Silvia Albertazzi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 02 Jul 2025 22:01:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Quando i luoghi raccontano le storie, fra Livorno e New York https://www.carmillaonline.com/2021/06/10/quando-i-luoghi-raccontano-le-storie-fra-livorno-e-new-york/ Thu, 10 Jun 2021 21:00:12 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=66694 di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, effequ, Firenze, 2020, pp. 364, € 18,00.

Nel recente romanzo di Emiliano Dominici, Gli anni incerti, molto probabilmente, è lo spazio a divenire protagonista e narratore, un vero e proprio “spazio temporalizzato, in cui si percepiscono la storia pubblica, le storie individuali, i conflitti: un paesaggio urbano fortemente polifonico”1. Lo spazio, quindi, diviene una sorta di interlocutore privilegiato per noi lettori, si espande e si racconta, sotto la lente [...]]]> di Paolo Lago

Emiliano Dominici, Gli anni incerti. Canzone di fine millennio, effequ, Firenze, 2020, pp. 364, € 18,00.

Nel recente romanzo di Emiliano Dominici, Gli anni incerti, molto probabilmente, è lo spazio a divenire protagonista e narratore, un vero e proprio “spazio temporalizzato, in cui si percepiscono la storia pubblica, le storie individuali, i conflitti: un paesaggio urbano fortemente polifonico”1. Lo spazio, quindi, diviene una sorta di interlocutore privilegiato per noi lettori, si espande e si racconta, sotto la lente della stratificazione temporale che ne mostra i cambiamenti, come bene ha dimostrato, riguardo alla letteratura, Silvia Albertazzi con il suo saggio dal titolo In questo mondo, ovvero quando i luoghi raccontano le storie. La letteratura, del resto, ha trasformato molto spesso lo spazio in cui le storie vengono ambientate in vero e proprio protagonista: si potrebbe pensare alla Londra di Dickens, alla San Pietroburgo di Dostoevskij o alla Brooklin di Auster, oppure, in ambito italiano, alla Ferrara di Bassani, alla Roma di Pasolini e, relativamente alla narrativa contemporanea, alla Milano di Alessandro Bertante, oggetto di un vero e proprio esperimento di “geopoetica”, ovvero di “riscrittura creativa dei fenomeni naturali e del territorio”2.

Emiliano Dominici punta la sua lente narrativa su Livorno, sua città d’origine. Ne Gli anni incerti, a maggior ragione, si può affermare che sia lo spazio a narrare la storia perché, appunto, questa comincia prima della nascita dei protagonisti, dal loro concepimento, secondo una strategia narrativa adottata, in forma sperimentale, già da Laurence Sterne col suo Tristram Shandy, che inizia infatti dal concepimento del protagonista. Jerry, Giulia e Guido, all’inizio non sono ancora nati: e se il primo nasce a New York e la seconda ad Assisi (a Livorno nascerà solo Guido), sarà proprio Livorno la città che li vedrà riuniti, come un vero e proprio luogo ‘prenatale’, in quanto le loro famiglie sono tutte originarie della città toscana. Significativo è poi il fatto che tutti e tre nascano lo stesso giorno, il 22 giugno 1969, a rimarcare un sottile legame astrale che li unirà tutta la vita. La città può essere considerata come un “luogo prenatale” nel quale vigeva la logica simmetrica di unione col ventre materno, simmetria poi perduta, secondo le teorie di Ignacio Matte Blanco, uno psicanalista cileno, interessante continuatore di Freud. Del resto, il desiderio di simmetria perduta, fin dal mito platonico narrato da Aristofane nel Simposio (in principio gli esseri umani erano androgini poi tagliati in due da Zeus), ha sempre caratterizzato sia il linguaggio erotico che quello mistico: dalla coppia di innamorati divisa e poi ricostituita dei romanzi greci fino a Juan de La Cruz e John Donne3.

Livorno è perciò il luogo in cui vigeva l’unità perduta e nel quale i tre personaggi, mossi reciprocamente da attrazione non solo affettiva ma anche erotica, cercheranno di ricrearla. Quello livornese si configura come un vero e proprio “spazio temporalizzato” che si muove attraverso il tempo. La storia prende infatti avvio nel 1969 e si dipana fino al 2001, realizzando un affresco di storia italiana. I personaggi sono lambiti, direttamente o indirettamente, da momenti significativi degli ultimi decenni del novecento: l’autunno caldo del 1969 (che Vittorio, padre di Guido, da operaio vive in prima persona partecipando a diverse manifestazioni a Pisa), la bomba di Piazza Fontana, lo sbarco sulla Luna, l’omicidio di Pasolini (la cui notizia, ascoltata in televisione, provoca il pianto di Alberta, madre di Jerry), gli anni di piombo, il ‘riflusso’ e il disimpegno degli anni Ottanta, le manifestazioni studentesche degli anni Novanta (il movimento della Pantera, vissuto dai tre ragazzi studenti all’università di Pisa) fino soltanto a intravedere la contestazione di Genova 2001.

Gli spazi ‘temporalizzati’ sono fondamentalmente due: Livorno e New York. Jerry nasce nella metropoli americana (a Central Park, durante un concerto dei Grateful Dead) e questa assume una rilevante importanza narrativa già nei momenti iniziali, in cui la madre Alberta la percorre in lungo e in largo insieme al bambino. Livorno è il luogo in cui i tre si incontrano e stipuleranno la loro eterna amicizia. Allora, nella prima parte del romanzo ci scorre sotto gli occhi una Livorno fine anni Sessanta e inizio anni Settanta. La sapiente scrittura di Dominici sembra dipanare sotto i nostri occhi un vero e proprio “film dell’impossibile”, secondo una definizione offerta da Carlo Cassola: la trasposizione narrativa di un quadro o di una stampa popolare ma anche, si potrebbe aggiungere, di una fotografia dell’epoca. Le vie, le piazze e le case di Livorno sembrano animarsi di vita propria come se, plasticamente, emergessero da una foto a colori di quegli anni, insieme alle persone che le popolano, insieme ai loro abiti, alle loro abitudini e alle loro automobili. Però – si badi bene – la narrazione dell’autore non appare semplicemente cronachistica, come se fosse la pura e semplice trasposizione letteraria di un quadro (come nell’antica ekfrasis), ma si presenta intrisa di vita, della vita quotidiana che sempre uguale si ripete, dei problemi e degli affanni della gente comune, dei dolori ma anche delle gioie e delle felicità che possono scaturire da un semplice sguardo. È soprattutto l’anima più popolare di Livorno che emerge dalle pagine di Dominici, dei quartieri più schietti e genuini che egli stesso ama di più.

La storia si espande fin quasi ad affrescare una saga familiare, di quella grande famiglia allargata costituita da genitori, parenti e amici dei tre protagonisti (e, nel corso della narrazione, vedremo una tipologia di famiglia ben lontana da quella ‘tradizionale’ perché una famiglia è costituita da chiunque si voglia bene), rappresentata graficamente come tante piccole stelle in una pagina iniziale del libro, a adornare il triangolo i cui vertici sono costituiti da Jerry, Giulia e Guido (il numero tre, come immagine di unione perfetta, ricorre infatti spesso nel corso della storia). Fra quelle piccole stelle incontriamo anche Capitalismo, il coniglio domestico della famiglia di Guido. Vittorio, da buon comunista, non ha esitato un attimo a scegliere il nome del piccolo animale:

Quando è stato il momento di scegliere il nome, a Vittorio è venuta un’idea: «È brutto? È cattivo? Mangia tutto? Allora lo chiamiamo Capitalismo». Così, quando il coniglio fa le sue cacatine nel soggiorno, Antonella lo apostrofa con «Brutto, Capitalismo!». O quando mangia l’insalata dell’orto, gli urla «Capitalismo, ingordo!». Quando lo sorprende nel letto dei bambini, lo scaccia con uno scappellotto e un «Capitalismo, sparisci!». Ogni volta che sente la moglie gridare contro il coniglio, Vittorio sorride, pensando di avere avuto una buona idea (pp. 47-48).

La narrazione, però, non mette solamente in scena una saga di tipo familiare ma anche, come già accennato, uno spaccato di vita italiana, rispecchiata nel microcosmo livornese. Questo aspetto, probabilmente, è evidente nel sottotitolo del romanzo, Canzone di fine millennio che, rimandando alla musica (un po’ sullo stile di un grande modello come la Pastorale americana di Philip Roth, il cui titolo rimanda a una composizione musicale), vuole trasmettere l’idea di composizione, di lungo canto poetico che appare come un omaggio alla propria terra.

Bisogna anche dire, comunque, che la musica è assai presente nell’intero racconto: dalle canzoni ascoltate dai personaggi fino, a livello formale, agli stessi titoli delle parti in cui è diviso il libro, ripresi, ad esempio, da frasi di canzoni di Nada, De Gregori, Battiato, dei Nirvana e dei R.E.M. L’impianto polifonico del libro (a creare, appunto, un “paesaggio polifonico”) è dato anche dai numerosi riferimenti all’arte, alla letteratura e al cinema. Quest’ultimo emerge soprattutto nel momento in cui Guido, all’università, seguendo il corso di Storia del cinema, si appassiona a molti registi contemporanei. Durante l’occupazione dell’università, nel Dipartimento di Storia delle Arti e dello Spettacolo viene allestita una rassegna sulla Nouvelle Vague e i protagonisti sono attratti, non a caso, da Jules e Jim (1962) di François Truffaut. Guido, Giulia e Jerry si identificano nei personaggi del film e nelle loro incessanti scorribande all’insegna del triangolo erotico che li unisce. E, a tale proposito, si potrebbero ricordare anche i protagonisti di Bande à part (1964) di Jean-Luc Godard che, fra le loro scorribande attraverso Parigi, compiono anche una corsa nelle sale del Louvre, sequenza citata da Bernardo Bertolucci in The Dreamers (2003).

Perché, alla fine, anche Guido, Giulia e Jerry sono tre sognatori che non si sono fermati di fronte alla realizzazione dei propri sogni, accettando di essere se stessi fino in fondo: la pittura per Guido, lo studio della letteratura per Giulia, le Scienze per Jerry. Fino al sogno più difficile e probabilmente più importante, quello di mantenere intatta un’amicizia che è molto di più, che di volta in volta si trasforma in fraternità, eros, amore, affetto, attrazione sessuale. E, per capire davvero se, alla fine, sono riusciti a realizzare questo sogno, non resta altro da fare che inerpicarsi attraverso l’avvolgente e intrigante narrazione de Gli anni incerti.


  1. M. Fusillo, Estetica della letteratura, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 184. 

  2. Ivi, p. 184. 

  3. Cfr. I. Matte Blanco, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Einaudi, Torino, 2000, pp. 118-119 e pp. 345-346. 

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Nuova Rivista Letteraria n. 4 – Soltanto parole? https://www.carmillaonline.com/2017/01/18/nuova-rivista-letteraria-n-4-parole/ Tue, 17 Jan 2017 23:01:02 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=36046 NRL4_copertina[Segnaliamo l’uscita dell’ultimo numero di Nuova Rivista Letteraria. Un monografico dedicato al linguaggio, ai significati delle parole, al loro utilizzo e alla loro capacità di incidere sul reale. Di seguito trovate l’incipit degli articoli contenuti nel volume. Ne saranno felici i “collezionatori di incipit”, so che esistono. E se volete approfondire la lettura, qua potete acquistare il numero. ss].

Con lingua biforcuta di Giuseppe Ciarallo Nei film di indiani e cowboy della mia infanzia, i pellerossa accusavano spesso i bianchi di parlare con lingua biforcuta. Era un modo [...]]]> NRL4_copertina[Segnaliamo l’uscita dell’ultimo numero di Nuova Rivista Letteraria. Un monografico dedicato al linguaggio, ai significati delle parole, al loro utilizzo e alla loro capacità di incidere sul reale. Di seguito trovate l’incipit degli articoli contenuti nel volume. Ne saranno felici i “collezionatori di incipit”, so che esistono. E se volete approfondire la lettura, qua potete acquistare il numero. ss].

Con lingua biforcuta di Giuseppe Ciarallo
Nei film di indiani e cowboy della mia infanzia, i pellerossa accusavano spesso i bianchi di parlare con lingua biforcuta. Era un modo tanto colorito quanto appropriato per dire che le giubbe blu (che del potere erano i rappresentanti e il braccio armato) dicevano una cosa e ne facevano un’altra. Usavano cioè la parola, quella dei trattati ad esempio, in modo truffaldino.

Ogni scritta su un muro racconta una storia diversa di Silvia Albertazzi
Le immagini pubblicate in questo numero di Nuova Rivista Letteraria sembrano, paradossalmente, smentire e confermare al tempo stesso l’affermazione dello scrittore americano William Saroyan secondo cui una fotografia vale mille parole, ma solo a patto che qualcuno, guardandola, pensi o pronunci quelle mille parole.

Bologna: non più rossa, non più Blu di Agostino Giordano
Nella notte tra l’11 e il 12 marzo del 2016 a Bologna è accaduto un evento che, come spesso capita in questa città, è unico nel suo genere. Il noto writer Blu, considerato il «Banksy italiano» (inserito nel 2011 dal Guardian nella lista dei dieci migliori street artist del mondo), aiutato da un gruppo di militanti dei centri sociali bolognesi Xm24 e Crash, ha cancellato dai muri della città gran parte delle sue opere, realizzate nell’arco di circa vent’anni.

Fascismo social: la condivisione delle “idee senza parole” di Alberto Prunetti
Ieri. La lingua del duce. La retorica teatrale di Mussolini ‒ perentoria, decisionale, volontaristica, carica di iperboli e di allitterazioni ‒ non doveva convincere ma sedurre: era magia fonetica priva di semantica. Il suo lessico era povero di elementi tecnici ma carico di velleità nominaliste che attingevano ora dal registro spiritualista (“idea”, “fede”, “martirio”, “comunione”, “credere”), ora da quello militarista (“combattere”, “battaglia”), come dal volontarismo dell’azione (“audacia”, “dinamico”, “formidabile”, “osare”…). Quanto alla sua ironia, era una sarabanda fonetica che irrideva la vittime e strizzava l’occhio al carnefice: suffissi e postfissi, meta e –iolo, “ultrascemo” e “panciafichista”,“partitante” e “schedaiolo”.

Più bella e superba che pria.. di Giuseppe Ciarallo
Il grande Ettore Petrolini, che dell’uso tagliente e della manipolazione della lingua – seppur a fini satirici – ne sapeva, in uno dei suoi sketch più noti (quello di Nerone e del “domani Roma rinascerà più bella e più superba che pria… bravo! grazie!”) diceva che “il popolo, quando sente le parole difficili, s’affeziona”, e aggiungeva “il popolo, quando s’abitua a di’ che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo”.

Genesi e possibile cura del morbo razzista tra gli ultrà di Claudio Dionesalvi
Ciccio irruppe in piazza con gli occhi carichi di odio. Tanti anni di trasferte insieme, però lui si ritrovava qualche neurone fuorisede più dei nostri. Non salutò nessuno. Si appartò in un angolo e cominciò a pennellare uno stendardo. S’intravedeva la traccia bianca sotto il corpo suo prono sulla stoffa di colore nero, spalmata sul marciapiede. I primi che gli s’avvicinarono per capire il soggetto della sua opera, tornarono paonazzi. Incredibile: una svastica, Ciccio stava confezionando uno stendardo nero con una corposa svastica bianca.

Minime dosi di arsenico di Giuliano Santoro
Lo diceva con chiarezza William Burroughs. Abbiamo bisogno di «decifrare le parole»: «esse sono sempre più indistinte, si perdono in assurdo rompicapo». Per farlo, bisogna innanzitutto andare oltre le narrazioni pigre. Quella dominante è dettata dal già visto del codice penale e delle misure di polizia: se un processo è il tentativo di portare dentro schemi precostituiti fatti già avvenuti, a noi serve esattamente il contrario. Eppure, proprio l’opposizione è stata fagocitata, masticata e poi sputata a brandelli.

«Attendesi a mandar via questa canaglia». L’invenzione del nemico nella Ferrara estense di Girolamo De Michele
In un periodo nel quale il mio tempo era occupato da cinquecentine e carte d’archivio, mi sono imbattuto in un testo a suo modo intrigante. Si tratta di una perorazione contro la presenza dei giudei nei domini estensi fatta nel 1555 dal giureconsulto Gherardo Mazzoli, davanti al Consiglio degli Anziani di Reggio Emilia: «Molti ebrei vengono ai giorni nostri ad abitare in questa città, e si ritiene che ne verranno molt’altri ancora. Da costoro, come nimici della fede cristiana non v’è da aspettarsi altro che male, e quanti più saranno, tanto maggiore ne sarà la peste in questa città, poiché quando molti infetti accorrono in un luogo, vi si fa di giorno in giorno più spesso il contagio. Morbida facta pecus totum corrumpit ovile.

Un’angoscia straniera. Scrivere nella lingua dell’altro – Silvia Albertazzi
Mi chiedi che cosa intendo
quando dico che ho perso la mia lingua.
Ti chiedo, che faresti
se avessi due lingue in bocca,
e perdessi la prima,
la lingua madre
e non potessi conoscere del tutto l’altra,
la lingua straniera.
Non potresti usarle tutt’e due insieme
anche se così tu pensassi.
E se vivessi in un posto
dove devi parlare una lingua straniera,
la tua lingua madre marcirebbe,
marcirebbe e ti morirebbe in bocca
finché dovresti sputarla fuori.

Sono versi di una poetessa indiana, Sujata Bhatt che, con immagini degne di un David Cronenberg, racconta il suo rapporto con l’inglese e la difficoltà di scegliere tra la lingua autoctona, parlata in famiglia e la lingua degli ex-colonizzatori, ormai divenuta lingua ufficiale degli scambi pubblici e degli studi, non solo accademici.

Dal plurilinguismo all’ospitalità. Appunti sull’italiano (neo-epico e no) di Antonio Montefusco
L’11 e il 18 maggio del 2016 il blog nazioneindiana ha pubblicato un mio intervento su quelle che mi sembrano le caratteristiche salienti della cultura italiana se osservata dal punto di vista linguistico. L’articolo è stato ripreso anche da OperaViva e ha stimolato qualche reazione da parte di colleghi e scrittori, che mi ha permesso di riprendere il filo di quel discorso – inizialmente concepito come la recensione al bel volume di Luca Salza, Il vortice dei linguaggi – e di proporne qui, nel contesto di un numero di Nuova rivista letteraria dedicata alla lingua, una prima revisione a stampa.

Sotto il dialetto, niente di Federico Faloppa
Umberto Bossi probabilmente non l’avrebbe mai fatto. Cantare in dialetto romanesco – anzi, cimentarsi nientemeno con una delle canzoni simbolo di Roma, Roma non fa la stupida stasera – gli sarebbe venuto in mente, forse, solo per prendere per i fondelli i romani: storpiandone l’idioma e scimmiottandone la cultura “popolare”. Matteo Salvini invece l’ha fatto.

La gazzetta dello snuff di Selene Pascarella
L’estate del 2016 ha regalato poche soddisfazioni agli appassionati della cronaca nera “classica”. Nessun giallo da gustare sotto l’ombrellone, del genere che da Simonetta Cesaroni a Sarah Scazzi ha prodotto epopee mediatico-giudiziarie; molta commistione con narrazioni di non fiction limitrofe, popolate di terroristi islamici, catastrofi naturali e treni-killer. Ciononostante è stata una stagione pulp all’ennesima potenza, con fiumi di sangue e montagne di carne mutilata messi a disposizione del pubblico nazionalpopolare, con la complicità di massmurder in apparenza meno affascinanti degli assassini seriali o degli orchi della porta accanto, eppure impeccabilmente funzionali a una macchina dello storytelling giallo in cerca di nuovi terreni da esplorare.

Che geni, le parole di Cristina Muccioli
Siamo tutti Africani. “Volete trovare un vero e autentico africano in questa sala?”, chiedeva il genetista dell’Università di Ferrara Guido Barbujani all’uditorio di una sua relazione al Darwin Day di Milano nel 2010, “ebbene, guardate il vostro vicino”. Dall’Africa orientale sono cominciati non più di duecentomila anni fa i grandi viaggi migratori dei nostri progenitori, che solo negli ultimi quindicimila anni hanno mutato, per adattarsi alla scarsa radiazione solare dell’Europa nella morsa della glaciazione, il colore della pelle. I veri Europei, cioè i Neanderthal, meno attrezzati morfologicamente per l’uso esteso e sfaccettato del linguaggio che ci connota oggi, si estinsero definitivamente circa trentamila anni fa.

Le parole del corpo. Come la medicina utilizza il linguaggio per allontanare il paziente di Franco Foschi
Una delle figure più popolari della commedia dell’arte carnascialesca della mia città, Bologna, è il Dottor Balanzone. È una specie di pallone gonfiato, mezzo medico e mezzo leguleio (cioè verosimilmente nessuno dei due), abituato a pontificare su tutto e su tutti con lunghi monologhi che nient’altro sono se non sproloqui, che infarciti di paroloni spesso inventati e latinorum instupidiscono i questuanti senza ovviamente offrire alcuna soluzione comprensibile ai problemi proposti.

Le parole per dirlo di Sergio Rotino
Mi sento inadatto. Sono incapace a scriverne. Non ho gli strumenti necessari. Queste le reazioni che mi hanno posseduto e in parte ancora mi posseggono in questo tentativo di minima indagine sul linguaggio usato dalla narrativa per ragazzi, dal cinema e dal fumetto per raccontare l’immigrazione declinata in chiave odierna, con il suo investire il corpo irrigidito dell’Europa.

Nacheodomì. mulino bianco, biscotto nero di Massimo Vaggi
San Paolo del Brasile, giugno 2003. Mi chiedo come e quando riuscirò a interrompere la litania ossessionante che mio figlio, con noi da una settimana, continua a ripetere ad alta voce piangendo da quasi un’ora. Nacheodomì, nacheodomì, nacheodomì, uno zibaldone di suoni creato dal suo linguaggio elementare e infantile (ha quasi quattro anni, ma non parla bene). ñao quero dormir. Non vuole dormire anche se è pomeriggio e fa tanto caldo e noi vorremmo stare tranquilli per un po’ e lui è devastato dalla stanchezza nonché – forse – dalla paura.

Assalamu aleyku. La pace sia su di voi di Paolo Vachino
Operazione Colomba è un Corpo Nonviolento di Pace [www.operazionecolomba.it] e ha una presenza attiva in Libano dal 2013 all’interno dei campi profughi siriani di Bebnine e di Telabbas, che si trovano nel distretto di Akkar, la zona nord-occidentale del Libano al confine con la Siria. Parimenti a quanto accade nelle altre zone d’intervento di Operazione Colomba (Palestina/Isreale, Colombia, Albania) i volontari praticano la condivisione della vita con le vittime del conflitto, dando conforto e aiuto nel soddisfacimento dei bisogni più immediati, così come nell’affrontare le situazioni di emergenza; attuano la protezione non armata di civili esposti alle violenze della guerra, onde fungere da deterrente verso l’uso della violenza; promuovono il dialogo e la riconciliazione, traendo ispirazione dai principi della nonviolenza, della equivicinanza, e della partecipazione popolare; portano avanti un continuo e paziente lavoro di advocacy a livello politico e istituzionale.

Il “mare nostro” e le parole per i migranti di Alberto Sebastiani
Nel Vangelo di Matteo (Mt 6,9- 13), nel mezzo del Discorso della montagna (Mt 5,1-7,29), Gesù insegna il Padre nostro. È una preghiera composta da un’invocazione e sette richieste, divisa in due parti: la prima ospita tre domande che riguardano Dio, a cui Gesù si rivolge con il “tu”, e hanno come oggetto la gloria del Padre (la santificazione del nome, l’avvento del Regno e il compimento della volontà divina); le altre quattro presentano a Dio i desideri degli oranti (il “noi” corale e comunitario della preghiera) e riguardano la vita quotidiana, chiedono infatti pane (materiale e spirituale), perdono, liberazione dalla prova e dal male.

[Il passo del gambero] Razzismo senza parole di Wolf Bukowski
Sostiene Günter Grass che il gambero, proprio quando sembra camminare all’indietro, scarta invece lateralmente e “avanza con una certa rapidità”. Con ambizione di crostacei, in questa rubrica attingiamo al tema di precedenti numeri monografici, lo affrontiamo lateralmente e lo spingiamo avanti – in direzione del fascicolo presente. Qui riapriamo il numero 10 della vecchia serie, monografico sul cibo, e lo poniamo accanto a quello del novembre 2015 (nr. 2 nuova serie) su nazionalismi, populismi di destra e razzismi; poi avanziamo con una certa rapidità verso il tema di oggi, la lingua e il suo uso politico.

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Nuova Rivista Letteraria n. 3 – Utopie/Distopie https://www.carmillaonline.com/2016/06/28/nuova-rivista-letteraria-n-3-utopiedistopie/ Mon, 27 Jun 2016 22:01:57 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=30882 Utopia[Il precedente numero di Nuova Rivista Letteraria indagava e decostruiva l’immaginario che nutre l’avanzare di nazionalismi e prassi autoritarie. Il nuovo numero, fresco fresco di stampa, affronta invece il tema dell’utopia. Cos’è? Che forma ha? Quali sono gli spazi e i tempi in cui agisce? Gli autori e le autrici hanno scritto dei temi, dei tempi e dei luoghi più disparati, a dimostrazione che le utopie, nella loro concretezza d’immaginario, non hanno frontiere.

Dal racconto della fattoria senza padroni di Mondeggi in Toscana (con ottima documentazione fotografica dell’esperienza firmata [...]]]> Utopia[Il precedente numero di Nuova Rivista Letteraria indagava e decostruiva l’immaginario che nutre l’avanzare di nazionalismi e prassi autoritarie. Il nuovo numero, fresco fresco di stampa, affronta invece il tema dell’utopia. Cos’è? Che forma ha? Quali sono gli spazi e i tempi in cui agisce? Gli autori e le autrici hanno scritto dei temi, dei tempi e dei luoghi più disparati, a dimostrazione che le utopie, nella loro concretezza d’immaginario, non hanno frontiere.

Dal racconto della fattoria senza padroni di Mondeggi in Toscana (con ottima documentazione fotografica dell’esperienza firmata Luca Gavagna) al cristianesimo di base in Nicaragua; dalla resistenza delle donne maya ixil all’utopia autoritaria dei militari in Guatemala alle libere repubbliche No Tav della Val Susa; dall’anarchia tra Benevento e Campobasso di fine ‘800 alla  Colombia di Eduar Lanchero; dal municipalismo libertario dei curdi a Scientology e alle altre sette religiose nate dalle utopie naufragate dei movimenti di lotta. E poi ancora potrete l’utopia che alimenta la fantascienza, l’architettura, il cinema, la letteratura, la medicina, la follia, l’adolescenza, l’idea di una vita eterna e quella di spremere acqua dal vento. Qua sotto potete leggere un piccolo estratto per ogni singolo articolo che compone il volume].

Editoriale / Utopia.. pia… pia… – Giuseppe Ciarallo
Ma l’utopia è davvero qualcosa di irrealizzabile, e gli utopisti dei folli visionari, o quella di affibbiare l’etichetta di “utopico” è la maniera più comoda e veloce per liquidare un progetto che non si ha voglia, la capacità e il coraggio di realizzare? Perché se è innegabile che molte esperienze utopiche siano naufragate, è altrettanto vero che di utopia sono venate molte situazioni che invece esistono e strenuamente resistono opponendosi a una realtà che sempre più chiaramente mostra il proprio volto distopico.

Le immagini / L’utopia abitabile di Mondeggi – Silvia Albertazzi
Torna alla mente, di fronte a queste immagini, quanto Roland Barthes ebbe a scrivere sulle foto di paesaggi: che devono essere abitabili e non visitabili. Qui, Mondeggi, in effetti, non appare come un luogo per turisti, da visitare per poi passare oltre: tanto gli esterni quanto gli interni di Gavagna suscitano, piuttosto, la voglia di vivere in quei luoghi, fosse pure per un attimo.

letteraria_3dNicaragua / Gesù nella guerriglia – L’utopia del cristianesimo di base – Agostino Giordano
Nell’immaginario collettivo dei cosiddetti «cristiani del dissenso», non solo sudamericani ma anche europei e italiani in particolare, l’esperienza sandinista ha rappresentato senza dubbio un riflettore molto illuminante del percorso di lotta politica convergente con le istanze del marxismo-leninismo.

Colombia / Nel fango, l’oro dei passi – Paolo Vachino
Eduar Lanchero, non un personaggio di fantasia ma un uomo, un filosofo, un paladino dei diritti umani, un rivoluzionario, nato e vissuto in Colombia, le cui intuizioni, le sue letture del conflitto colombiano, la sua proposta di creare un modello alternativo alla violenza e allo sfruttamento, hanno scritto una pagina molto importante della Comunità di Pace di San José de Apartadó.

Anarchia / Il paese di Utopia? A metà strada tra Benevento e Campobasso – Giuseppe Ciarallo
La folla era entusiasta e le parole di Cafiero conquistarono persino il parroco il quale, nella foga del momento, pare che inneggiò alla rivoluzione sociale, paragonò il Vangelo al socialismo e definì gli internazionalisti, apostoli della parola di Cristo. Nel paese di Gallo, gli anarchici ripeterono l’azione e anche qui vennero accolti come liberatori.

No Tav / Le «libere repubbliche» no tav della Val di susa – Wu Ming 1
Un movimento è rivoluzionario se converte i riferimenti agli spazi in un linguaggio e una prassi che liberano i tempi. Nella frase «resteremo qui finché vorremo», l’elemento più importante non è il «qui» – una piazza, una scuola occupata, un prato, una casa sull’albero – ma il «finché vorremo». È la rottura del tempo a dare senso allo spazio.

Fantascienza / Essere rivoluzione per abbandonare l’utopia. Una questione di fantascienza? – Alberto Sebastiani
Il capitalismo e le società su esso fondate non possono avere (ma soprattutto non vogliono) alternative, e il gruppo di Attentato all’utopia decide di debellare il “virus”: distruggere ogni traccia di questa società. Il quinto principio (2009) si fonda sul medesimo concetto di omologazione totale violenta. Il capitalismo realizzato (la sua utopia) presenta nell’ultimo romanzo di Catani una casta di ricchi abitanti della tecnologicamente avanzatissima città Diaspar (anagramma incompleto di “Paradiso”), isolata e nascosta al resto del mondo, il Mondo B, in cui le persone comuni sono rese sostanzialmente schiave del tricolon “produci, consuma, crepa”.

Lunga vita / Vivere a lungo, vivere male: utopia della longevità e liberismo – Wolf Bukowski
Ognuno desidera una lunga vita, ma quando questo desiderio è fatto proprio da un potere oppressivo assume una dimensione politica costitutivamente reazionaria. La vita lunga viene giocata contro la vita dignitosa, esattamente come la vita eterna promessa dalle religioni è posta come alternativa a una vita piena qui e ora, ed è ostacolo alla lotta per una vita emancipata su questa terra. E non è un caso che oggi, quando il socialismo sembra uscire dalla storia (anche se in verità, vecchia talpa!, sta scavando sottoterra), riprendano fiato l’illusione escatologica e i crudeli progetti divini.

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Brazil / Il realismo dell’impossibile – Silvia Albertazzi
Sono moltissimi i film e i romanzi che raccontano di comunità immaginarie create da personaggi in fuga da realtà di oppressione, distruzione o morte: nella maggior parte dei casi, gli sforzi di questi pionieri dell’impossibile sono destinati a infrangersi contro le perversioni del reale; quasi sempre, le comunità utopiche nate dalla migrazione ai confini della realtà (e oltre) si danno leggi, norme, governanti che presto trasformano il sogno in incubo. Non è un caso, infatti, che in narrativa il numero delle distopie superi di gran lunga quello delle utopie, a suggerire come l’umanità sia incapace, persino nel mondo fantastico, di realizzare dal basso una comunità perfetta.

Architettura / Arte, architettura e geografia utopica. Nel bene e nel male – Cristina Muccioli
Il trionfo della disciplina si celebra sulle ceneri di una precedente, grandiosa utopia di origine proto rinascimentale, quando a Filippo Brunelleschi venne richiesto di progettare in Firenze un palazzo in grado di ospitare e soccorrere, crescere ed educare gli individui più fragili, più deboli, indifesi e improduttivi della società: i bambini abbandonati. Così nacque a partire dal 1419 lo Spedale degli Innocenti, nome comune diventato poi cognome per molti che testimoniano di questa discendenza da salvati. Fu il primo brefotrofio d’Europa, progettato per accogliere, tutelare e proteggere, non per controllare e inibire, o per meglio dirla con Foucault, per sorvegliare e punire.

Medicina / Restare umani – l’ultima utopia della medicina moderna – Franco Foschi
La storia della medicina è stracolma di utopisti e visionari. Tra quelli che preferisco, perché proveniente dai miei ambienti di lavoro della sala parto e delle neonatologie, il dottor Semmelweiss, così ben raccontato da quella detestabile e ambigua persona, medico dei poveri e gran scrittore, di Céline: Semmelweiss coltivò il sogno realistico di vivere in un ambiente privo di infezioni – e come molti utopisti realisti venne sbeffeggiato, allontanato, perseguitato, e morì solo e pazzo.

Febbre / Le radici del cielo – l’utopia visionaria di Gary – Massimo Vaggi
Non è dunque un caso che adori tra gli altri anche Romain Gary, e che consideri Le radici del cielo non solo e non tanto – come è stato affermato – il primo vero romanzo ecologista, ma un grandissimo romanzo visionario, un paradigma dell’utopia estrema.

letteraria_3Orto dei tu’rat / Un progetto ambientale che pratica l’utopia dell’oasi spremendo acqua dal vento – Milena Magnani
L’immagine di un’utopia che si persegue nel piccolo, tra gli interstizi di sassi che resistono, quella di cui si fa esperienza incontrando il progetto ambientale Orto dei Tu’rat, un paesaggio di pietra e vento che sfida l’inarrestabile avanzata del deserto. Un progetto nato in Salento, che è una delle aree europee indicate dalle ultime ricerche sull’ambiente come quella a maggior rischio di desertificazione, zona in cui i fenomeni di erosione e salinizzazione dei suoli stanno mostrando da tempo il loro aggressivo aspetto di non ritorno.

Libri per ragazzi / Senza famiglia: liberi adolescenti in libero stato – Sergio Rotino
C’è un desiderio che tutti gli adolescenti – anche noi, quando stavamo attraversando tale “tappa evolutiva” – hanno in qualche modo vagheggiato. Almeno, tutti gli adolescenti prima dell’avvento dei Social, prima dell’arrivo di quello che appare un meraviglioso (ma anche pericoloso perché ancora da testare) subsistema di democrazia diffusa, basata sull’elettronica di consumo. Il desiderio è, in pratica, quello di vivere in un mondo dove gli adulti non esistano. Spariti, come per incanto, per qualche misterioso motivo. Spariti e basta.

I matti / La città dei matti e l’utopia della realtà – Alberto Prunetti
Liberare i pazzi è stata un’utopia che si è realizzata. Che tanti psichiatri radicali hanno reso possibile. Un’utopia della realtà, per citare Franco Basaglia, un’utopia che poi deve fare i conti con una realtà che non ha più nulla di utopico, con un senso comune che è sempre più recintato dai paletti del conformismo. Insomma, aperti i manicomi, bisogna adesso ricominciare da capo: liberare le città, i quartieri, i condomini, perché il disagio psichico è diffuso quanto la tristezza e la paura.

Kurdistan / Società senza stato – Marco Rovelli
Mexmur è stata la prima città dove si è sperimentato il confederalismo democratico, che è la proposta politica lanciata da Ocalan dopo il suo arresto, e che adesso viene realizzata su più larga scala nel Rojava, il Kurdistan siriano. Una svolta teorica considerevole, quella del Pkk: da essere un partito, come tanti nati negli anni Settanta, di stampo marxista-leninista, che aveva al suo centro la richiesta di uno Stato-nazione curdo, a una teoria e a una pratica libertarie, mutuate in gran parte dai libri di Murray Bookchin, uno dei massimi pensatori anarchici del Novecento, e dalla sua teoria del “municipalismo libertario”.

letteraria_3cIsis / Dove non c’è futuro: distopia e stato islamico – Lorenzo Declich
Può essere utile, per capire questo punto, osservare che lo Stato Islamico ha riviste in lingue diverse – inglese, francese, turco, arabo – ognuna con contenuti specifici, diretti insomma a una certa comunità linguistica o nazionale (lo vedremo meglio più avanti). Pescando invece fra le varie pubblicazioni digitali troviamo testi “strategici” dedicati ai diversi contesti. Lo Stato Islamico, in “Occidente”, vede un futuro – e qui torniamo a “La Haine” – in cui dai “lupi solitari” si passa a “gang musulmane” che, fra le altre cose, “si infiltrano in altre gang”. Ecco qua. Con questa valigetta degli attrezzi parliamo di una “visione” dello Stato Islamico che – viste le premesse – non potrebbe essere altro che distopica, perché invita all’azione e alla partecipazione chi un’utopia non ce l’ha e un futuro non lo vede, chi si pone il problema di vivere “da protagonista” e/o in maniera più o meno eroica un presente senza vie d’uscita.

Sette religiose / Linguaggio utopistico e manipolazione – Giuliano Santoro
Dal 18 Brumaio di Luigi Bonaparte in poi sappiamo che l’efficacia di ogni controrivoluzione è data dalla sua capacità di sussumere, inglobare, pervertire le istanze prodotte dalla rivoluzione. Il linguaggio del fascismo prova costantemente a impadronirsi di parole provenienti da sinistra. La grammatica neoliberista, da Reagan a Zuckerberg, è intrisa di utopie libertarie e retoriche partecipative. La sconfitta di un ciclo di lotte, il suo momentaneo esaurimento, producono sempre lo sfondamento della reazione nel campo delle narrazioni rivoluzionarie.

Mondeggi Bene Comune / Immagina, rievoca, viaggia nel tempo, veloce come il pensiero – Adriano Masci
Mondeggi, per Alessio e Duccio, non è solo un laboratorio, è invece, a tutti gli effetti, una realtà, un modello di risoluzione o comunque di risposta alla marginalità, al disagio periferico, alla disoccupazione, quando le istituzioni non cambiano nulla o aggravano le cose. In questo senso c’è uno scavalcamento del “rifiuto del lavoro” che imperversa negli anni dell’orda d’oro, ’68-’77, quando il lavoro non manca ma è sfruttamento disumano e rifiutarsi, disobbedire, sabotare, è giusto. Ora invece il lavoro è qualcosa da rifondare, perché è succube dell’algoritmo finanziario, sfrutta attraverso la flessibilità contrattuale, inibisce tramite la precarietà pervasiva, e la lotta passa attraverso l’immaginario pratico di un modello altro, che è possibile. Non senza rischiare, certo, non senza oltrepassare la legalità quando questa non coincide affatto con la giustizia sociale.

Guatemala / L’utopia nella voce – Simone Scaffidi
Ti vedi tu, ragazzo? In questo momento, fra me e te, chi ha il monopolio della parola? Forse tu non mi denuncerai ma di sicuro tradirai la mia voce con le tue mille traduzioni. Io già mi sto sforzando di parlarti in castigliano, in una lingua che non è la mia, tu dal castigliano trascriverai le mie parole nella tua lingua… e della mia di lingua che cosa rimarrà?
Il tuo monopolio. E qualche briciola del mio mais.
Per quanto tu ti possa sforzare di raccogliere le nostre testimonianze rimani un pelle di latte con il pene, e un pelle di latte con il pene può solo abbozzarlo il cammino di noi donne indigene.

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Nuova Rivista Letteraria n. 2 – Come smontare l’immaginario nazionalista e razzista https://www.carmillaonline.com/2015/12/16/nuova-rivista-letteraria-n-2-nazionalismi-populismi-di-destra-e-razzismi/ Tue, 15 Dec 2015 23:01:25 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=27142 di Simone Scaffidi

lega-nord-che-guevara«Sono un fascista e morirò fascista» Licio Gelli (21 aprile 1919 – 15 dicembre 2015)

Il n° 2 di Nuova Rivista Letteraria continua il percorso di risemantizzazione del verbo informativo e decostruzione di stereotipi, cominciato in maggio con la prima uscita della nuova serie, dedicata alle Grandi Opere Dannose Inutili e Imposte. Questa volta la critica, più che mai necessaria e di dirompente attualità, si concentra sull’avanzata di un immaginario autoritario, identitario e razzista, e si propone – attraverso il fortunato connubio [...]]]> di Simone Scaffidi

lega-nord-che-guevara«Sono un fascista e morirò fascista»
Licio Gelli
(21 aprile 1919 – 15 dicembre 2015)

Il n° 2 di Nuova Rivista Letteraria continua il percorso di risemantizzazione del verbo informativo e decostruzione di stereotipi, cominciato in maggio con la prima uscita della nuova serie, dedicata alle Grandi Opere Dannose Inutili e Imposte. Questa volta la critica, più che mai necessaria e di dirompente attualità, si concentra sull’avanzata di un immaginario autoritario, identitario e razzista, e si propone – attraverso il fortunato connubio tra letteratura e azione sociale – di stimolare pratiche culturali volte ad arginare l’ondata nazionalfascista che va riversandosi nelle nostre vite. Depurata da retoriche e parole d’ordine di dubbia efficacia, quest’opera collettiva e trasversale, tifa per un’evasione performativa che agisca su una realtà complessa e sfaccettata di nero. Di seguito un commento ai singoli articoli che compongono il volume.

La rinazionalizzazione delle masse – Wu Ming 1
Il numero si apre con l’editoriale di Wu Ming 1, che nel titolo riprende la celebre opera di Mosse e nel testo il Pasolini di Petrolio, quello che i troppo occupati a blaterare di Valle Giulia hanno nascosto in cantina. Il fascismo che abbiamo di fronte è un fascismo fagocitato dalla globalizzazione e dal neoliberismo, interiorizzato dalla sinistra istituzionale europea, è una realtà conclamata che finge di combattere la tecnocrazia UE. «Non è detto – si domanda l’autore – che la falsa soluzione, a furia di aggravare il problema, non diventi essa stessa il problema principale».

La serialità del male – Silvia Albertazzi e Fausto Capitanio
Da Auschwitz-Birkenau alla risiera di San Sabba, dalle carceri cambogiane a quelle sudafricane di Robben Island. Banalità e serialità del male sono elementi della stessa prigione: acciaio, cemento ma anche assenza ed ombre. Fausto Capitanio con le sue istantanee in bianco e nero – che percorrono l’intera rivista fungendo da testo nel testo – coglie la violenza dell’assenza, dando voce al silenzio dei “colpevoli”. Silvia Albertazzi ribadisce l’esigenza di questa fotografia, una fotografia sociale che non faccia da corredo alle vittime ma aspiri a gettare nuovi sguardi sul presente.

Perché i bambini non sono razzisti? – Franco Foschi
Ci hanno insegnato che dai bambini non s’impara, ai bambini s’insegna. E ce l’hanno insegnato che eravamo bambini. Che i genitori, la scuola, la chiesa, lo Stato, educano; e i bambini devono stare in silenzio e seduti ad ascoltare, per imparare, per il loro bene. Be’ è arrivato il momento di ribaltare il paradigma. Quale bambino lamenta l’oscurità della pelle della propria compagna? Quanti genitori invece lo fanno quotidianamente? Sediamoci ad ascoltarli, e se all’inizio faremo fatica a capirli, sarà solo colpa nostra e delle costruzioni sociali identitarie che ci portiamo dentro.

Il nemico della città – Maysa Moroni, Andrea Natella, Giuliano Santoro
Si può fascistizzare lo spazio urbano? Certo che sì, e lo si può fare cominciando dal linguaggio, magari militarizzandolo. «Gli spazi pubblici sono soldati che hanno perso dei gradi (il degrado) e che devono riconquistarli con nuove decorazioni al valore (il decoro)». Reprimere la socialità e la vivacità dei quartieri popolari, con criminali operazioni di gentrificazione, è una delle armi dei fascisti dello spazio. Astronauti del pianerottolo, fautori di una guerra fredda che pretende espellere il conflitto dalla galassia urbana.

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Da «Prima gli italiani» a «Prima i poveri» – Fulvio Masserelli
«Prima i francesi!», «Prima gli italiani!». Bisogna ammetterlo, ci siamo sbagliati. Il fascismo, checché ne dicano i grandi esperti, non ha patria. Chiacchiera di Nazione, Dio, Sangue ma in fondo è troppo concentrato sul proprio ombelico e sui pronomi possessivi per essere davvero interessato al bene di una fantomatica comunità nazionale. Eppure la “priorità nazionale” è un concetto che piace alle vecchie-nuove-destre, e guarda caso viene fuori ogniqualvolta si tratti di difendere i propri interessi specifici. Con ogni mezzo: «la strumentalizzazione – ad esempio – di un caso particolarmente eclatante di “italiano povero” può divenire l’occasione per attivare il discorso e orientare l’iniziativa di gruppi o comitati verso la rivendicazione anche pratica della “priorità nazionale”»

Figli di Annibale – Agostino Giordano
«Respingere» è il motto degli italianissimi. Respingere dalle frontiere e respingere dalle città, dalle scuole, dalla società “per bene”. Osama, un ragazzo tunisino di quindici anni esprime così le pressioni di quel dito puntato come un manganello nelle costole: «È come trovarsi ogni volta su un palco sotto i riflettori, sapendo che ogni cosa uno possa dire, il pubblico comunque “ti insulterà, ti fischierà, ti sputerà addosso. Tu vorresti salirci su quel palco?». Akin, ragazzo nigeriano di quindici anni, invita gli italianissimi a non mettere gli stranieri su un palco ma ad aprire le orecchie e ascoltare una canzone: Figli di Annibale degli Almanegretta. Amhed sedicenne algerino ci consiglia di guardare film come Welcome di Lioret. È una guerriglia culturale, e loro lo sanno.

Il mito di Roma nell’immaginario vittimista italiano – Wu Ming 1
La chiamano ancora “Letteratura d’evasione”, per riferirsi a qualcosa di leggero, in fondo trascurabile. Eppure la buona fantascienza apre brecce temporali che ci costringono a riflettere sul presente, reinterpretarlo, plasmarlo. È questo il caso. Dal titolo ci si aspetta un saggio/reportage, dall’incipit un ingresso narrativo al saggio e invece no, è proprio un racconto di fantascienza. Il mito di Roma nell’immaginario vittimista italiano è il titolo della tesi del dottorando Tonio, studioso di storia italiana all’Università di Harvard 28 sul pianeta Terra 10, in anni in cui «la parola “Italia”, come molte altre, rimanda a immagini e vicende che la Specie si è lasciata alle spalle da 50mila anni». Questo racconto è una scheggia di meteorite depositata nei polmoni dei fascisti dei millenni a venire. E un omaggio a Luca Rastello.

Il mito di Venezia nell’immaginario nazionalista italiano – Piero Purini
«Venezia Giulia», quest’associazione di lemmi forzata e fortunata nasce per legittimare e dare una direzione al nazionalismo italico, ma è anche utile, come si esplicita nel testo, all’indipendentismo veneto e croato. In un’espressione ritroviamo la sintesi di due potenze politico-economiche che nei secoli hanno governato parte della penisola italiana: la Serenissima Venezia, baluardo a difesa delle invasioni d’oriente, e l’imperiale Roma di Giulio Cesare. La scelta non è chiaramente casuale e «il mito di Venezia – condito con qualche gladiatore – si dimostra comodo per tutti i nazionalismi a caccia di giustificazioni».

Venezia, o il racconto assente della violenza imperialista – Alberto Sebastiani
Venezia è una iena, non un leone. Si ciba di carcasse politiche ed economiche, succhia il sangue dell’impero bizantino per diventare grande e autoproclamarsi difensora dell’occidente dalle popolazioni d’oriente. Anche qui siamo di fronte a un pezzo ibrido che si serve della letteratura – storica e di fantascienza – per addomesticare il Leone di San Marco, farlo scendere dal piedistallo e riportarlo in piazza tra i piccioni. L’analisi di Sebastiani de Le catene di Eymerich e La luce di Orione di Valerio Evangelisti ci accompagnano alla scoperta di un imperialismo veneziano legato alle Crociate e alla repressione degli “eretici”, lo stesso imperialismo che verrà esaltato durante le Guerre d’Indipendenza e il periodo fascista per giustificare l’accaparramento delle terre di quella “Venezia Giulia” di cui ci parla il Purini.

Fascists love Putin – Valerio Renzi
salvini-putin-670x274Per chi a sinistra non se ne fosse ancora reso conto è arrivato il tempo di farsi una spietata autoanalisi o di indossare la camicia rossobruna. Il corpo e la immagine di Putin generano orgasmi negli italianissimi. Tuttavia Putin più che essere considerato un vero e proprio camerata, rappresenta la possibilità di una svolta autoritaria, un alleato per contrastare il mondialismo dai palazzi che contano, un generoso finanziatore per imporre il nazionalismo in ogni paese.

L’Epopea del Nazionalismo Rivoluzionario Messicano – Fabrizio Lorusso
Francesco Vanzetti, aspirate docente di Studi Latinoamericani dell’Università Autonoma di Città del Messico, sostiene un colloquio per un posto da “professore-ricercatore non definitivo a tempo pieno”. L’ordinario, jefe de jefes, lo lascia parlare per un po’ di nazionalismi e populismi latinoamericani, poi s’irrigidisce: «Insomma, va be’, corporativismo, populismo, ma lei lo saprà, qui in Messico, ecco, noi abbiamo il “Nazionalismo Rivoluzionario”…». Istituzionalizzare la Rivoluzione di Zapata, Villa e i Magon si può? No, non si può. Quello che si può è cambiare le parole, trasformare la Controrivoluzione in Rivoluzione e costruire con la reazione un partito ambiguo ma solido: il Partido Revolucionario Institucional per l’appunto, rimasto al potere per più di 71 anni.

Bombay/Mumbai, il destino nel nome – Alberto Prunetti
È solo una sillaba ma contiene in seno l’affermazione politico-culturale dello Shiv Sena, partito xenofobo di estrema destra che nel 1995, approfittando della sua posizione di governo nello stato di Maharashtra, decise di cambiar nome alla città, per ragioni di purezza e rivendicazione delle origini marathi. L’autore, da un punto di vista d’osservazione privilegiato, ci racconta del «fuoco che ha devastato Mumbai. Un fuoco che è stato innescato dal gioco di specchi tra identità in opposizione, dalle finzioni delle etnie, delle identità, dei credi assoluti e incompatibili».

Libro e moschetto 2.0 – Giuseppe Ciarallo
Ma chi sono i gramsciani di destra? Esistono davvero? E ai neofascisti piacciono sul serio Che Guevara e Corto Maltese? Ma soprattutto, quali sono i punti di riferimento letterari degli acuti fascisti del terzo millennio? Ad alcune di queste domande Ciarallo prova a dare una risposta fornendoci una piccola enciclopedia di personalità letterarie care all’estrema destra italiana.

PegidaNon finirà mai! – Wolf Bukowski
Transitando dalla letteratura alla società, da Il passo del gambero di Gunter Grass, ai Mondiali di calcio del 2006, l’autore ci racconta una Germania vogliosa di un patriottismo sano che si lasci definitivamente alle spalle i fantasmi del nazionalsocialismo. Si tratta ovviamente di una menzogna, utile solo a ripassare i confini di nero e giustificare l’intransigenza economica dei potenti. Le destre, ben lungi dal stare a guardare, sventolano bandiere rosso-nero-dorate, tentando giochi di prestigio come quelli del Pegida, movimento ambiguo solo agli occhi di chi non ha il coraggio di riconoscere un’aquila travestita da passerotto. «Non finirà mai, dunque? No di certo, se neppure riconosciamo quando ricomincia».

Closelandia. Cosa importa che una terra sia vicina, se mi è preclusa? – Massimo Viaggi
Con l’aiuto del romanzo La figlia della catalana Uson, che narra la storia della secondogenita di Ratko Mladic – generale serbo accusato del massacro di Sebrenica – Viaggi mette a nudo le difficoltà di comprensione, anche interiori, generate dai nazionalismi e dall’esaltazione delle identità, nonché di decifrazione dei codici linguistici da essi adoperati. Nel momento in cui i significati delle parole saltano e s’impregnano di ambiguità, la confusione semantica può uccidere. «Ciò che rende devastante l’impatto di una parola è da un lato l’uso mediatico e di propaganda che se ne fa, e dall’altro il contesto storico-politico entro il quale viene usata». Per questo l’autore può permettersi di essere d’accordo con Borghezio che nel 2011 definì Mladic un patriota («anche se Mladic non rubava, Garibaldi bisogna vedere»): perché quella parola non ha più nulla a che vedere con gli ideali risorgimentali.

L’ignoranza è forza! – Paolo Vachino
Parole, parole e ancora parole. Comprimerle, nasconderle, dimenticarle, sostituirle con inglesismi, spettacolarizzarle al fine di somministrarle al pubblico, meglio se pigro, sfruttato, massificato. Che cos’è un Talk Show? Uno “spettacolo di parole”. Ci avevate mai pensato? In questo show, per fare un esempio, quanto costano le parole e a chi appartengono?

Quei temerari sulle patrie volanti – Milena Magnani
Identità locali e lingue minoritarie non sono naturalmente associabili a chiusura e nazionalismo, anzi. Un esempio di processo singolare e performativo è la rivista Usmis, sorta agli inizi degli anni ’90 e interamente redatta in friulano.«Usmis fu un laboratorio animato da sogjets zingars, da poeti e liberi pensatori anarchici e anticonformisti, un laboratorio che diede vita a psicogeografie e scioperi creativi»

Omo lava più bianco – Silvia Albertazzi
L’autrice ripercorre le immagini di My Beautiful Laundrette, film del 1985 diretto da Stephen Frears e sceneggiato da Hanif Kureishi correndo sul filo delle relazioni tra cultura di appartenenza, genere e classe. La comunità pakistana nell’Inghilterra della Tatcher viene descritta come un universo complesso, in cui lo sfruttamento economico non è solo subito ma anche agito contro gli strati più deboli della società. Immaginatevi poi uno skinhead razzista che irrompe sulla scena innamorandosi di un ragazzo pakistano “di successo”. Una miccia che aspetta solo di essere accesa in una società che è già una bomba ad orologeria. Un film da rivedere oggi in Italia – consiglia l’autrice – con una maggiore consapevolezza rispetto al 1985.

Muri (im)portanti – Cristina Muccioli
NRL2coverIl muro è pagina resistente, è arte e strumento di guerriglia culturale. A dipingere si è iniziato proprio dai muri e non si è più smesso. Artisti come Bansky e Blu, per citare i più noti, hanno ereditato una lunga tradizione di scritture resistenti murali. Obiettivo principale della loro opera è gettare uno sguardo altro e oltre, disintegrare muri per abbattere quella rettitudine che è barriera, frontiera, confine.

Ci sono sempre delle frontiere – Sergio Rotino
Analizzando il ciclo de Le città oscure dei due fumettisti belgi François Schuiten e Benoit Peeters, Rotino s’interroga sul peso che urbanistica e architettura giocano nelle nostre esistenze. Su come i modelli urbani influiscano sulle vite delle persone. Nei fumetti del duo belga è presente una forte critica a un’urbanistica che diventa scienza, senza tener conto del fattore umano e naturale. L’autore sposa la critica e ci invita a perderci nelle città di Schuiten e Peeters per comprendere attraverso il linguaggio e la ricerca delle immagini quanto lo spazio e il tempo urbano possano essere strumenti di costrizione e d’imposizione d’ordine.

«Più della metà delle cose che esistono / non esistono*
Le razze non esistono, ma il razzismo uccide»

* verso del poeta friulano Federico Tavan

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