spiritismo – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Non è ver che sia lo spettro https://www.carmillaonline.com/2024/07/26/non-e-ver-che-sia-lo-spettro/ Fri, 26 Jul 2024 20:00:27 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=83581 di Franco Pezzini

Fabio Camilletti, Spettri familiari. Letteratura e metapsichica nel secondo Novecento italiano, Unicopli, Trezzano sul Naviglio MI 2024.

Un affresco sacro scrostato, poi un vicolo di notte: sul fondo, lenzuola appese ai fili tra gli opposti edifici e auto posteggiate, a suggerire che si parla di una realtà moderna. Una giovane donna corre nella nostra direzione, sbircia indietro – evidentemente per esser certa che qualcuno la segua, che non si perda – e trattiene il lungo scialle perché non scivoli via nella corsa: una donna, ci accorgiamo, bellissima, dall’ampia chioma riccia, con un abito che qualcuno dirà “un po’ [...]]]> di Franco Pezzini

Fabio Camilletti, Spettri familiari. Letteratura e metapsichica nel secondo Novecento italiano, Unicopli, Trezzano sul Naviglio MI 2024.

Un affresco sacro scrostato, poi un vicolo di notte: sul fondo, lenzuola appese ai fili tra gli opposti edifici e auto posteggiate, a suggerire che si parla di una realtà moderna. Una giovane donna corre nella nostra direzione, sbircia indietro – evidentemente per esser certa che qualcuno la segua, che non si perda – e trattiene il lungo scialle perché non scivoli via nella corsa: una donna, ci accorgiamo, bellissima, dall’ampia chioma riccia, con un abito che qualcuno dirà “un po’ da zingara”, ma solo perché non è consueto a chi non sia frequentatore abituale delle stampe di Bartolomeo Pinelli. Corre verso di noi, ma intanto è partita una musica che pure punta a noi. A noi che quella scena in bianco e nero l’abbiamo vista magari mille volte, che conosciamo la melodia perfettamente e mille volte inseguiamo Lucia – perché il fatto che corra nella nostra direzione non ci rende più capaci di trovarla di quanto sia in grado chi la sta inseguendo.

Infatti, il titolo è appena apparso in sovraimpressione – con i caratteri sobri di un altro tempo della storia del piccolo schermo – ed ecco che Lucia sparisce sulla sinistra del video. Subito dopo compare di corsa il giovane che la insegue, e i titoli di testa prendono a scorrere. Via via riusciremo a vedere meglio i volti dei due nel dedalo dei vicoli – l’ironia vagamente malinconica di lei, l’ansia di lui – finché Lucia non sbuca in una piazza, continuando a guardare indietro (alle nostre spalle, potremmo ora dire) e abbozza un gesto col viso, un “Seguimi” muto che vorremmo fosse diretto a noi. E forse stavolta lo è.

“[…] probabilmente il più importante sceneggiato della storia della Rai”: così il sito Rai Play definisce Il segno del comando, che nel 1971 per cinque settimane – dal 16 maggio al 13 giugno – inchioda gli spettatori davanti al video. Eppure non è solo per la magnetica presa della storia (una trama incalzante, il fascino del mistero, una sfida a capire) che in un’Italia tanto diversa da quella di oggi Il segno del comando si guadagna tale riconoscimento. I motivi sono parecchi, e il loro sapiente dosaggio permette un’alchimia dai risultati mai più raggiunti con tanta efficacia.

E partiamo da qui, da quest’opera su cui si chiudeva il pionieristico Italia lunare. Gli anni Sessanta e l’occulto di Fabio Camilletti (Lang, 2018) per presentare questo ideale sequel, o ampliamento per focus, persino migliore – anche se il precedente costituiva un’introduzione ricca e necessaria allo studio dell’occultura in Italia. Un paese che ha visto – come altri d’occidente, va detto, ma con connotazioni molto particolari – il rapporto tra modernità (boom economico, con scienza e tecnologia relativi) e spettri scandito in base al loro rapporto con le agenzie di certezza pubbliche, Chiesa cattolica e magistero Pci: e quanto negli anni Sessanta, per il loro controllo incrociato, era rimasto sotto il pelo di una pubblica attenzione se non ad opera di eccezionali eccentrici (si pensi a Buzzati, a Fellini) nei Settanta esploderà a fenomeno di massa come Grande Revival magico per conoscere una contrazione, come altre utopie, all’alba del decennio successivo.

Anche Spettri familiari parla a un certo punto del Segno del comando, e inevitabilmente: laddove affronta l’opera di un autore che deve ben aver ispirato gli sceneggiatori, Giorgio Vigolo, con le sue storie – in particolare Le notti romane, 1960 – su una “Roma fuor di sesto” (come s’intitola il cap. 3). Storie di time-slip, che dal capezzale di Ernesto de Martino intento a offrire alla giornalista ventiseienne Fausta Leoni un’ultima intervista, sconcertante, sul rapporto tra tempo e paranormale (1965), tra speculazioni parascientifiche e letterarie in tema di “compresenza dei tempi”, si dipana a constatare come in Roma le diverse epoche coabitino e si compenetrino rivelando pieghe paradossali. Ciò che nello sceneggiato emergeva non solo dalla vertigine temporale di un minuetto di reincarnazioni, ma dall’effetto straniante di chiavi diverse della trama, compenetrate a forza durante la lavorazione (a un’originaria soluzione razionalista se n’era sovrascritta una sovrannaturalistica, senza che l’una cancellasse in toto le tracce dell’altra, a perdere lo spettatore almeno quanto l’attonito protagonista Forster): ma insieme “un tempo finito improvvisamente ‘fuor di sesto’, soggetto a un ‘andamento a singhiozzo’: un fenomeno che investe la sfera intra-diegetica quanto quella extra-diegetica, finendo per riverberarsi sull’atmosfera stessa del set”. Con il teatro di una città dei morti come Purgatorio a-teologico, a richiamare quell’aldilà popolare che di cattolico presenta solo alcuni elementi ma assomiglia maggiormente a un Ade pagano.

Si è detto che il volume rappresenta una sorta di sequel a Italia lunare nel senso di riprenderne il filo di ricerca e alcune provocazioni tematiche (Il Segno del comando, appunto): ma non un sequel in senso cronologico, perché il discorso non parte dagli anni Sessanta, ma da molto prima. Dopo una bella introduzione sui fantasmi della nostalgia, Spettri di Nonna Speranza, tra Nilla Pizzi, Nunzio Filogamo e Gozzano, infatti, il capitolo 1, Dispacci dall’oltretomba, riguarda Gli scritti medianici di Pitigrilli, a partire dal 1940 e con molte informazioni retrospettive. Dove il rapporto tra messaggi del tavolino di fantasmi eccellenti – narratori, poeti… – e scritture imitative del losco informatore dell’Ovra (“scrittore-spia e spia-scrittore”, secondo Lussu), nonché superficialotto alla deriva di se stesso, dice parecchio del suo patetico tentativo di sfuggire alle colpe rifugiandosi in un cenacolo immaginoso e consolatorio.

Segue (cap. 2) Il gran teatro delle anime in pena, sui fantasmi di Eduardo, in particolare su Questi fantasmi! (1946), lo spiritismo napoletano dalla Belle Époque in avanti, Lombroso e gli Spiriti inquilini, il nesso tra munaciello/Poltergeist e charivari nello stigmatizzare unioni problematiche, la dimensione fantasmatica del teatro. Mentre alla parte su Vigolo segue Caramelle al cimitero (cap. 4) sulle scampagnate medianiche narrate da Dino Buzzati, in particolare sul dimesso medium trevisano Lava: ma ci sono anche il torinese Rol e il romano Fulvio Rendhell.

Può interessarci poco che Rol sia stato anzitutto un grande mentalista, forse convinto di dover combattere coi suoi prodigi – non parlava di spiriti – il materialismo in anni di crisi delle tradizionali istanze religiose, o forse rimasto prigioniero del proprio garbatissimo personaggio (che Piero Angela, si noti, non volle mai disturbare). Chi scrive, ragazzo negli anni Settanta ed entusiasta di storie strane, aveva cercato d’incontrarlo con il sistema poco medianico d’una telefonata: non avevo detto che tra i suoi frequentatori c’era un amico dei miei nonni, e mi ero sentito rispondere da un gentilissimo maggiordomo che Rol non era disponibile a un incontro. Sospetto in realtà che il presunto maggiordomo fosse Rol stesso, e ci penso spesso passando davanti alla targa affissa sulla facciata della casa di via Silvio Pellico dove abitava. Mentre di Rendhell leggevo con avidità le avventure parapsichiche pubblicate su un rotocalco comprato da mia madre (doveva essere la testata Grazia): ghost story bellissime – almeno così le ricordo, l’autenticità non importa –, che meriterebbero senz’altro una ripubblicazione in volume.

La conclusione, Una tavoletta ouija a Villa Finzi-Contini, sul filo di Bassani, le Storie di spettri di Mario Soldati e le voci dei parapsicologi (Talamonti, Dèttore…) evoca – verbo quanto mai proprio – i fasti del bicchierino (o della tazzina, come si usava allora tra ragazzi) a porre il problema di “Cosa sono gli ‘spiriti’ che intervengono alle sedute?”. La risposta, in questo bellissimo libro di storia della cultura e di letteratura italiana (con pagine altissime), non la offrono la parapsicologia né tantomeno lo spiritismo: quegli spiriti riguardano noi e la realtà del tempo in cui siamo immessi, le dimensioni della vita e della morte che ci interpellano in modo più pressante man mano che gli anni passano, le nostre nostalgie e malinconie e le stesse urgenze della scrittura. Un tema non certo derubricabile a vuota sciocchezza, per le infinite e graffianti consonanze a ciò che siamo, alla fictio della letteratura e all’autofiction (autoinganni compresi) suggeritaci da una società, al rondò di sentimenti, emozioni, paure, contraddizioni che viviamo ma a volte tenendoli sotto il tappeto. E accidentalmente su quel tappeto posa un tavolino a tre gambe. Qualche volta, danza nell’aria.

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All’insegna dell’ircocervo (Victoriana 40) https://www.carmillaonline.com/2023/07/01/allinsegna-dellircocervo-victoriana-40/ Sat, 01 Jul 2023 20:00:13 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77706 di Franco Pezzini

La New Forest – già sito del regno juto di Ytene, poi foresta reale fin dai giorni di Guglielmo il Conquistatore, circa 1079 – è una delle aree più ampie di boschi (il navigatore satellitare in certi punti si ingrippa), brughiere lunari e pascoli indivisi dell’Inghilterra meridionale: un giro in zona resta di estrema suggestione. Per gli amanti dei gialli storici, qui, vicino a Brockenhurst, il 2 agosto 1100 finì accoppato in un misterioso incidente di caccia re Guglielmo II Rufus figlio del Conquistatore. Estremamente implausibile, con buona pace di [...]]]> di Franco Pezzini

La New Forest – già sito del regno juto di Ytene, poi foresta reale fin dai giorni di Guglielmo il Conquistatore, circa 1079 – è una delle aree più ampie di boschi (il navigatore satellitare in certi punti si ingrippa), brughiere lunari e pascoli indivisi dell’Inghilterra meridionale: un giro in zona resta di estrema suggestione. Per gli amanti dei gialli storici, qui, vicino a Brockenhurst, il 2 agosto 1100 finì accoppato in un misterioso incidente di caccia re Guglielmo II Rufus figlio del Conquistatore. Estremamente implausibile, con buona pace di Margaret Murray, che si sia trattato dell’arcaico sacrificio del sovrano di sopravvissuti rituali pagani; più gettonata l’idea dell’assassinio di un re di cattiva fama, la cui fedina morale gronderebbe brutture. In ogni caso nella foresta, nel luogo presunto del fattaccio a poca distanza dal villaggio di Minstead, sorge (e all’inizio facciamo un po’ fatica a identificarla) la Rufus Stone, o meglio un monumento memoriale del 1841 che sostituisce l’originario e mutilo.

Guglielmo Rufus verrà poi tumulato nella Winchester Cathedral. Però a proposito di tombe e di mystery, proprio Minstead richiede assolutamente un pellegrinaggio da parte dei lettori affezionati, in quanto luogo di ultimo riposo di Sir Arthur Conan Doyle. Così dopo una notte di umido e pioggia a Brockenhurst, sotto il cielo nuvolo del mattino puntiamo verso il cimiterino di Minstead, parcheggiando nel posteggio più prossimo, davanti al pub The Trusty Servant.

Dove notiamo una figura particolarissima, satirica, a insegna del locale, a firma di tal P. J. Oldreive, specializzato in immagini per locali pubblici. Vi si vede un uomo abbigliato in abiti settecenteschi, ma con orecchie d’asino, muso di maiale serrato da un lucchetto, zampe di cervo e un po’ di ammennicoli stretti nella mano sinistra. È evidente qualche antico legame con il Winchester College, che fuori dalla cucina vanta dipinta (dal 1579 per mano di John Hoskins, anche se la versione attuale è di William Cave, 1809) una creatura molto simile. Anzi là un componimento latino chiarisce la simbologia del Trusty Servant, il Servitore Fidato: ecco pazienza (l’asino), rapidità (il cervo), mancanza di pretese nella dieta (il muso di maiale), discrezione (il lucchetto), operosità e difesa del padrone (pennello, pala e forchettone nella sinistra, spadino al fianco). La bizzarra creatura di Winchester viene detta – almeno da Arthur Cleveland Coxe (1818-1896) in avanti – ircocervo, dal capro-cervo degli antichi autori greci, assurto nel Novecento a simbolo di assurda irrealtà, soprattutto in campo politico, con Benedetto Croce e Antonio Gramsci.

Tratteniamo la suggestione e muoviamoci. Per arrivare alla chiesa di All Saints c’è solo qualche passo: varcato il cancelletto con tettoia e girato attorno all’edificio, la tomba di Sir Arthur (“cavaliere / patriota, medico e uomo di lettere”) si trova facilmente, sormontata com’è da una grossa croce di pietra. Nel silenzio del cimiterino, grazioso e fiorito come in genere quelli inglesi, tributiamo così omaggio e un momento di silenzio a questo mattatore dell’immaginario: e mi pare un luogo adeguato per ricordare non solo il padre dell’Arcidetective Holmes – che la causa di morte di Guglielmo Rufus a poche miglia di qui l’avrebbe senz’altro chiarita – ma l’apostolo dello spiritismo. E per aprire la bella edizione della sua The History of Spiritualism apparsa nel 1926, dedicata a “Sir Oliver Lodge, gran maestro nelle scienze fisiche e psichiche” e riproposta oggi da Venexia, Storia dello spiritismo. Antologia illustrata con traduzione di Angelo Airò Farulla (pp. 204, € 22, Roma 2023). Una lettura in qualche modo agiografica dove in luogo dei miracoli si susseguono altri eventi più o meno meravigliosi e i profili di sensitivi appaiono aureolati – talvolta attraverso persecuzioni, nella loro testimonianza/martirio – in vista di una nuova e più felice alba dell’umanità.

Le foto sono bizzarre o struggenti: la morte a ventisei anni del figlio di Doyle, Arthur Alleyne Kingsley – un bel ragazzo che vediamo nella divisa della guerra e poi presuntamente in forma ectoplasmatica accanto al padre che garantirà di averlo riconosciuto – finisce così col raccordarsi con le radicate convinzioni spiritualistiche di Sir Arthur.

La panoramica è di estremo interesse, tanto più per vedere cosa all’epoca si racconti di personaggi presentati in modo un po’ diverso dalla critica recente. Procedendo troviamo così l’incredibile inventore/profeta Swedenborg, Edward Irving e i quaccheri millenaristi shaker passati dall’Inghilterra al Nuovo Mondo, Andrew Jackson Davis “profeta della nuova rivelazione”, i fatti di Hydesville e la resistibile carriera delle sorelle Fox. Seguono i primi sviluppi in America (Thomas Lake Harris, Robert Hare, Hardinge Britten…), l’alba inglese e le nuove avventure del movimento, editoriali e non (riviste spiritiste, polemiche…); le figure di Daniel Dunglas Home, dei fratelli Davenport, di Sir William Crooks, dei fratelli Eddy e degli Holmes, di Henry Slade e del dottor Monck, di Eusapia Palladino e dei grandi medium 1870-1900. Successivamente Doyle affronta i temi “caldi” dell’ectoplasma e della fotografia spiritica, di medianità vocale e impronte; poi le declinazioni francesi (Kardec & dintorni), tedesche (du Prel) e italiane (Mazzini, Garibaldi, Lombroso, Bozzano, Morselli…). Il cap. 20, conclusivo, si intitola Alcuni grandi medium moderni (e alcune esperienze personali dell’autore), e mette le mani avanti:

 

La descrizione delle manifestazioni fisiche prodotte da un’intelligenza esterna spesso rischia di diventare un po’ monotona, dal momento che gli eventi assumono costantemente forme stereotipate di natura limitata; forme che, d’altro canto, sono ampiamente sufficienti allo scopo, ovvero dimostrare l’esistenza di poteri invisibili, sconosciuti alla scienza della materia.

 

Segue una piccola galleria di volti di medium conosciuti di persona, qualche appunto sulla tipologia dei fenomeni (spesso “Voce diretta, indipendente dagli organi vocali”, ma molto rare materializzazioni; apparizione di volti fantasma in macchie di luce, “Sembrerebbero delle semplici maschere”, forse – verrebbe da dire – lo sono; i cosiddetti apporti, eccetera) e un’appassionata apologia dello spiritismo. Cui l’autore si dedica da decenni (cfr. qui e qui) prima che la legione di morti della Grande Guerra, compreso appunto il figlio, faccia moltiplicare i tavolini del dolore. Si è spesso rimproverato a Doyle, padre del rigoroso Holmes, la credulità con cui affronta lo spiritismo – e il fatto che registri anche casi di frodi non cambia radicalmente le cose. La dignità con cui difende il suo credo gli fa onore, ma non basta a convincerci. Tanto più che una cosa è ammettere l’esistenza di fenomeni bizzarri, da chiamare “spiriti” per insufficienza nomenclatoria; altro è imbullonare tutto ciò in un complicato sistema religioso e morale costruito più o meno a ricalco di un vago cristianesimo. Sembra in effetti di individuare una categoria epocale sottostante dell’“I Want To Believe” più forte dei pur nobili sforzi di oggettività dell’autore: qualcosa come un desiderio perduto tra le pieghe del positivismo.

Si può in generale condividere quanto scrive nell’introduzione Battere i materialisti sul loro stesso terreno – da un’espressione dello stesso Doyle – il traduttore Farulla a proposito dello spiritismo come il “movimento religioso più essoterico e scientista che si conosca, sorto dal connubio più antiscientifico e antispirituale che la cultura moderna abbia mai prodotto” – (un unico sobbalzo è quando Farulla sostiene tout court che “l’illuminismo fu infiltrato di occultismo ed esoterismo”, senza distinguo tra impianto teorico dei Lumi e coevi illuminatismi, al di là di certe equivoche esperienze di loggia). Ma è pur vero che la chiave interpretativa più esplicita alla dimostrabilità positiva della metafisica nella dottrina spiritista la troviamo a pochi passi dal cimiterino dove stiamo rendendo omaggio a Doyle: quella proprio dell’ircocervo, in questo caso composito implausibile di scienza e fede. In un’epoca in cui creazionismi e giochi più ambigui di sponda tendono oggi a rimixare le carte, nel tripudio teocon, difendere da un lato la laicità della scienza, e dall’altro quel libero arbitrio che per il credente è scommessa della propria esistenza su qualcosa di indimostrabile, delinea la vertigine di un rischio che è libertà e inevitabile, faticosa adultità. Trucchetti, scorciatoie o forzature dialettiche aprono le porte all’ircocervo: danneggiano gli interessi della scienza e quelli stessi di una fede onesta.

Animal noto, per altro verso, all’antropologia politica che dal Novecento in avanti l’ha visto combinare la protome suina con altre connotazioni bestiali – a partire dall’ibridissimo ircocervo fascista. Fino a casi molto più recenti, in cui entità politiche ringhiosamente poliziottesche e centralizzanti hanno assunto – per esempio in tema vaccinale – connotazioni libertarie di comodo, un certo approccio bullista si sposa alla lamentosità, e le contestazioni in sede pubblica vengono presentate come intolleranza da soggetti che proprio su una comunicazione aggressiva hanno costruito la propria fortuna istituzionale.

Tutte considerazioni che non permettono di giudicare l’uomo del suo tempo Doyle, che crede genuinamente nel beneficio collettivo della causa spiritista: ma che fa riflettere su quanti ircocervi dai connotati stridenti zoccolino qui e là ai giorni nostri, funzionali a intruppare come trusty servant di istituzioni, interessi e feticci di potere.

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Piccole donne evocano (Victoriana 37) https://www.carmillaonline.com/2022/06/18/piccole-donne-evocano-victoriana-37/ Sat, 18 Jun 2022 20:42:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=72613 di Franco Pezzini

Lisa Morton, Evocare gli spiriti. Storia delle sedute spiritiche, ed. orig. 2020, trad. Roberto Esposito, pp. 316, € 20, Odoya, Città di Castello PG 2022.

La fotografia mostra, solo parzialmente schermata da alcuni alberi, una casa americana in legno, non certo lussuosa, con assi a vista. Sotto, un’iscrizione a stampa: “In this house, March 31st, 1848, Spiritualismo originated, Newark, N.Y.”. È casa Fox, sita ad Hydesville (che con lieve forzatura potremmo tradurre la Villa del nascosto) presso New York: e qui sboccia l’ultima delle grandi rivoluzioni del 1848, quella spiritista. [...]]]> di Franco Pezzini

Lisa Morton, Evocare gli spiriti. Storia delle sedute spiritiche, ed. orig. 2020, trad. Roberto Esposito, pp. 316, € 20, Odoya, Città di Castello PG 2022.

La fotografia mostra, solo parzialmente schermata da alcuni alberi, una casa americana in legno, non certo lussuosa, con assi a vista. Sotto, un’iscrizione a stampa: “In this house, March 31st, 1848, Spiritualismo originated, Newark, N.Y.”. È casa Fox, sita ad Hydesville (che con lieve forzatura potremmo tradurre la Villa del nascosto) presso New York: e qui sboccia l’ultima delle grandi rivoluzioni del 1848, quella spiritista. Benché preparata da un lunghissimo cammino, con radici fin da un passato remoto nelle antiche negromanzie e una quantità di fili immaginali annodati inestricabilmente (mesmerismo, swedenborgianesimo, magia posthuma eccetera), è con la saga delle tre sorelle americane Katie, Maggie e Leah Fox (le sorelle March del successivo Piccole donne di Louisa May Alcott, 1868 sono quattro, ma il contesto non è distante) che monterà la “straordinaria tempesta culturale” di cui questo bell’Evocare gli spiriti, divulgativo nel senso migliore, ripercorre la storia.

Infatti i morti non riemergerebbero solo spontaneamente in certi luoghi (cimiteri, case infestate…) o situazioni (certe ricorrenze, certi eventi): fin dall’alba dell’umanità si sono moltiplicate tecniche funzionali a recuperare un dialogo con chi ci ha lasciato. Qualcosa abbastanza impressionante, se consideriamo la scarsa capacità di ascolto che mediamente registriamo in questa vita: che si vada con ansia a cercare chi l’abbia lasciata, oltre tutti i tempi supplementari e il consumarsi delle parole umane, pare uno strambo controsenso. Il fatto è che però, da un lato, al morto sono attribuite capacità di prospezione inedite, a flirtare con l’onniscienza per il raggiunto conseguimento di uno stato più alto (o più basso, ma quelli è sconsigliabile convocarli); e dall’altro esiste uno spazio del non-detto che infesta le nostre vite. Quando mio padre – anziano e malato di tumore – era alla fine, un’amica giustamente mi aveva consigliato di dirgli tutto ciò che in un futuro avrei potuto volergli raccontare: parole non dette o non dette a sufficienza. Ma esistono casi in cui questo tipo di comunicazione non è possibile: vuoi per un distacco troppo improvviso, vuoi invece per un’impostazione di rapporti sghemba, per spazi di silenzio imposti da educazione o situazioni, da incomprensioni, mancati perdoni o incomunicabilità radicali.

Un caso del genere, con tanto di medium/sibilla posseduta da forze infere, ci è narrato da Virgilio nell’Eneide: a Enea è precipitato addosso il ruolo di pater familias per la morte improvvisa del suo ingombrante genitore Anchise, non è pronto a quella parte e non è un caso se il primo risultato della sua adultità fragile sia un fallimento esistenziale più che sentimentale, lo sbarellamento di una liaison di cui non è affatto convinto, quella con la povera Didone. Per recuperare il ruolo che la vita gli impone di assumere, Enea dovrà dunque scendere nell’Ade e cercare suo padre, che gli spiegherà come funziona la vita, passandogli il testimone e permettendogli di crescere. Nella bellissima e maltrattata Eneide televisiva (i cultori dell’eroe romano con la mascella dura non avevano apprezzato il tormentato intellettuale di Brogi e i toni malinconici e arcaizzanti della trasposizione), la lettura era lievemente diversa, ma pure di grande suggestione. Enea vi vive l’ombra di un feroce senso di colpa, perché in un duro scambio con Anchise – che vuole la rivalsa contro gli Achei, e non come Enea un futuro pacifico altrove – il padre l’ha accusato addirittura di aver pregato un dio nemico per uscir vivo da quella Troia che ora non vuole riprendersi con le armi: e di fronte a una simile accusa, nel profondo del suo cuore Enea si è augurato la morte del vecchio. Quel rimorso non l’ha più abbandonato, e nell’Ade, come in una grande seduta psicoterapica, Anchise spiega al figlio la natura di quel dolore e chiarisce che era stato lui, vecchio, a sbagliare. Enea può insomma riprendere il viaggio con un cuore un po’ meno fratturato…

Questa lunga parentesi virgiliana può sembrar condurre distanti, ma la dice lunga sia sul senso esistenziale autentico di talune domande (nelle forme almeno di certe culture), sia sul loro cogliere conati irrisolti, spazi che gridano la necessità di un logos pacificatore, di un perdono da dare o da ricevere, di una forma di pace da raggiungere. Si pensi solo all’impennata dello spiritismo a ridosso della prima guerra mondiale: l’assurdo della guerra – imperialista persino sui contenuti profondi delle coscienze – finiva col reclamare il bisogno di un ultimo contatto coi propri cari scomparsi nel maelstrom.

Poi certo, ci sono altri motivi per l’affermarsi della cultura di un dialogo coi fantasmi. Per attestarci su esempi moderni, dall’atteggiamento positivistico tra Otto e Novecento, che mira a dimostrare scientificamente l’esistenza dell’Aldilà e dunque di una metafisica, all’impennata del grande revival magico negli anni Settanta del Secolo breve, quando la forma scelta per buttar lì la parola chiave – “Gradoli”, sul nascondiglio di Moro prigioniero delle BR – ricevuta da un informatore che è necessario non scoprire, viene carabistrata quale presunta rivelazione a un gruppo di notabili democristiani (Prodi in prima fila) da parte dello spirito di don Sturzo… e a quell’epoca, dato il clima, lo spunto appare credibile o almeno congruo a un linguaggio immaginale. È però il canto del cigno: la serie televisiva quasi coeva Indagine sulla parapsicologia di Piero Angela (aprile 1978), e soprattutto il reflusso degli anni ottanta – quando i misteri tornano magari brevemente in televisione con programmi sbertucciatissimi nel clima Milano da bere, ma sono assoggettati alla frizzante dittatura del presente (craxiano) – porteranno anche su questo fronte alla crisi dell’utopia magica.

Però lasciandoci alle spalle i fantasmi grevi della Prima repubblica, torniamo alle sorelle Fox.

Quando nel marzo 1848, poco prima che Katie compia undici anni, una serie di rumori notturni inizia a disturbare la famiglia, e prende a circolare la convinzione che si tratti del fantasma di un assassinato, si è ancora lontani dall’immaginare cosa da quell’apparente stramberia familiare monterà in tutto il mondo. Poi ecco i primi passi quasi all’insegna dello spettacolo, attraverso l’intrattenimento di gruppi di curiosi che Katie e Maggie riuniscono attorno a un tavolo da pranzo, su cui prendono a risuonare colpi e che si muove da solo… Nasce così la seduta spiritica, derivato ultimo, borghese e salottiero, degli antichi e pittoreschi sistemi di dialogo con i morti, nel corto circuito con altre realtà – magnetismo, suggestioni degli shakers (fondati nel 1747, riceverebbero messaggi da entità spirituali), revival mediogotico dei fantasmi, spiritismo di Kardec, teosofia… – e sull’onda dei lutti di quella Guerra civile americana che miete circa 620.000 uomini (i cui spettri verranno poi indimenticabilmente narrati da Ambrose Bierce, fantasmi veri e amari di un’epoca). Mettiamoci poi le imprese metafisico-prestadigitatorie dei fratelli Davenport, l’irruzione in scena dell’arcimedium Daniel Dunglas Home e dell’enigmatica Florence Cook, poi di Eusapia Palladino e dei medium del Novecento; mettiamoci la conversione a questa New Revelation di Arthur Conan Doyle e il successo dello spiritismo in letteratura e nelle arti (in fondo fino a Méliès e oltre); mettiamoci le riviste spiritiste serie, o invece le trovate imprenditoriali dei presunti Blue Books (con preziose info per agevolare truffe spiritistiche: non si è certi che esistessero davvero) e di cataloghi per smercio articoli per medium come “Tavolo per spiriti percussori”, “Chitarra che si suona da sola” e set “Seduta spiritica completa” (e questi prodotti sembra che ci fossero); mettiamoci tutto il florido filone della fotografia spiritica, con le sue delizie, e la nascita di organizzazioni come la Society for Psychical Research (fondata nel 1882).

Ormai lontane dal mondo della casetta di assi del 1848, le sorelle Fox conosceranno una malinconica decadenza tra litigi, alcolismo, conversioni, confessioni di truffe e abbandono da parte del mondo che le aveva celebrate: tra il 1890 e il 1893 muoiono tutte e tre, impoverite e sole. Del resto gli anni Ottanta vedono una crisi generale, con medium smascherate un po’ in tutta l’America. La ripresa si avrà nel Novecento, con l’epopea degli ectoplasmi e lo spiritismo di guerra e tra i due conflitti mondiali, l’amicizia tra Conan Doyle e Houdini, l’ascesa della trance medianica e delle tavolette ouija, i nuovi sincretismi (il Movimento della Chiesa spirituale) e i nuovi strali da Roma – nonché, parallelamente, quelli dei fautori della magia cerimoniale come lo stesso Aleister Crowley, che del resto fin dall’Ottocento consideravano le pratiche spiritiste come sciocche e pericolose, all’insegna di una banalizzante superficialità da parte di operatori non preparati. In fondo, nessuno può sapere chi davvero risponda all’appello dello spiritista… E poi le trasformazioni della normativa, che in Gran Bretagna sostituisce il vecchio Witchcraft Act del 1735 con il Fraudolent Mediums Act; la nascita del channeling figlio della New Age, il fenomeno delle voci elettroniche (EVP) – sulla base di teorie già di Edison e poi molto pubblicizzate dallo psicologo lettone Konstantin Raudive – e vicende come quella dell’esperimento Philip per creare un fantasma (1972), che traghetta idealmente alla situazione dell’oggi. La fittizia chiusura del dipartimento di parapsicologia alla Columbia University all’inizio di Ghostbusters (1984), ricalcata sulla fine dell’autentico laboratorio di parapsicologia alla Duke University, fotografa comunque lo scetticismo di una fase storica. A cui stanno subentrando oggi nuove impostazioni, nutrite dei paradigmi del XXI secolo, e in fondo nuove paure: il fantasma flirta ormai coi miti metropolitani dell’era web.

L’autrice affronta poi il peso delle sedute spiritiche tra cinema e teatro, anche se lo sguardo prevalente alla produzione anglosassone lascia fuori interi bacini di opere (nella produzione di genere italiana degli anni Settanta, per dire, e a partire da Il segno del comando del 1971, la seduta spiritica è un must). In effetti il limite principale di questo libro in sé molto bello – e senz’altro meritevole di lettura – è la scarsa attenzione ad altre tradizioni culturali: magari citate (emblematico lo spiritismo francese), ma ridimensionate fin troppo drasticamente. Molto interessante è però l’ultima parte – quanto è universale la seduta spiritica? – che apre a orizzonti extraeuropei e a realtà relativamente poco note: per esempio la pratica inquietante dei kuman thong thailandesi con embrioni umani essiccati e coperti d’oro, funzionali alla comunicazione con gli spiriti, o certi (in sé non strani) allineamenti del vudù con movimenti progressisti, per esempio quello LGBTQ. E provocatoria la conclusione al cap. 8, (Perché) abbiamo bisogno delle sedute spiritiche?, che offre alcune chiavi di riflessione.

Ma questa è una storia anche di parole, per esempio la differenza tra seduta spiritica e negromanzia, tra spiritualism (anglosassone) e spiritisme (francese) e relative implicazioni; la sostituzione di séance (dal 1856) ai vecchi termini spirit rappings o table movings; l’abbandono dagli anni ottanta del Novecento del termine medium, rimpiazzato con un più neutro sensitivo. Legittimo chiedersi anche quanto permarrà ancora il riferimento agli spiriti, a fronte dell’emergere in certi fenomeni di maschere identitarie che solo con molte forzature e una certa quantità di giulebbe (tutto umanissimo, per carità) potremmo attribuire a trapassati. Perché in fondo la questione è sempre quella, la provocazione identitaria: qualcosa su cui un ben diverso tipo di tecnica psichica, la letteratura, ci stana fin dal nostro profondo. Vivi o morti che siamo.

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Lombroso, il freddo e le larve (Victoriana 35) https://www.carmillaonline.com/2022/04/19/lombroso-il-freddo-e-le-larve-victoriana-35/ Tue, 19 Apr 2022 20:37:44 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=71415 di Franco Pezzini

[Nella situazione triste di questi giorni abbiamo scelto di proseguire secondo la programmazione già decisa assieme a Valerio: contributi specifici sul suo lavoro e la sua figura saranno inseriti via via. Carmilla non muore e ci sembra questo il modo migliore di portare avanti la linea del nostro Direttore. F.P.]

Andiamo indietro di parecchi anni. Torino, un tardo pomeriggio d’inverno, ormai buio ma con le luci di Piazza Vittorio scintillanti sul fiume; un freddo tremendo. Sono lì con amici, il regista Max Ferro e la scrittrice [...]]]> di Franco Pezzini

[Nella situazione triste di questi giorni abbiamo scelto di proseguire secondo la programmazione già decisa assieme a Valerio: contributi specifici sul suo lavoro e la sua figura saranno inseriti via via. Carmilla non muore e ci sembra questo il modo migliore di portare avanti la linea del nostro Direttore. F.P.]

Andiamo indietro di parecchi anni. Torino, un tardo pomeriggio d’inverno, ormai buio ma con le luci di Piazza Vittorio scintillanti sul fiume; un freddo tremendo. Sono lì con amici, il regista Max Ferro e la scrittrice Anna Berra, per girare il promo di un documentario: lì si apre via Bava, e al numero 6 s’era consumato nell’anno 1900 un episodio davvero curioso. È il famoso poltergeist di via Bava citato in tutti i volumi di parapsicologia: nella “Bottiglieria Cinzano” aperta sulla via con un’ampia sala, i proprietari coniugi Fumero, nativi di Nole Canavese, avevano dovuto fronteggiare davanti al garzone e ad alcuni avventori episodi fastidiosi ma (almeno all’inizio) francamente buffi. Possiamo immaginare le espressioni dei presenti e le loro esclamazioni, da commedia di Macario: le caraffe che iniziano lentamente a inclinarsi da sole versando fuori il contenuto, per essere poi scagliate da una mano invisibile contro le pareti, bicchieri sollevati in aria che poi spariscono per non essere più ritrovati, le casseruole fluttuanti come in un cartone animato Disney, sedie sbattute a sfasciarsi contro i muri e armadi pesantissimi che si spostano da soli con disinvoltura, vestiti che svolazzano e un vago sentore gelatinoso nell’aria, avvertito da tutti i testimoni… All’arrivo delle forze dell’ordine e della scienza, cioè rispettivamente lo scettico (almeno all’inizio) maresciallo Cavallo e nientemeno che Cesare Lombroso, fortemente incredulo sul fiorire modaiolo di fenomeni medianici, le stranezze non si placano: ha un bel cercare, il trasecolato Lombroso, fili nascosti o altre diavolerie teatrali da spettacolo spiritico… In questa sede ci può interessare limitatamente lo sviluppo del caso, che conduce a infestazioni persino in appartamenti dello stabile e in ultimo al ritrovamento in cantina di uno scheletro (tal Antonio Barbero, assassinato mezzo secolo prima dalla moglie che temeva mutasse testamento a favore dell’amante): al che tutto si ferma. Interessa poco anche la faccenda del nostro documentario: interpellato un signore della casa che sembra aver memoria dell’esistenza della Bottiglieria, il freddo è talmente tremendo che con Anna finiamo a bere punch nel locale più vicino, e il documentario comunque non verrà prodotto.

Mentre l’episodio ha conseguenze più rilevanti per la storia dell’opera lombrosiana e in generale per l’immaginario: con buona pace del Ballo Excelsior, la “Nuova rivelazione” spiritista – come la chiama Conan Doyle – permetterebbe in quel clima di conciliare fede religiosa e dimostrabilità a tavolino (è il caso di usare la locuzione) della vita dopo la morte. Un approccio insomma che con il positivismo ha parecchio a che fare, e Lombroso, a lungo scettico, verso la fine della vita rivede le proprie posizioni. Quindi non solo lascia una dettagliata relazione dei fatti di via Bava, ma si schiera per l’autenticità delle sedute della nota medium Eusapia Palladino (1854-1918), di cui vengono invece rilevati una serie di trucchi, e pubblica l’opera Dopo la morte – cosa? (1909, l’anno in cui si spegne).

Che Lombroso, come sostiene la figlia, possa negli ultimi anni soffrire di arteriosclerosi potrebbe spiegare alcune cose: ma certo occorre considerare il clima di un’epoca, in tutto l’occidente e nello specifico a Torino. Dove i Savoia per anni hanno guardato con una certa benevolenza a forme di credo che indebolissero il monopolio cattolico, e la città ha assunto un ruolo di rilievo tra le capitali dello spiritismo (fondazione della prima Società Spiritica Italiana, 1856, e di quella Società Torinese di Studi Spiritici, 1863, che vara con sforzi di approccio scientifico gli Annali dello Spiritismo in Italia, eccetera); ma dove sotto la protezione dell’arcivescovo opera per esempio una delle rare figure di esorcista donna dell’età moderna, Enrichetta Naum, nata nel 1843 (o 1846), specializzata nel cacciare spiriti infestanti da persone sofferenti. Quando muore, tre anni dopo Lombroso, nel 1911 dell’Esposizione internazionale dell’industria e del lavoro, la notizia viene liquidata in poche righe di cronaca e solo dopo qualche giorno sulla Gazzetta del Popolo: ma sbaglieremmo a considerare quel coevo trionfo del pragmatismo industriale nell’attenzione pubblica come segno di cambio della guardia. Sia perché nell’appartamento di via Cappel Verde dove abitava e operava Enrichetta si manifesterebbe ancora il suo fantasma, o piuttosto le ombre che lei faceva spurgare dai “pazienti” e avrebbero impregnato i muri; sia perché lo spiritismo avrà ancora modo di crescere negli anni inquieti fino alla Grande guerra e soprattutto in quel contesto terribile e con la relativa coda di lutti. Genitori disperati e spose affrante offrono in quella situazione una robusta rendita di posizione a legioni di medium, che le società di ricerche psichiche tentano di controllare. D’altra parte Lombroso stesso avrà accesso alla narrativa del sovrannaturale persino con le sue fantasiose tesi antropologiche: per esempio in Dracula, dove viene citato come espressione di punta della scienza d’epoca, e il conte non morto diviene per la beninformata Mina Harker il paradigma dell’arcicriminale.

In questo quadro, è con scelta brillante che il regista Alessandro Rota riprende la figura di Lombroso in Larvae, 2022, pensato in origine come lungometraggio ma poi prodotto in forma di corto per il mancato sostegno a un film tanto “ambizioso” (questo, sul set, il tormentone dopo le risposte raggelanti ricevute sul piano dei finanziamenti). Girato in un Piemonte che raramente ha mostrato con tanta efficacia di fotografia le sue coordinate gotiche (Castello Reale di Govone, Casa dei Marchesi Del Carretto di Saluzzo, Castello di Agliè, Parco Naturale del Monviso, Cascata di Fondo di Traversella), il film mostra l’ultimo periodo della vita di Lombroso, amareggiato dopo un episodio che confuta in radice le sue speculazioni sui connotati denotanti l’uomo deliquente, e fino alla revisione – poche ore prima di morire, 19 ottobre 1909 – del saggio Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici. Realizzato in totale autonomia produttiva, attraverso la collaborazione tra l’Associazione Culturale Officine Ianós e Reddress s.r.l., con il supporto di diverse realtà istituzionali, presentato in prima visione il 28 marzo scorso al cinema Massimo di Torino, Larvae vede l’incontro tra Lombroso (Roberto Accornero, bravissimo) e l’anziano prestigiatore Lazar (Stewart Arnold, vero mattatore del film, una presenza scenica straordinaria): questi gli racconta delle proprie sedute medianiche truccate, con tanto di foto – pratica d’epoca – all’ectoplasma che gli fuoriuscirebbe dalla bocca, ma solo poco per volta comprendiamo che è in realtà un sensitivo capace di svelare la presenza delle larve, spiriti “bassi” capaci di possedere e spingere ad atti criminali…

Possiamo allora decrittare il titolo. Nel mondo latino, i morti buoni si identificherebbero con i Lari, se di natura incerta si parla di Mani, e per gli altri Lemuri – quelli cattivi, ombre informi, vaganti e vendicative di morti malvagi o inquieti a causa di una morte prematura o violenta, di mancati riti funebri o di mancato ricordo da parte dei familiari – il termine spesso usato è Larve (Larvae, “maschere”). Tali spettri, raffigurati a volte come scheletri, potrebbero condurre le vittime alla follia: plausibile dunque che, da loro posseduto (larvatus – come mostra Apuleio in un episodio strano e raggelante de L’asino d’oro), un vivo sia spinto fino al suicidio. Ovviamente non vanno confuse con le Larvae quelle cosiddette conviviales, cioè gli scheletri mostrati durante i banchetti per ricordare che la vita è breve e occorre viverla degnamente (si pensi a quella del banchetto del Satyricon). Molto più tardi, nello spiritismo, per larve si intendono spiriti parassiti: come quelli che nel cortometraggio un trucco molto felice mostra presenti – etimologicamente – attraverso maschere sui volti dei posseduti, talora inconsapevoli. Dir di più sarebbe spoilerare, ma – come sintetizzato in sede di presentazione alla prima – il film sul rapporto tra scienza e occulto si rivela in prima battuta un film sull’amore e gli amori, con quanto di struggente, ossessivo e fantasmatico la suggestione offra.

Oltre agli ottimi attori (a parte i citati, merita menzionare almeno gli altri due nei ruoli principali, Fabio Renis come Tommaso e Niccolò Fontana come Lorenzo), Larvae vanta scenografia, fotografia e musica di straordinario impatto. In particolare la colonna sonora, pubblicata da Machiavelli Music, è stata composta da Francesco Cerrato coinvolgendo musicisti di grande valore come Michele Barchi (clavicembalo), Daniele Ferretti (organo) e Stefano Cerrato (violoncello). Ma, come ricordato la sera della prima, un ruolo speciale – ovvio sul piano organizzativo, assai meno su quello umano – è stato da tutti riconosciuto al regista Alessandro Rota, la cui carica visionaria si sposa a una genuina umanità, fondamentale per la coesione di una squadra priva di appoggi economici e al lavoro in tempi di covid, nel produrre un film di altissima qualità.

Ancora, come ricordato dagli attori, un elemento si è riproposto costante nel corso delle riprese tra antichi palazzi piemontesi, cappelle, cimiteri e montagne: e cioè un freddo atmosferico micidiale. Come quella sera in via Bava, quasi una metafora di un freddo dentro al trascorrere dei fantasmi. O forse al timore che quelli, dopotutto, non ci siano: mentre altre larve, molto più allarmanti e criminogene – le larve di un paese in caduta libera, dove potenti che si credono persone di spirito esternano frasi volgari su pace & condizionatori, del tutto sprezzanti di una depressione psicologica sempre più diffusa tra la popolazione, e ignoranti delle conseguenze storiche che ciò può innescare – infestano i palazzi del nostro mondo.

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