psicoanalisi – Carmilla on line https://www.carmillaonline.com letteratura, immaginario e cultura di opposizione Mon, 13 Oct 2025 21:50:14 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.9.26 AfrichE.Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb https://www.carmillaonline.com/2025/07/11/afriche-trans-formazioni-postcoloniali-unindagine-psicoanalitica-tra-il-corno-dafrica-e-il-magreb/ Thu, 10 Jul 2025 22:01:03 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=88891

di Walter Catalano

Livio Boni, Cristiano Rocchi, Daniela Scotto di Fasano, AfrichE. Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb, Armando Editore, Roma 2024, pp. 216, 17 euro.

Il testo nasce da anni di lavoro nel sito della Società Psicoanalitica Italiana (SPIWEB), dove i tre curatori di questa raccolta di saggi a più voci curano nell’ambito di Geografie della Psicoanalisi curano la finestra AfrichE. Si tratta di un libro corale in cui, con la tecnica dell’intervista, si racconta un’Africa, anzi, meglio dire delle AfrichE, decisamente inedite e spesso inaspettate, cercando di superare stereotipi e preconcetti. Il tema [...]]]>

di Walter Catalano

Livio Boni, Cristiano Rocchi, Daniela Scotto di Fasano, AfrichE. Tra(N)s-formazioni postcoloniali. Un’indagine psicoanalitica tra il Corno d’Africa e il Magreb, Armando Editore, Roma 2024, pp. 216, 17 euro.

Il testo nasce da anni di lavoro nel sito della Società Psicoanalitica Italiana (SPIWEB), dove i tre curatori di questa raccolta di saggi a più voci curano nell’ambito di Geografie della Psicoanalisi curano la finestra AfrichE. Si tratta di un libro corale in cui, con la tecnica dell’intervista, si racconta un’Africa, anzi, meglio dire delle AfrichE, decisamente inedite e spesso inaspettate, cercando di superare stereotipi e preconcetti. Il tema centrale è l’incontro tra psicoanalisi e pluralità culturale africana, con particolare attenzione al concetto di riparazione attraverso il quale si cerca di comprendere le ferite del colonialismo, la frammentazione culturale e la negazione storica che ne sono derivate e le conseguenti attuali identità.

Tre psicoanalisti, cimentandosi con un esperimento inedito, sollecitano un’interlocuzione al contempo intima e critica con una serie di personalità – artisti, scrittori, attivisti e studiosi africani o «afropei» (africani europei) – allo scopo di illustrare la pluralità delle figure soggettive, delle aspirazioni e delle forme di «disagio della civiltà» in un continente concepito e anche fantasticato come omogeneo e indistinto. Concentrandosi su Corno d’Africa e Magreb, questa piccola raccolta di saggi si focalizza sul lascito del colonialismo e le vie, anche contorte, inaugurate dalle decolonizzazioni.

Composto essenzialmente di interviste e di letture critiche di opere contemporanee, il saggio scommette su una metodologia condivisa tanto dalla psicoanalisi quanto dall’antropologia contemporanea e dagli studi postcoloniali: lasciare la parola all’altro, accettando di essere spiazzati da un’enunciazione talora provocatoria, altre volte sfumata, comunque aperta al dialogo e al confronto.

Gli autori/curatori sono Livio Boni, psicoanalista, dottore di ricerca in psicopatologia, direttore di programma al Collège International de Philosophie, autore di L’inconscio post-coloniale. Geopolitica della psicoanalisi (Milano, Mimesis, 2019) e Psychanalyse du reste du monde. Géohistoire d’une subversion (codiretto con Sophie Mendelsohn, Paris, La Découverte, 2023). che vive e lavora a Parigi. Cristiano Rocchi, membro ordinario con funzioni di training SPI-IPA, vive e lavora a Firenze, insegna a Roma. Recentemente ha pubblicato “La disclosure controtransferale come precursore dell’analisi reciproca” in Rileggere Ferenczi oggi (Borla, 2019), “The Body in Psychoanalysis” in When the body speaks (2021Routledge) e “Il corpo in psicoanalisi”, in Il corpo che parla (2023, Mimesis). Daniela Scotto di Fasano, membro ordinario SPI-IPA, ha insegnato presso la Scuola di Specializzazione in Psicologia e il Corso di Laurea in Psicologia dell’Università di Pavia. E’ stata nella redazione di Psiche dal 2001 al 2009. Tra le pubblicazioni (cocurate con M. Francesconi), L’ambiguità nella clinica, nella società, nell’arte (Antigone Edizioni, 2012); Il sonno della ragione. Saggi sulla violenza (Liguori, 2014); Aree di Confine (Mimesis, 2017); Nec Nomine. Nell’Argentina delle stragi: Menzogne, Verità, Identità (edizioni Bette, 2024); Freud a Gaza. Tutti e tre fanno parte del gruppo di studio internazionale Geografie della Psicoanalisi coordinato da Lorena Preta.

Intervista a Cristiano Rocchi, Livio Boni e Daniela Scotto di Fasano

Domanda: Chiedo loro innanzitutto perché AfrichE e non Africa, sia come titolo della finestra in SPIWEB sia come titolo di questa raccolta di saggi.

Risposta: Quello che ci ha interessato è consistito innanzitutto nel tentativo di suggerire un’idea della complessità e della varietà delle situazioni, individuali e collettive, irriducibili al fantasma dell’Africa come blocco unitario, fantasmaticamente accomunato da un solo carattere dominante, sia esso negativo (la miseria, la guerra, la “primitività”) o positivo (la vitalità, la Natura, il Continente del futuro ecc.). Abbiamo infatti tenuto conto della coesistenza, sul continente africano, di una molteplicità di regimi storici, che vanno dai più antichi ai più postmoderni, il che rende lo spazio africano irriducibile ad una temporalità storica univoca, e rilancia la questione freudiana della coesistenza tra più regimi temporali, nella vita individuale quanto nella vita collettiva. Un altro fattore di cui abbiamo ritenuto necessario tenere conto è quello dell’interiorizzazione negli Stati del continente africano di modelli ereditati dalla dominazione coloniale, tanto a livello del comportamento delle classi dirigenti africane quanto a livello di un desiderio di massa di costruire Stati-nazione omogenei, culturalmente unitari, sul modello delle Nazioni europee, e i contraccolpi patologici di una simile introiezione. Da qui l’esigenza di declinare al plurale il nome proprio “Africa”, che si è imposto come tale in coincidenza con l’apogeo dell’impresa coloniale e che, per quanto rivendicato in seguito dai movimenti panafricanisti, non deve occultare la varietà irriducibile delle AfrichE. Prestare un orecchio analitico ad una serie di interlocutori legati alle AfrichE significa infatti restituire alla condizione africana la sua plurivocità, contro la tendenza ad unificare indebitamente la molteplicità reale del continente sotto un tratto identificatorio univoco.

Domanda: Avete fatto cenno, in questa risposta, alla “questione freudiana” e siete tre psicoanalisti. Allora vi chiedo: cosa ha a che fare la psicoanalisi con le AfrichE?

Risposta: indispensabile situare brevemente la congiuntura nella quale prende posto il nostro saggio. Se per un verso si tratta infatti di (re)introdurre l’Africa nell’orizzonte dell’attenzione analitica, tale esigenza non è dettata solamente da considerazioni epistemiche, ma dalla convinzione condivisa che l’Africa continui a funzionare come una fucina fantasmatica nella cultura, italiana e non solo. A dispetto della storia coloniale del nostro Paese – che è ormai diventato luogo comune definire come “rimossa” -, della prossimità geografica e della presenza ormai imprescindibile di una popolazione africana, o italo-africana, l’Africa continua a trovarsi assegnata ad una serie di stereotipi, per lo più negativi, o ad essere semplicemente ignorata, come nel campo analitico. Questa pubblicazione polifonica non pretende certo sopperire ad una tale lacuna, intende però proporre, più modestamente, un’apertura, sotto forma dialogante, tra la psicoanalisi e una serie di voci e di apporti emananti dal mondo civile, culturale e letterario del continente africano. L’Africa è indubbiamente il continente assente dalla cartografia freudiana. Nel suo immaginario, sebbene esso fosse incentrato sul mondo europeo e sulla cultura greco-romano-giudaica, il continente africano è pressoché assente. O meglio, esso vi compare negativamente, attraverso la celebre metafora della sessualità femminile come Dark Continent, introdotta nel 1926 (in La questione dell’analisi laica) e indirettamente ispirata dal saggio omonimo dell’esploratore e avventuriero Henry Morton Stanley, che svolse un ruolo di primo piano nella sanguinosa conquista del Congo per conto di Leopoldo II del Belgio, e poi ripresa da Joseph Conrad nel suo Heart of Darkness (Cuore di Tenebra), coevo a L’Interpretazione dei sogni di S. Freud. Nella metafora freudiana del Dark Continent si ritrova infatti un duplice implicito: l’Africa come Terra incognita, inesplorata; e l’Africa come luogo oscuro, potenziale riserva di una pulsionalità indecifrabile, di una tenebrosità che resiste ai Lumi. Il disinteresse per l’Africa non è tuttavia un tratto distintivo proprio unicamente alla cultura e alla visione di Freud e ha contraddistinto una gran parte della storia e della letteratura psicoanalitica post-freudiana, con alcune eccezioni significative, tra le quali occorre menzionare lo psicoanalista russo-lituano Wulf Sachs, emigrato in Sudafrica all’inizio degli anni Venti, considerato precursore dell’etnopsichiatria; Octave Mannoni, autore del primo studio di orientamento analitico sulla situazione coloniale; e, infine, Edmond e Anne-Cécile Ortigues. Questo significa che, malgrado la psicoanalisi “canonica” si sia sostanzialmente disinteressata, fino ad un’epoca recente, del continente africano, sono esistite, ai margini del Movimento analitico, incursioni  etnografico-analitiche in Africa, in particolare dopo la Seconda guerra mondiale, tanto che si potrebbe affermare che, a fronte della quasi inesistenza della psicoanalisi in senso stretto, la sua presenza si declina comunque attraverso l’etnopsichiatria. Insomma, esiste una presenza, marginale ma reale, della psicoanalisi sul continente africano, presenza rarefatta e discontinua, ma effettiva, della quale sarebbe istruttivo e prezioso fornire una mappatura critica. Ma tale non è l’intento del nostro libro, che non si interesserà, se non marginalmente, della storia della psicoanalisi in Africa, né a quella delle occorrenze dell’Africa nella letteratura analitica. Altra è l’intenzione che ci ha animato, al contempo più modesta e più arrischiata: proporre qualche esempio di dialogo immanente tra psicoanalisti e autori contemporanei africani o “afropei”.Che cosa intendere per immanente? Innanzitutto il partito preso di dialogare nel modo più diretto possibile con una serie di interlocutori legati all’Africa, facendo risuonare delle questioni psicoanalitiche, orientando la discussione verso la questione dell’inconscio, ma senza saturare lo spazio dialogico con un ricorso massiccio al sapere analitico, e accordandosi di conseguenza ilmassimo di spontaneità, talora persino di ingenuità, nell’interlocuzione.

Insomma, è un metodo sui generis quello qui adottato – tre psicoanalisti, di generazioni e formazioni differenti, dialogano ‘liberamente” con autori o testi contemporanei afferenti all’Africa, anche quando questi non sembrano detenere un rapporto diretto con la psicoanalisi. Last but non least, anzi!, non a caso la Prefazione è della notissima antropologa, psichiatra, psicoanalista e scrittrice marocchina Rita (Ghita) El Khayat.

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Il bisogno di introversione nella contemporaneità https://www.carmillaonline.com/2023/08/12/il-bisogno-di-introversione-nella-contemporaneita/ Sat, 12 Aug 2023 20:00:43 +0000 https://www.carmillaonline.com/?p=77582 di Gioacchino Toni

Il volume di Paulo Barone, Il bisogno di introversione. La vocazione segreta del mondo contemporaneo (Raffaello Cortina Editore 2023), prende il via proponendo una curiosa, quanto efficace, analogia tra lo sguardo con cui Yuri Gagarin guardava per la prima volta il mondo da lontano, estraniandosi da esso, e lo sguardo di chi, durante la pandemia, guardava dalla propria abitazione, attraverso gli schermi, il mondo “messo a distanza” con le sue inconsuete e inattese strade deserte, con gli animali selvatici in città e con il cielo insolitamente terso grazie al rallentamento produttivo e alla riduzione del traffico automobilistico.

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di Gioacchino Toni

Il volume di Paulo Barone, Il bisogno di introversione. La vocazione segreta del mondo contemporaneo (Raffaello Cortina Editore 2023), prende il via proponendo una curiosa, quanto efficace, analogia tra lo sguardo con cui Yuri Gagarin guardava per la prima volta il mondo da lontano, estraniandosi da esso, e lo sguardo di chi, durante la pandemia, guardava dalla propria abitazione, attraverso gli schermi, il mondo “messo a distanza” con le sue inconsuete e inattese strade deserte, con gli animali selvatici in città e con il cielo insolitamente terso grazie al rallentamento produttivo e alla riduzione del traffico automobilistico.

Si tratta di un’immagine «che si è potuta formare soltanto perché al di là o al riparo dal nostro sguardo, un’immagine di cui siamo venuti a conoscenza solo nel chiuso delle nostre abitazioni, davanti allo schermo di un dispositivo, dinnanzi a uno scenario complessivo che nessuno ha davvero potuto osservare di persona, in presa diretta. Un’immagine nata nella remota lontananza, intravista come dall’oblò di una nave spaziale» (p. 13).

Non tanto l’immagine del mondo di sempre, intessuto di idee che lo riflettono nelle forme discrete della realtà abituale, colta ora semplicemente da una prospettiva insolita, durante una circostanza fuori dal comune. E nemmeno l’immagine del mondo di prima, che crede di assistere alla rinascita di una natura ancora intatta […]. Quanto piuttosto un’immagine che mostra il mondo di oggi sospeso al filo di un’antitesi estrema, secca, bruciante, secondo la quale le cose che lo abitano possono rendersi per un istante visibili, solo se la nostra presenza, nello stesso istante, si ritira nell’ombra e abbandona la scena. Poiché se noi respiriamo al ritmo del nostro modo di vivere usuale le cose smettono di farlo, per udire il loro respiro dobbiamo trattenere il nostro (pp. 13-14).

Un’immagine che ha saputo mettere a nudo la frenesia e la tendenza autodistruttiva del nostro modello di sviluppo la cui valenza critica negativa, sostiene Broni,

non ne esaurisce tuttavia il senso. Resta che essa si dispiega per intero proprio in virtù della sospensione di ogni attività, del rientro nel chiuso delle case, del ritiro verso l’interno degli occhi della mente. È qui, in questo punto ritratto al margine del quadro, con l’umanità messa momentaneamente in disparte, che risiede il centro dell’immagine. È qui che si concentra la sua forza d’attrazione, capace di raccogliere attorno a sé questa o quella scena, questa o quella figura del mondo. È qui, in questa disposizione d’animo, in questa postura mentale, che si genera la quiete profonda che pure pervade l’immagine (p. 15)

Difficile dire esattamente di che disposizione d’animo si tratti, ma è, secondo lo studioso, in tale postura

che si può sperare di osservare in un modo nuovo le cose di sempre, che si può saggiare la consistenza attuale del mondo, quello che è diventato […] Intesa in questo duplice modo – cupo e spettrale e, al contempo, in quiete e contemplativo – l’immagine, pur essendo sorta a seguito e durante la pandemia, non ne è il mero riflesso, la semplice copia. Essa possiede la forza magnetica di raccogliere attorno a sé, mantenendoli nell’orbita della propria figura, anche altri avvenimenti che caratterizzano oggi il mondo contemporaneo (p. 16).

Dinnanzi a una realtà esteriore contemporanea frenetica quanto evanescente, strutturata sugli imperativi della prestazione e della competitività, in cui l’improduttività è stigmatizzata come devianza, non è così infrequente che

l’interesse vitale delle persone arretr[i], talvolta costretto dalla necessità – come nel caso degli adolescenti che in numero crescente vivono reclusi –, e si rivolg[a] verso il recinto delle abitazioni private, verso la sfera degli affetti familiari d’origine, verso l’intimo della propria vita mentale, alla ricerca – per quanto spinosi, angusti e malsani questi luoghi possano essere in concreto – di un rifugio sicuro, di una via di fuga, di un più attendibile luogo di interrogazione sul senso delle cose e su quello di se stessi (p. 18).

Tali “ripiegamenti” sono spesso messi in relazione ai modi di vivere della società contemporanea, sempre più focalizzata sul presente e votata alla competitività e al consumismo più sfrenati, con la sua propensione a ricorrere alla chimica per alleviare il malessere diffuso che produce. Si tende spesso a guardare a tale “ripiegamento” come a una tendenza al mero isolamento, al ritiro dalla vita sociale, come a un atto di “narcisismo”, con il conseguente giudizio di condanna, ma, sostiene Baroni, più che di un giudizio, potrebbe trattarsi di un pregiudizio culturale che concepisce l’esistenza esclusivamente in termini di relazione con l’esterno e concede alla sua interruzione giusto il tempo per ripristinarla.

Da parte sua Barone prova a guardare al fenomeno del “ripiegamento” da una prospettiva diversa: in un momento in cui il modello di vita egemone sembra non risucire più a soddisfare i bisogni degli esseri umani, il “rientro in se stessi” potrebbe in parte derivare da un più profondo bisogno di introversione utile a guardare in modo nuovo le cose e se stessi.

Al di là degli auspici dell’autore, è difficile dire quanto una società come quella contemporanea, incline com’è non solo alla mercificazione e alla vertinizzazione degli stessi esseri umani, ma anche a quote crescenti di delega alle “macchine pensanti” extraumane, produca/permetta un “salutare” bisogno di introversione che non si risolva in mera chiusura impotente nei confronti di un mondo che, nel momento in cui viene percepito nella sua follia distruttrice, deve pur indurre a un desiderio di cambiamento, non fosse altro che per spirito di sopravvivenza.

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