Sam Esmail – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Thu, 31 Jul 2025 20:00:07 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 Ombre nell’acqua (2025) e altri orrori balneari https://www.carmillaonline.com/2025/07/15/ombre-nellacqua-2025-e-altri-orrori-balneari/ Tue, 15 Jul 2025 20:00:37 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=89601 di Paolo Lago e Gioacchino Toni

La serie televisiva australiana in sei episodi Ombre nell’acqua (The Survivors, 2025 – Netflix) realizzata da Tony Ayres e tratta dal romanzo omonimo del 2020 di Jane Harper, è ambientata a Eaglehawk Neck, in Tasmania, in una località di mare immaginaria, Evelin Bay. Si tratta di un luogo liminale e lontano, quasi una variante esotica soleggiata delle località isolate e marginali nelle quali si ambientano diverse serie crime nordiche, da Trapped (Ófærð, dal 2015 – Netflix) a La cupola di vetro (Glaskupan, 2025 – Netflix).

Su Evelin Bay gravano degli oscuri avvenimenti del passato, la scomparsa [...]]]> di Paolo Lago e Gioacchino Toni

La serie televisiva australiana in sei episodi Ombre nell’acqua (The Survivors, 2025 – Netflix) realizzata da Tony Ayres e tratta dal romanzo omonimo del 2020 di Jane Harper, è ambientata a Eaglehawk Neck, in Tasmania, in una località di mare immaginaria, Evelin Bay. Si tratta di un luogo liminale e lontano, quasi una variante esotica soleggiata delle località isolate e marginali nelle quali si ambientano diverse serie crime nordiche, da Trapped (Ófærð, dal 2015 – Netflix) a La cupola di vetro (Glaskupan, 2025 – Netflix).

Su Evelin Bay gravano degli oscuri avvenimenti del passato, la scomparsa di una ragazza e la morte in mare di altri due giovani durante una tempesta mentre si recavano a soccorrere un loro amico, Kieran Elliott (Charlie Vickers), intrappolato in una grotta sommersa dall’alta marea. Quest’ultimo, come anche la protagonista di Glaskupan, si è costruito la sua vita lontano dal luogo natio da cui si è dovuto allontanare per provare a sfuggire da un passato insopportabile.

Nel momento in cui, quindici anni dopo i tragici eventi che lo hanno condotto ad andarsene, Kieran vi fa ritorno assieme alla giovane compagna Mia Chang (Yerin Ha) e alla figlioletta Audrey, le ombre del passato riemergono e lo avvolgono sotto la forma non solo di un senso di colpa che lo attanaglia ma anche dell’accusa, perpetrata in paese dai parenti delle vittime, di essere il responsabile della morte degli amici che si misero in mare per soccorrerlo.

Come nel citato Glaskupan, anche in Ombre nell’acqua la vicenda narrata segue uno schema tutto sommato convenzionale: il personaggio protagonista, che ormai vive in città, fa ritorno nel paesino immerso nella natura della sua infanzia ove è stato coinvolto molto tempo prima in una vicenda drammatica; il ritorno lo costringe a fare i conti con un passato che continua ad incombere su di lui come sulla comunità locale dilaniata da quanto accaduto; a riportare a galla il passato provvede un nuovo evento traumatico che sconvolge nuovamente il paese; le indagini su questo ultimo evento permettono di approfondire diversi personaggi protagonisti tanto del presente quanto del passato, portando alla luce gli aspetti più oscuri di ognuno di loro; la risoluzione del nuovo dramma contribuisce a risolvere anche il precedente; l’emersione del rimosso consente a diversi personaggi di liberarsi di un peso che altrimenti avrebbe continuato a gravare su di loro.

Per quanto Ombre nell’acqua, come detto, si dipani lungo uno schema narrativo non particolarmente originale, non manca di mettere in luce alcuni aspetti meno scontati. La serie palesa, ad esempio, come nella piccola comunità cali più facilmente il sipario su una tragica scomparsa femminile rispetto alle scomparse maschili che invece continuano ad essere ricordate non soltanto dai parenti stretti ma dall’intero paese che elegge quei ragazzi a “figli della comunità” mentre destina all’oblio la ragazzina, la cui memoria resta privata all’interno della cerchia dei parenti stretti.

Di fronte al nuovo dramma, alla morte della giovane Bronte (Shannon Berry) intenta a ricostruire quella parte del passato che la comunità ricorda nelle sue cerimonie pubbliche ma che preferisce non affrontare fino in fondo, gli abitanti del paesino si preoccupano più di scagionarsi a vicenda che non di scoprire chi l’ha uccisa: la famiglia e comunità dovono pur essere preservate.

In Ombre nell’acqua – che non a caso lo stesso Tony Ayres definisce “un melodramma familiare travestito da mistery” – si aprono poi molteplici squarci su dinamiche affettive complesse, che ricordano un po’ le narrazioni scandinave, per quanto queste ultime insistano maggiormente su contesti parentali altolocati.

Si pensi, ad esempio al rapporto tra Kieran e la madre Verity (Robyn Malcolm), che gli ha a lungo negato l’amore materno incolpandolo della morte del fratello, oppure tra lo stesso protagonista e la sua vecchia fiamma Olivia “Liv” (Jessica De Gouw), che scatena la gelosia della compagna Mia con cui è tornato a Evelin Bay. Quest’ultima, a sua volta, si trova a fare i conti con la memoria del suo rapporto di amicizia in età adolescenziale con la scomparsa Gabbie. Le inquietudini affettive si ampliano poi nei rapporti tra Trish Birch (Catherine McClements) e le figlie Gabbie, che non vuole dimenticare, e “Liv”, dunque di quest’ultima con il fidanzato problematico Ash (George Mason) e via dicendo.

Altra questione posta dal film riguarda la figura di Brian Elliott (Damien Garvey), il padre del protagonista alle prese con l’Alzheimer non solo per il particolare rapporto che la famiglia si trova a strutturare con lui nei momenti di minor lucidità, ma anche per come la giustizia si possa e si debba rapportare nei suoi confronti quando lo ritiene possibile responsabile della morte della giovane Bronte.

Al di là degli intrecci tra personaggi, Ombre nell’acqua è particolare per la liminalità del luogo che possiede non solo caratteristiche spaziali ma anche temporali: il lato oscuro di Evelin Bay è dovuto agli accadimenti del passato il quale, al pari della lontananza geografica, sembra avvolgere la località in una dimensione oscura e terribile.

Evelin Bay è connotata dalla presenza di una natura imponente, di certo affascinante ma, per certi aspetti, ostile, gotica – un gotico decontestualizzato in un luogo esotico – si potrebbe persino dire: enormi scogliere con grotte ed anfratti naturali nei quali è estremamente pericoloso avventurarsi, spiagge sulle quali si riversa una potente risacca, tempeste marine che possono scoppiare improvvisamente in modo violento.

Il paese e i suoi dintorni dove si ambienta Ombre nell’acqua può quindi bene rappresentare una ulteriore variazione dell’orrore balneare, di una situazione, cioè, in cui si intensificano i tratti sia orrorifici che angosciosi, ambientata però in una località marina, apparentemente spensierata e, soprattutto, in una soleggiata estate.

La vicenda della serie si svolge infatti nella stagione estiva australe, e i personaggi camminano spesso lungo spiagge – sarà proprio una spiaggia il luogo in cui verrà ritrovato il cadavere di Bronte – e si incontrano nel pub del paese a bere e a scherzare. Il locale è per il protagonista sia un luogo in cui riceve la benevola accoglienza di alcuni vecchi amici, che quello in cui si manifesta pubblicamente l’ostilità di chi gli imputa la responsabilità della perdita dei propri cari, i giovani che la comunità si appresta a ricordare nell’imminente quindicesimo anniversario della scomparsa.

Un’altra caratteristica delle località dell’orrore balneare (ma anche, spesso, della liminalità nordica) è quella di possedere uno spazio nel quale la vita comunitaria si svolge apparentemente normale: un pub, una locanda, un negozio dove gli abitanti si ritrovano a discutere mentre sta incombendo un oscuro e inconoscibile terrore.

Agli spazi ‘antropizzati’, se così si può dire, si contrappongono quelli naturali che circondano, come un inquietante labirinto che si distende d’intorno, la cittadina e le sue case. Quasi come mostri naturali appaiono allora le scogliere, le insenature, le stesse onde del mare, le grotte, le foreste e, nel momento dell’arrivo di una tempesta, gli addensamenti nuvolosi nel cielo. Evelin Bay è anche questo: la bellezza e l’orrore di una natura sempre in agguato sembrano fare biologicamente parte della sua essenza.

L’orrore balneare, d’altra parte, possiede numerose interessanti declinazioni nella letteratura ma, soprattutto, nel cinema. Basti pensare alle località di mare, origine della dimensione orrorifica, in cui si ambientano alcuni racconti di Edgar Allan Poe, come Il manoscritto trovato in una bottiglia e La storia di Arthur Gordon Pym o a Whitby, la località balneare inglese dove, in un inquietante e tempestoso agosto, giunge la nave mostruosa del vampiro in Dracula di Bram Stoker, momenti resi efficacemente da Werner Herzog nella sua rilettura attuata con Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht, 1979) in cui si vede Lucy in un piccolo cimitero sulla riva del mare battuta dal vento.

Una interessante riscrittura di una storia di vampiri in chiave gotico-balneare-mediterraneo è stata poi attuata nei primi anni del Novecento da Daniele Oberto Marrama nel suo racconto dal titolo Il Dottor Nero, in cui un vecchio capitano di mare, al calar della sera di un giorno di maggio, non riesce ad affacciarsi alla terrazza della sua villa sul mare, a Capri, per timore dei vampiri.

Come detto, sono numerosi gli esempi cinematografici di serene e spensierate località marine che si trasformano improvvisamente in scenari spaventosi quando non proprio orrorifici. Si pensi alla cittadina balneare di Bodega Bay in cui si ambienta Gli uccelli (Birds, 1963) di Alfred Hitchcock: qui, in pieno periodo di vacanze, si scatena l’infernale impazzimento degli uccelli. Lo scenario dell’azione, nella piccola località di provincia, si dipana spesso tra piccoli negozi e locande, veri e propri luoghi di aggregazione sui quali però si sta per abbattere un inquietante orrore.

Non si può poi non pensare a Lo squalo (Jaws, 1975) di Steven Spielberg, dove nell’immaginario paesino balneare di Amity si sta per abbattere la furia assassina del feroce animale. Anche Amity, come Bodega Bay, nei momenti iniziali della storia appare come un luogo perfetto e idilliaco, intriso della sua tranquillità unicamente dedita al turismo nel pieno della stagione estiva.

L’orrore, sotto la forma di squalo, emerge dai più oscuri interstizi dell’industria spettacolare della società capitalistica, quella del turismo estivo e del divertimento a tutti i costi; prima dell’apparizione del mostro, infatti, i turisti nuotano e si divertono spensierati e ignari dell’orrore che si può celare dietro al divertimento di massa imposto dalla società contemporanea che già a metà degli anni Settanta, in cui si ambienta il film, toccava uno dei suoi culmini.

In Il mondo dietro di te (Leave the World behind, 2023) di Sam Esmail, invece, al posto dello squalo, creatura mostruosa legata pur sempre all’universo naturale e animale, l’orrore si insinua su una spiaggia affollata sotto le vesti di una petroliera a guida autonoma satellitare sabotata da un fantomatico attacco terroristico. Negli anni Venti del Duemila, sembra che il terrore, persino su una spiaggia, non possa più essere condotto da uno squalo più o meno mutante ma da un mostro tecnologico guidato dall’intelligenza artificiale.

Infine, legato a eventi del passato, come quelli di Ombre nell’acqua, appare anche l’orrore che racconta John Carpenter in Fog (The Fog, 1980): la nebbia assassina che invade le strade di San Antonio Bay, un’altra tranquilla località balneare, è legata a eventi avvenuti cento anni prima quando gli abitanti del paese avevano provocato il naufragio di una nave di lebbrosi.

La natura ostile di Evelin Bay, per certi aspetti, appare anche ‘vampiresca’ nei confronti degli abitanti del luogo: ne risucchia le forze vitali fino alla morte e li fa precipitare in angosciosi perturbamenti. Al posto del castello abitato dall’inquietante conte troviamo scenari naturali bellissimi ma anche angoscianti, intrisi di un fascino oscuro ed ambiguo.

Tra l’altro, sempre in tema di vampiri, si incontra una interessante decontestualizzazione esotica e ‘australe’ della figura del vampiro nel film Vita da vampiro – What we do in the Shadows (2014) di Taika Waititi e Jemaine Clement, in cui sono messe in scena le vicende quotidiane di un gruppo di vampiri che vivono a Wellington, in Nuova Zelanda.

Parlando di natura ‘vampiresca’ non è possibile allora non ricordare la spiaggia tropicale dove vengono condotti gli ospiti di un lussuoso resort in Old (2021) di M. Night Shyamalan: in una natura dalle connotazioni esotiche molto simili a quelle che vediamo in Ombre nell’acqua, i personaggi in spiaggia sono sottoposti a un rapidissimo processo di invecchiamento che li conduce inesorabilmente ad ammalarsi.

Dietro la bellezza di una spiaggia esotica si cela l’orrore della società capitalistica: il resort, infatti, altro non è se non un laboratorio che utilizza inconsapevoli turisti come cavie per la sperimentazione di nuovi farmaci attuata da una scienza al servizio del capitale.

Se l’industria del turismo spettacolare che mercifica ogni luogo del mondo, da una parte, blandisce i suoi potenziali clienti, dall’altra li trasforma in vittime sacrificali che devono essere immolate sull’altare del cieco sviluppo e – per dirla con Robert Kurz – di una ragione sempre più “sanguinaria”.

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The Shrouds (2024). Il corpo, oltre l’ultimo respiro https://www.carmillaonline.com/2025/04/13/the-shrouds-2024-il-corpo-oltre-lultimo-respiro/ Sun, 13 Apr 2025 20:00:45 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=87864 di Paolo Lago e Gioacchino Toni

Per quanto Crimes of the Future (2022) di David Cronenberg, nel mettere in scena il desiderio degli esseri umani di ritrovare un barlume di vita nella ricerca del dolore in un corpo ormai anestetizzato nel suo lento ma inesorabile processo di artificializzazione, avesse tutte le caratteristiche per risultare l’episodio finale di una lunga carriera incentrata sui processi di mutazione del corpo e con esso dell’identità dei personaggi, evidentemente non si era ancora giunti ai titoli di coda ed al momento di riaccendere le luci in sala. A distanza di un paio di anni dal film [...]]]> di Paolo Lago e Gioacchino Toni

Per quanto Crimes of the Future (2022) di David Cronenberg, nel mettere in scena il desiderio degli esseri umani di ritrovare un barlume di vita nella ricerca del dolore in un corpo ormai anestetizzato nel suo lento ma inesorabile processo di artificializzazione, avesse tutte le caratteristiche per risultare l’episodio finale di una lunga carriera incentrata sui processi di mutazione del corpo e con esso dell’identità dei personaggi, evidentemente non si era ancora giunti ai titoli di coda ed al momento di riaccendere le luci in sala. A distanza di un paio di anni dal film il regista canadese ha aggiunto alla sua produzione un ulteriore episodio, portando la macchina da presa sin dentro la tomba, in quell’ultimo prolungamento di presenza del corpo ancora soggetto alla trasformazione nel suo lento e inesorabile processo di dissoluzione finale. Il desiderio di dare a vedere gli splendori e le mostruosità delle mutazioni del corpo umano in vita si è spinto alla sua ultima metamorfosi, prima della definitiva scomparsa.

Pensato inizialmente come opera seriale televisiva, The Shrouds (2024) si è trasformato in un film, presentato in anteprima al 77º Festival di Cannes nel 2024. Questa ultima produzione cronenberghiana ruota attorno alla figura di Karsh (Vincent Cassel), produttore di video industriali, che, dilaniato dalla perdita della moglie Becca (Diane Kruger), decide di costruire una futuristica necropoli dotata di una tecnologia, denominata Grave Tech, in grado di mostrare in tempo reale la decomposizione dei cadaveri avvolti all’interno di avveniristici sudari.

Nel momento in cui tale innovativa tecnologia si appresta ad essere lanciata sul mercato internazionale e dunque, potenzialmente, a divenire una modalità di sepoltura diffusa almeno tra chi può permettersi i costi, alcune di queste avveniristiche sepolture vengono profanate. Tentando di individuare i responsabili del gesto e di comprenderne le motivazioni, il protagonista si trova a fare i conti con una serie di ipotesi che contemplano non meglio definiti gruppi ecologisti antitecnologici, hacker al soldo dello spionaggio di potenze straniere e segrete sperimentazioni mediche, oltre che gelosie e risvolti passionali inconfessati di amanti ed ex coniugi che toccano i protagonisti del film, inducendo Karsh a riflettere sulla sua attività imprenditoriale e sul senso del prolungare il rapporto con il corpo dell’amata per via scopica.

Se tradizionalmente i sudari (shrouds), a cui ricorrono diversi riti funebri, intendono celare il volto dei defunti, nel film, nella loro variante tecnologica, questi manifestano, al contrario, l’intenzione di rivelare, insieme al volto ed al resto della salma di chi ha perso la vita, la “morte al lavoro”, nel suo atto di trasformare e consumare quel che ancora resta dell’essere umano dopo l’ultimo respiro, il corpo.

L’avveniristica tecnologia capace di prolungare il contatto visivo con il corpo intende soddisfare la necessità di mantenere il legame con il corpo di una persona cara, nell’incapacità di pensarla, anche nel ricordo, oltre ad esso. Per il protagonista del film, il corpo della moglie defunta resta l’unico, straziante, ancoraggio possibile all’amata; le immagini che mostrano in diretta il suo processo di deterioramento divengono, dunque, un ultimo disperato tentativo di prolungarne la presenza corporea.

Come ribadito tante volte dal cinema cronenberghiano e dallo stesso autore, il corpo resta la vera essenza dell’essere umano, la sua identità1. Un corpo destinato a trasformarsi in continuazione in vita come, per qualche tempo, dopo il sopraggiungere della morte, prima che di questo scompaia ogni traccia.

Karsh realizza una necropoli dalle forme minimaliste composta da una serie ordinata di lapidi dotate di monitor attraverso cui, ricorrendo ad una app, è possibile osservare i defunti a cui si è legati. Le sofisticate immagini tridimensionali dei corpi, a differenza di quanto accade nella tradizione che dalle antiche maschere mortuarie conduce alle fotografie post mortem, non mirano alla mummificazione degli effigiati, bensì a soddisfare un voyeurismo necrofilo, un desiderio scopico da consumare in tempo reale al fine di prolungare il rapporto, per quanto esclusivamente visivo, con i corpi dei defunti.

Non sfugge come il desiderio di mantenere il legame con la moglie venuta a mancare si converta in business, a riprova di come anche la morte ed il lutto non tardino ad essere piegati al profitto, né sfugge l’impulso a portare alle estreme conseguenze la pratica di vetrinizzazione ossessiva e continuativa a cui si è votato l’individuo contemporaneo2, in assenza della quale sembra non riuscire più a percepire ed a manifestare al mondo la propria presenza, il proprio esserci e con esso il proprio essere3. Emblematica, in tal senso, la conversazione, al loro primo incontro in un ristornate, tra il protagonista e Myrna Slotnik (Jennifer Dale), in cui i due ironizzano sull’impossibilità che si possano ancora dare “incontri al buio”, stante la possibilità tecnologica di sapere e, soprattutto, vedere tutto della persona con cui ci si incontra per la prima volta.

Come altri film cronenberghiani, The Shrouds mette in scena l’impossibile unità tra entità distinte e la tematica del doppio4 che si palesa non solo nelle due sorelle Becca e Terry, pressoché identiche, interpretate dalla medesima attrice e replicate persino nella grafica di Hunny, l’assistente AI installata sullo smartphone del protagonista, ma anche nel ricorrere, nel ruolo di quest’ultimo, ad un attore, Cassel, duplicante le fattezze del regista stesso.

Se nel film si possono cogliere richiami a celebri doppi femminili hitchcockiani, o a personaggi che si duplicano su più piani visivo/narrativi in film precedenti dello stesso canadese, a rafforzare l’effetto moltiplicatore provvedono i tanti schermi dei dispositivi tecnologici presenti, nonché i momenti di intimità con la moglie che si replicano nelle apparizioni oniriche di Karsh, mentre le menomazioni e le cicatrici di Becca ricompaiono, agli occhi dell’uomo, sul corpo di SooMin Szabo (Sandrine Holt), l’amante che, costretta a cercare il contatto tattile con la realtà e con gli individui, a causa del suo stato di cecità, suggerisce un’alternativa alla dipendenza scopica del protagonista.

Il futuro distopico e ipertecnologico narrato dal film, un futuro assai vicino e simile alla nostra epoca, in cui l’Intelligenza Artificiale ed i più diversi dispositivi digitali fanno parte della sfera più intima degli individui, è ossessionato dalle tombe e dalla morte come negli interstizi più arcani ed arcaici della modernità. Sembra che non ci sia nessuna differenza fra un’epoca digitalizzata e ipermoderna e gli inizi del XVIII secolo in cui si diffuse una vera e propria “epidemia vampirica” soprattutto nell’Europa dell’est5. Se i viaggiatori occidentali, all’epoca, erano ‘contagiati’ dalle credenze e dalle superstizioni delle sperdute lande orientali dell’Europa, laddove si riesumavano i morti e si mutilavano per paura che potessero riemergere dal sepolcro per nuocere ai vivi, in pieno occidente ipertecnologico si costruiscono tombe per poter osservare il processo di decomposizione dei cadaveri.

Quello messo in scena da Cronenberg è un mondo ossessionato dalla morte, che guarda con terrore a ciò che sta sottoterra e desidera tenere sotto controllo i processi di cui sono investiti i corpi nelle tombe: un mondo molto simile a quello degli inizi del Settecento, quando si temevano i vampiri e si riesumavano i morti. Le magiche superstizioni si sono velate di tecnologia ma restano ugualmente crudeli e barbare. L’orrore della modernità si è trasformato in tecnologia. Le paure notturne, il terrore degli incubi, quegli esseri che apparivano nella notte e si posavano sui corpi addormentati gravando su di essi riemergono sotto forma di ossessioni e depressioni legate a un passato irrisolto.

Se le fake news sui vampiri, negli anni Trenta del Settecento, hanno posto le basi per le attuali teorie del complotto6, sembra che queste ultime vadano di pari passo con il miglioramento delle tecnologie. L’aumento della tecnologia e delle innovazioni scientifiche corrisponde all’aumento di un sostrato magico7 lungamente represso che riemerge dalle profondità dei cimiteri. L’uomo digitalizzato, circondato di AI e di smart car che si guidano da sole, di ritrovati tecnologici all’avanguardia, è superstizioso e intriso di arcana magia non meno di un contadino della Slesia del Settecento8. Non a caso, il geniale informatico creatore di AI, Maury (Guy Pearce), è fermamente convinto di essere vittima di una serie di complotti.

Come per altre opere dell’autore, anche da The Shrouds è inutile pretendere maggiore verosimiglianza e definizione negli intrecci complottisti che vengono tratteggiati sommariamente soltanto per fare da sfondo alle questioni che interessano il regista, d’altra parte anche il mondo reale contemporaneo non è particolarmente incline alla plausibilità delle sue spiegazioni, basti pensare, ad esempio, alla narrazione riguardante le carneficine belliche in corso da parte di politici, media principali e narratori ‘alternativi’ da social inclini a limitarsi a ribaltare le versioni ufficiali.

Non è nemmeno impensabile che la smania voyeuristico-esibizionista contemporanea possa spingersi fino a seguire la decomposizione dei corpi oltre la morte, se si pensa che nella realtà vetrinizzata dei nostri giorni c’è persino chi, mosso da un incontenibile desiderio di esibizionismo sui social, non ha esitato a sottoporre al rischio di estinzione un’intera comunità indigena isolata dal resto del mondo al solo scopo di ottenere qualche visualizzazione in più9.

Anche in The Shrouds, come avviene in diverse altre opere cronenberghiane, viene posta una certa attenzione sull’atto del cibarsi da parte dei personaggi. La bocca rappresenta uno dei possibili viatici di accesso all’affascinante mondo interno ai corpi, a quella bellezza celata dall’epidermide a cui hanno fatto esplicito riferimento tanto Dead Ringers (1988), quanto Crimes of the Future (2022). Non a caso, dopo i titoli iniziali avvolti in un suggestivo pulviscolo luminoso ectoplasmatico dal lentissimo andamento spiraliforme, il film si apre su una bocca spalancata da un onirico urlo che si trasforma rapidamente nella cruda ‘realtà’ della cavità orale del protagonista sottoposto alle cure di un dentista, il dottor Jerry Hofstra (Eric Weinthal), che gli rivela come nel marcire della sua dentatura sia possibile vedere uno sorta di somatizzazione della decomposizione della donna amata osservata grazie ai tecnologici sudari.

L’urlo con cui si apre il film può ricordare quello lanciato da Lucy, sempre nei momenti iniziali della storia, in Nosferatu, il principe della notte (Nosferatu: Phantom der Nacht, 1979) di Werner Herzog. Qui, dopo una carrellata dalle connotazioni oniriche che riprende in primo piano diverse inquietanti mummie, vediamo la giovane svegliarsi di soprassalto e urlare, come se le immagini mostruose iniziali rappresentassero una prosecuzione ectoplasmatica del vampiro che sta per sferrare il suo attacco. Anche nel film di Cronenberg vediamo delle immagini che mostrano il corpo di Becca all’interno della tomba, un corpo evanescente che sembra uno spettro, una entità incorporea che non possiede assolutamente la fisicità della putrefazione cui lo stesso corpo è sottoposto.

Probabilmente, l’urlo viene lanciato proprio perché quel corpo si è trasformato in una escrescenza vampiresca, in una “mummia del pensiero”, un “automa spirituale” per utilizzare due espressioni usate da Gilles Deleuze riguardo agli esseri sonnambulici di Vampyr. Der Traum des Allan Grey (1932) di Carl Theodor Dreyer10. Come Nosferatu e come la vampira del film di Dreyer, Becca è un “automa spirituale” che riemerge non solo dalla tomba ma anche dal greve passato del protagonista. È un corpo non solo fisico ma anche spirituale perché emerge dalla coscienza ferita del personaggio; è un fantasma, è un corpo-pensiero divenuto spettro e vampiro. Becca assume connotazioni evanescenti e vampiresche anche nelle sue visite notturne a Karsh, al quale si mostra nuda e ricoperta di cicatrici, con un seno e un braccio amputati. Come in Crimes of the future (2022), le ferite e le alterazioni dei corpi sono anche ferite e alterazioni mentali e psicologiche: Becca-vampira è un corpo divenuto pensiero, emerso dalla terra putrescente ma anche dalle malate plaghe della mente del protagonista. È fatta più di pensiero che di carne.

Una delle prime sequenze del film mostra Karsh intrattenersi a pranzo con una donna, Myrna Slotnik (Jennifer Dale), presentatagli dal comune dentista, in un ristorante collocato nel complesso cimiteriale da lui realizzato. In un’elegante sala arredata con gusto minimalista giapponese alle cui pareti sono esposti alcuni esemplari degli inquietanti sudari tecnologici richiamanti antichi costumi orientali, Karsh consuma con fare controllato il suo pasto a minuti bocconi e piccoli sorsi di vino mentre inizia a confidare alla donna quanto ha realizzato per soddisfare il legame viscerale che continua ad intrattenere con la moglie scomparsa, in particolare con il suo corpo.

Che si tratti dei gesti del dentista sulla cavità orale dell’uomo, dei bocconi di cibo e dei sorsi di vino che valicano la bocca, viatico che conduce all’interno del corpo, o dell’osservazione del cadavere in decomposizione della moglie, attraverso orifizi, ferite e lacerazioni Cronenberg continua a condurre con le sue immagini oltre l’epidermide esplorando l’aspetto più corporeo dell’esistenza umana nella sua magnificenza e repellenza, nella sua potenza e vulnerabilità. The Shrouds ribadisce una volta ancora come il corpo resti per Cronenberg l’unico dato dell’esistenza umana a cui è possibile aggrapparsi, almeno finché ne resta traccia.

Il complesso cimiteriale e il ristorante di Karsh sono caratterizzati da linee geometriche e fredde, incastonate in un’architettura dai tratti razionalistici dai richiami orientali, come del resto la stessa abitazione avveniristica del personaggio. Non si può non pensare allora all’istituto di ricerca di Stereo (1969), al centro dermatologico House of Skin di Crimes of the Future (1970), al complesso residenziale delle Starliner Towers di Shivers (1975), alla clinica del dottor Keloid di Rabid (1977) ed al tetragono blocco granitico in cui ha sede la ConSec di Scanners (1981), tutti edifici isolati e caratterizzati da innovative architetture geometriche di stampo razionalista.

Nello spazio ipertecnologico, laddove la stessa tecnologia celebra i suoi fasti erigendosi a ornamento e sollazzo estetico per le frange più ricche della società, molto probabilmente, si cela l’orrore più terribile. Il perturbamento e l’orrore si nascondono negli angoli più razionali e tecnologici, dove i ricchi e i benpensanti, nei loro abiti eleganti, conversano amabilmente davanti a elaborate e costose portate.

Ancora una volta Cronenberg ci mostra come il mostro se ne stia rintanato negli spazi più impensati, nelle vite più regolate e scandite da razionali orpelli tecnologici e digitali. Se in Videodrome (1983) il mostro nascosto nell’intimità degli spazi domestici era rappresentato dallo schermo televisivo, terribile ed inquietante manipolatore degli individui, dei loro corpi e delle loro menti, The Shrouds mette in scena la pervasività dell’intelligenza artificiale che si insinua negli interstizi più privati dell’abitazione del protagonista. Hunny non è altro che una rivisitazione attuale e distopica dello schermo televisivo di Videodrome.

La stessa Tesla guidata da Karsh, lungi dall’apparire come un’icona pubblicitaria utilizzata subdolamente dal regista (niente di più lontano, crediamo, dagli intenti di Cronenberg per quanto notoriamente appassionato di automobili e motociclette), appare come un’auto mostruosa e ‘malvagia’, una versione attualizzata della demonica Crhistine di Christine la macchina infernale (Christine, 1983) di John Carpenter. Mentre il personaggio è alla guida, appare sì in primo piano il volante dell’auto con il marchio di fabbrica ma esso sembra alludere alla mostruosità insita in quello stesso marchio.

Se una volta era il diavolo in persona a guidare le automobili che andavano da sole, come la già citata Christine o la macchina nera dell’omonimo film (The Car, 1977) di Elliot Silverstein, adesso guidatrice fantasma è la tecnologia rappresentata per sineddoche dalle multinazionali automobilistiche, come Tesla appunto, in mano ad Elon Musk, braccio destro di Donald Trump e, come il neopresidente degli Stati Uniti, in prima fila fra le schiere dei negazionisti climatici.

Nel momento in cui Karsh appare ‘prigioniero’ della sua auto, condotto da Maury contro la sua volontà, la macchina da presa inquadra il volante mentre in sottofondo ascoltiamo delle sonorità inquietanti e dalle connotazioni ‘mostruose’, come se l’essere umano alla guida sia in realtà un impotente burattino in mano alla tecnologia che lo sta imprigionando e comandando. L’auto assume connotazioni inquietanti come la vecchia auto guidata da Vaughan in Crash (1996), personaggio mostruoso e quasi novella creatura frankensteiniana. In tale film, l’auto, guidata da quest’ultimo, sembrava quasi una entità infernale che si muoveva da sola.

Non possono che tornare alla mente anche le ‘demoniche’ Tesla di un recente film come Il mondo dietro di te (Leave the World behind, 2023) di Sam Esmail, in cui una schiera di Tesla impazzite a guida automatica rischia di travolgere e uccidere la famiglia protagonista mentre sta fuggendo dalla misteriosa villa in cui si era recata per una breve vacanza.

Se la “nuova carne” era il prodotto più mostruoso di film come Videodrome e Crimes of the Future (2022), adesso, in The Shrouds, la carne sembra essersi ormai decomposta insieme ad ogni residuo di umanità, mentre resta la ‘nuova tecnologia’ che ormai ha fagocitato i corpi e li ha sotterrati insieme a quella stessa umanità ormai putrefatta e dimenticata.


  1. David Cronenberg: «il dato più importante dell’esistenza umana è il corpo e più ci allontaniamo dal corpo umano, meno le cose diventano reali e dobbiamo inventarle. Forse il corpo è l’unico dato dell’esistenza umana a cui possiamo aggrapparci»: intervista rilasciata a Richard Porton, Il regista come filosofo, in D. Cronenberg, Una storia di violenza, a cura di D. Schwartz, Wudz Edizioni, Arezzo-Milano, 2024, p. 270. 

  2. Cfr. V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Bollati Boringhieri, Torino, 2007. 

  3. Cfr. E. Mazzarella, Contro Metaverso. Salvare la presenza, Mimesis, Milano-Udine, 2022. 

  4. Cfr. A. Chimento, C. Maccaferri, Dal corpo mutante alla proiezione inconscia: il tema del doppio nel cinema di David Cronenberg, in L. Taddio, a cura di, David Cronenberg. Un metodo pericoloso, Mimesis, Milano-Udine, 2012. 

  5. Cfr. F.P. de Ceglia, Vampyr. Storia naturale della resurrezione, Einaudi, Torino, 2023, p. 20 e seguenti. 

  6. Cfr. ivi, pp. 22-23. 

  7. Cfr. V. Susca, Tecnomagia. Estasi, totem e incantesimi nella cultura digitale, Mimesis, Milano-Udine, 2022. 

  8. Cfr. G.N. Bovalino, Algoritmi e preghiere. L’umanità tra mistica e cultura digitale, Luiss University Press, Roma 2024. 

  9. Cfr. Tenta di contattare una delle tribù più isolate del mondo, arrestato youtuber americano, “Rai News.it”, 7 aprile 2025. 

  10. Cfr. G. Deleuze, Cinema II. L’immagine tempo, trad. it. Ubulibri, Milano, 1989, p. 190. 

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