Squadra AntiMoffat – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 01 May 2025 23:18:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Il signore del tempo sprecato https://www.carmillaonline.com/2016/01/31/il-signore-del-tempo-sprecato/ Sun, 31 Jan 2016 21:46:24 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=28323 di Alessandra Daniele

Doctor_WhoDopo averne sistematicamente sprecato, distorto e distrutto tutte le potenzialità e tutti i pregi, Steven Moffat lascia finalmente Doctor Who, ma potrebbe già essere troppo tardi. Nella nona stagione, la serie ha disceso un altro gradino della sua deriva reazionaria: è diventato uno strumento di propaganda bellica. The Zygon Invasion – The Zygon Inversion, scritto da Peter Harness (già autore del sermone antiabortista Kill the Moon) e dallo stesso Moffat, episodio doppio concepito fin dal titolo come l’Invasione degli Ultracorpi dello “Scontro di Civiltà”, s’è dimostrato un [...]]]> di Alessandra Daniele

Doctor_WhoDopo averne sistematicamente sprecato, distorto e distrutto tutte le potenzialità e tutti i pregi, Steven Moffat lascia finalmente Doctor Who, ma potrebbe già essere troppo tardi.
Nella nona stagione, la serie ha disceso un altro gradino della sua deriva reazionaria: è diventato uno strumento di propaganda bellica.
The Zygon Invasion – The Zygon Inversion, scritto da Peter Harness (già autore del sermone antiabortista Kill the Moon) e dallo stesso Moffat, episodio doppio concepito fin dal titolo come l’Invasione degli Ultracorpi dello “Scontro di Civiltà”, s’è dimostrato un esempio particolarmente disgustoso ed ipocrita di come la paranoia xenofoba e la falsa dicotomia NATO – ISIS siano sistematicamente adoperate per giustificare il neocolonialismo.
I profughi sono poi stati di nuovo ritratti come pericolosi mostri alieni anche nell’episodio Face the Raven.

Tutta la nona stagione è stata d’una bruttezza desolante. Non stupisce quindi che l’audience sia precipitato. Già l’ottava stagione, la prima di Capaldi e la quarta di Moffat, aveva segnato un tracollo degli ascolti, registrando un record negativo dopo l’altro persino in Gran Bretagna dove la serie è un’istituzione. Il crollo è continuato e peggiorato con la nona stagione, sprofondando Doctor Who ai minimi storici ai quali fu cancellato la prima volta.
La serie è franata anche dal punto di vista tecnico. Set squallidi, fotografia sciatta, costumi palesemente riciclati da altre serie, imbarazzante CGI anni ’90. Storie inconsistenti stiracchiate in due episodi per risparmiare anche sulle idee. Quasi tutto lo scarso budget è stato speso per l’unica guest star, Maisie Williams, sfruttata ad nauseam per quattro episodi diversi, mentre il resto veniva letteralmente girato con due spicci.
La pochezza dei testi ha finito per danneggiare anche Peter Capaldi, costantemente sopra le righe nel vano tentativo di compensarla, con un imbarazzante effetto simile allo storico sketch di Tunnel “Gassman legge l’etichetta del maglione”.

Negli ultimi due anni s’era tentato di giustificare il reazionario retcon della Time War in The Day of the Doctor come necessario per un epico ritorno di Gallifrey. Il ritorno di Gallifrey è stato patetico.
Lo sgangherato season finale Hell Bent ha ridotto Gallifrey a uno sterrato e un robivecchi sullo sfondo, mentre l’episodio si concentrava completamente sull’ennesima resurrezione di Clara, che Moffat ha cercato di rendere la companion più “importante” della storia della serie, e il suo maldestro alibi contro le motivate accuse di sessismo, riuscendo solo a farne una lagnosa Mary Sue al quale ogni status iperbolico, dall’ubiquità all’immortalità, è stato regalato solo per cattiva coscienza, come una laurea a una raccomandata analfabeta. Prima bistrattata senza colpa e poi angelicata senza merito secondo il classico modus operandi sessista, senza una personalità autonoma, senza coerenza né spessore narrativo, Clara è stata uno dei peggiori fallimenti di tutta la fallimentare era Moffat.

Se proteste, stroncature, e petizioni non avevano mai avuto nessuna possibilità di spingere la BBC a sostituire Moffat fintanto che la serie rimaneva un successo commerciale, la frana degli ascolti s’è invece dimostrata efficace: al termine della prossima stagione di Doctor Who, rimandata al 2017, Steven Moffat lascerà la guida della serie a Chris Chibnall.
L’indispensabile rigenerazione è finalmente cominciata.
Attualmente impegnato con la terza stagione di Broadchurch di cui è autore e showrunner, Chibnall è stato sceneggiatore capo e co-produttore di Torchwood con Russell T. Davies, e autore di vari episodi di Doctor Who e Life on Mars.
Purtroppo però la transizione s’annuncia pericolosamente lenta e farraginosa. Lasciare a Moffat un’altra stagione per demolire definitivamente la serie è un azzardo suicida.
Quando Chibnall subentrerà potrebbe non esserci rimasto più niente da salvare.

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Tu scendi da Interstellar https://www.carmillaonline.com/2014/12/21/tu-scendi-da-interstellar/ Sun, 21 Dec 2014 19:28:00 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=18927 di Alessandra Daniele

interstellarBruttta stagione per la fantascienza. Interstellar è un cinepanettone di retorica familista e cazzate pseudo scientifiche alla Voyager. Ed è così lento che dovrebbe chiamarsi Intercity. E Doctor Who è diventato Fracchia La Belva Umana. Seguono maxi-spoiler di Interstellar, Doctor Who, The Walking Dead, Z Nation, e mini-spoiler di Ascension e Black Mirror. Christopher Nolan ha trasformato un buco nero nello studio di C’è Posta Per Te – quando il vero passo da gigante per l’umanità sarebbe il contrario – mettendo alla guida d’una missione spaziale dei rincoglioniti inadeguati alla guida d’una Panda. Interstellar non è [...]]]> di Alessandra Daniele

interstellarBruttta stagione per la fantascienza. Interstellar è un cinepanettone di retorica familista e cazzate pseudo scientifiche alla Voyager. Ed è così lento che dovrebbe chiamarsi Intercity.
E Doctor Who è diventato Fracchia La Belva Umana.
Seguono maxi-spoiler di Interstellar, Doctor Who, The Walking Dead, Z Nation, e mini-spoiler di Ascension e Black Mirror.
Christopher Nolan ha trasformato un buco nero nello studio di C’è Posta Per Te – quando il vero passo da gigante per l’umanità sarebbe il contrario – mettendo alla guida d’una missione spaziale dei rincoglioniti inadeguati alla guida d’una Panda.
Interstellar non è il nuovo 2001: Odissea nello Spazio più di quanto Un Posto al Sole non sia il nuovo Solaris.
Steven Moffat ha trasformato il personaggio del Master in un’altra delle patetiche decerebrate adoranti delle quali circonda sempre i suoi protagonisti, e ne ha sostituito l’iconico titolo con un nomignolo da chiwawa: Missy.
Il resto del season finale di Doctor Who, Death in Heaven, non è che un enorme plot hole con qualche misero sfilaccio di trama attaccato ai bordi, inzuppato di quella stessa retorica patriottico-familista che è diventata inseparabile compagna della fantascienza cine/tv anglosassone.
In particolare al cinema non c’è più catastrofe ecologica, invasione aliena, anomalia spazio-temporale che non venga fronteggiata da un eroico padre di due figli adolescenti rompicoglioni, e/o da una fanciulla vagamente intellettuale ma dal cuore romantico, e che non venga risolta (quando viene risolta) dal potere dell’Amore.
Dappertutto pare di leggere le esortazioni subliminali che il protagonista di Essi Vivono scopriva inserite in ogni media: “Marry and reproduce”, e di conseguenza “Consume”.
Come al solito l’unica alternativa considerata possibile all’apocalisse è lo statu quo.
Mentre il messaggio esplicito per lo spettatore medio è: “Gli eventi precipitano, non sai fare un cazzo? Beh, almeno vorrai bene a qualcuno, no? Ecco, basta quello”.
Il risultato è sedativo, conformista, intrinsecamente reazionario.
Ed è un messaggio così dopante che ormai parte del pubblico lo pretende anche quelle rare volte che non lo riceve, basti vedere la desolante reazione di certi settori del fandom all’ottimo mid-season finale di The Walking Dead: ne hanno ignorato sia la coerenza tematica che l’attualità politica, oltraggiati dal fatto che il loro personaggio preferito non possa più coronare il loro Sogno d’Amore.
Una parte del pubblico pretende romanticismo consolatorio persino da The Walking Dead.
Eppure non è difficile intuire che la Zombie Apocalypse non sia lo scenario ideale dove cercare illusioni. Anche l’autoironico, citazionista Z Nation ha concluso la stagione svelando quanto fosse Renziana la promessa d’una facile cura al virus Z.
“La fantascienza è una forma d’arte sovversiva – diceva Philip K. Dick – fatta per chi pone domande scomode”. Il mercato invece ne fa un mezzo per distribuire risposte comode, una soap opera con qualche effetto speciale in più.
Come la miniserie SyFy Ascension, che ha soffocato le potenzialità d’una premessa interessante (Thirteen to Centaurus di Ballard in salsa Mad Men) in un’overdose di fuffa da telenovela.
Sola luce nelle tenebre di questa lunga notte di Natale: lo special White Christmas di Black Mirror, che andando coraggiosamente nella direzione opposta si conferma praticamente l’unica serie di autentica SF rimasta in circolazione.
Mentre lo special natalizio di Doctor Who s’annuncia invece come una cagata persino peggiore di Death in Heaven.
La fantascienza ha impiegato mezzo secolo a uscire dal ghetto del Genere per scoprire che la periferia del Mainstream è ben peggiore.

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L’ultimo respiro https://www.carmillaonline.com/2014/08/31/lultimo-respiro/ Sun, 31 Aug 2014 20:48:06 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=17051 di Alessandra Daniele

Twelve“Andiamoci a incollare un’altra cassa da morto” diceva Totò negli ultimi anni quando s’accingeva a interpretare un altro film il cui unico pregio sarebbe stata la sua presenza. Doctor Who è morto, creativamente e culturalmente morto. A Peter Capaldi, arrivato troppo tardi, non è rimasto che l’ingrato compito di caricarsene la cassa sulle spalle, d’incollarsi il peso d’esserne l’unico pregio, tentando di rendere accettabile il Dottore che gli tocca interpretare, benché Moffat l’abbia fatto persino più stronzo del predecessore.

Segue spoiler

Eleven era una jena (ridens). Twelve [...]]]> di Alessandra Daniele

Twelve“Andiamoci a incollare un’altra cassa da morto” diceva Totò negli ultimi anni quando s’accingeva a interpretare un altro film il cui unico pregio sarebbe stata la sua presenza.
Doctor Who è morto, creativamente e culturalmente morto. A Peter Capaldi, arrivato troppo tardi, non è rimasto che l’ingrato compito di caricarsene la cassa sulle spalle, d’incollarsi il peso d’esserne l’unico pregio, tentando di rendere accettabile il Dottore che gli tocca interpretare, benché Moffat l’abbia fatto persino più stronzo del predecessore.

Segue spoiler

Eleven era una jena (ridens). Twelve è un arrogante aristocratico stizzoso e crudele, che non ha nessuna giustificazione narrativa per la sua stronzaggine, essendo stato svuotato di tutto il bagaglio emotivo che avrebbe potuto dare qualche senso a questa sua ulteriore involuzione.
È uno sprezzante privilegiato acido e menefreghista col quale risulta impossibile empatizzare.
Cosa della quale sembra persuaso persino lo stesso Moffat, se ha ritenuto necessario riesumare Eleven per convincere la povera Clara ad accettare Twelve, con un’imbarazzante, ricattatoria e patetica ”telefonata di raccomandazione”.
La millanteria moffattiana che la monocromatica stronzaggine renda il suo Dottore più simile ai lontani predecessori dell’era classica è non solo sostanzialmente falsa, ma soprattutto irrilevante: i personaggi sono creati per evolversi, non regredire.
E il Time Lord del passato a cui Twelve più somiglia è Rassilon.
Questa caratterizzazione del dodicesimo Dottore, che neanche il talento di Peter Capaldi riesce a salvare, è il difetto più grave di Deep Breath, premiere della nuova stagione, ma non certo l’unico.
Il plot è l’ennesimo fiacco auto-riciclaggio della fissa moffattiana per le statue assassine, anche stavolta nella versione robotica di The Girl in the Fireplace. Un’idea logora quanto l’ambientazione vittoriana, altra ormai insopportabile fissa della gestione Moffat.
“Don’t breath” non sarà il nuovo ”Don’t blink”.
La riduzione di Clara a carne da macello per le peggiori gag poi non lascia dubbi sul perché Jenna Louise Coleman stia cercando di lasciare la serie. Si perde il conto di quante volte Clara venga zittita, cazziata, insultata, presa a giornalate in faccia, e abbandonata per strada. Come un cane.
E mentre sopporta tutto questo, dopo essere nella scorsa stagione morta infinite volte per salvare il Dottore, viene anche ripetutamente accusata di non essergli ancora abbastanza devota. Benché le manchi solo di mettersi una scopa nel culo per ramazzare il Tardis.
I siparietti fra Vastra e Jenny poi sono la parodia misogina d’un matrimonio fra due donne.
Dieci anni dopo il bacio fra Jack e Nine nel Doctor Who di Russell T. Davies, e vent’anni dopo quello fra Jadzia Dax e l’ex moglie in Deep Space Nine, Moffat ha preferito mascherare l’unico bacio consentito fra Vastra e Jenny da respirazione artificiale.
La parte più imbarazzante di Deep Breath però è questo dialogo sulla capacità del Dottore di cambiare volto:

Clara – I did not flirt with him.
Vastra – He flirted with you.
Clara – How?
Vastra – He looked young. Who do you think that was for?

L’idea è che il Dottore si sia per decenni travestito da giovane per beccare figa.
Un maldestro tentativo di Moffat di far passare il suo Twelve come “il vero volto” del Dottore, declassando più di metà dei precedenti a semplici “maschere”, che contraddice la premessa fondamentale della serie, e quel che è peggio fa sembrare il Dottore uno di quei vecchi maniaci che si nascondono dietro un avatar da cartone animato per agganciare le ragazzine online.
Fare di peggio è quasi impossibile.
Moffat però ci proverà.
In 50 anni Doctor Who è stato tutto e il contrario di tutto, ha prodotto capolavori della fantascienza Tv e cagate atroci, a volte nella stessa stagione, a volte dello stesso autore.
Questa varietà è nella natura stessa del concept, come lo è la periodica necessità di rigenerarsi, rinascere cambiando non solo volto, ma anche e soprattutto corso, cioè sostituendo gli autori, le menti dietro quel volto.
Un rinnovamento adesso nello stesso tempo indispensabile, e impossibile, perché il successo commerciale ha reso Moffat pressoché intoccabile alla BBC.
La dodicesima potrebbe quindi essere davvero l’ora più oscura del Dottore. La sua autentica Darkest Hour.
Doctor Who è morto. Se non si rigenererà in tempo, lo resterà definitivamente.

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Sherlock contro Andreotti https://www.carmillaonline.com/2014/01/19/sherlock-andreotti/ Sun, 19 Jan 2014 21:55:02 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=12096 Sherlockdi Alessandra Daniele

La prima stagione di Sherlock è stata ottima. La seconda mediocre. La terza una presa per il culo. Autocelebrazioni ridicole, idee idiote rubate alle fanfiction o riciclate da altre serie, personaggi così out of character da scambiarsi le personalità, trame inesistenti, incongruenti, assurde, morti che sì ripropongono come i peperoni. Un supervillain abbastanza intelligente da ricordarsi a memoria tutte le informazioni che adopera per ricattare le sue vittime, ma anche abbastanza coglione da rivelare a Sherlock che la sua mente è il suo unico archivio, beccandosi ovviamente una pallottola in fronte per questo. Quanto sarebbe durato Andreotti, [...]]]> Sherlockdi Alessandra Daniele

La prima stagione di Sherlock è stata ottima. La seconda mediocre. La terza una presa per il culo.
Autocelebrazioni ridicole, idee idiote rubate alle fanfiction o riciclate da altre serie, personaggi così out of character da scambiarsi le personalità, trame inesistenti, incongruenti, assurde, morti che sì ripropongono come i peperoni.
Un supervillain abbastanza intelligente da ricordarsi a memoria tutte le informazioni che adopera per ricattare le sue vittime, ma anche abbastanza coglione da rivelare a Sherlock che la sua mente è il suo unico archivio, beccandosi ovviamente una pallottola in fronte per questo.
Quanto sarebbe durato Andreotti, se fosse andato in giro a dire di non avere un backup?
Quant’è durata la British Reinessance televisiva? Anche oltremanica la moneta cattiva ha inesorabilmente cominciato a scacciare quella buona.
Steven Moffat, lo showrunner a cui sono stati affidati sia Sherlock Holmes che Doctor Who, due delle principali icone british simbolo della superiorità dell’intelligenza sulla cazzonaggine, è stato capace soltanto di trasformarle entrambe in brutte copie dell’icona british che rappresenta il contrario: 007. Sia Sherlock che il Dottore adesso sono Bond, James Bond.
Quello di Pierce Brosnan.
Inutile illudersi però, nessuna stroncatura, nessuna protesta organizzata convincerà la BBC a esonerare Moffat fintanto che il mercato gli darà ragione in termini di audience, merchandising, e royalties internazionali.
Così come gli elettori vanno considerati politicamente corresponsabili della cialtroneria dei politici che eleggono, gli spettatori paganti, e gli acquirenti di gadget, volenti o nolenti, sono corresponsabili dello sgangherato declino qualitativo del prodotto mediatico che continuano a foraggiare nonostante tutto.
Una scelta discutibile, che in caso di emittente statale finanziata dal canone diventa però una scelta obbligata.
Se ai cittadini britannici tocca finanziare il cazzarismo moffattiano, va molto peggio agli italiani, complici forzati del grossolano revisionismo Rai de Gli Anni Spezzati.
Un’esperienza straniante in particolare per i cinquanta-sessantenni, costretti ad assistere all’orwelliano retcon di un’epoca storica che hanno vissuto personalmente.
È come se a noi fra qualche anno toccasse vedere e finanziare una fiction sull’era Berlusconi che lo ritrae come uno statista illuminato, onestissimo, e interpretato da Benedict Cumberbatch.
Che sia frutto d’incompetenza, malafede, o d’una miscela tossica d’entrambe le cose, il revisionismo della trilogia Rai è quanto di peggio sia stato prodotto sul tema dei cosiddetti Anni di Piombo, e questo è un record significativo, data la ricorrente ossessione mediatica per l’argomento.
Per quanto le speculazioni di Moffat sul falso suicidio di Sherlock siano state  irritanti, la speculazione della Rai sul falso suicidio di Pinelli è stata avvilente.

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Doctor FUBAR https://www.carmillaonline.com/2013/12/01/doctor-fubar/ Sun, 01 Dec 2013 21:27:50 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=11030 di Alessandra Daniele

JohnHurtDavidTennantMattSmithWho50thDurante la sua gestione della rinnovata serie Doctor Who, Russell T. Davies era riuscito ad arricchire il già affascinante personaggio del Dottore d’una complessità e d’uno spessore drammatico degni della narrativa fantastica adulta. Da quando lo ha rimpiazzato come showrunner, Steven Moffat s’è dedicato sistematicamente alla totale demolizione di quest’opera, fino ad approfittare dello special del cinquantennale, The Day of the Doctor, per abbatterne il muro maestro, cancellando la drammatica scelta del Dottore di innescare la distruzione del suo stesso mondo, l’imperiale Gallifrey, diventato una minaccia per [...]]]> di Alessandra Daniele

JohnHurtDavidTennantMattSmithWho50thDurante la sua gestione della rinnovata serie Doctor Who, Russell T. Davies era riuscito ad arricchire il già affascinante personaggio del Dottore d’una complessità e d’uno spessore drammatico degni della narrativa fantastica adulta.
Da quando lo ha rimpiazzato come showrunner, Steven Moffat s’è dedicato sistematicamente alla totale demolizione di quest’opera, fino ad approfittare dello special del cinquantennale, The Day of the Doctor, per abbatterne il muro maestro, cancellando la drammatica scelta del Dottore di innescare la distruzione del suo stesso mondo, l’imperiale Gallifrey, diventato una minaccia per la sopravvivenza dell’intero universo.
Dopo questo retcon, la serie è ormai completamente FUBAR, fucked up beyond all recognition.
Corrotti, arroganti, razzisti, classisti, colonialisti, imperialisti, guerrafondai: come il loro stesso nome suggerisce, i Time Lords di Gallifrey sono sempre stati un’allegoria abbastanza scoperta della classe dirigente britannica. Annullandone la meritata condanna – con un pasticciato trucchetto alla Lost, spostare l’isola – Moffat ha cancellato dal canone l’origin story, il pilastro fondante della nuova serie, e retroattivamente svilito, trasformandola in una paturnia da falsi ricordi, l’angoscia da reduce che aveva profondamente segnato il Dottore, dandogli statura tragica, maturando la sua personalità, e orientando tutte le sue scelte.
The Day of the Doctor è quindi un disastro non solo sul piano della continuty, della coerenza interna della serie (già in rovina da anni) ma su quello cruciale dello sviluppo del personaggio. Il Dottore di RTD – sia Nine che Ten – era un protagonista tridimensionale, un uomo tormentato e complesso, costretto a scelte laceranti e controverse. Il Dottore di Moffat è un cartonato. Una specie di vacuo Gastone Paperone sempre assistito da qualche ridicolo deus ex machina che gli salva il culo gratis, e che stavolta ha salvato anche i Time Lords, improvvisamente ritratti solo come vittime della Time War contro i Daleks, solo come padri di famiglia con venti bambini a carico ciascuno. Revisionismo fantastorico.
Niente più brutti ricordi, tutto cancellato. ”Everybody lives”. Tranne i Daleks, perché il Dottore di Moffat non dimentica di sterminare il Nemico.
The Day of the Doctor è pieno di tutti i soliti difetti tipici della scrittura di Moffat, il birignao compiaciuto, i doppisensi da Pierino, lo stiracchiamento ridicolo delle leggi dello spaziotempo oltre ogni possibile sospensione dell’incredulità. Il repellente sessismo, che stavolta ha ridotto la regina Elisabetta I° a una patetica buzzicona infoiata.
Le storyline abbandonate a metà senza spiegazioni: come hanno fatto Claretta e il Dottore a uscire sani e salvi dalla letale timestream nella quale s’erano ”tuffati”? Come sono finite le ”trattative” cogli Zygon?
Gli espedienti narrativi che creano aspettative esagerate per poi deluderle: uno spaesato Dottore soprannumerario inventato apposta, pomposamente presentato come ”Il Dottore Guerriero”, e rivelatosi solo un vecchietto contemplativo e brontolone. Un Doctor Umarell. Assurdo spreco del talento di John Hurt.
The Day of the Doctor si conclude poi con un orrido tentativo di cancellare e riscrivere persino il concept stesso dell’intera serie. Dice Eleven con aria stolida e sognante: “At last I know where I’m going. Where I’ve always been going. Home. The long way round”. Il Dottore secondo Moffat quindi non è più un viaggiatore e un ribelle, è un aristocratico nostalgico che vuole solo riprendere il suo posto nell’élite corrotta e crudele che aveva un tempo abbandonato con orrore.
“Gallifrey falls no more”. Stavolta nessuno ha fermato i Time Lords, che già nella serie classica il Dottore numero sei definiva ”rotten to the core”.
Grazie allo straordinario The End of Time però, l’ultimo episodio scritto da Russell T. Davies nel 2009, c’è ancora Ten ad avere avuto il coraggio almeno di provarci: ”Back into the Time War, Rassilon, back into hell!”
So say we all.

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Il Dottore Stranamore https://www.carmillaonline.com/2013/05/19/il-dottore-stranamore/ Sun, 19 May 2013 21:34:48 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=5761 di Alessandra Daniele

ElevenDi tutte le accuse rivolte all’attuale gestione Moffat della cinquantennale serie sci-fi Doctor Who, la più ricorrente e motivata è quella d’avere un’impostazione reazionaria e sessista, particolarmente evidente in tutta la sua miseria nel pasticciato e truffaldino finale di stagione andato in onda sabato scorso, con l’inetto undicesimo Dottore ancora una volta circondato da un intero gineceo di comprimarie stolidamente adoranti che letteralmente esistono, vivono e muoiono esclusivamente in funzione sua. Segue spoiler Una moglie ”confezionata” su misura per lui fin dal concepimento, che dopo avergli sacrificato tutta la sua (breve) vita, ed [...]]]> di Alessandra Daniele

ElevenDi tutte le accuse rivolte all’attuale gestione Moffat della cinquantennale serie sci-fi Doctor Who, la più ricorrente e motivata è quella d’avere un’impostazione reazionaria e sessista, particolarmente evidente in tutta la sua miseria nel pasticciato e truffaldino finale di stagione andato in onda sabato scorso, con l’inetto undicesimo Dottore ancora una volta circondato da un intero gineceo di comprimarie stolidamente adoranti che letteralmente esistono, vivono e muoiono esclusivamente in funzione sua.
Segue spoiler

Una moglie ”confezionata” su misura per lui fin dal concepimento, che dopo avergli sacrificato tutta la sua (breve) vita, ed essere stata messa da parte per anni ”come un libro su uno scaffale” (testuale) non solo non se ne lamenta, ma accetta soavemente di svanire del tutto per far posto alla sua nuova fiamma, che le dice ”Sì, il Dottore m’aveva parlato di te, ma non avevo capito che fossi una donna’‘.
Due lesbiche in abiti vittoriani che hanno il compito di battersi per lui come amazzoni, beccandosi la sua lingua in bocca a forza come ringraziamento.
E una nuova companion che per lui decide di dissolversi nello spazio-tempo, frantumandosi in miliardi di frammenti smarriti, per diventare il suo eterno angelo custode, la sua personale madonna pellegrina – perlopiù invisibile e ignorata – che letteralmente muore e rinasce miliardi di volte solo per proteggerlo e salvarlo.

La narrativa, e a volte anche le stesse dichiarazioni pubbliche di Steven Moffat, showrunner di Doctor Who succeduto al geniale benché discontinuo Russell T. Davies, sono spesso state segnate da un pernicioso maschilismo retrò, fatto di personaggi femminili ridotti a stereotipi di Lolite capricciose o dark lady uterine. Mai però s’era finora raggiunto un livello così grottesco come in questo The Name of the Doctor, finale “preparatorio” dell’atteso – e adesso da molti temuto – special per il 50° anniversario della serie, previsto per il 23/11/13.
L’avere maldestramente aggiunto un soprannumerario Dottore ”segreto” (o forse un impostore) alla lista degli undici Dottori ”canonici” è solo l’ultimo dei suoi difetti.
La gestione Moffat aveva goduto per i primi anni d’un pregiudizio fin troppo positivo da parte di pubblico e critica, derivato dalle buone prove autoriali precedentemente fornite da Moffat sotto la guida di Davies. Ad essere obiettivi però lo scarto qualitativo verso il basso era stato immediatamente evidente, a cominciare da un brutale azzeramento sia di gran parte della complessità e dello spessore umano acquisiti proprio dal personaggio del Dottore nell’era Davies, sia di quelli che già possedeva in precedenza. Un danno grave, impossibile da imputare solo all’oggettiva sproporzione fra lo straordinario talento di David Tennant, e quello molto più modesto del pur volenteroso Matt Smith.
Nelle mani di Moffat, il Dottore è diventato una specie di straniante allegro genocida di alieni, che ogni tanto si ricorda di piagnucolare un po’ d’autocommiserazione sulle ginocchiette delle sue giovani companions, per poi tornare subito a sbavarci sopra.
A peggiorare il danno, l’epurazione censoria compiuta da Moffat che ha sistematicamente espulso dalla serie sia tutte le tematiche sociopolitiche efficacemente introdotte da RTD, che tutti i personaggi da lui creati o anche solo reinventati, dall’adorabile eroe pansex Jack Harkness di John Barrowman, allo stupendo, beffardo, struggente Master di John Simm. L’espulsione del Master, personaggio fondamentale nella mitologia della serie da almeno quarant’anni, è stata in particolare una vera e propria mutilazione inferta da Moffat al canone con l’ipocrita piglio patriarcale-pretesco degno del Rassilon di The End of Time, così accuratamente evocato da RTD in quel finale, che pur con tutti i suoi difetti, oggi sembra lontano anni luce per qualità e intensità narrative, interpretative e produttive dall’attuale teatrino delle ombre Moffattiane.
A incongruenze, forzature e buchi di trama, di cui le inutilmente ingarbugliate storie di Moffat abbondano, lo spettatore di Doctor Who è mitridatizzato da sempre, le regole dell’universo del Dottore vengono riscritte continuamente: se ne potrebbe dire, citando Sartre, che non ha leggi, ha solo abitudini, e può cambiarle domani.
In cinquant’anni però c’è stata una costante irrinunciabile: il personaggio del Dottore, con tutte le sue evoluzioni e involuzioni, ha sempre ispirato abbastanza fiducia e simpatia umana (e aliena) da far venire voglia d’accettare comunque il suo invito a viaggiare con lui nel tempo e nello spazio.
Oggi invece dà la sensazione d’accettare un invito ad Arcore.

[Edit: chi fosse interessato a un mio commento al piccolo vespaio suscitato da questa recensione, lo trova qui: La ragazza che ha aspettato abbastanza]

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Due cuori https://www.carmillaonline.com/2010/01/18/due-cuori/ Mon, 18 Jan 2010 07:07:36 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3314 di Alessandra Daniele

2Cuori.JPGS’è conclusa il primo gennaio la quarta stagione di Doctor Who, ultima del rigenerato ciclo gestito dal vulcanico Russel T. Davies, e interpretato dal talentuoso David Tennant nel ruolo di Ten, decima incarnazione del Dottore riuscita a surclassare nel cuore di così tanti whovians persino l’ormai mitico Four di Tom Baker, e nello stesso tempo a conquistare milioni di nuovi appassionati spettatori della serie in tutti il mondo. Oltre ad aver dato un nuovo significato al termine cenone di Natale, questo The End of Time s’è dimostrato, com’era logico aspettarsi, un glorioso frullato del meglio e del peggio di cui dal 1963 [...]]]> di Alessandra Daniele

2Cuori.JPGS’è conclusa il primo gennaio la quarta stagione di Doctor Who, ultima del rigenerato ciclo gestito dal vulcanico Russel T. Davies, e interpretato dal talentuoso David Tennant nel ruolo di Ten, decima incarnazione del Dottore riuscita a surclassare nel cuore di così tanti whovians persino l’ormai mitico Four di Tom Baker, e nello stesso tempo a conquistare milioni di nuovi appassionati spettatori della serie in tutti il mondo.
Oltre ad aver dato un nuovo significato al termine cenone di Natale, questo The End of Time s’è dimostrato, com’era logico aspettarsi, un glorioso frullato del meglio e del peggio di cui dal 1963 questa serie è capace.
Un finale dai due volti, o meglio, due cuori.
Spoiler 
Appartiene senz’altro al meglio la lodevole presa per il culo di Obama. A chi nel fandom ha protestato, obiettando che i leader mondiali ritratti in Doctor Who debbano sempre essere personaggi inventati, sfugge ancora il fatto che anche Obama lo sia.
Tipico del peggio il tradizionale, spudorato cazzeggio science-fantasy: basta lanciare un diamante verso un ologramma della Terra perché la raggiunga davvero? Quindi, se io durante il Tg tirassi una scarpata allo schermo… no, purtroppo non funziona.
Parte fondamentale del meglio sono le interpretazioni dei protagonisti: dal pirotecnico Tennant, sempre ipercinetico, ma più umano che mai, all’ottimo veterano Bernard Cribbins, toccante e credibile, allo straordinario John Simm, che, come Tennant, fornisce un’altra prova dell’intensità e della versatilità del suo talento, dando prima una delle più crude rappresentazioni della follia disperata, per poi tornare al suo Master istrionico e beffardo, lasciando però che la sofferenza dell’uomo continui a trasparire dalla maschera del supervillain.
Da rubricare nel meglio l’atmosfera crepuscolare da wasteland suburbana della prima parte, la geniale, dickiana Masterizzazione del pianeta, e soprattutto il tentativo di dare reale spessore narrativo a quest’ennesima ”morte” del Dottore facendone una vera morte, chiarendo come la cosiddetta ”rigenerazione” sia in realtà a tutti gli effetti una sostituzione. Una morte autentica quindi, frutto d’una tragedia autentica, il sacrificio d’un uomo per un altro uomo, senza trucchi magici, scappatoie sci-fi, assi nella manica, e conigli nel cappello.
Un sacrificio reso ancora più struggente e credibile dall’iniziale, umanissima ribellione di Ten.
Alla decima incarnazione del Dottore in questi anni è stato affidato un compito di proporzioni bibliche: non solo attualizzare il personaggio (anche rielaborando l’apporto autoriale di Tom Baker in modo originale) ma soprattutto dargli spessore, complessità e credibilità compiutamente umane. Un ruolo ”cristico” in senso archetipico, che in questo commovente congedo trova il logico coronamento.
La riduzione di Donna al ruolo di casalinga immemore, dopo che era stata capace di assumere quello opposto di mentore, va invece decisamente catalogata nel peggio, insieme all’abuso voyageresco di profezie e apparizioni, e l’interminabile tournè d’addio di Ten, che rischia di smorzare il pathos della sua dipartita, recuperato solo in extremis dal carisma di Tennant.
La – fortunatamente breve – reintroduzione dell’intero pianeta Gallifrey, armi e bagagli, nella serie e nello spazio aereo inglese appartiene invece a entrambe le categorie.
Ottima l’idea di evocare come incarnazione del potere costituito l’archetipo di Kronos/Saturno tornato a divorare i suoi figli, nonché la vita, l’universo, e tutto il resto, ma avrebbe meritato più approfondimento e respiro narrativo. La torva, granitica fissità di Timothy Dalton in vestaglia rossa, e le incongruenze della mise en scène però non bastano a sminuire l’impatto visuale ed emotivo della decisione finale di Ten, né del triello che svela per intero quello che è il vero cuore di The End of Time: il rapporto fra Ten e il Master. Il modo in cui i due prima si fronteggiano, e poi si salvano la vita a vicenda rischiando la propria, e rispedendo all’inferno il patriarca divoratore, è qualcosa di così struggente e romantico – sia nel senso corrente che originario del termine – che da solo rimedia a tutte le cialtronate che come avanzi di veglione inevitabilmente costellano questo finale. Perché il rapporto fra Ten e il Master è amore, autentico, credibile, profondamente umano.
Il ritmo di quattro battute che ossessiona il Master è in realtà il battito cardiaco di un Time Lord. Quando alla discarica appoggia la sua fronte a quella di Ten dicendogli ”listen”, l’amato nemico gli sta in fondo chiedendo di ascoltare i loro cuori.
E Ten lo farà, fino alla fine.

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Una torcia nel buio https://www.carmillaonline.com/2009/07/29/una-torcia-nel-buio/ Wed, 29 Jul 2009 10:37:31 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=3128 di Alessandra Daniele

Torchwood.jpg [Contiene spoiler]

Dopo il geniale Life on Mars, ironico, struggente, e sottilmente Dickiano, la sf televisiva britannica dimostra ancora una volta la sua vitalità con quello che può essere considerato uno dei migliori prodotti dell’intera storia del genere. Di ottima tecnica narrativa ed eccezionale coraggio politico, Torchwood – Children of Earth denuncia il governo inglese e l’alleato-controllore USA come un branco di sorci capaci di organizzare il più abominevole dei genocidi con agghiacciante efficenza degna di Eichmann preoccupandosi soltanto di salvare le loro facce da culo. Evidenti e puntualissimi i riferimenti all’impalcatura di menzogne di Stato costruita per reggere la [...]]]> di Alessandra Daniele

Torchwood.jpg [Contiene spoiler]

Dopo il geniale Life on Mars, ironico, struggente, e sottilmente Dickiano, la sf televisiva britannica dimostra ancora una volta la sua vitalità con quello che può essere considerato uno dei migliori prodotti dell’intera storia del genere.
Di ottima tecnica narrativa ed eccezionale coraggio politico, Torchwood – Children of Earth denuncia il governo inglese e l’alleato-controllore USA come un branco di sorci capaci di organizzare il più abominevole dei genocidi con agghiacciante efficenza degna di Eichmann preoccupandosi soltanto di salvare le loro facce da culo.
Evidenti e puntualissimi i riferimenti all’impalcatura di menzogne di Stato costruita per reggere la facciata della ”Guerra al Terrorismo”. Children of Earth però colpisce più a fondo, alla radice stessa del sistema. Infatti, come l’alieno 456 ricorda sarcasticamente, l’orrido sacrificio umano che richiede ai terrestri non fa che rispecchiare ciò che quel sistema capitalistico-castale già produce: milioni di vittime innocenti, uccise o costrette a un’esistenza peggiore della morte a causa della loro classe d’appartenenza.
Un alieno che sembra uscito dagli incubi di Lovecraft, accompagnato da sinistri echi biblici, come la colonna di fuoco che lo trasporta, e che aggiungono a Children of Earth un sottotesto ”eretico” ulteriormente iconoclasta.
Concitato, angoscioso, privo di qualsiasi scappatoia consolatoria, Children of Earth inserisce abilmente citazioni di classici, da Orwell a Quatermass, dal Villaggio dei Dannati a quello di The Prisoner, in un impianto archetipico e insieme originale, inesorabilmente diretto verso un finale spietato che ancora una volta dimostra il coraggio della sf britannica in generale, e della miniserie in particolare.
Fra gli interpreti, tutti ottimi da protagonisti e comprimari, umani e realistici come se ne vedono di rado, spicca lo straordinario Peter Capaldi nel ruolo di Frobisher, il personaggio più tragicamente emblematico, in un’interpretazione indimenticabile.
Nata come spin-off di Doctor Who, la serie Torchwood ha saputo da subito differenziarsi per toni, tematiche, e scelte controcorrente, come quella di affiancare all’iconico protagonista Jack Harkness invece della solita strappona un compassato ed eroico compagno bisex.
Creatore di Torchwood, Russel T. Davies è anche autore della fortunata rigenerazione nel nuovo millennio dello stesso Doctor Who, del quale ha firmato alcuni degli episodi migliori, come The Sound Of Drums e Last Of The Time Lords, dominati dal genio beffardo del Master, un John Simm davvero magistrale che dopo Life on Mars tornerà a sfidare il Dottore quest’inverno nello special The End of Time.
The Sound Of Drums in particolare anticipava alcune delle tematiche sociopolitiche di Children of Earth. La scena del movimentato consiglio dei ministri, e la provvida disintegrazione di Bush sono piccoli capolavori degni del Free Cinema.
Children of Earth è un ulteriore salto di qualità, un instant classic in grado sia di tenere inchiodati davanti alla TV sei milioni di spettatori britannici per cinque prime serate consecutive, che di entrare subito di diritto nella categoria dei migliori cult serial, scavalcando serie USA che si sono dimostrate incapaci della stessa coerenza e dello stesso coraggio.
Che possa essere d’esempio alla nuova generazione di sf televisiva.

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