Rodolphe Christin – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Wed, 30 Apr 2025 21:35:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 “Welcome Venice” e il cambiamento dello spazio urbano https://www.carmillaonline.com/2021/10/25/welcome-venice-e-il-cambiamento-dello-spazio-urbano/ Mon, 25 Oct 2021 21:00:04 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=68884 di Paolo Lago

Il protagonista del recente film di Andrea Segre, Welcome Venice (2021), è sicuramente lo spazio. Uno spazio urbano soggetto a un profondo cambiamento, come quello di Venezia. La storia è incentrata sui difficili rapporti fra tre fratelli, Piero, Alvise e Toni, pescatori di moeche (piccoli granchi che vengono pescati nel loro periodo di muta) dell’isola di Giudecca. Per una serie di circostanze, Piero e Alvise dovranno decidere se affidare la loro casa natale della Giudecca all’industria immobiliare che sta cambiando il volto di Venezia: Piero vorrebbe restare ma Alvise ha [...]]]> di Paolo Lago

Il protagonista del recente film di Andrea Segre, Welcome Venice (2021), è sicuramente lo spazio. Uno spazio urbano soggetto a un profondo cambiamento, come quello di Venezia. La storia è incentrata sui difficili rapporti fra tre fratelli, Piero, Alvise e Toni, pescatori di moeche (piccoli granchi che vengono pescati nel loro periodo di muta) dell’isola di Giudecca. Per una serie di circostanze, Piero e Alvise dovranno decidere se affidare la loro casa natale della Giudecca all’industria immobiliare che sta cambiando il volto di Venezia: Piero vorrebbe restare ma Alvise ha già preso la decisione di trasformare l’abitazione in un bed and breakfast per turisti.

Lo spazio veneziano tratteggiato nel film, come nel precedente documentario realizzato dal regista, Molecole (2020), è segnato nel profondo dall’emergenza pandemica e dalle conseguenti chiusure e viene mostrato mentre i suoi abitanti cercano di uscire da una situazione di estrema crisi. Merito del film è sicuramente quello di offrire una visione ‘alternativa’ di Venezia, una città da sempre oggetto di una sovraesposizione spettacolare nel cinema e nelle pubblicità. Non ci viene mostrata la parte più esteticamente attraente della città, quella divenuta una vera e propria icona dell’industria dello spettacolo e del turismo, ma la parte più popolare, meno nota, l’isola di Giudecca e le “barene” (terreni lagunari periodicamente sommersi dalle maree) dove si recano i pescatori di moeche. E comunque, nei rari momenti in cui vediamo Piazza San Marco e la Venezia più ‘turistica’, quest’ultima viene inquadrata da lontano, carezzata dalle luci del tramonto e incastonata perciò in uno sguardo poetico che la libera di qualsiasi incrostazione spettacolare.

Il cambiamento cui è soggetto lo spazio veneziano è lo stesso che investe i centri storici di diverse altre città ma Venezia ha la particolarità di essere costruita sull’acqua, un luogo in cui ci si sposta soltanto a piedi o in barca. Si tratta di un cambiamento sottoposto ai processi di gentrificazione (termine che traduce l’inglese gentrification), per cui uno spazio cittadino ‘autentico’ e proletario si trasforma in un luogo di pregio, dove le abitazioni originariamente semplici e popolari, una volta ristrutturate e riqualificate, diventano di lusso. Cambia quindi profondamente anche la composizione sociale di questi spazi: al posto degli abitanti ‘nativi’, costretti a emigrare fuori città o nelle periferie, subentrano ricchi abitanti stranieri che trasformano quelle case in residenze per le vacanze, perciò chiuse per gran parte dell’anno. Il film racconta assai bene questa trasformazione: Alvise vuole entrare a far parte della nuova industria immobiliare che sta trasformando Venezia mentre Piero cerca di opporre una resistenza che diviene anche una significativa resistenza culturale. Del resto, il personaggio di Piero non è tratteggiato in modo banale, non è l’ingenuo e ottuso pescatore che non vuole lasciare il proprio luogo natìo. Si tratta invece di una figura molto complessa, piena di contraddizioni, alle prese con un passato non facile (diversi anni di galera alle spalle), quasi egli stesso ‘straniero’ nella sua piccola comunità. Appare perciò simile alla figura di Bepi, soprannominato “il Poeta”, il pescatore di Chioggia che stringe amicizia con Shun Li, immigrata dalla Cina, in un precedente film di Segre, Io sono Li (2011). Come il “Poeta”, immigrato dalla Jugoslavia nella piccola comunità di Chioggia trenta anni prima, anche Piero, a causa della sua vita irregolare, sembra vivere ai margini della sua comunità, che comunque ama e sente sua. Proprio per questo, il pescatore veneziano sembra così ostinatamente attaccato ai suoi piccoli spazi di libertà.

Piero è vittima di un vero e proprio sradicamento dal suo spazio: come un nuovo migrante, vittima della gentrificazione, è costretto ad abbandonare l’isola di Giudecca per andare a vivere a Mestre. Si tratta “solo di dieci chilometri più in là, cosa vuoi che sia”, gli dice Alvise, ma sembra proprio che quei dieci chilometri rappresentino uno spazio insormontabile, una distanza incolmabile come quella che separa dai loro paesi di origine altre figure di immigrati raccontati dal cinema di Andrea Segre, come la già citata Shun Li, giovane cinese emigrata prima a Roma poi a Chioggia in Io sono Li, o il togolese Dani che, dopo aver attraversato il Mediterraneo a rischio della propria vita, è accolto con la sua bambina in una comunità del Trentino in La prima neve (2013). È in una prospettiva straniante che la macchina da presa ci mostra il risveglio di Piero nella sua nuova casa di Mestre, nel momento in cui si affaccia alla finestra e scruta i tetti cittadini solcati da fumi industriali mentre lo sfondo sonoro è occupato dagli invasivi rumori del traffico. È un altro mondo, estremamente lontano dagli spazi della casa della Giudecca, in cui Piero cucinava i suoi granchi all’aperto, in un affaccio sulla laguna.

Il mutamento cui è stato sottoposto lo spazio cittadino veneziano può essere leggibile attraverso la chiave di interpretazione offerta da Franco La Cecla in Mente locale, la cui analisi procede secondo un’ottica diacronica, prendendo in considerazione il cambiamento cui è stato sottoposto lo spazio abitativo cittadino. L’assunto principale è che il «nostro spazio», oggi, «è sempre meno nostro»1. La dimensione spaziale cittadina, dai marciapiedi alle strade fino agli spazi interni degli appartamenti, è stata sottoposta a un graduale processo di incasellamento, di creazione di griglie e di canali, di flussi preordinati entro i quali si svolge la nostra vita. La ricollocazione turistica degli spazi urbani ha agito quasi come le demolizioni e gli sventramenti cittadini operati nel corso del Novecento. Secondo La Cecla, «viene spazzato via dal paesaggio urbano uno spazio irregolare e invadente, quello di un abitare fuori e dentro la porta e di un modellare per casupole, banconi, affacci, tende, mercati, impasses e cortili lo spazio delle città, delle piazze e dei monumenti»2. La pratica di incasellamento cui le città sono state sottoposte – continua lo studioso – provoca un vero e proprio «spazio sradicato» generando negli ultimi decenni una sempre più frequente «mobilità volontaria o forzata», che «non è quella del muoversi dei nomadi, ma del vagare di chi si è perduto»3. Anche Piero vaga come chi si è perduto: al mattino lo vediamo seduto in un autobus diretto da Mestre a Venezia, in uno spazio non suo, solcato dagli impianti industriali. Il personaggio è stato sradicato dal suo piccolo spazio di libertà che, a fatica, si era riguadagnato dopo le sue vicissitudini esistenziali. È stato allontanato dalla laguna, dall’isola di Giudecca e dal suo microcosmo popolare.

Venezia è stata profondamente cambiata dall’industria turistica e il suo stesso spazio è divenuto qualcosa da ‘vampirizzare’, una bellezza da rubare e da portare via. La città si è trasformata in una sorta di non luogo: ai turisti che vediamo nel film e che hanno affittato il bed and breakfast, alla fine, non importa nulla vivere lo spazio veneziano. Se ne sono stati tutto il tempo del loro soggiorno chiusi in casa a mangiare pizza e sushi, anch’essi cibi che caratterizzano i ‘non luoghi’ perché si possono trovare ormai in qualsiasi parte del mondo globalizzato. Il turismo, come ha osservato Rodolphe Christin, velocizza e spersonalizza qualsiasi dimensione di viaggio compiendo una vera e propria «usura del mondo»4.

Forse, gli unici spazi veneziani rimasti autentici sono quelli in cui si recano i pescatori a svolgere il proprio lavoro, caratterizzati da una natura ostile. La macchina da presa inquadra i personaggi inseriti nello scenario lagunare e sembra iconograficamente consegnarli alla propria solitudine, fra i pochi rimasti a svolgere il loro lavoro tradizionale, fra i pochi rimasti a potersi permettere di vivere in una città che da anni sta inesorabilmente cambiando. Perché ormai, come sottolinea il regista in un incontro col pubblico dopo la proiezione del film, sono davvero pochi i veneziani che possono permettersi di vivere a Venezia. Sono davvero poche le persone ‘normali’, con uno stipendio ‘normale’, che possono rimanere nella propria città, trasformatasi in una sorta di museo a cielo aperto e, per questo, ormai troppo costosa per essere vissuta a meno di non essere ricchi uomini d’affari o milionari americani o inglesi che comprano appartamenti per abitarli sì e no quaranta giorni all’anno. Il centro storico di Venezia si è ormai trasformato in un museo e in una boutique. Come sottolinea ancora La Cecla, alla luce dell’emergenza Covid, è necessario

liberare i centri storici dalla boutiquizzazione, che non vuol dire liberarli da negozi e mercati, ma farvi tornare una densa residenza. E poi l’insieme delle città dovrebbero prendere la strada del plein air, considerare come la chiusura della gente nelle proprie case sia il principio di diffusione dei contagi. La vita all’aperto, in centro, significa tornare a una città di gallerie, passages, pensiline, cortili, ponti sospesi, giardini pensili, campi da gioco, tavoli e sedie, esposizioni, padiglioni, chioschi, giardini, corridoi di piante, fruttivendoli, friggitorie, banchetti di venditori, barbieri, teatri e cinema di strada, fiorai, musicisti e funamboli, rigattieri. Se vi sembra una visione del passato, aggiungeteci quello che vi piace, dal digitale per strada all’intelligenza artificiale, ma attenzione perché le smart cities sono già un fallimento dentro alla pandemia, anzi sono quello che la pandemia ci offre, un surrogato di vita en plein air e in presenza5.

Non dimentichiamo, infatti, che la Venezia mostrata dal regista è anche uno spazio reso fantasma dall’emergenza pandemica, come già nel precedente Molecole. La troupe si trova a girare in spazi quasi surreali e intende testimoniare narrativamente la condizione quasi ‘surreale’ di una città attraversata da mille problemi e contraddizioni, anche legate alla stringente attualità. Il cinema di Andrea Segre si conferma ancora una volta potentemente militante, un cinema che riesce a parlarci del mondo reale e delle sue contraddizioni, qui e ora. A parlarci di spazi contemporanei in cui a dover fare i conti con la realtà sono, più che mai, esseri umani immersi fino al collo in quella stessa realtà, come ad esempio i migranti, coloro che per cause indipendenti dalla loro volontà sono costretti a lasciare i propri luoghi e i propri cari. Una realtà che però non suona mai banale, sempre guardata per mezzo di un filtro artistico e poetico. Un filtro che, comunque, non nasconde le sue mille problematiche e contraddizioni ma che, anzi, per mezzo di un sapiente gioco di contrasti, sembra metterle ancora più in evidenza.


  1. F. La Cecla, Mente locale, elètheura, Milano, 2021, p. 34. 

  2. Ivi, p. 36. 

  3. Ivi, pp. 62-63. 

  4. Cfr. R. Christin, Turismo di massa e usura del mondo, trad. it. elèuthera, Milano, 2019. 

  5. F. La Cecla, Mente locale, cit., p. 203. 

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Il turismo come pratica di consumismo di massa https://www.carmillaonline.com/2021/01/14/il-turismo-come-pratica-di-consumismo-di-massa/ Thu, 14 Jan 2021 22:00:29 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=64446 di Gioacchino Toni

Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile?, Eris, Torino 2020, pp. 64, € 6,00

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici» (Rodolphe Christin)

Nel corso degli ultimi decenni sono diverse le città e le zone paesaggistiche che in ogni parte del mondo sono soggette a processi di trasformazione profonda determinati dal turismo di massa. Espulsione dai centri storici [...]]]> di Gioacchino Toni

Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile?, Eris, Torino 2020, pp. 64, € 6,00

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici» (Rodolphe Christin)

Nel corso degli ultimi decenni sono diverse le città e le zone paesaggistiche che in ogni parte del mondo sono soggette a processi di trasformazione profonda determinati dal turismo di massa. Espulsione dai centri storici degli abitanti economicamente più svantaggiati e delle attività commerciali tradizionali sostituiti rispettivamente da ondate di turisti a cui vengono destinati gli alloggi e da infrastrutture commerciali ad essi dedicate, abnorme concentrazione di popolazione in spazi ridotti (overtourism), aumento dell’inquinamento, edificazione di opere di forte impatto urbanistico-ambientale realizzate al solo scopo di attrarre visitatori ad eventi di breve durata, cancellazione di quell’identità storica, culturale e paesaggistica che erano alla base dell’attrattività delle località. Insomma, il turismo di massa sta letteralmente distruggendo l’ecosistema urbano e naturale di molte zone del pianeta.

Un esempio su tutti. In seguito alla fortunata serie televisiva Game of Thrones, la città di Dubrovnik (Kings Landing, nella fiction) si è vista letteralmente invadere dai turisti: l’80% del milione di visitatori giunti in città nel 2016 è arrivato sul posto con enormi navi da crociera a gruppi di migliaia di passeggeri per volta. Se si sta diffondendo una certa sensibilizzazione – si pensi a Venezia – circa l’impatto delle grandi navi sull’ecosistema, non deve essere sottostimato l’impatto provocato sulle località dallo sbarco della marea umana da esse trasportata. Anche i voli low cost contribuiscono all’overtourism e in alcuni casi nei confronti dei medesimi luoghi messi a dura prova dalle grandi navi.

Dopo aver analizzato il fenomeno Airbnb, vera e propria piattaforma di gentrificazione digitale che sta riplasmando il volto delle città turisticamente più attrattive1 [su Carmilla], con un suo recente libro, la ricercatrice indipendente e giornalista freelance Sarah Gainsforth, Oltre il turismo. Esiste un turismo sostenibile? (Eris, 2020), affronta di petto gli effetti del turismo di massa contemporaneo sulle città e sull’ambiente naturale.

Dopo aver ricostruito quella trasformazione del viaggio per pochi in turismo di massa che Rodolphe Christin2 [su Carmilla] ha sintetizzato in maniera efficace affermando che il turista, nato come sperimentatore esistenziale, si è via via convertito in un consumatore del mondo, Gainsforth si preoccupa di evidenziare l’incidenza che su tale processo hanno avuto lo sviluppo dell’economia, le politiche urbanistiche e la cultura, per poi terminare il volume con una riflessione sulla distruttività di questo sistema turistico giungendo a chiedendosi se un altro turismo, sostenibile, sia, oltre che auspicabile, possibile.

Per quanto riguarda il turismo urbano, Gainsforth ricorda come questo sia cresciuto velocemente e in maniera spropositata anche a causa dell’incremento dell’offerta di alloggi turistici a prezzi (inizialmente) convenienti proposta da alcune piattaforme digitali che nel giro di pochi anni hanno trasformato la pratica di condivisione degli alloggi in un business che sottrae le abitazioni ai residenti stabili in favore di turisti di passaggio.

Il turismo di massa ha inoltre contribuito enormemente a rendere le città un po’ tutte uguali; essendosi l’economia locale specializzata in un unico settore, quello turistico, sono state le città ad adeguarsi ai turisti e non l’inverso. Per tentare di arginare l’overtourism si sono mosse alcune amministrazioni comunali attivando meccanismi di regolamentazione del mercato degli affitti di breve durata e si sono sviluppate mobilitazioni dal basso (come nel caso di Barcellona).

Se fenomeni come l’overtourism e la turistificazione dei centri storici sono fenomeni recenti, questi si sono però innestati su processi già in corso da tempo in diverse città e per comprendere come ciò sia potuto avvenire è indispensabile, sostiene Gainsforth, ricostruire i motivi per cui il turismo è diventato un settore portante dell’economia urbana in diverse città.

Secondo la studiosa uno spartiacque importante in tal senso è rappresentato dalla fine degli anni Settanta, quando il consolidato legame tra industrializzazione e urbanizzazione è entrato in crisi e la città si è avviata a trasformarsi da luogo di produzione a centro di servizi. A partire da allora diverse città hanno investito il loro futuro economico sull’innovazione tecnologica e culturale mentre in contemporanea si provvedeva a smantellare il welfare sull’onda della riduzione della pressione fiscale su profitti e rendite, della deregolamentazione dei flussi di capitale e della liberalizzazione del commercio. In tale contesto il settore pubblico ha via via abbandonato il suo storico ruolo di erogatore di servizi trasformandosi in committente di servizi erogati da privati.

Il passaggio da un’economia industriale a una del terziario ha comportato l’abbandono di numerose aree urbane che, da qualche tempo a questa parte, sono state destinate ai nuovi settori economici trainanti, tra cui la stessa produzione culturale: eccoci allora alla stagione dei grandi eventi, dagli Expo ai mega-eventi sportivi, con annessi fenomeni di gentrificazione e trasformazioni urbanistiche in nome del turismo come risorsa, moltiplicatore di lavoro e di ricchezza.

La contraddizione è questa: se le politiche urbane contemporanee sarebbero chiamate a sanare le diseguaglianze e ridurre le dinamiche di esclusione sociale prodotte da un’economia finanziaria, della rendita, i progetti di rigenerazione urbana sono inscritti nello stesso sistema economico che dovrebbero correggere. Per questo il termine “rigenerazione urbana” si riduce spesso a un’etichetta “etica” appiccicata a speculazioni immobiliari private, e il termine “valorizzazione”, tanto ricorrente in queste operazioni, indica non un generico miglioramento di un immobile o di un quartiere, ma la creazione di una rendita. Il turismo è una delle principali strategie di promozione di quartieri, luoghi trattati come prodotti, come brand per attirare capitali privati ed è il pretesto che giustifica la “valorizzazione” immobiliare e finanziaria della città. (p. 17)

Oltre a mostrare i disastri determinati dal turismo come pratica di consumismo di massa, il volume di Sarah Gainsforth ha il merito di invitare a ripensare il turismo a partire da una nuova prospettiva, da un’ecologia popolare.


  1. Sarah Gainsforth, Airbnb città merce. Storie di resistenza alla gentrificazione digitale, DeriveApprodi, Roma 2019. 

  2. Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano 2019. 

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Confini e superamenti. Turismo o rivoluzione https://www.carmillaonline.com/2019/08/14/confini-e-superamenti-turismo-o-rivoluzione/ Wed, 14 Aug 2019 21:00:57 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=54084 di Gioacchino Toni

Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, 2019, pp. 134, € 14,00

«Con l’industrializzazione del quotidiano anche i nostri sogni sono stati industrializzati». «Il turismo è la soluzione proposta dal capitalismo liberista per canalizzare la spinta sovversiva intrinseca alla volontà di trasformare la propria condizione». «La nostra smania di partire per le vacanze è l’indice della nostra insoddisfazione. Testimonia la nostra rassegnazione a vivere il noioso, l’insulso il carente, l’invivibile. Turismo o rivoluzione: bisogna scegliere» Rodolphe Christin

L’antropologo iraniano Shahram Khosravi nota che se da un [...]]]> di Gioacchino Toni

Rodolphe Christin, Turismo di massa e usura del mondo, Elèuthera, Milano, 2019, pp. 134, € 14,00

«Con l’industrializzazione del quotidiano anche i nostri sogni sono stati industrializzati». «Il turismo è la soluzione proposta dal capitalismo liberista per canalizzare la spinta sovversiva intrinseca alla volontà di trasformare la propria condizione». «La nostra smania di partire per le vacanze è l’indice della nostra insoddisfazione. Testimonia la nostra rassegnazione a vivere il noioso, l’insulso il carente, l’invivibile. Turismo o rivoluzione: bisogna scegliere» Rodolphe Christin

L’antropologo iraniano Shahram Khosravi nota che se da un lato l’attuale “sistema delle frontiere” sembra voler imporre l’immobilità agli esseri umani più poveri, dall’altro non manca di imporre agli stessi un’estenuante mobilità che li costringe a vagare tra paesi, legislazioni, istituzioni, burocrazie, campi di accoglienza e di espulsione ecc. Khosravi spiega perfettamente come attorno alla mobilità umana si sviluppi una lotta incessante tra chi tenta di ridurla a strumento di controllo sociale e chi cerca di sottrarsi a quest’ultimo.

La rigida distinzione gerarchica introdotta dall’attuale “regime delle frontiere” prevede una netta differenziazione tra viaggiatori “non qualificati” (migranti, profughi, persone prive di documenti) e viaggiatori “qualificati” (turisti, espatriati, avventurieri). Se Io sono confine (Elèuthera, 2019) di Shahram Khosravi [su Carmilla] si occupa del primo tipo di viaggiatori, Turismo di massa e usura del mondo (Elèuthera, 2019) del sociologo Rodolphe Christin affronta il secondo con l’intento di analizzare l’usura del mondo «mettendo in evidenza le contraddizioni tra l’apparente libertà di movimento e lo sviluppo dell’industria turistica».

Secondo il sociologo viviamo una contemporaneità “dromomaniaca”, in balia dell’automatismo deambulatorio. Se per i personaggi pubblici la mobilità è una condizione di visibilità, più in generale è spesso vista come mezzo per conseguire la felicità e se nel turismo è possibile vedere «la punta di diamante dell’ideologia edonistica associata al muoversi nello spazio», per certi versi il mondo virtuale è lo spazio limite in cui la mobilità giunge ad annullarlo nell’istante. L’ubiquità è la forma massima di ipermobilità.

Nonostante solitamente alla mobilità venga associata l’idea di libertà, lo spostamento può divenire un obbligo. «Subita o in apparenza accettata, la mobilità è la condizione degli individui che si mettono a disposizione, che si sottomettono al capitalismo fluido e flessibile. Per chi è disposto ad adattarsi alle opportunità offerte dal Grande Mercato, il prezzo da pagare è lo sradicamento, o quanto meno la sua versione estetico-turistica, lo spaesamento».

La mobilità, sostiene Rodolphe Christin, favorisce l’espansione capitalismo: grazie ad essa i prodotti conquistano nuovi consumatori, le aziende si delocalizzano riducendo i costi, si fluidifica il transito della manodopera ecc. «Una tale fluidità sociale è connaturata all’economia di mercato e la migrazione ne è un ingrediente di base». La libertà di andare e venire può trasformarsi in un obbligo imposto dal sistema economico. «La conseguenza dell’ipermobilità è lo sradicamento, necessario all’intercambiabilità degli esseri e alla standardizzazione dei luoghi, che dunque riguarda sia gli oggetti che i soggetti»

Se il turista nasce come sperimentatore esistenziale, ora si è trasformato in un “consumatore geografico” e la mobilità turistica risulta essere al servizio del “consumo del mondo”. La libertà concessa dal tempo libero è presto degenerata in «nuove forme di controllo sociale finalizzate a canalizzare le energie destinate alle vacanze». Il tempo libero, continua l’autore, «diventa ben presto la preda preferita delle normative messe in campo da una razionalizzazione ideologica tesa a inculcare un certo modello di salute pubblica, che peraltro va in continuità con il pretesto terapeutico del turismo delle origini, le cui destinazioni erano speso terme o sanatori».

Da indubbio avanzamento sociale, le ferie retribuite sono presto divenute dal punto di vista legislativo un «adeguamento al modus operandi del capitalismo che ne favorì l’accettazione da parte delle classi lavoratrici. Ma ancor di più il rapporto tra salariato e ferie destinate allo svago gettò le basi per lo stile di vita tipico della società consumista». Come accaduto con il tempo lavorativo, «anche il tempo delle vacanze è stato progressivamente conquistato dall’ingiunzione mobilitaria, che non poteva certo lasciarsi sfuggire una simile opportunità per assicurarsi una circolazione sempre maggiore di beni, servizi e persone».

Il senso di libertà del turista risiede nel godere per alcune settimane all’anno dell’illusione di vivere di rendita. Libero di impiegare tempo come crede e di farsi servire dagli altri che invece stanno lavorando, il turista si sente un rentier. «Se il turista sogna di emanciparsi dal lavoro, di fatto lo fa solo nello spazio temporale dedicato alle vacanze». «Industria della ‘falsa partenza’, il turismo prospera grazie al male di vivere. Al quale si torna sempre, inesorabilmente».

Walter Benjamin individuava tre condizioni affinché potesse esservi la figura del flaneur: la città, la folla e il capitalismo. Rodolphe Christian ritiene che il turista presupponga: il lavoro salariato con ferie retribuite, la capacità logistica di organizzare una mobilità su larga scala e il capitalismo.

Il luogo consacrato ai consumatori in transito per eccellenza è il centro commerciale, ove il consumatore-flaneur vaga nel suo anonimato sentendosi libero di fare acquisti senza interferenze. La galleria commerciale accoglie un pubblico che tenta di placare la sua noia frequentando un luogo pensato per l’individuo indolente. «La figura del consumatore-flaneur, furtivo e prodigo al tempo stesso, è complementare a quella del produttore di beni o servizi, remunerato per quello che fa, un rapporto che configura il primo come il cliente attuale o potenziale del secondo. Questa stessa partizione è presente nel turista e struttura la relazione commerciale che intrattiene con il mondo. Anzi il turismo è l’esempio perfetto di questa ambivalenza dell’uomo contemporaneo, diviso tra il desiderio di avere, qui e ora, la possibilità di godersela senza alcun ostacolo e l’obbligo di pagare un prezzo per tutto questo, ovvero l’obbligo di lavorare per guadagnare il denaro necessario per i suoi acquisti, che farà durante il tempo libero. Alla pari dell’ozio anche il bighellonare consapevole […] ha in sé un potenziale di dissidenza comportamentale. Ma la società del consumo e l’ideologia economicista sono riuscite a canalizzare la forza a proprio vantaggio, riducendola al fugace piacere di passeggiare guardando le vetrine. Il prevalente orientamento mercantile impedisce a quel potenziale di trasformarsi in autentica forza sovversiva, convertendolo in turismo, cioè una realtà organizzata attorno al consumo».

«Affinare il sogno turistico, fornendogli una gamma di risposte adatte a ogni esigenza, rende accettabile la vita di tutti i giorni: sempre a condizione di averne i mezzi, l’offerta è quella di trascorrere qualche settimana in un luogo in cui si è temporaneamente sgravati dall’obbligo di lavorare e dalla monotonia del tran tran quotidiano». Il fatto di viaggiare in compagnia di “strumenti ausiliari” come smartphone, computer ecc., sostiene il sociologo, sottolinea quanto si tenda a voler tutto sommato restare gli stessi indipendentemente da dove ci si viene a trovare. L’ipermobilità contemporanea sembra funzionale a contenere gli individui all’interno dello spazio sociologico predefinito. Tale tipo di mobilità sembra essere un modo per mantenere l’essere umano all’interno in un mondo di beni e servizi presentato come il solo auspicabile o possibile.

«Dal canto suo il turismo è eterotopico: genera i propri luoghi, che adatta ai propri fini […] Per diventare turisticamente compatibile, una realtà deve prima estirpare i modi di vita tradizionali in cui affonda le proprie radici». Secondo l’autore, dopo essere state conquistate con fatica le vacanze sono divenute uno dei pilastri del sistema insieme alla televisione, agli antidepressivi, al calcio ecc. «La fugace felicità delle vacanze turistiche è una risposta al cupo fardello della vita quotidiana».

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