. Stavo passando il battitappeto e lui c’è rimasto male: “Ma tu sei una rockstar!”. Tre settimane dopo siamo in tour e in albergo decido di spostare il letto dalla parete. Ho il sonno leggero e da quel lato c’era casino. Quando sposti un letto in albergo, sotto c’è un mondo. Vivo. E allora ho passato il battitappeto e ovviamente in quel momento è arrivato il batterista… e da allora la voce è girata…». Da qui in poi è tutta discesa e allora mi permetto: suonare musica del Rinascimento non è una fuga dal presente? «Sì, certo. Abbiamo tutti fantasie. La mia è di essere ubriaco nel quindicesimo secolo. Non mi piace il mondo di oggi. Musicalmente fa schifo. Mi piace ascoltare musica antica, non la radio». Candice elabora: «E poi, la fuga dal presente… c’è chi va allo stadio, chi passa le ore sotto una macchina a riparare il carburatore… a noi piace andare in giardino, con la luna piena e un falò e suonare musica romantica, con gli amici, nella natura. È una fuga, certo, ma dal PC, dal cellulare…». Ma perché, lo avete? Candice chiarisce: «Solo per le emergenze, io. Lui no, figurati». Chiudo con la più banale domanda, che in tempi di disagio esistenziale mi illumina sempre un po’: alla fine, cosa vi rende felici? Di nuovo la compagna: «A me, piantare fiori in giardino». Ritchie è più raffinato: «A me piace lamentarmi. È un passatempo inglese: sono felice quando mi lamento, è catartico, terapeutico. Sai, in America (dove vivono, N.d.C.) con il politically correct è impossibile farlo. A me piace dire ciò che penso. E quindi lamentarmi». Chiude Candice: «E quando comincia vado in giardino a piantare fiori!». Non esistessero, due così, non ci sarebbe sceneggiatore capace di inventarli. (Live, 16/9/06)

ddv5913Caimano597 – Paura! Il caimano di Nanni Moretti, Italia 2006
Film temuto. Io a Nanni ho voluto bene. Perché godevo colpevolmente compiaciuto delle gomitate complici, delle strizzate d’occhio… e gli ho perdonato anche i morettismi, quei discorsi tra noi. E vabbeh, è la sua cifra. Se non ti piace, non guardarlo. Però negli ultimi tempi mi sembrava che si fosse persa un po’ la misura e questo film – tra dichiarazioni di vario genere e aspettative della stampa – mi faceva molta paura. Una scommessa rischiosa che non volevo veder perdere. E invece, vi dirò, il film mi funziona eccome. La costruzione è azzeccata e Moretti scioglie la tensione con la sua ironia. È un atto d’accusa, certo, ma non c’è piagnisteo, semmai ferma incazzatura. E non credo abbia spostato d’un voto il confronto Prodi/Berlusconi (i voti semmai li hanno spostati altri, ma questa è una storia di cui mai nessuno vi renderà conto, neanche la magistratura). Silvio Orlando è bravissimo, Margherita Buy inaspettatamente perfetta e se la cavano bene anche tutti gli altri. Invece orrenda e spero non premonitrice la scena finale. (Dvd; 22/9/06)

Qui tutte le altre puntate di Divine Divane Visioni

(Continua – 59)

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Il Continuum di Papi https://www.carmillaonline.com/2010/08/08/il-continuum-di-papi/ Sun, 08 Aug 2010 21:51:00 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3577 di Alessandra Daniele

kessler.JPGEstate, tempo di repliche. Il governo Nano replica la decomposizione del Pentapartito durante Tangentopoli, e Fini replica Veronica, fingendo di scoprire solo adesso con orrore chi sia Papi. Io potrei replicare il titolo “Addio porco”. Le due destre sono ai materassi, e stavolta non quelli del lettone di Putin, ma i metaforici materassi citati nel Padrino a proposito di guerra tra famiglie rivali. Se è vero che la mafia ha scelto il partito Nano come nuovo referente, oggi si sentirà truffata nel vederlo già a brandelli. Avrebbe dovuto controllare prima le cuciture. Come le singole cellule de La [...]]]> di Alessandra Daniele

kessler.JPGEstate, tempo di repliche. Il governo Nano replica la decomposizione del Pentapartito durante Tangentopoli, e Fini replica Veronica, fingendo di scoprire solo adesso con orrore chi sia Papi. Io potrei replicare il titolo “Addio porco”.
Le due destre sono ai materassi, e stavolta non quelli del lettone di Putin, ma i metaforici materassi citati nel Padrino a proposito di guerra tra famiglie rivali. Se è vero che la mafia ha scelto il partito Nano come nuovo referente, oggi si sentirà truffata nel vederlo già a brandelli. Avrebbe dovuto controllare prima le cuciture.

Come le singole cellule de La Cosa però, quei brandelli si stanno già ri-agglomerando per formare una nuova apparenza, per replicare una nuova faccia da indossare. Una nuova faccia come il culo.
Qualche anno fa, la Rai d’estate aveva l’abitudine di replicare, perlopiù nottetempo, varietà italiani degli anni sessanta. Io, che li vedevo per la prima volta, ero colpita dall’atmosfera rarefatta, asettica, quasi aliena, che li contraddistingueva. Gli enormi studi bianchi e semivuoti, gli scarni arredi scenografici in plexiglass, le geometrie optical dei costumi, e dei balletti. La rigorosa assenza praticamente totale di qualsiasi riferimento alla realtà esterna, all’attualità dell’epoca, a parte qualche raggelante freddura sui ”giovani d’oggi”, di un anacronismo siderale. Sembrava che quegli omini perennemente in smoking, e quelle donnine cotonate fossero gli unici, sintetici abitanti di un universo tangente, un’inquietante bolla di semivita in lenta ma percettibile implosione. La simmetria delle gemelle Kessler accentuava l’effetto replicanti. L’eco spettrale degli applausi registrati evocava le gemelle dell’Overlook Hotel.
Eppure l’attuale produzione televisiva nostrana, con tutta la sua sguaiata pretesa di realismo, è persino più lontana dalla realtà della condizione umana di quanto lo fosse il Continuum di Kessler. Con la terribile differenza d’essere invece in costante espansione. Il Continuum di Papi (inteso sia come Enrico, che Silvio) ogni giorno sottrae spazio vitale al mondo reale, fagocitando progressivamente intere categorie di persone per trasformarle in pupazzi da reality, arredi da fiction, tranci surgelati da televendita. La resistenza a questa pandemica necrosi reificante è stata finora perlopiù drammaticamente inefficace. Gli esempi più fallimentari sono venuti da chi s’è illuso di attaccare dall’interno.
Mesi fa, Gad Lerner ha accusato Antonio Ricci d’essere il Goebbels della figa in TV. Ricci ha scritto un discorso, e l’ha messo in bocca alle sue veline (il discorso) facendo loro spiegare quanto la figa in TV fosse adoperata anche prima di Drive In, e come pure Macario avesse la figa (non personalmente) e la sfruttasse nei suoi spettacoli come fa Striscia la Notizia. Ciò che questa ricostruzione, peraltro veritiera, astutamente elude è che l’attuale puttanizzazione dell’immagine femminile non è che un tassello della puttanizzazione – nel senso di mercificazione – dell’intera società. Ciò su cui Lerner volutamente sorvola è che i veri papponi – nel senso di sfruttatori – non sono gli Antonio Ricci, sono i Marchionne.
La necrosi avanza. Se non saremo capaci di trovare in fretta qualcosa che la fermi, di noi umani non resterà che un’eco persa fra le repliche di una notte d’estate.

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