Seurat – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 01 May 2025 23:18:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 L’arte oltre la mimesi. L’anarchico Fénéon, il Nabis Sérusier ed il Cavaliere azzurro https://www.carmillaonline.com/2015/08/17/larte-oltre-la-mimesi-lanarchico-feneon-il-nabis-serusier-ed-il-cavaliere-azzurro/ Mon, 17 Aug 2015 21:30:54 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=23677 di Gioacchino Toni

arte oltre mimesiL’idea di una pittura basata sulla mimesi della natura, che, nella tradizione europea, si sviluppa a partire dal Rinascimento toscano, giunti a cavallo tra Otto e Novecento, viene contraddetta, se non proprio attaccata frontalmente, su vari fronti. Vengono qui passati in rassegna tre testi che ricostruiscono il pensiero e la pratica di autori e/o artisti che, in un modo o nell’altro, hanno percepito e supportato un cambiamento indirizzato ad una pittura liberata dalla dittatura della natura.

Félix Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi, Roma, 2015, 74 pagine, € [...]]]> di Gioacchino Toni

arte oltre mimesiL’idea di una pittura basata sulla mimesi della natura, che, nella tradizione europea, si sviluppa a partire dal Rinascimento toscano, giunti a cavallo tra Otto e Novecento, viene contraddetta, se non proprio attaccata frontalmente, su vari fronti. Vengono qui passati in rassegna tre testi che ricostruiscono il pensiero e la pratica di autori e/o artisti che, in un modo o nell’altro, hanno percepito e supportato un cambiamento indirizzato ad una pittura liberata dalla dittatura della natura.

Félix Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi, Roma, 2015, 74 pagine, € 10,00

Paul Sérusier, I segreti della pittura, Castelvecchi, Roma 2015, 140 pagine, € 18,00

Vasilij Kandinskij, Else Lasker-Schüler, Franz Marc, Der Blaue Reiter. Il Cavaliere Azzurro: affinità spirituali e poetiche, Castelvecchi, Roma, 2014, 211 pagine, € 22,00

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Fénéon ed il Neoimpressionismo

Presidente: “Il portiere del vostro stabile afferma che ricevete persone di malaffare”.
Fénéon: “Ovvio: non ricevo che pittori e scrittori”.
(Verbale audizione, “Processo dei Trenta”, Parigi 1894)

feneonA cavallo tra Otto e Novecento, Félix Fénéon (1861-1944) rappresenta una figura di un certo rilievo nel panorama culturale francese. Personaggio di poche ma folgoranti parole, come testimonia la serie di quasi mille e cinquecento Nouvelles en trois lignes (Romanzi in tre righe, Adelphi 2009), pubblicata quotidianamente, a partire dal 1906, su Matin. In buona parte si tratta di resoconti di fatti di cronaca, a volte inventati, presentati in forma di altrettanti romanzi brevissimi, di circa centocinquanta battute cadauno, in tre righe: una riga per l’ambiente, una per la cronaca più o meno nera, una per l’epilogo a sorpresa.

“Arrestato a Saint-Ouen un signore sulla sessantina, certo Gallot. Tentava di inoculare ad alcuni soldati il proprio antimilitarismo”.
“All’arrivo a Marsiglia dell’espresso da Parigi, è stato arrestato il fuochista, uomo funesto ai pacchi postali”.
“150 soldati partiti da Rochefort per le manovre sono stati costretti a fermarsi a Cozes. Troppo caldo. E sì che si tratterebbe di truppe coloniali”.

Dal 1886, Fénéon, inizia a sua frequentare gli ambienti anarchici francesi. A causa della promulgazione delle cosiddette “lois scélérates”, votate dal parlamento francese nel biennio 1893-1894, al fine di stroncare la “propaganda col fatto” del movimento anarchico, responsabile di numerosi attentati, Fénéon, nel 1894, si trova alla sbarra per rispondere di affiliazione sovversiva ed associazione a delinquere nell’ambito del “Processo dei Trenta”. Restano celebri alcune sue fulminanti risposte alla corte, come ad esempio quando gli viene chiesto di motivare a presenza di mercurio rinvenuto durane una perquisizione nel suo ufficio:
Presidente: “Voi sapete che il mercurio serve a preparare un pericoloso esplosivo, il fulminato di mercurio”.
Fénéon: “Sì, oltre che per termometri, barometri e altri arnesi”.

Félix_Fénéon_VallottonRilasciato, inizia a collaborare con il periodico “Revue blanche” e, nel 1898, aderisce alla campagna in difesa di Dreyfus organizzata da Émile Zola. Durante gli anni di permanenza presso la rivista, di cui diventa redattore capo, si impegna nella valorizzazione di scrittori come Mallarmé, Apollinaire e Rimbaud. Personaggio scomodo, scrittore, giornalista, Fénéon merita di essere ricordato anche nell’ambito della critica d’arte, in particolare per il breve saggio, di una quarantina di pagine, come nel suo stile del resto, Les Impressionnistes en 1886 in cui supporta la componente “dissidente” che volta le spalle alla stagione impressionista per aprire la strada a quello che, egli stesso definisce “Neoimpressionismo”. Lo scritto, tradotto in lingua italiana e pubblicato da Castelvecchi con il titolo Al di là dell’Impressionismo (2015), è estremamente essenziale, composto da una successione di periodi secchi e fulminei quanto taglienti nella critica e nella presa di posizione. Che uno spirito anarchico appoggi la componente dissidente di un gruppo (artistico, in questo caso), di certo non stupisce, meno scontato il fatto che parteggi per uno stile che richiede rigore, disciplina e cognizione scientifica.
Fénéon, cogliendo una delle caratteristiche innovative principali introdotte dalla pittura impressionista, scrive che nel “loro interesse per la verità che li portava a focalizzarsi sull’interpretazione della vita moderna direttamente osservata e del paesaggio direttamente dipinto, i pittori impressionisti avevano colto da subito la solidarietà reciproca delle cose, prive di autonomia cromatica e suscettibili ai comportamenti luminosi degli oggetti circostanti. La pittura tradizionale considerava invece gli oggetti come idealmente isolati, illuminandoli di una luce innaturale e infelice”. Così come ne coglie la portata innovativa, il nostro è altrettanto pronto a denunciarne il limite tecnico, segnalando l’arbitrarietà della scomposizione impressionista dei colori. “Per le esigenze della causa, si disse che da lontano i colori si fondevano in accordi delicati; ma si trattava troppo spesso di un’affermazione gratuita”. All’arbitrarietà impressionista, sostiene Fénéon, si contrappongono soprattutto i nuovi lavori di Seurat, come ad esempio la Grande Jatte. “Isolati sulla tela, questi colori si ricompongono sulla retina: la mescolanza che si ottiene non è dunque di colori-materie (pigmenti), bensì di colori-luci (…) L’atmosfera è straordinariamente tersa e vibrante; la superficie pare fremere (…) la retina, percependo su di sé l’azione dei distinti fasci luminosi, coglie in rapidissimi avvicendamenti sia i singoli elementi colorati che la loro risultante”.

Signac_ritratto_FénéonLa stesura cromatica utilizzata da Seurat, o dall’amico Signac, si presenta come un fitto retino, realizzato mediante accostamenti di colori primari: è all’occhio che spetta poi il compito di mescolare tali colori. Volendo trovare un precedente storico nella frammentazione dell’immagine, non possono che tornare alla mente le tessere dei mosaici bizantini. Fénéon, pur non parlando di mosaici, coglie questo aspetto frammentato in unità distinte e parla di “picchiettatura da arazzo”.

Mentre la tecnica impressionista mira a rendere l’effetto della transitorietà, si pensi alle tante opere che mettono in scena le vibrazioni dell’acqua, il procedimento divisionista, o neo-impressionista, come lo chiama Fénéon, tende piuttosto a conferire alla scena un senso di sospensione temporale. La portata innovativa di tale tecnica si inserisce all’interno di un processo che marca sempre di più una distanza dalla proposta mimetica in favore di una ricostruzione percettiva della realtà che evidenzia l’arbitrarietà e soggettività della rappresentazione. Nel suo breve intervento Fénéon insiste sulle differenze tecniche tra impressionisti e neoimpressionisti percependo la portata di un cambiamento indirizzato, nel corso del tempo, a raggiungere forme sempre più marcate di autonomia dell’arte, di abbandono della dittatura della natura in favore della “costruzione” di una “natura altra” che si aggiunge alla prima, senza, per forza, imitarla.

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La pittura secondo Paul Sérusier

Seruisier_segreti-della-pitturaIl saggio da poco dato alle stampe da Castelvecchi, insieme allo scritto “I segreti della pittura” di Paul Sérusier, uscito per la prima volta in Francia nel 1921, contiene anche “Vita ed opera di Paul Sérusier”, ad opera dall’amico-pittore Maurice Denis, edito in lingua francese nel 1942 e “Sérusier e la fenomenologia numerica delle forme”, uno scritto di Simona Rinaldi utile alla comprensione del pensiero dell’artista.

Il titolo originale del saggio di Paul Sérusier, “ABC de la peinture”, è per verti versi preferibile alla sua trasformazione in lingua italiana, “I segreti della pittura”, in quanto la denominazione primigenia rimanda alla partizione interna in tre parti (A, B e C) ed allo stesso tempo meglio suggerisce l’intenzione didattica di presentare gli elementi essenziali della pittura.

Nella prima parte, lettera A, l’autore si occupa del rapporto tra “Arte e natura” e di fornire le premesse teoriche fondamentali. In questa sezione Sérusier sostiene che l’arte, se ridotta ad imitazione, si risolve in un mero atto meccanico a cui non concorre alcuna facoltà superiore dell’uomo; si tratterebbe di mera impressione registrata senza che vi sia alcun ricorso all’intelligenza. Con questa premessa l’autore si preoccupa di differenziare la mera registrazione visiva dalla finale “immagine mentale”, degna, invece, di occupare il dipinto. Secondo Sérusier la sensazione procurata dall’oggetto osservato evoca nozioni mnemoniche e, dopo il riconoscimento di tale oggetto, interviene lo spirito che ricorre alle esperienze fornite precedentemente dagli altri sensi. Successivamente entrano in gioco i sentimenti personali, lo stato (variabile) psicologico e fisiologico del soggetto, trasformando così l’immagine visiva “primitiva” in una ben diversa “immagine mentale”. Sempre all’interno di tale sezione l’autore si occupa della questione stilistica argomentando come lo stile individuale si inserisca all’interno di uno “stile universale” invariabile, un linguaggio universale fondato sulla scienza dei numeri primi.
La seconda parte, lettera B, si occupa delle norme compositive focalizzandosi sulle “Buone proporzioni”, intese come fondamento su cui “è costruito il mondo esterno, ivi compreso il nostro corpo”, tali proporzioni, secondo il testo, sono quelle che “riposano sui numeri primi più semplici, i loro prodotti, i loro quadrati e le loro radici quadrate”.
Nella terza parte, lettera C, ad essere affrontata è la Storia del colore. Qui vengono passate in rassegna le stesure cromatiche e le diverse tecniche pittoriche ed in tale contesto si arriva ad accusare il Rinascimento di aver “subordinato i colori ai valori” a causa del suo imporre alla pittura di ispirarsi unicamente alla statuaria greca.

Serusier_-_the_talismanMaurice Denis, in “Vita ed opera di Paul Sérusier”, nel ricostruire la vita e la produzione artistica dell’amico e collega, sottolinea come il mondo artistico francese inizi a distaccarsi con convinzione dal Naturalismo nel 1889: “Che questa evoluzione, o rivoluzione, si collochi sotto l’egida di Seurat, Cézanne o Gauguin, del gruppo di Pont-Aven o dei Nabis; che la si chiami Neoimpressionismo, Sintetismo o Neotradizionalismo, è in ogni caso indubbio che all’epoca abbia rappresentato una svolta nella storia dell’arte, un’apertura verso nuove formule”. Nell’autunno dell’anno precedente, presso il gruppo di Pont-Aven, Sérusier conosce Paul Gauguin ed il dipinto Talismano può essere inteso come prima, decisa, adesione di Sérusier alla poetica antinaturalistica portata avanti da Gauguin. Secondo tale poetica il pittore non deve più sottostare all’imperativo accademico della riproduzione della natura ma, piuttosto, rappresentarla.

Per certi versi le tappe che portano la pittura francese al fatidico 1889 di cui parla Denis, si aprono con il primo soggiorno di Gauguin nella cittadina bretone di Pont-Aven, nel 1886, ove viene a contatto con un gruppo di pittori che sin dagli anni ’60 del secolo, ha scelto di ritirarsi in questa località che pare ancora in grado di offrire suggestioni particolari, estranea com’è alle grandi trasformazioni della metropoli parigina. I paesini bretoni risultano, infatti, ancora caratterizzati da ritmi e stili di vita arcaici. Il gruppo di Pont-Aven si indirizza verso modalità figurative sintetiste grazie soprattutto ai lavori di Gaugin ed Émile Bernard. Le opere da essi realizzate sono contraddistinte dalla mancanza di profondità, da colori innaturali stesi per ampie campiture delimitate da marcate linee di contorno. Le immagini inserite nei dipinti tendono così ad abbandonare il riferimento al fenomeno naturale specifico, per divenire sempre più icone generali.
La fase bretone di Gauguin si interseca in qualche modo anche con l’esperienza del gruppo parigino dei Nabis, “profeti” di una sintesi mistica e totalizzante tra arte e vita. Pur non prendendo mai direttamente parte al gruppo, Gauguin ne diventa stilisticamente un punto di riferimento.

Al gruppo originario dei Nabis, che inizia ad incontrarsi periodicamente su iniziativa di Paul Sérusier, appartengono anche Paul Ranson, Maurice Denis e Pierre Bonnard. A questi si aggiungeranno, successivamente, Edouard Vuillard, Georges Lacombe e Felix Vallotton. Nato sull’onda della sperimentazione dei pittori di Pont-Aven, anche il gruppo Nabis si caratterizza per una resa pittorica svincolata dall’imitazione della natura, fortemente bidimensionale e decorativa, sviluppata attraverso l’uso del colore puro ed il ricorso alla linea di contorno.
Altro riferimento importante per la poetica dei Nabis, oltre al gruppo gruppo di Pon Aven capitanato da Gauguin, è dato dalla cosiddetta Scuola del monastero di Beuron raccolta attorno alla figura di Peter Lenz. Tale esperienza si propone di rivitalizzare l’arte sacra sulla base di una ricerca basata sull’armonia proporzionale da rintracciarsi nella Bibbia. La “geometria sacra”, base della creazione divina, diviene il faro a cui far riferimento nella produzione artistica religiosa del monastero benedettino nell’Hohenzollern. I precetti di tale impostazione sono pubblicati da Lenz nel 1898 nel testo L’estetica della scuola di Beuron, saggio poi tradotto in lingua francese dallo stesso Sérusier.

Anche se la vocazione profetica e visionaria del gruppo dei Nabis fatica ad andare oltre all’affermazione di intenti, la loro pittura tende infatti a ripetersi lungo un medievalismo compiaciuto e decorativo, occorre riconoscere che, tra le diverse anime del Simbolismo, quella dei Nabis, è sicuramente tra le più inclini a distanziarsi dalla tradizione pittorica moderna e ad offrire spunti alle future esperienze artistiche fauve-espressioniste.

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Il Cavaliere azzurro

Der-blaue-reiterIl volume edito da Castelvecchi, oltre a ricostruire la genesi dell’almanacco Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro), permette di ricostruire il clima culturale di Monaco di Baviera, città che, ad inizio Novecento, accoglie una comunità cosmopolita di pittori, musicisti e letterati votati ad un’espressione lirica di istanze spirituali interiori. Il saggio si apre con la corrispondenza intercorsa, tra il 1911 ed il 1914, tra Vasilij Kandinskij e Franz Marc, dalla quale emergono consonanze e diversità di vedute tra i due artefici dell’esperienza de Il cavaliere azzurro. A tale corrispondenza si aggiunge la serie di cartoline illustrate a mano e lettere inviate, tra il 1911 ed il 1914, da Marc all’amica poetessa Else Lasker-Schüler che contraccambia, tra il 1913 ed il 1915, con lettere visionarie in cui impersona la figura fantastica e misteriosa di un principe (Jussif), protettore della nuova arte. Vengono poi riportati alcuni scritti del primo numero dell’almanacco, la prefazione alla seconda edizione e la premessa al secondo volume stesa da Marc nel febbraio del 1914. Sarà la ben più materiale Grande guerra a bloccare sul nascere l’uscita di nuovi numeri.

L’antologia di scritti proposta dal saggio può essere considerata un contributo alla conoscenza non solo della genesi del famoso almanacco ma di una stagione che ha assistito ad un intenso rinnovamento culturale ed artistico. Dopo un esordio di impronta espressionista, Kandinskij, come diversi artisti del primissimo Novecento, inizia a contraddire il tradizionale legame tra natura e pittura in favore di un’opera concepita come costruzione autonoma da quest’ultima. L’artista inizia a riflettere sul valore autonomo del mezzo pittorico giungendo al celebre Primo acquerello astratto (1910), ove l’immagine sembra quasi liquefarsi, il colore e le forme si sfaldano raggrumandosi o sfilacciandosi in superficie. L’interesse per l’ambito musicale porta Kandinskij a rielaborare la propria pittura a partire dalle riflessioni sulla musica intesa come modello di espressione indipendente dal referente naturale. Per Kandinskij la musica rappresenta un sistema autonomo, interamente costruito sulla specificità dei propri mezzi. È per questa via che l’autore vuole realizzare una pittura interiore, liberata da intendimenti mimetici.

primo acquerello astratto kandinskijNel 1911, a Monaco di Baviera, Kandinskij e Marc fondano il Blaue Reiter, separandosi dalla Nuova Associazione degli Artisti di Monaco sorta nel 1909. Il nome del gruppo – a cui collaborano anche artisti come Gabriele Münter, Alfred Kubin, Auguste Macke e Paul Klee – deriva dalla passione di Kandinskij per il mondo fiabesco dei cavalieri e da quella di Marc per i cavalli, oltre che dalla comune predilezione per il colore azzurro. Le opere presentate dall’almanacco “stanno fra loro in un rapporto di affinità interiore”. Più che di un vero e proprio movimento dotato di un programma preciso, si tratta di un comune tentativo di supportare e spronare le varie tendenze artistiche che, in un modo o nell’altro, a queste date, si rifanno ad istanze spirituali, interiori. “Comincia, anzi è già cominciata, una grande epoca. Un ‘risveglio’ spirituale, un impulso crescente verso la riconquista dell’equilibrio perduto’, la necessità inevitabile delle creazioni spirituali”. Il primo obiettivo del gruppo è quello di “riflettere gli avvenimenti artistici che stanno in diretta connessione con questa svolta e i fatti necessari a illuminarli anche in altri settori della vita spirituale”.

Attraverso accostamenti cromatici, in analogia con la musica, il Blaue Reiter si propone di esprimere, evocare emozioni e sentimenti senza alcun bisogno di aderenza al dato reale. In questa tendenziale mancanza di figurazione, d’altra parte, è possibile ravvisare la differenza anche rispetto alle poetiche espressioniste: mentre queste tentano la via della fuga dalla realtà in favore degli istinti primordiali, gli artisti del Blaue Reiter aspirano ad una sorta di purificazione spirituale, a carattere mistico-speculativo. Nel dicembre del 1911, si tiene la prima mostra del gruppo presso la Galleria Tannhäuser di Monaco di Baviera. Lo scoppio del conflitto bellico contribuisce a porre fine all’esperienza del Blaue Reiter: l’ultima mostra si tiene nel 1914, mentre Franz Marc, poco dopo partito per il fronte, muore nel 1916.

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Immagini inserite nel testo (dall’alto al basso):

– Copertine varie
– Copertina F. Fénéon, Al di là dell’Impressionismo, Castelvecchi (2015)
– Félix Valloton, Ritratto di Félix Fénéon, eseguito per Le Livre des masques di Remy de Gourmont (vol. II, 1898).
– Paul Signac, Ritratto di Félix Fénéon, 1890, olio su tela, 73.5 x 92.5 cm, MoMA, New York
– Copertina P. Sérusier, I segreti della pittura, Castelvecchi (2015)
– Paul Sérusier, Talismano, 1888, olio su tavola, 27 x 22 cm, Musée d’Orsay, Parigi
– Copertina V. Kandinskij, E. Lasker-Schüler, F. Marc, Der Blaue Reiter. Il Cavaliere Azzurro: affinità spirituali e poetiche, Castelvecchi (2014)
– Vasilij Kandinskij, Primo acquerello astratto, 1910, acquerello e china su carta, 49,6 x 61,8 cm, Centre Georges Pompidou, Parigi

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L’arte oltre la mimesi. Roger Fry ed il Postimpressionismo https://www.carmillaonline.com/2015/06/16/larte-oltre-la-mimesi-roger-fry-ed-il-postimpressionismo/ Tue, 16 Jun 2015 21:00:42 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=22622 di Gioacchino Toni

roger fry postimpressionismoRoger Fry, Il postimpressionismo. La promessa di una nuova arte, Castelvecchi, Roma 2015, 124 pagine, € 16,50

Il volume uscito per Castelvecchi propone un serie di scritti di Roger Fry, apparsi tra il 1908 ed il 1920, collegati, in un modo o nell’altro, alla questione del Postimpressionismo. L’operazione compiuta dall’editore è sicuramente degna di nota in quanto i saggi dello studioso-pittore inglese sono stati a lungo preclusi al lettore italiano visto che la loro traduzione risulta particolarmente recente; basti pensare che “Cézanne. A Study of His Development” del [...]]]> di Gioacchino Toni

roger fry postimpressionismoRoger Fry, Il postimpressionismo. La promessa di una nuova arte, Castelvecchi, Roma 2015, 124 pagine, € 16,50

Il volume uscito per Castelvecchi propone un serie di scritti di Roger Fry, apparsi tra il 1908 ed il 1920, collegati, in un modo o nell’altro, alla questione del Postimpressionismo. L’operazione compiuta dall’editore è sicuramente degna di nota in quanto i saggi dello studioso-pittore inglese sono stati a lungo preclusi al lettore italiano visto che la loro traduzione risulta particolarmente recente; basti pensare che “Cézanne. A Study of His Development” del 1927, viene incredibilmente pubblicato in Italia soltanto nel 2009.

Il termine Postimpressionismo viene coniato dal critico inglese nel 1910, in occasione della celebre mostra londinese, da lui stesso organizzata, “Manet and the post-impressionists”, presso gli spazi espositivi delle Grafton Galleries. Nel variegato ventaglio di esperienze stilistiche dell’ultimo ventennio dell’Ottocento presentate dalla mostra si trovano artisti accomunati dall’aver operato in Francia sul finire del XX secolo, con un passaggio più o meno prolungato, più o meno diretto, in ambito impressionista e che poi hanno sviluppato personali itinerari espressivi nell’ottica di superare il dato visivo-sensoriale. Lo scarto rispetto agli Impressionisti non è tanto di natura cronologica, venir dopo, quanto piuttosto a livello di intenti: i diversi appartenenti alla mostra iniziano a palesare la presa di distanza dalla resa fenomenica della realtà, indirizzandosi verso un’arte sempre più autoreferenziale, dotata di proprie regole anziché dettate dalla mimesi. Meglio, dunque, intendere “post” come “superamento”.
Nell’esposizione del 1910 vengono presentate una decina di opere di Manet, artista considerato ispiratore degli impressionisti, pur non avendo mai fatto parte del gruppo, una quarantina di lavori di Gauguin, una ventina di Van Gogh ed altrettanti di Cézanne. Oltre a questi artisti non mancano opere di Seurat, Redon e di alcuni fauves come de Vlaminck e Dearain. Detta compagine postimpressionista pare vivere ormai la pittura tradizionale, di matrice mimetico-rinascimentale, come una gabbia da cui liberarsi fuggendo dalle pretese di riduzione della realtà ad un’unica visione oggettivo-scientifica basata sul dato visivo-sensoriale.

Venendo agli scritti finalmente tradotti e pubblicati in lingua italiana, il primo ad essere presentato è “Espressione e rappresentazione”, scritto, probabilmente, nel 1908 in vista della conferenza tenuta presso la Oxford University l’anno successivo. Tale testo può considerarsi un primo anticipo del celebre “An Eassay in Aesthetics”, uscito nel corso dello stesso anno su “New Quarterly”. Qua viene formalizzato il “formalismo” dell’approccio dell’autore all’arte contemporanea.
Fry polemizza con la teoria accademica, figlia della tradizione vasariana rinascimentale, che impone all’arte un ruolo imitativo. Rifiutato il ruolo mimetico della produzione artistica, Fry riprende il trattato filosofico di Tolstoj, Che cos’è l’arte?, scritto e pubblicato nel 1897, come punto di partenza per l’elaborazione di una teoria personale. Mentre il russo identifica l’arte come “linguaggio dell’emozione”, in contrapposizione alla scienza che invece rappresenta il “linguaggio della ragione”, l’inglese, correggendo sostanzialmente il tiro, sostiene invece che l’arte è il “mezzo per comunicare emozioni fini a se stesse”. Secondo tale definizione, l’opera d’arte lascia indefinito l’atteggiamento dell’artista nei confronti della natura: “sarà il modo in cui fa appello alle emozioni a rivelare la misura in cui rispetta o infrange le leggi delle apparenze naturali” che “cessano di essere leggi della pratica artistica, e diventano organi d’espressione artistica la cui adozione o rigetto dipendono soltanto dal fine che l’artista si prefigge”. La buona resa ottico-prospettica diviene, pertanto, solo arricchimento dei mezzi d’espressione, non fine ultimo dell’espressione artistica. L’autore si pone, a questo punto, il problema dell’unità di un’opera d’arte. Fry ritiene che tale unità possa essere considerata di due tipi distinti, seppur intrecciati: “l’unità emotiva, trasmessa quando l’artista intende produrre vivacità emozionale” e “l’unità decorativa dell’immagine”, ossia del modo di presentazione. L’unità decorativa è quella che si coglie “quando ancora non si decifra il codice visivo tramite cui sono comunicate le emozioni e si avverte soltanto l’impatto dell’attrattiva sensuale” (es. può essere colta anche osservando un dipinto capovolto). Tale unità “attiene all’atmosfera generale di seduzione sensuale con cui l’artista presenta e potenzia il proprio messaggio emotivo, ma riguarda anche la natura stessa della comunicazione emotiva”. Ad esempio attraverso la simmetria si ha una unità espressiva di solennità ieratica. Molto di ciò che viene classificato come “puramente decorativo” risulta in realtà essere “espressione intensa del contenuto emotivo”. Tutte queste riflessioni, come detto, vengono poi riprese, e meglio argomentate, nello scritto “An Eassay in Aesthetics”.

FryPoster1910_grafton_galleryNegli scritti “La fine di una stagione” e “Una nuova ambizione”, introduzione di Fry ad un articolo di Maurice Denis su Cézanne, viene delineata meglio la divergenza nei confronti dell’Impressionismo e viene ben espresso come, secondo l’inglese, le nuove tendenze francesi fin de siècle siano figlie dell’impressionismo ma al tempo stesso ne siano superamento definitivo, stante il fatto che gli elementi decorativi sembrano ormai prevalere con decisione su quelli mimetici ancora cari agli Impressionisti.

“La prima mostra” è il testo introduttivo al catalogo dell’esposizione del 1910 “Manet and the post-impressionists” steso, probabilmente, insieme a Desmond MacCarthy ed in tale testo si spiega il superamento dell’Impressionismo attuato dalle nuove correnti artistiche. La volontà impressionista di catturare l’impressione della realtà, concentrandosi in particolare sulla percezione della luce e sui colori, finisce col perdere per strada il tema artistico più importante: il “dato emozionale delle cose”. La produzione più innovativa di fine secolo si propone invece di recuperare quanto tralasciato dagli impressionisti. In particolare viene fatto riferimento alla figura di Cézanne per il suo aver colto dalla lezione del grande maestro Manet quanto gli impressionisti avevano tralasciato. Cézanne passa dalla complessità dell’apparenza esteriore delle cose alla semplicità geometrica fornendo un ottimo esempio per i successori. Van Gogh declina e forza tale lezione al fine di dare immagine alle proprie emozioni più forti, Gauguin, invece, opta per una direzione “decorativa”, attraverso una semplificazione sintetico-astratta, convinto che attraverso tale strada sarebbe risultato più semplice imprimere nell’immagine l’emozione. Lo stesso Matisse, presente con tre tele, opta per una direzione volta “all’armonia astratta” di linee, di ritmo fino “al punto di sottrarre ogni sembianza naturale alle figure”, riprendendo così l’arte primitiva. È dunque alla sintesi, alla semplificazione formale e coloristica, rispetto alla complessità del reale, che mirano i postimpressionisti.
7860.aaa.38, front coverAnche nel breve articolo “I postimpressionisti”, scritto nel 1910 per “The Nation”, passando in rassegna alcuni degli artisti-simbolo della mostra organizzata, si torna sul ruolo centrale spettante a Cézanne, individuato come il vero punto di svolta dell’intero movimento, come colui che “ha scoperto come uscire dal vicolo cieco in cui la ricerca a oltranza del naturalismo aveva precipitato l’arte”, sottolineandone le sorprendenti capacità di sintesi.

Il testo “Il Postimpressionismo” rappresenta, invece, l’intervento di chiusura della prima mostra, poi pubblicato su “The Fortnightly Review”. Qua Fry torna nuovamente a ribadire la sua posizione avversa, ed alternativa, ai canoni accademici fissati sulla necessità dell’arte di votarsi alla mimesi del reale, denunciando il permanere di una miope ottica evolutiva che, per non stroncare le opere “meno evolute”, si rifugia nell’elogiarle “tenendo conto dell’epoca” in cui sono state prodotte, epoca che si vuole “propedeutica” al successivo affinamento mimetico.
Lo studioso inglese non si sente di negare in maniera assoluta un minimo di naturalismo, di somiglianza con l’apparenza; tale “dose minima” è ritenuta utile a suscitare nella mente dell’osservatore la “giusta associazione di idee”. Più radicale appare invece nei confronti del limite opposto; un eccesso di naturalismo potrebbe “eccedere l’espressione dell’idea”. Quantificare la dose minima diviene impresa ardua, Fry giunge alla conclusione che essa dipende “dall’essenza e dal carattere del sentimento” che l’artista intende trasmettere. Più i sentimenti e le emozioni sono incentrati sulle banalità del quotidiano, più risulta necessario il grado di verosimiglianza. Più vengono trattati sentimenti profondi ed universali, maggiore sarà il disturbo portato dalla verosimiglianza.
Liberarsi dall’ossessione della rappresentazione puntigliosa significa dare finalmente spazio all’immaginazione e l’eterogenea compagine postimpressionista valorizza l’immagine non in funzione della verosimiglianza con la natura esteriore ma della sua capacità di “far leva sulla vita immaginativa e contemplativa”. Mentre l’immagine d’imitazione risulta sempre inferiore al reale, “il mondo dell’immaginazione è in sé più vero dell’universo concreto, perché possiede la coerenza e l’unità di cui il mondo reale difetta. Nonostante sia più vero, il mondo dell’immaginazione è assai meno concreto e l’intrusione del reale tende a impedirci la piena accettazione di quel mondo”.
“Adesso finalmente gli artisti possono usare con assoluta sincerità quei mezzi d’espressione che a partire dal Rinascimento erano stati loro negati” e l’importanza del movimento postimpressionista risiede nel suo essere votato a “riconciliare l’opera del pittore e dello scultore con la dimensione della creatività e del desiderio umano”.

Fry_second_postimpressionistNel 1912 Fry organizza la seconda mostra dal titolo “Second Post-Impressionist Exhibition”, di nuovo presso gli spazi espositivi delle Grafton Galleries. In tale occasione il critico inglese allarga l’orizzonte ed, oltre ai francesi, espone artisti inglesi e russi e per il catalogo dell’esposizione stende “La seconda mostra” ove sottolinea come risulti ormai indispensabile, al fine di avere un’arte al passo coi tempi, ricorrere ad un “linguaggio pittorico adeguato alla sensibilità del mondo contemporaneo”. Ribadito, per l’ennesima volta, come il ruolo di apripista del fenomeno postimpressionista spetti a Cézanne, lo studioso, si sofferma nel mettere a confronto le differenti proposte artistiche di Picasso e Matisse, segnalando come entrambi, rispetto alla natura, lavorino per “equivalenza” e non per “somiglianza”.
Sempre nel 1912, nell’articolo “Un’apologia”, pubblicato su “The Nation”, l’autore sottolinea come nel Postimpressionismo, a suo modo di vedere, non si deve leggere il rifiuto totale della tradizione. La sua distruttività “deriva non da quel che nega, bensì da ciò che afferma: affermando l’importanza capitale del disegno , relega necessariamente in secondo piano il lato imitativo dell’arte”.

Nello scritto del 1920 “In retrospettiva”, Fry ha ormai affinato il suo “formalismo” votato alla contemplazione della forma pur ribadendo di restare nell’ambito di un’estetica empirica; ammette, infatti, di essersi costruito un’estetica pratica, temporanea, provvisoria. Nel ripercorrere i suoi studi artistici, l’autore si rammarica per non aver colto la portata innovativa di Seurat e per aver scoperto l’opera cézanniana soltanto molto tardi, parecchio tempo dopo la morte dell’artista. Probabilmente in polemica col mondo accademico inglese, non manca, inoltre, di insistere su come il mondo la produzione artistica inglese risulti costantemente in ritardo rispetto alle grandi novità sviluppate in terra francese. La critica è rivolta all’arte inglese, in ritardo di un ventennio rispetto alle proposte impressioniste, ma non è difficile leggere tra le righe una critica ai tradizionalisti studiosi d’arte inglesi contro cui è stato costretto a battersi da almeno un decennio.

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