Sergio Mattarella – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 A proposito del Manifesto di Ventotene https://www.carmillaonline.com/2025/03/20/lanno-degli-anniversari-1941-2021-manifesto-di-ventotene/ Thu, 20 Mar 2025 20:00:36 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=68587 di Sandro Moiso

[Poiché si ritengono tutte le forze politiche rappresentate in parlamento ugualmente nemiche della lotta di classe e amiche del partito della guerra e vista la bagarre scatenatasi in quell’aula nei giorni scorsi, a seguito delle parole di Giorgia Meloni e l’uso opportunistico e guerrafondaio fatto del Manifesto di Ventotene dalla cosiddetta sinistra liberal-democratica “europeista”, si è scelto di ripubblicare un intervento sullo stesso tema già apparso su Carmilla nell’ottobre del 2021. S.M.]

Ad agosto (2021) ci siamo dovuti sorbire una farlocca celebrazione di un manifesto che, a dire di autorevoli europeisti come Sergio Mattarella, costituirebbe il fondamento [...]]]> di Sandro Moiso

[Poiché si ritengono tutte le forze politiche rappresentate in parlamento ugualmente nemiche della lotta di classe e amiche del partito della guerra e vista la bagarre scatenatasi in quell’aula nei giorni scorsi, a seguito delle parole di Giorgia Meloni e l’uso opportunistico e guerrafondaio fatto del Manifesto di Ventotene dalla cosiddetta sinistra liberal-democratica “europeista”, si è scelto di ripubblicare un intervento sullo stesso tema già apparso su Carmilla nell’ottobre del 2021. S.M.]

Ad agosto (2021) ci siamo dovuti sorbire una farlocca celebrazione di un manifesto che, a dire di autorevoli europeisti come Sergio Mattarella, costituirebbe il fondamento ideale dell’attuale Unione Europea.
Peccato, però, che a leggerne anche soltanto alcune pagine, guarda caso poste proprio all’inizio dello stesso, la narrazione europeista autorizzata non regga.

Il Manifesto, il cui titolo completo è “Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto”, fu infatti elaborato da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nell’agosto del 1941, in piena seconda guerra mondiale, mentre i due antifascisti si trovavano confinati, insieme ad un migliaio di altri oppositori del regime, sull’isola di Ventotene, al largo di Formia.

L’autore principale fu Altiero Spinelli (1907-1986), che aveva iniziato la sua attività politica nelle file dell’allora Partito Comunista d’Italia e proprio per il suo ruolo di segretario giovanile dello stesso per l’Italia centrale era stato condannato nel 1927 a dieci anni di carcere e successivamente al confino, da cui fu liberato soltanto nel 1943 dopo la caduta “istituzionale” di Mussolini. Nel 1937, però, a seguito dei processi di Mosca e di una lunga riflessione sull’esperienza dello stato sovietico stalinizzato, era uscito da quello che era diventato il PCI.

Ernesto Rossi (1897-1967), che pure diede un importante contributo alla stesura del Manifesto, fu tra i fondatori e i principali animatori di Giustizia e Libertà e poi del Partito d’Azione e proprio attraverso gli scambi di idee con Spinelli, durante il periodo di confinamento forzato, divenne un sostenitore del federalismo europeo.

Idea di federalismo che, non dimentichiamolo, era nata e si era sviluppata proprio a seguito di quel secondo conflitto imperialista che stava macellando la gioventù europea e mondiale sui campi di battaglia ed era conseguenza non solo delle brame imperialiste delle potenze coinvolte, ma anche di un feroce nazionalismo che, in varie forme, aveva precedentemente finito con l’ingabbiare le stesse masse dei lavoratori.

Forse prendendo a prestito, almeno in parte, quell’idea di Stati Uniti d’Europa che Leone Trockij era andato sviluppando fin dal 19231, con l’intento di dar vita ad una federazione europea degli operai e dei contadini che desse una risposta concreta alle questioni più scottanti della rivoluzione europea, anche se nel 1915 lo stesso Lenin si era dichiarato contrario a tale parola d’ordine2, con argomentazioni che sarebbero poi in seguito state usate da Stalin per giustificare la teoria del “socialismo in un paese solo”.

Trockij, al contrario, era invece convinto che soltanto dall’unione tra le due parole d’ordine «governo operaio e contadino» e «Stati Uniti d’Europa» fosse possibile ingabbiare e controllare in chiave socialista quelle forze produttive capitaliste che superavano, già allora, il quadro nazionale degli Stati europei ed avevano costituito la vera forza motrice del Primo macello imperialista.

Proprio come la guerra rifletteva il bisogno di un ampio campo di sviluppo per le forze produttive compresse dalle barriere doganali, così l’occupazione della Ruhr, funesta per l’Europa e per l’umanità, riflette il bisogno di unire il ferro della Ruhr con il carbone della Lorena. L’Europa non può sviluppare la sua economia nelle frontiere doganali e statali che le sono state imposte dal trattato di Versailles. Essa deve abbattere queste frontiere, altrimenti è minacciata da una completa decadenza economica. Ma i metodi impiegati dalla borghesia dirigente per sopprimere le barriere che essa ha creato non fanno che aumentare il caos e accelerare la disorganizzazione.
L’incapacità della borghesia di risolvere i problemi fondamentali della ricostruzione economica dell’Europa si manifesta sempre più chiaramente di fronte alle masse lavoratrici. La parola d’ordine «governo operaio e contadino» va incontro a questa crescente aspirazione dei lavoratori a trovare una via di uscita con le loro forze. Ora, è necessario indicare in maniera più concreta questa via d’uscita: è la cooperazione più stretta tra i popoli d’Europa, l’unico mezzo per salvare il nostro continente dalla disgregazione economica e dall’asservimento al potente capitale americano3.

Messe da parte alcune considerazioni forse oggi superate sul tema delle “foze produttive” e del loro inarrestabile sviluppo, va qui compreso come in quelle poche righe già il leader bolscevico prefigurasse quelle che sarebbero state le conseguenze del trattato di Versailles prima e del secondo conflitto mondiale in seguito.

Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi si trovarono invece a scrivere in un periodo in cui erano fallite le speranze di un governo operaio e contadino europeo oppure di una federazione di governi di tal fatta, mentre Stalin si accaniva nella costruzione forzosa di un nuovo e potente capitalismo di Stato, non troppo diverso da quello rimesso in piedi da alleati ed avversari nel corso di quel devastante conflitto. Forse, fu proprio a partire da questa constatazione che, nella terza parte del Manifesto, Compiti del dopoguerra – La riforma della società, i due poterono affermare:

La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia, come è avvenuto in Russia4.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma – come avviene per forze naturali – essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica “routinière” per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni dei salari, e con gli altri provvedimenti del genere dello stachanovismo dell’U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento più diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:

a) non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (Es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). E’ questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti;

b) le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gl’istrumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio, ecc.;

c) i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l’avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali;

d) la potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignità umana. La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori;

e) la liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali 5.

E’ evidente che numerose affermazioni qui contenute potrebbero, oggi, essere ampiamente riviste, ma ciò non toglie che la domanda da porsi sia: cosa c’entrano il contenuto del Manifesto e le idee dei suoi estensori con l’Europa di Draghi (e oggi di Ursula von der Leyen), della guerra, del capitale finanziario e della BCE oggi celebrata proprio attraverso le sue pagine? Visto che l’Europa unita sognata all’epoca dai due estensori e, prima, forse anche da Trockij andava in una ben diversa direzione.

La prima domanda, però, deve essere accompagnata anche da un’altra: cosa c’entrano gli attuali difensori dello Stato-nazione e dei suoi sacri confini, in un contesto di capitalismo avanzato, col socialismo, il comunismo e la rivoluzione?


  1. Si veda L.Trockij, Sull’opportunità della parola d’ordine Stati Uniti d’Europa (Per la discussione internazionale), «Pravda», 30 giugno 1923, ora in L. D. Trockij. Europa e America (a cura di David Bidussa), Celuc Libri, Milano 1980  

  2. Lenin, Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, «Sotsial-Demokrat» n. 44, 23 agosto 1915  

  3. L. Trockij, Sull’opportunità della parola d’ordine Stati Uniti d’Europa (Per la discussione internazionale), «Pravda», 30 giugno 1923, in op. cit., p. 100  

  4. Per i lettori che dovessero strabuzzare gli occhi davanti a tali affermazioni, occorre qui ricordare che tale principio era in linea con la Nep, la Nuova politica economica, con cui Lenin aveva cercato di rivitalizzare l’economia dell’U.R.S.S. al termine della devastante guerra civile del 1919- 1921, mentre la statalizzazione assoluta di ogni attività economica e proprietà fu alla base delle politiche staliniane di industrializzazione forzata e competizione economica sul mercato mondiale. – N. d. R. 

  5. Altiero Spinelli, Enesto Rossi, Il Manifesto di Ventotene, Celid per conto del Consiglio Regionale del Piemonte, Torino 2001, Parte Terza: Compiti del dopoguerra- La riforma della società, pp. 24 – 26  

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Sport e dintorni – Storie di politici dell’Italia repubblicana alle prese col calcio https://www.carmillaonline.com/2020/02/11/sport-e-dintorni-storie-di-politici-dellitalia-repubblicana-alle-prese-col-calcio/ Tue, 11 Feb 2020 22:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=57899 di Gioacchino Toni

I rapporti tra calcio e politica sono di lunga data; d’altra parte era inevitabile che uno sport capace di appassionare ed intrattenere come pochi altri non risultasse appetibile anche per chi ha legato le sue sorti politiche al consenso. Fabio Belli e Marco Piccinelli, che in un volume precedente – Calcio e martello. Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, 2017) – si erano interessati ad alcune storie del calcio oltrecortina capaci di segnare l’immaginario ad Est come ad Ovest, in La Repubblica nel pallone. Calcio e politici, un amore non corrisposto (Rogas edizioni, Roma, 2019) hanno [...]]]> di Gioacchino Toni

I rapporti tra calcio e politica sono di lunga data; d’altra parte era inevitabile che uno sport capace di appassionare ed intrattenere come pochi altri non risultasse appetibile anche per chi ha legato le sue sorti politiche al consenso. Fabio Belli e Marco Piccinelli, che in un volume precedente – Calcio e martello. Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, 2017) – si erano interessati ad alcune storie del calcio oltrecortina capaci di segnare l’immaginario ad Est come ad Ovest, in La Repubblica nel pallone. Calcio e politici, un amore non corrisposto (Rogas edizioni, Roma, 2019) hanno scelto di raccontare undici storie di politici dell’Italia repubblicana – a volte influenti protagonisti, altre vere e proprie meteore balzate alla cronaca per poi sparire senza lasciare traccie di sé se non nelle aule dei tribunali e nei conti non saldati – che in qualche modo hanno corteggiato, non sempre dotati di genuina passione, l’universo pallonaro del Belpaese.

Il volume si apre passando in rassegna il rapporto tra Presidenti della Repubblica e mondo del calcio raccontando in particolare di Giuseppe Saragat, che riceve al Quirinale la Nazionale campione d’Europa nel 1968 e quella che due anni dopo perde la finale dei mondiali messicani contro il Brasile di Pelè, di Giovanni Leone, tifoso dichiarato del Napoli, di Sandro Pertini, protagonista mediatico della vittoria azzurra dei mondiali spagnoli del 1982, di Francesco Cossiga, che oltre a palesare il suo sostegno alla Juventus in piena foga da picconatore non ha mancato di inveire contro la “giustizia sportiva” alle prese con Calciopoli nel 2006, di Carlo Azeglio Ciampi, affezionato ai colori della sua Livorno, per poi arrivare a Sergio Mattarella che, nonostante la riservatezza, pare seguire con un certo interesse le sorti del Palermo e dell’Inter.

Un capitolo è dedicato al caso del tutto particolare di Achille Lauro che lega la sua storia al calcio sin dal periodo fascista individuandone un importante strumento di consenso per poi proseguire nel dopoguerra, quando le vicende politiche personali – passando dalle liste monarchiche a quelle del Movimento sociale – si intrecciano con quelle che lo vedono gestire la società del Napoli Calcio con spavalde scelte imprenditoriali.

I rapporti dei politici comunisti col calcio sono invece raccontati attraverso la storia di Marco Rizzo che si intreccia, in giovane età, con quella della curva dei tifosi del Torino tra le fila del gruppo Ultras Granata, mentre in un’altra sezione del libro si parla del legame con la squadra degli Agnelli di alti esponenti del Pci a partire da Palmiro Togliatti, passando poi per Luciano Lama ed Enrico Berlinguer, con un’appendice post-Pci dedicata al tifoso juventino Walter Vetroni pragmaticamente attento però a non inimicarsi il tifo romanista.

Spazio è concesso anche a Ciriaco de Mita, la cui fortuna politica coincide con quella dell’Avellino nella massima serie durante gli anni Ottanta. Quanto diretta sia stata l’influenza del democristiano sulle sorti della squadra irpina è difficile da dire, tuttavia, si sostiene nel libro, «il rapporto tra De Mita e l’Avellino fu una sorta di amore pensato, in cui la presenza costante non fu mai accompagnata da esternazioni che nel mondo di oggi si potrebbero considerare quai d’obbligo per un esponente politico così in vista […] Non è un mistero che la Democrazia Cristiana, nell’espressione della sua nomenclatura, non disdegnasse operare dietro le quinte, e magari l’influenza demitiana la ricordano con più efficacia ad Avellino e dintorni, piuttosto che a livello nazionale» (pp. 43-44).

Inevitabilmente gli autori si soffermano sul rapporto tra Giulio Andreotti e la Roma, dagli stretti rapporti prima con Franco Evangelisti e poi con Dino Viola, a sostengo della quale interviene direttamente per l’ampliamento del centro sportivo di Trigoria e nelle trattative per portare in giallorosso il brasiliano Paulo Roberto Falcão. Andreotti non manca nemmeno di adoperarsi personalmente per il salvataggio della Lazio sull’orlo del fallimento dopo le gestioni di Giorgio Chinaglia e Franco Chimenti e persino nelle vicende del Frosinone, visto come importante bacino elettorale.

Un caso curioso riguarda la figura di Giovanni Di Stefano, avvocato che intreccia la sua storia con quella del Campobasso Calcio e con le vicende della guerra in Jugoslavia tra debiti insoluti e loschi affari in giro per il mondo. Celebri sono restate alcune sue dichiarazioni, come quella in cui accredita l’allenatore Levkovic, da lui portato al Campobasso, di un passato alla guida nientemeno che del Macnhester United, ma che da quelle parti nessuno ha mai sentito nominare, o come il suo millantare di essere segretario del Partito nazionale italiano, formazione politica di cui non vi è traccia negli archivi. Attualmente, pare, Di Stefano si trova a fare i conti con la giustizia inglese per reati di frode, truffa, riciclaggio e via dicendo.

Anche la parabola politica di Bettino Craxi si intreccia in qualche modo con il mondo del pallone. Milanese ma tifoso granata, probabilmente ammaliato dal fascino del Grande Torino. «Craxismo e Torinismo si sfiorarono a lungo, ma si intersecano solamente in una fase. Alla fine degli anni Ottanta il segretario socialista è al termine della sua esperienza di presidente del Consiglio, ma gli anni della Milano da bere, che dureranno a lungo, sono ancora all’apice. Craxi continua a seseguire il Torino con passione ed interesse, ha un figlio milanista, Bobo, e un amico, Silvio Berlusconi, al quale nel 1986 ha consigliato di prendere in mano le sorti della squadra rossonera, potenziale veicolo di grande popolarità» (p. 81). A quelle date il Torino non se la passa bene, tanto che nel giugno del 1989 finisce in Serie B ed è a questo punto che Craxi decide di intervenire supportando Gian Mauro Borsano, una sorta di ambizioso Berlusconi in scala ridotta. La parabola di Borsano al Toro è di breve durata ed esaurita la propulsione elettorale la squadra viene smantellata mentre Craxi si trova alle prese con ben altri problemi.

Un capitolo del volume è dedicato alla ricerca del consenso politico-calcistico nella Roma della Seconda Repubblica, quando i riflettori calcistici sembrano tra i pochi strumenti in grado di dare visibilità a figure di candidati sindaci in un’epoca segnata dal rigetto della politica da parte dei cittadini. In apertura di millennio nascono addirittura liste come Avanti Lazio e Forza Roma gravitanti attorno a Dario Di Francesco, liste elettorali “a schieramento variabile” che si ripresentano a più riprese fino al 2016. Del mondo capitolino degli ultimi decenni, sul libro viene descritta anche la grottesca corsa dei politici a mostrarsi vicini al popolare capitano giallorosso Totti.

Altro personaggio appartenente al teatrino della Capitale a cui Belli e Piccinelli dedicano qualche pagina è il Cavaliere della Repubblica Italiana, nonché fondatore e segretario nazionale di Italia Morale, Mario Auriemma. Candidatosi sindaco nel 2015 a Roma, costui è stato negli anni Novanta presidente delle società dilettantistiche di Civitavecchia e Pomezia, oltre che amministratore del Giorgione Calcio e patron dell’Avellino negli anni Ottanta: tutte società fallite sotto la sua direzione.

La Repubblica nel pallone si chiude su Silvio Berlusconi, per oltre un trentennio proprietario del Milan, nonché, una volta “sceso in campo” direttamente in politica nei primi anni Novanta, a lungo riveste la carica di Presidente de Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana ed ancora, pur “trascinandosi in campo”, attivo nel mondo politico attuale. Sul legame calcio-politca (e televisione) è stato scritto tanto ma su un aspetto, sostengono gli autori del libro, ci si è soffermati poco: «quello del Berlusconi “tattico”, amante del calcio più di quanto lo sia stato del Milan» (pp. 121-122). Le ultime pagine di Belli e Piccinelli sono proprio dedicate all’eterna insoddisfazione, costantemente e pubblicamente esplicitata, dall’uomo di Arcore a partire da quando alla sua prima squadra, il Torrescalla, presto ribattezzata Edilnord in onore della sua società di costruzioni, insoddisfatto della conduzione tecnica della squadra, si è trovato costretto a sollevare dall’incarico allenatori come Marcello dell’Utri e Vittorio Zucconi.

Fabio Belli e Marco Piccinelli, La Repubblica nel pallone. Calcio e politici, un amore non corrisposto, Rogas edizioni, Roma, 2019, pp. , € 13,70


Sport e dintorni

 

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Il Governo del Cambia Niente https://www.carmillaonline.com/2018/06/03/il-governo-del-cambia-niente/ Sun, 03 Jun 2018 17:00:09 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46082 di Alessandra Daniele

“Le parole non bastano, il sì all’Euro va detto con convinzione” Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore, a Tagadà, La7, mercoledì 30 maggio.

La settimana scorsa, il presidente Mattarella ha dato l’Halt al governo Grilloverde perché non aveva detto sì all’Euro con sufficiente convinzione. Poi ha convocato Mr. Cottarelli, risolutore di problemi. Il Sacro Spread però gli ha dato torto. Gettare la maschera così può essere destabilizzante per i mercati. Quindi s’è riaperta la trattativa. Il presidente ha fermato Cottarelli. Salvini ha demansionato Savona, il candidato ministro euroscettico, [...]]]> di Alessandra Daniele

“Le parole non bastano, il sì all’Euro va detto con convinzione” Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore, a Tagadà, La7, mercoledì 30 maggio.

La settimana scorsa, il presidente Mattarella ha dato l’Halt al governo Grilloverde perché non aveva detto sì all’Euro con sufficiente convinzione.
Poi ha convocato Mr. Cottarelli, risolutore di problemi.
Il Sacro Spread però gli ha dato torto. Gettare la maschera così può essere destabilizzante per i mercati. Quindi s’è riaperta la trattativa.
Il presidente ha fermato Cottarelli.
Salvini ha demansionato Savona, il candidato ministro euroscettico, e l’ha rimpiazzato all’Economia con un tecnico di area Forza Italia – Fondazione Craxi – ben accetto alla UE.
Di Maio s’è rimangiato la richiesta d’impeachment per Mattarella, e s’è profuso in scuse fantozziane.
E alla fine il Grilloverde ha avuto l’imprimatur.
Dopo aver promesso per anni che sarebbero andati a Bruxelles a battere i pugni, pestare i piedi, strabuzzare gli occhi, ribaltare il tavolo, e vomitare sul tappeto, Salvini e Di Maio si rimangiano ogni proposito di ExIt che non sia solo una posa da selfie, un dabbing di facciata utile soltanto a far guadagnare un po’ di soldi agli speculatori, e varano un governo Lega-M5S pieno di tecnocrati dell’establishment, che contrariamente a quanto strombazzato dalla propaganda cazzara, non rappresenta nessun sostanziale cambiamento rispetto ai precedenti.

Questo è un governo di Grosse Koalition
Un’alleanza fra due partiti che alle elezioni si sono opposti insultandosi pesantemente a vicenda, per poi governare insieme, alla faccia dei loro elettori che li avevano votati credendoli alternativi. È una Grossolana Coalizione che ha fra i suoi padrini anche il semivivo Berlusconi, che come sempre gioca contemporaneamente su due tavoli: si dice all’opposizione, e intanto s’aggiudica proprio il ministero chiave più conteso, l’Economia. “That is not dead which can eternal lie“, non è morto chi può mentire in eterno.

Questo è un governo tecnocrate
Tecnici di lungo corso sono quasi tutti i ministri chiave, veterani dei governi Ciampi, Monti, Letta, Berlusconi, di Bankitalia, e di quel Bilderberg che un tempo il Movimento Due Facce considerava una specie di P2 internazionale.
Lo stesso premier Conte è un tecnico. “Avvocato difensore degli italiani”, difficile immaginare una definizione più berlusconiana, a parte forse “Nipote di Mubarak”. Conte è stato assunto dalla Casaleggio per fare il premier: è un contractor di governo. È sostanzialmente un mercenario, e anche questo è molto berlusconiano.
Di contractor, e come reclutarli, se ne intende anche la nuova ministra della Difesa, tecnica in quota grillina.
Del ministero della Pubblica Amministrazione s’occuperà invece l’avvocato difensore di Andreotti.

Questo è un governo reazionario
Razzista e securitario, progetta la costruzione di nuove carceri, e lager per migranti, ha piazzato un antiabortista omofobo al ministero della Famiglia, e alle classi subalterne non promette riscatto sociale, ma sussidi di sudditanza, e flat tax che farebbero risparmiare solo i ricchi.

Questo è un governo cazzaro
Perciò gli è stato consentito di nascere. La UE ha preteso un chiarimento:
“Avete promesso spese per 100 miliardi. State progettando di uscire dall’Euro?”
“No, stiamo solo mentendo agli italiani”.
“Ah, ok. Allora potete partire”.

Il potere s’è rimesso la maschera. È sbrindellata e grottesca, ma per adesso sembra funzionare ancora.
Pare che dopotutto anche stavolta avremo un po’ di Carnevale prima della Quaresima.
Superata l’impasse, il loop è ripartito.
Salvini al ministero dell’Interno garantisce la continuità con Minniti.

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L’alba dei morti viventi https://www.carmillaonline.com/2018/05/30/lalba-dei-morti-viventi/ Wed, 30 May 2018 21:00:07 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=46038 di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena [...]]]> di Sandro Moiso

Il grottesco e ridicolo dramma in corso sulla scena politica italiana mi ha ricordato, in un primo tempo e a cent’anni esatti di distanza (ahi, potenza del teatro e dell’immaginario!), il pirandelliano “Giuoco delle parti”, scritto dall’autore siciliano nel 1918, in cui un marito cinico (Leone Gala) lascia correre la moglie Silia, volubile e capricciosa, tra le braccia dell’amante, il debole Guido Venanzi, completamente dominato dagli altri due. Lascia correre però soltanto per stringere poi un cappio mortale intorno al collo del più debole, con un colpo di scena destinato a troncare in maniera irrefutabile la corrispondenza di amorosi sensi tra i due illusi. Rimediando però, allo stesso tempo, un marchio di infamia destinato ad accompagnarlo fino alla fine dei suoi giorni.
Mettete Sergio al posto di Leone, Matteo al posto di Silia e Luigi al posto di Guido e otterrete lo stesso risultato (che appunto non cambia col mutare dei fattori).

Ma il tormentone degli ultimi novanta giorni mi ha fatto anche ricordare che Amadeo Bordiga scrisse sul quindicinale “Il programma comunista” n. 14 del 1956 un compianto per Stalin: Plaidoyer pour Staline.
In tale articolo, proprio colui che fin dagli anni Venti si era erto ad intransigente avversario delle politiche che avrebbero portato l’Internazionale Comunista e l’URSS a diventare uno dei baluardi della controrivoluzione mondiale, si sarebbe trovato da solo a ripercorrere il percorso politico del suo avversario per dimostrare come ben poco, nel corso della Storia, sia dovuto alla volontà o alla personalità del singolo individuo. Proprio nel momento in cui, a tre anni di distanza dalla morte del “piccolo padre”, tutti i rappresentanti del perbenismo di destra e di sinistra si erano avventati come iene sulle spoglie di colui che, in occasione del XX congresso del PCUS svoltosi tra il 14 e il 26 febbraio di quello stesso anno, era stato accusato di tutti i “crimini” veri o presunti messi in atto dal regime e individuato come l’artefice di ogni errore seguito alla morte di Lenin.

Così fino a ieri, sarebbe stato possibile “compiangere” un governo ancora mai nato, contro cui erano stati indirizzati, fin dai primi giorni successivi alle elezioni del 4 marzo, gli strali della Sinistra, della Destra, del perbenismo, del filo-europeismo, dell’Europa germanica e di quella delle banche e della finanza, del berlusconismo, dell’anti-berlusconismo più scontato, dell’antifascismo più trito e di un antagonismo che di tale appellativo non riesce più nemmeno a salvare la facciata.

Un governo non nato, non solo per il possibile bluff di qualcuno dei suoi artefici, ma anche a causa di una rigida volontà di mantenimento dell’immutabilità sociale ed economica che si è mostrata dal 2011 in avanti e che è, sostanzialmente, conseguenza di un sistema di governo PD-Forza Italia che ha costruito il proprio potere finanziario e politico appoggiandosi sulle scelte più scellerate messe in atto dalla BCE, dai governi di Berlino e Parigi e dall’inconsistente parlamento europeo. Così, come aveva previsto Lucio Caracciolo, direttore della rivista mensile “Limes” e uno dei pochi, forse l’unico, commentatori politici italiani degni di essere ascoltati, affermando qualche settimana prima delle elezioni del 4 marzo che PD e FI avrebbero fatto di tutto per impedire un governo con i 5 Stelle, salvo poi tornare ad elezioni (nel corso dello stesso anno) in cui i populisti avrebbero trionfato.

Possibile governo che, dalla sua, avrebbe un risultato elettorale ottenuto attraverso la simultanea distruzione, avvenuta nelle urne da Nord a Sud, dei due feticci che insieme hanno governato l’Italia nel corso degli ultimi 25 anni: Berlusconi e il PD, in tutte le loro differenti formule elettorali. Uno scossone elettorale che ha rivelato, e pochi l’hanno colto, come gli italiani con tale voto abbiano cercato di togliere di torno i due falsi avversari che hanno inquinato la politica italiana; in cui berlusconismo e anti-berlusconismo hanno costituito l’esercizio di una fasulla opposizione sia di “Destra” che di “Sinistra”. Gioco in cui sono cascati quasi tutti, anche negli ultimi mesi e comprese alcune delle migliori penne di ciò che rimane di più vivace nel circo mediatico italiano.

Ma, in realtà, le ultime giravolte avvenute intorno al Quirinale con un frenetico via vai inconcludente ed inconsistente di un rappresentante del Fondo Monetario Internazionale come Carlo Cottarelli, la sua fuga dal retro del Palazzo, il disordine in sala stampa e negli studi televisivi, le affermazioni affrettate del giovane partenopeo, tutto avvolto nel tricolore e pentito dello sgarbo nei confronti del Presidente Mattarella, la paura degli economisti e dei commentatori di fronte alla salita dello spread e alla caduta dei titoli di borsa italiani oltre agli ondeggiamenti dell’uomo “con le palle” fascio-leghista, hanno infine ricordato al sottoscritto, ancora a quarant’anni di distanza, le prime, magnifiche immagini di disordine e caos mediatico fuori controllo di Dawn of the Dead (in Italia Zombi) di George Romero. E sinceramente a tutt’ora sembra, e si spera anche con soddisfazione dell’ esperto in tale settore Gioacchino Toni, l’impressione più corretta ed efficace da trasmetter ai lettori di Carmilla.

Il sottoscritto, poi, non ha mai nutrito simpatie per i 5 Stelle, fin dalla loro prima comparsata politica nel 2012 (qui), e tanto meno per il leghismo, ma quanto è accaduto in questi giorni (sostanzialmente la manovra di Mattarella per respingere il governo proposto originariamente dalle due forze politiche) più che rappresentare una vittoria del costituzionalismo contro l’avventurismo e il fascismo, ha rappresentato, definitivamente, la perdita di autonomia dei parlamenti nazionali, dei sistemi elettorali e della volontà dei cittadini rispetto alle regole stabilite degli interessi della finanza internazionale, dalle attuali classi dirigenti e del capitalismo tedesco.
L’affermazione di un autentico fascismo europeo che è, nonostante tutto, tutt’altro e, per ora, ben più autoritario e armato del fascismo verde-giallo nostrano della cui presunta sconfitta si nutrono con soddisfazione gli ancor troppi sinistrati mentali.1

Ma qui occorre aprire una parentesi per capire di cosa si parla quando si parla di Europa e di capitalismo finanziario. Se si pensa infatti a un blocco unico (modello SIM, Stato Imperialista delle Multinazionali) si è fuori strada tanto quanto chi alla fine degli anni Settanta produsse quel tipo di analisi politico-economica.2 Come ho affermato più volte il capitale è unitario soltanto nei confronti degli oppressi e degli sfruttati di ogni razza, genere e nazionalità, ma non nella sua intima essenza imperialistica ed espansionistica. Come le ultimissime decisioni sui dazi sull’acciaio e l’alluminio europei volute dal presidente americano confermano pienamente (qui).

Anche se, spesso, gli stessi suoi rappresentanti, proprio come è successo ieri, tranquillizzati da periodi troppo lunghi di funzionamento in modalità pilota automatico, perdono completamente la capacità di affrontare e rimettere nelle giuste bottiglie i demoni scatenati, indipendentemente dal fatto che questi siano costituiti dalla speculazione finanziaria, da un voto andato male oppure dal trambusto istituzionale, politico ed economico causato da un rappresentante dello Stato, forse, non all’altezza della situazione. Rivelando così che non solo valore e denaro sono meri feticci che, se male agitati, possono causare improvvise cadute e malattie peggio degli spilloni dei riti voodoo, ma anche che lo stesso pilota automatico, più volte evocato, potrebbe alla fine rivelarsi soltanto come una delle tante leggende metropolitane. Così anche come il termine Europa, di volta in volta sbandierato come un feticcio di irrinunciabile salvezza o come un mostro tentacolare dominato da una volontà maligna e da un’intelligenza onnicomprensiva.

L’Europa di cui si parla oggi è un’Europa a trazione tedesca, certo non più quella sperata dai suoi ideatori sotto il fascismo, quali Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il Manifesto di Ventotene.
E’ un‘Europa “unificata” dal trattato di Maastricht nel febbraio del 1992, un passo previsto all’interno del percorso di unificazione europea successivo all’avvio del Mercato Comune Europeo (MEC), ma avvenuto sostanzialmente poco dopo la riunificazione tedesca del 3 ottobre 1990. Una riunificazione che aveva avuto un immediato e pesante riflesso nell’esplodere delle guerre balcaniche, causate dal tentativo di alcune repubbliche (prima quella slovena, poi quella croata ) di correre al riparo di una Mitteleuropa tedesca e protetta dal marco (che già come moneta dominava gli scambi anche in Serbia).

Guerra che si basava sì anche sulle mai definitivamente risolte divisioni inter-etniche che soltanto il carisma di Tito era riuscito a sopire (e reprimere), ma che, in primo luogo, vide Francia e Regno Unito cercare di limitare immediatamente la novella espansione economica e politica della Germania riunificata verso l’Europa dell’Est che, proprio in quegli anni, sembrava essersi liberata dall’ipoteca ex-sovietica. Mentre Stati Uniti, attraverso la NATO, e Russia intervennero soprattutto per lasciare l’Europa cuocere nel proprio brodo di conflitti mai sopiti fin dal primo macello mondiale e non perdere la possibilità di interferire reciprocamente in un’area non secondaria dello scacchiere internazionale.

Maastricht doveva quindi servire anche ad ingabbiare Germania e marco in una rete di relazioni economico-politiche destinate, lasciando allo stesso tempo libertà di espansione al dinamismo economico tedesco, a portare beneficio anche agli altri rappresentanti dell’Unione Europea, magari trasformando il marco (che all’epoca era uno delle tre grandi monete di scambio a livello internazionale, dopo dollaro e yen) in una moneta unica (l’euro) in grado di rivaleggiare soprattutto con il dollaro.

Se non si capisce questo si continua a parlare inutilmente di aria fritta. Infatti Maastricht doveva servire a frenare l’evidente capacità espansiva del capitalismo e della moneta tedesca, sfruttandone allo stesso tempo le potenzialità di produzione e di assorbimento di merci (all’epoca soprattutto italiane), senza ripercorrere le strade assassine, che si stavano nuovamente affacciando ai confini d’Europa, che erano già state percorse due volte nel corso del XX secolo. Che poi all’interno dei promotori ci fossero paesi filo-tedeschi (come l’Italia) e anti-tedeschi (Francia e Gran Bretagna in particolare) non modificava affatto il profilo che l’Europa, unita da una moneta unica, avrebbe dovuto mantenere approfittando comunque della potenza economica tedesca come fattore di centralizzazione economico-politica. Fatta salva la possibilità per la Gran Bretagna di aderire a tale principi comunitari senza rinunciare alla propria moneta, la sterlina. Ancor importante sul mercato dei cambi.

Il trattato, entrato in vigore nel 1993, vide però, a partire dagli anni a cavallo tra i due secoli, i veri padroni della moneta unica, sostanzialmente i tedeschi, farsi rapidamente detentori del codice comportamentale di tale unione e sfruttare a loro vantaggio le norme monetarie, finanziarie e commerciali messe in atto. Anche senza una nuova guerra la Germania tornava, ed è effettivamente tornata, ai suoi vecchi, irrinunciabili obiettivi di controllo sul continente europeo e, in particolare sulla sua manodopera e il suo costo (in casa e fuori) (qui).

Il modello cui si fa quindi riferimento, quando si parla di europeismo e di adesione all’euro è dunque sostanzialmente quello fin qui delineato. Un accordo tra fratelli-coltelli in cui il cosiddetto asse franco-tedesco non è mai davvero decollato, come le frizioni tra Macron e Merkel hanno dimostrato ancora nelle ultime settimane (qui e qui)), mentre altri paesi, come l’Italia e la Spagna, hanno dovuto accodarsi in nome di un maggior vantaggio finanziario (usufruire di una moneta forte) destinato nel tempo a strangolare il tenore di vita dei lavoratori e dei propri cittadini, dopo un primo illusorio balzo in avanti.

Sostanzialmente, da qualche anno (diciamo dal 2011) la Germania di Merkel è passata all’incasso del prestito di benessere fasullo concesso a paesi come l’Italia con l’introduzione dell’euro. Spinta a questo anche dai rischi che la sua banca più importante, Deutsche Bank, sta correndo, dopo aver incamerato per anni titoli spazzatura e derivati sul debito italiano di cui sta cercando di incrementare la reddività (qui, qui e qui ). Motivo ulteriore di spinta per un rialzo del rendimento dei titoli di paesi come l’Italia (aumento del differenziale di redditività o spread) per poter guadagnare sui propri investimenti esteri mantenendo basso o addirittura negativo quello dei titoli emessi in Germania.
Così, con la macelleria sociale che ne è conseguita, è stato annunciato pubblicamente che la festa era finita, perché lo era anche su scala mondiale, altrimenti non si capirebbe l’irrigidimento delle politiche autarchiche statunitensi nei confronti soprattutto dei prodotti europei e tedeschi, visto che con la Cina Trump dovrà per ora, e per forza di cose, trovare ancora una quadra.

Qualcuno, proprio oggi (qui), ha affermato che la caduta delle borse di New York (-1,58%), di Parigi (-1,29%) e Francoforte (-1,53%) registrato ieri, sia dovuto alle affermazioni di Di Maio, Salvini e Savona (chissà poi perché non Mattarella) attribuendo così a dei semplici battilocchi la responsabilità di eventi che affondano le loro radici in un modo di produzione socialmente obsoleto e in un sistema finanziario destinati, ormai da parecchio tempo, ad un irreversibile e drammatico tramonto.Così come la crisi europea, cui tutti si stanno preparando facendo finta che non possa avvenire, è ormai all’ordine del giorno e non certo soltanto per colpa dei nostri miseri omuncoli. Miseri omuncoli impauriti e convinti allo stesso tempo di essere così determinanti sul piano delle relazioni politiche ed economiche internazionali. Ci vorrebbe il Principe Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio in arte Totò a dir loro, con maggiore autorevolezza: Ma mi faccia il piacere…

Intanto, negli ultimi anni, i nuovi paesi produttori (Cina e India), le nuove potenze locali (Turchia, Iran, Arabia Saudita) e vecchi avversari sono tornati in gran spolvero di attività diplomatica e militare (Russia) reclamando un nuovo posto al sole e gli Stati Uniti devono concederglielo oppure sostenere guerre locali destinate a ridurre il numero dei pretendenti alla ricchezza mondiale (magari cercando di eliminare i più scomodi, come l’Iran, e contenendo i più pericolosi dal punto di vista militare, come la Russia di Putin). Che poi questo si intrecci alle mille vie del petroli e del gas non è certo né secondario né, tanto meno, casuale.

L’Europa, da questo punto di vista è tagliata fuori e l’unificazione del comando e dell’azione diplomatica e militare resta soltanto un bel, e oramai sorpassato, sogno. La parola d’ordine continua ad essere quella del secolo appena passato: ognuno per sé e la Germania contro tutti o sopra tutti. Deutschland, Deutschland Über Alles! Prendere o lasciare, non c’è altra scelta. Il pilota automatico di cui si parla spesso, a proposito delle varie crisi economiche e politiche nazionali è essenzialmente un pilota di lingua tedesca, anche se poi tutti i centri e gli organismi finanziari cercano comunque ogni volta di speculare ed ingrassare a spese dei lavoratori e dei cittadini sempre meno garantiti di ogni paese reso più debole. Un gioco per il quale potenzialmente non può esserci, al momento fine (qui). Se non con il nuovo scatenarsi di un altro conflitto mondiale destinato a ristabilire un nuovo ordine dei vincitori. Preceduto magari anche da un’uscita proprio della Germania dal sistema dell’euro o, perlomeno, dalla creazione di due diverse euro-aree. Ipotesi tutt’altro che peregrina secondo numerosi osservatori finanziari e politici (qui).

In attesa di ciò, la maggioranza dei governi europei, talvolta a malincuore, ha scelto lo status quo, poiché diversi sistemi di governo oppure differenti gruppi di potere potrebbero rappresentare un salto nel buio, pericoloso sia per gli interessi tedeschi che per quelli dei suoi competitor (come la Francia). Da qui la risposta univoca e negativa che i rappresentanti dell’Unione hanno dato e continuano a dare ogni volta ad istanze di cambiamento dei rapporti e delle regole già stabilite. E da qui, dunque, un primo motivo dell’aborto, tutt’altro che spontaneo, intervenuto in occasione della mancata formazione del governo giallo-verde in Italia.

Forse perché la regola più condivisa è costituita dal fatto che non essendo l’Italia un paese qualsiasi, poiché è ancora il secondo paese industriale del continente europeo dopo la Germania, la realizzazione di un governo populista in loco potrebbe avere una deriva politica decisiva nei maggiori paesi (Francia e Germania) le cui elite, pur già potenzialmente avversarie, preferiscono ancora mantenere un ruolo direttivo all’interno dei propri confini. Per ora meglio cercare di ridimensionare gli obiettivi e i risultati dei cosiddetti populismi (ovunque sia possibile) e prender tempo, in attesa che qualcosa cambi. Tenuto conto, come ha sottolineato il quotidiano spagnolo El País del 24 maggio, che mentre i partiti populisti anti-europeisti erano 10 in Europa nel 2017, oggi sono saliti a 43. Mentre anche il fedelissimo governo di Mariano Rajoy sembra oggi traballare pericolosamente. Un autentico scenario da brivido per le prossime elezioni del parlamento di Strasburgo.

Paventato oggi con grande preoccupazione dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker alla plenaria a Strasburgo: «Entro un anno gli europei avranno votato per un nuovo parlamento europeo di cui nessuno conoscerà la composizione e che sarà differente da quella attuale, cosa che mi fa nutrire qualche inquietudine. – ha precisato Juncker – E vorrei che tutti noi ci impegnassimo in una sorta di contratto contro il populismo galoppante che possiamo vedere in Europa e in tutti i Paesi, compreso il mio» (qui).

Questo è il significato dell’autentico coup d’etat/coup de theatre realizzato da Sergio Mattarella che però, nella sua foga di zelante servitore, non ha realizzato di essere egli stesso expendable, al contrario di Re Giorgio che lo aveva preceduto. Gli errori si pagano, soprattutto quelli madornali, quelli che suscitano, invece di placarli, i demoni sopra citati. Prova ne sia la scarsa fiducia suscitata, anche nei possibili ministri, dall’uomo del Fondo Monetari Internazionale che, probabilmente non intascherebbe neanche il voto di fiducia da parte del PD (qui). E il ritorno alla proposta di un governo “politico” con i due giovani galletti (dalle creste però un po’ abbassate) sembra riproporre un gioco dell’oca politico in cui ogni volta che arrivano alla casella Savona i concorrenti devono tornare sui propri passi.

Certo è il fatto che se il governo SalviMaioConte non è ancora nato, non è dovuto soltanto all’intervento di forze esterne. Anche le contraddizioni al suo interno, non solo tra 5 Stelle e Lega, ma anche interne alle due stesse forze politiche (qui) hanno contribuito a paralizzarne l’azione. Cosa però che potrebbe essere superata nel corso dei prossimi giorni, con un più deciso schieramento a destra dei 5 Stelle. Le comparsate pubbliche negli ultimi giorni di un risorto Di Battista segnalano infatti un cambio di marcia e di argomentazione in vista della prossima campagna elettorale, in cui probabilmente il pallido e moderato Di Maio potrebbe essere messo da parte e sostituito da argomenti e personaggi più muscolari.

Mentre potrebbe farsi sempre più difficile la via di un’alleanza del centro destra in cui Berlusconi, pur precocemente liberato dai carichi pendenti, potrebbe non più avere lo stesso potere di attrazione fatale sugli elettori di destra e sulla Lega, considerato che quest’ultima avrebbe forse più da guadagnare elettoralmente da una sua autonomizzazione dal Cavaliere che non da un ulteriore rinsaldamento dei legami con lo stesso; debolezza segnalata anche dal brusco calo dei titoli azionari della società del Cavaliere che, nel giorno del calo del 2,3% della borsa milanese, sono scesi del 5% ovvero più del doppio, vuoi per ricatto finanziario e politico nei confronti di colui che stringe ancora i cordoni della borsa di Forza Italia e Lega, vuoi per sfiducia nella sua tenuta politica, unica garanzia per le aziende Mediaset. Dubbio che assale anche i fratelli minori dello stesso schieramento, la cui leader ha già deciso che piuttosto che perdere ulteriori voti della destra cosiddetta sociale a favore del programma fascio-leghista, sparendo dal quadro elettorale, sarà meglio piegarsi a Salvini e continuare a vivere nelle pieghe di un sovranismo meglio espresso a Varese che non a Roma.

Sovranismo che, una volta giunto al governo, potrebbe liberare tutte le proprie potenzialità repressive e autoritarie approfittando, come modello politico, proprio dell’azione esercitata da Mattarella, così come l’azione di Minniti ha favorito l’affermazione del dettato leghista sulla questione migranti e sicurezza, come si è accorto, sebbene in ritardo ed opportunisticamente, anche il presidente del PD Matteo Orfini (qui e qui).

L’ultimo dato “istituzionale” da segnalare è che la promessa del Presidente della Repubblica di voler salvare con il suo veto i risparmi degli italiani si è rivelata inconsistente fin da subito, considerato il fatto che nei due giorni successivi lo spread è salito fino a 320 punti e in Borsa il valore dei titoli italiani, prevalentemente bancari, ha continuato allegramente a scendere. Mentre il capo zombi di un governo nato già morto continuava a promettere aumenti dell’IVA e peggioramenti economici vari se il suo governo non avesse ricevuto la fiducia delle camere. Alla faccia del bon ton e del garbo che così tanti hanno rimpianto nelle trasmissioni televisive precedenti alla mancata realizzazione del governo giallo-verde.3 Il tutto contornato da un minaccioso clima da colpo di stato bianco in cui il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza dichiarava, dal 29 maggio e in previsione delle manifestazioni del 2 giugno, la necessità di blindare e proteggere le sedi delle istituzioni non solo a Roma ma in tutta Italia.

Tralasciando di completare adesso un quadro che potrebbe complicarsi ancora nei giorni e nelle ore a venire, occorre ora provare a delineare quali potrebbero essere le possibili strategie e tattiche che un movimento antagonista allo stato di cose presente dovrebbe sperimentare se davvero volesse opporsi autonomamente a tali trasformazioni e duelli in atto su scala nazionale ed europea.

Prima cosa da dire sarebbe che la partecipazione elettorale non ha, al momento, più ragione d’esistere, soprattutto se tale partecipazione invece di voler solo rappresentare una cassa di risonanza parlamentare per le lotte, volesse, come hanno immaginato alcune vecchie mummie sindacali e politiche annesse a Potere al Popolo, proporsi come parte di possibili alleanze di governo.
Se due forze, sostanzialmente conservatrici e nazionaliste come 5 Stelle e Lega, che pur a breve potrebbero essere pienamente riconosciute per un rilancio politico di un’unità nazionale destinata a far fronte all’inevitabile crisi dell’Europa di Maastricht, sono state bloccate in ogni modo nel loro tentativo di sostituirsi all’ancien regime di PD e FI, c’è da immaginarsi quale possibilità di affermazione parlamentare potrebbe avere una forza caratterizzantesi come di estrema sinistra (tenuto conto che oggi i media tendono a definire come tali le mummie di LeU, di Rifondazione o di Sinista Italiana).

Come seconda cosa non si parli più di democrazia parlamentare: non esiste. È stata definitivamente stracciata davanti agli occhi di milioni di cittadini in diretta televisiva.
Dalla Catalunya a Parigi fino a Roma la risposta del potere è una sola: lasciate ogni speranza voi che entrate nell’arengario politico, non avrete più ascolto e possibilità di soddisfazione delle vostre speranze, per quanto misere. E’ già di sabato 26 maggio la risposta di Macron, a nome di tutti gli oligarchi europei: Non saranno le manifestazioni oceaniche a poter modificare il nostro programma di riforme.

Nemmeno se i cittadini si rivolgono ancora a forze sostanzialmente conservatrici quali Lega, Movimento 5 Stelle o il Partito Democratico Europeo Catalano di Carles Puidgemont.
Per il capitale la riposta è per ora soltanto: guerra senza quartiere! Come dimostra, ad esempio, l’insegna elaborata dal comandante della gendarmerie francese operante sul territorio della ZAD, trattando tale operazione di polizia come un autentica operazione di guerra. E rivelando perciò definitivamente come, ormai da anni, qualsiasi operazione di polizia sia in realtà un’operazione di guerra, esterna o interna ai confini nazionali che sia.

Gli antagonisti, gli oppressi, i lavoratori, gli sfruttati, i migranti da oggi avranno davanti soltanto il Moloch del capitale e i suoi irreprensibili funzionari. I movimenti reali già lo sanno di non aver e di non poter avere governi amici, ma ora lo sapranno anche tutti coloro che, pur illudendosi e molto spesso tappandosi il naso, hanno riposto le loro speranze in partiti populisti che, ricordiamolo sempre, hanno raggiunto e raggiungerebbero ancora, la maggioranza dei seggi in Parlamento

Proprio per questo motivo sarà sempre più inutile inseguire quegli stessi partiti sul loro stesso terreno. Lo fanno meglio loro, liberi da considerazioni di classe poiché interclassisti, mentre la scelta dell’inseguimento costringerebbe il movimento antagonista a spingersi sempre di più sul terreno della Destra, non dal punto di vista sociale (milieu piccolo borghese deluso, sottoproletariato e proletariato privo di qualsiasi garanzia), ma proprio su quello ideologico.
Ricordiamoci sempre che molti membri delle S.A. (Squadre d’assalto) hitleriane, poi eliminate dalle S.S. nella Notte dei Lunghi Coltelli tra il 30 giugno e il 1° luglio 1934, provenivano da un’estrema sinistra delusa dai continui ondeggiamenti della politica della Terza Internazionale stalinizzata.

Dovremmo forse difendere ancora i confini nazionali, la democrazia parlamentare, una Costituzione buona per tutti gli usi e chiedere ancora il diritto di espressione a chi usa qualsiasi strumento politico, mediatico, economico e militare per negarcelo? Oppure quel fetido antifascismo, come quello oggi rappresentato da Renzi in qualità di mediano (qui), che si presenta solo, sempre e soltanto quando serve a compattare, in chiave elettorale, una sinistra divisa con i peggiori rappresentanti del vero fascismo istituzionale e del capitalismo finanziario? E, infine, dovremmo forse rimpiangere la vecchia moneta nazionale, così come sembrano fare le orrende pubblicità televisive sulle sue riedizioni in oro zecchino da parte del Gruppo poligrafico e della zecca di Stato (qui)?

No, se il capitale finanziario ha necessità, nel suo sviluppo di abbattere i confini nazionali e le istituzioni giuridiche sacre per la borghesia faccia pure. Se, come ha fatto il 29 maggio il commissario tedesco al bilancio europeo Oettinger. minaccerà ancora gli italiani o gli altri cittadini europei affermando che «i mercati insegneranno agli italiani come si vota» (qui), ci aiuterà soltanto nell’opera di distruzione dei feticci di una società ipocrita ed autoritaria, che sventola unità di intenti ma prepara immani conflitti imperialistici e di classe. Una società che parla di umanità, ma che sa offrire soltanto sofferenza, distruzione e sfruttamento dell’uomo sull’uomo e sull’ambiente.

Non abbiamo nulla da salvare di questo Stato, non abbiamo interessi nazionali, non abbiamo territori vitali da difendere ad ogni costo e non accetteremo nessun appello alla loro difesa, sia che provengano da Destra come da Sinistra. Siamo tutti migranti e i confini ci sono soltanto di ostacolo, e lo sono ancora di più per le lotte. Il capitale ha lavorato per noi, non nei termini banali del progresso sbandierato per decenni dai rappresentanti di partiti liberali o di sinistra asserviti agli interessi di un indistinto sviluppo economico, ma rivelando il suo vero e autoritario volto.

Chi lo rappresenta evidentemente ha oggi tutto da perdere, tanto da doversi preoccupare anche soltanto per un banalissimo scossone elettorale, e poiché ce lo ha rivelato in maniera così meschina possiamo essere certi, al contrario, che noi avremo tutto da guadagnare e soltanto delle vecchie catene da perdere o da rivolgere come armi contro i nostri oppressori.
Il Re è nudo e il Kapitale anche e così i loro fasulli avversari istituzionali.
Affogheranno insieme nella tempesta che hanno scelto di scatenare.
Il tempo delle briciole cadute dal tavolo e dei piatti di lenticchie offerti in occasione delle promesse elettorali sta per finire perché noi vogliamo tutto.


  1. Devo qui ringraziare Nico Maccentelli per l’efficace definizione  

  2. Si veda L’ape e il comunista, (a cura del Collettivo Prigionieri Politici delle Brigate Rosse), “Corrispondenza Internazionale” N° 16/17, ottobre-dicembre 1980 poi ripubblicato per Pgreco, 2013  

  3. Si vedano le ridicole affermazioni di Lilli Gruber e Evelina Christillin nella trasmissione 8 e mezzo dell’8 maggio, in cui la prima rimpiangeva il bon ton chiedendo più garbo in politica, mentre la seconda paragonava lo sgarbo istituzionale di 5 stelle e Lega nei confronti di Mattarella al bullismo scolastico.  

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Halt https://www.carmillaonline.com/2018/05/28/halt/ Mon, 28 May 2018 17:30:53 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=45995 di Alessandra Daniele

Ce l’avevano messa tutta per accontentare l’establishment. Un programma reazionario e cazzaro, vari ministri tecnici, addirittura un premier di area PD. La Lega aveva l’imprimatur di Berlusconi, il Movimento 5 Stelle s’era rimangiato quasi tutti i suoi principi. Ce l’avevano messa davvero tutta, ma all’establishment UE non è bastato. Ed è arrivato l’altolà al governo Grilloverde. L’Italia non è un paese “a sovranità limitata”, è un paese senza sovranità. Votare è completamente inutile, e la cosa non è mai stata così chiara. E pericolosa. Fascioleghisti e grillini cavalcano la tigre, [...]]]> di Alessandra Daniele

Ce l’avevano messa tutta per accontentare l’establishment.
Un programma reazionario e cazzaro, vari ministri tecnici, addirittura un premier di area PD.
La Lega aveva l’imprimatur di Berlusconi, il Movimento 5 Stelle s’era rimangiato quasi tutti i suoi principi.
Ce l’avevano messa davvero tutta, ma all’establishment UE non è bastato.
Ed è arrivato l’altolà al governo Grilloverde.
L’Italia non è un paese “a sovranità limitata”, è un paese senza sovranità.
Votare è completamente inutile, e la cosa non è mai stata così chiara. E pericolosa.
Fascioleghisti e grillini cavalcano la tigre, sperando che li porti alla maggioranza assoluta, in particolare Salvini s’aspetta di stravincere le prossime elezioni. Eppure dovrebbe averlo capito che vincere le elezioni non serve a niente.
La UE non transige. Non c’è più spazio per una democrazia, nemmeno simulata, non c’è più spazio nemmeno per giocare alla democrazia.
Stavolta il Carnevale è finito prima di cominciare. Arriva Cottarelli mani di forbice, per l’ennesimo Governo Tecnico già pronto in frigo da tempo:

Un altro esecutivo formato da tecnici che nessuno ha votato, sostenuto da partiti che hanno perso le elezioni, e presieduto da una personalità istituzionale che sta sul cazzo anche alla sua famiglia. Come ha detto Mario Draghi, in Italia c’è ancora il pilota automatico.
I Blattopardi – 4 febbraio 2018

Intanto la Dottrina Minniti continua a fare morti. Sabato una quindicina, massacrati dalle milizie libiche mentre tentavano di scappare da uno dei lager finanziati dall’Italia, e altri annegati durante la traversata su gommoni di fortuna.
E continua la strage quotidiana degli operai, morti sul lavoro. Mentre Mattarella, fra gli applausi di Merkel e Macron, prepara l’ennesimo governo-sicario della finanza, sostenuto dai soliti sicari Democatici, dalla minaccia del Sacro Spread, e dalla promessa rimandata di ennesime elezioni completamente inutili.
Siamo prigionieri in questo loop da troppo tempo.
Il sistema rischia di bruciare.
Halt and Catch Fire. Se ne esce solo con un Reset.

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L’ultima consultazione https://www.carmillaonline.com/2018/04/12/lultima-consultazione/ Thu, 12 Apr 2018 19:00:21 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=44957 di Alessandra Daniele

Quando arrivò l’allerta dei servizi segreti, al Quirinale era in corso un vertice informale fra i leader dei principali partiti, il premier uscente, e il presidente della Repubblica, alla ricerca d’un accordo per il nuovo governo che superasse lo stallo generato dal risultato incerto delle elezioni, e dai veti incrociati. I leader furono interrotti in pieno litigio dal presidente, che posando il suo telefono personale, annunciò: “Gli Stati Uniti stanno bombardando la Siria, e s’aspettano una rappresaglia russa che potrebbe innescare un’escalation. I servizi segreti raccomandano di trasferire immediatamente il vertice [...]]]> di Alessandra Daniele

Quando arrivò l’allerta dei servizi segreti, al Quirinale era in corso un vertice informale fra i leader dei principali partiti, il premier uscente, e il presidente della Repubblica, alla ricerca d’un accordo per il nuovo governo che superasse lo stallo generato dal risultato incerto delle elezioni, e dai veti incrociati.
I leader furono interrotti in pieno litigio dal presidente, che posando il suo telefono personale, annunciò: “Gli Stati Uniti stanno bombardando la Siria, e s’aspettano una rappresaglia russa che potrebbe innescare un’escalation. I servizi segreti raccomandano di trasferire immediatamente il vertice dello Stato italiano nel bunker sotto il Colle”.
I leader si guardarono a vicenda, shoccati.
Il premier uscente disse in tono solenne: “Sono pronto”.
“Eh no! – Protestò il leader nominato dal Movimento – Lei non ha nessun diritto al bunker, il suo governo s’è già dimesso!”
“Ma non ce n’è ancora un altro” obiettò il premier uscente.
“Sì che c’è! – Intervenne il leader delegato dal centrodestra, tendendo la mano a quello del Movimento – Abbiamo appena trovato un accordo”.
“Non vale! – Protestò il leader provvisorio del centrosinistra – non avete ricevuto il mandato, non avete prestato giuramento, non avete ottenuto la fiducia!”
“Basta con la burocrazia! La fiducia non è necessaria. Ci basta giurare davanti al presidente”.
“E noi giuriamo” annuì il leader del Movimento.
I due si presero sottobraccio.
“Ah si? E chi di voi fa il premier? Chi scende nel bunker?” Chiese il leader del centrosinistra.
I due sottobraccio si fissarono, e dissero in coro “Io!”
Poi s’afferrarono per le rispettive cravatte e cominciarono a strattonarsi, insultandosi.
Il presidente della Repubblica li guardò con aria imbarazzata.
“Il vertice dello Stato a cui si riferisce l’allerta dei servizi segreti sono io – precisò – soltanto io”.
“Perché?” Protestarono i due, con ancora in mano la cravatta dell’avversario.
“Perché secondo accordi internazionali segreti, in caso di guerra nucleare l’Italia perde del tutto la sua sovranità, e quindi non necessita più d’un governo autonomo, ma soltanto d’un esecutore delle direttive NATO”.
“Noi siamo sempre stati ottimi esecutori” disse il leader del centrosinistra, indicando il premier uscente.
“Sì, ma non c’è più bisogno di voi. Come capo delle Forze Armate, basto io” rispose il presidente. Schiacciò un pulsante sulla sua scrivania. Una delle librerie scivolò lungo la parete, rivelando una porta segreta.
I leader si precipitarono verso la porta, quattro agenti dei servizi ne uscirono, bloccandoli. Il presidente prese una valigetta dalla scrivania, e imboccò rapido la porta, seguito dagli agenti. La libreria la richiuse, lasciando fuori i leader.
“È tutta colpa vostra!” Strillò il leader del Movimento.
“Ma vaffanculo!” Urlarono gli altri.
Poi un rombo assordante sopra le loro teste li fece tacere.

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In Africa si va https://www.carmillaonline.com/2018/01/07/africa-si-va/ Sun, 07 Jan 2018 20:01:06 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=42621 di Alessandra Daniele

Il conte Gentiloni ha chiuso l’anno e il mandato con l’invio d’un contingente della Folgore in Africa. Buon 1882. Per la gioia dell’amico Macron, e naturalmente dell’ENI, ai parà in Niger seguiranno specialisti del Genio, addestratori, esperti delle forze speciali. Il loro compito ufficiale sarà “contrastare il traffico di migranti”. Ammazziamoli a casa loro. È così che il conte è risalito nei sondaggi. Il sobrio, banale Gentiloni: non era difficile prevedere il suo avvento dopo Renzi. Lo schema ormai è consolidato. Dopo la Quaresima tornerà il Carnevale, per questo Berlusconi e Di Maio sperano, [...]]]> di Alessandra Daniele

Il conte Gentiloni ha chiuso l’anno e il mandato con l’invio d’un contingente della Folgore in Africa.
Buon 1882.
Per la gioia dell’amico Macron, e naturalmente dell’ENI, ai parà in Niger seguiranno specialisti del Genio, addestratori, esperti delle forze speciali.
Il loro compito ufficiale sarà “contrastare il traffico di migranti”.
Ammazziamoli a casa loro. È così che il conte è risalito nei sondaggi.
Il sobrio, banale Gentiloni: non era difficile prevedere il suo avvento dopo Renzi.
Lo schema ormai è consolidato.
Dopo la Quaresima tornerà il Carnevale, per questo Berlusconi e Di Maio sperano, e si preparano a passare tutta la campagna elettorale promettendo soldi facili a tutti come un casinò online.
Il PD ha invece già definitivamente bruciato il suo Cazzaro.
La Commissione banche è stata un’idea sua.
Lo chiamano Capitan Boomerang.
Meteor Renzi s’è schiantato, e il PD non ne ha ancora pronto un altro, quindi spera di prolungare artificialmente la vita del governo Gentiloni-Minniti oltre le elezioni, come già fece con il governo Monti nel 2013.
Mattarella ha paragonato i ragazzi che diventeranno maggiorenni quest’anno alla generazione del 1899, che fu spedita a morire nella Prima Guerra Mondiale.
Ha fatto uno spoiler involontario?
Il previously però era incompleto: quando ha parlato del “più lungo periodo di pace del nostro paese e dell’Europa”, Mattarella ha dimenticato che la Jugoslavia era in Europa. E che l’Italia l’ha bombardata.
Come ha dimenticato tutte le guerre neocoloniali alle quali l’Europa – Italia compresa – ha partecipato in questi 70 anni.
Era concentrato sul suo parallelo contro l’astensionismo giovanile.
In effetti, l’unico sistema per convincere i diciottenni a partecipare alla tragica farsa che è diventata la democrazia italiana è la coscrizione obbligatoria sotto minaccia di fucilazione.
Carnevale o Quaresima, la facciata cambia ma la sostanza rimane la stessa: neoliberismo, neocolonialismo, abolizione dei diritti sociali, mercificazione e sfruttamento delle risorse umane.
È sempre l’agenda Monti.
Sono le regole del Mercato, anzi del Supermercato.
È là il nostro futuro, ci passeremo il Natale, il Capodanno, il Ferragosto, ci toccherà persino partorirci. Vivere e morire al Supermarket.
Non come clienti però, e neanche come commessi. Noi siamo la merce in vendita.
Nel Supermercato degli schiavi.

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Il rimpasto nudo https://www.carmillaonline.com/2017/01/08/il-rimpasto-nudo/ Sun, 08 Jan 2017 20:04:40 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=35689 di Alessandra Daniele

“Questo governo non è il Renzi bis, è il Monti quater” Alberto Bagnai, economista, a Coffee Break

Non è difficile riconoscere nella plumbea sobrietà di Mattarella e Gentiloni la stessa matrice di Monti. Lo stesso sprezzante classismo del ministro del Lavoro Poletti, parallelo al classismo razzista del ministro dell’Interno Minniti. La reificazione sistematica degli esseri umani da vendere e comprare come un pacchetto di sigarette, classificati in base al loro valore di mercato, espressa in modo così eloquente dalla definizione “migranti economici”. Dopo il crollo rovinoso della facciata posticcia renziana è di nuovo sotto gli occhi di tutti il volto metallico [...]]]> di Alessandra Daniele

“Questo governo non è il Renzi bis, è il Monti quater”
Alberto Bagnai, economista, a Coffee Break

Non è difficile riconoscere nella plumbea sobrietà di Mattarella e Gentiloni la stessa matrice di Monti.
Lo stesso sprezzante classismo del ministro del Lavoro Poletti, parallelo al classismo razzista del ministro dell’Interno Minniti.
La reificazione sistematica degli esseri umani da vendere e comprare come un pacchetto di sigarette, classificati in base al loro valore di mercato, espressa in modo così eloquente dalla definizione “migranti economici”.
Dopo il crollo rovinoso della facciata posticcia renziana è di nuovo sotto gli occhi di tutti il volto metallico della tecnocrazia al potere.
Quell’oligarchia finanziaria che aveva scelto Renzi come frontman, sperando che catalizzasse le spinte antisistema per metterle al servizio del solito piano di smantellamento della Costituzione antifascista, e sostituzione della Repubblica democratica con un’altra struttura più congeniale alle esigenze del mercato.
Gli era quindi stato affidato il volante del PD perché lo guidasse alla vittoria.
Matteo Renzi l’ha schiantato contro un muro.
Tre volte di seguito.
Regionali, comunali, referendum.
Nonostante il sostegno di tutti i poter forti, con l’adesione compatta e servile dei media mainstream, in soli due anni il Cazzaro, coi suoi strapagati consigliori americani, le sue ministre-immagine, e tutta la sua corte di spocchiosi incapaci, ha perso tutto quello che c’era da perdere.
Matteo Renzi non è solo un perdente, è un recordman della disfatta.

Dopo il crash del renzismo, il Sistema s’è riavviato ripristinando la configurazione precedente. L’oligarchia si ritrova ancora una volta a dover escogitare una legge elettorale che rappresenti la volontà popolare il meno possibile, e nello stesso tempo consenta Grossolane Koalition permanenti, telecomandate dall’Unione Europea, sulle quali l’esito del voto possa produrre al massimo un rimpasto con l’espulsione di qualche sottosegretario indigesto, sputacchiato fuori come i canditi del panettone.
Dato il suo fallimento, gli interessi e la carriera di Renzi non sono più in cima alle preoccupazioni dei suoi committenti.
Gliel’ha detto chiaro Mattarella nel messaggio di fine anno: Matteo stai sereno, non si voterà né quando né come servirebbe a te.
Tutte le trattative sono riaperte.
L’era della velocità è finita.

La mia rubrica Schegge Taglienti compie nove anni.
Il primo post riguardava il dibattito sulla legge elettorale:

Allora Ponzio Pilato chiese alla folla di scegliere tra Gesù e Barabba, e subito la folla si divise.
Metà chiedeva di votare col sistema uninominale secco, l’altra metà preferiva il proporzionale con sbarramento al 3%.
Allora Ponzio Pilato chiese alla folla di scegliere con quale sistema scegliere,
e subito la folla si divise.
Metà chiedeva una raccolta di firme per un referendum propositivo, l’altra metà preferiva una legge costituzionale da sottoporre a referendum abrogativo.
Allora Ponzio Pilato chiese alla folla di scegliere con quale sistema scegliere il sistema col quale scegliere, e subito la folla si divise.
Metà chiedeva l’istituzione di una commissione apposita, l’altra metà preferiva il televoto.
Allora Ponzio Pilato guardò Gesù e Barabba, e lanciò una moneta.
Uscì croce.

La moneta di Pilato ovviamente ha due croci.

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Il Pattarello https://www.carmillaonline.com/2015/02/01/il-pattarello/ Sun, 01 Feb 2015 21:08:51 +0000 http://www.carmillaonline.com/?p=20411 di Alessandra Daniele

maschereDopo una settimana di fiacca pantomima durante la quale hanno recitato da cani un bisticcio pretestuoso, tutti i nazareni dal PD a Forza Italia, con la patetica aggiunta in corsa di Vendola, hanno eletto e lasciato eleggere al Quirinale Sergio Mattarella, settantenne democristiano di lungo corso sostenuto da Napolitano, cercando di spacciare la manovra come una scelta innovativa e super partes. Completamente irrilevanti come da copione i grillini. Un democristiano presidente del Consiglio, un democristiano presidente della Repubblica, un solo grande partito democristiano trasversale, modulare, componibile, che va da Razzi a Civati, e che s’espande costantemente occupando tutte le [...]]]> di Alessandra Daniele

maschereDopo una settimana di fiacca pantomima durante la quale hanno recitato da cani un bisticcio pretestuoso, tutti i nazareni dal PD a Forza Italia, con la patetica aggiunta in corsa di Vendola, hanno eletto e lasciato eleggere al Quirinale Sergio Mattarella, settantenne democristiano di lungo corso sostenuto da Napolitano, cercando di spacciare la manovra come una scelta innovativa e super partes.
Completamente irrilevanti come da copione i grillini.
Un democristiano presidente del Consiglio, un democristiano presidente della Repubblica, un solo grande partito democristiano trasversale, modulare, componibile, che va da Razzi a Civati, e che s’espande costantemente occupando tutte le posizioni di potere, come un blob riempie tutti gli anfratti.
Il soffocante monocolore DC subentrato allo sguaiato impero del Sòla si consolida sempre di più.
Demitiano, pluriministro di Andreotti, De Mita, Prodi, Amato e D’Alema, giudice costituzionale, apparentemente diafano, in realtà granitico: Mattarella è un democristiano quintessenziale.
Renzi è un cazzaro che ha riciclato in blocco tutte le sue promesse non mantenute del 2014 come programma per il 2015, ed ha accompagnato al Quirinale la personificazione di quella stessa eterna nomenclatura che aveva giurato di rottamare.
A Berlusconi, come nel 2011, è toccato ancora una volta recitare la parte dello sconfitto, permettendo così al collega cazzaro di tacitare per un po’ la stizzosa ma opportunista minoranza interna, e disorientando soltanto quei berlusconiani abbastanza rincoglioniti da non aver ancora capito o accettato che per il Canaro di Arcore l’impegno politico è sempre stato soltanto un mezzo per meglio curare i suoi affari.
Se fino a tre anni fa gli serviva il ruolo di protagonista, oggi in tempi di crisi gli è più utile quello di spalla: il mite ex sovrano che subisce le prepotenze del principino per il bene del regno.
Mattarella è l’autore della legge elettorale che nel 1994 gli consegnò il paese, quant’è credibile che Berlusconi consideri davvero la sua presenza al Quirinale una sconfitta?
La pantomima che ci viene spacciata per democrazia diventa sempre più grottesca, e le maschere che la interpretano sempre meno simili a qualcosa d’umano.

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